Non è legittimo il richiamo alla sindrome da alienazione parentale

Sabina Anna Rita Galluzzo
06 Aprile 2022

Ai fini di un provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale, è legittimo il richiamo alla c.d. sindrome di alienazione parentale quando il genitore convivente metta in atto un comportamento di manipolazione psicologica del figlio finalizzato non frequentare più l'altro genitore?
Massima

Il richiamo alla sindrome d'alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale di uno dei genitori.

Il caso

Il Tribunale per i Minorenni disponeva la decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale sul figlio di una madre e l'immediato allontanamento dello stesso dal contesto familiare, nonché la temporanea sospensione di ogni rapporto tra la donna e il minore. La Corte d'Appello confermava il provvedimento. La drastica decisione era motivata dalla necessità di ristabilire i rapporti tra il figlio e il padre completamente inesistenti a causa degli ostacoli posti dalla donna. I giudici di merito in particolare evidenziavano un abuso psicologico da parte della madre nei confronti del bambino, identificato come “Sindrome da alienazione parentale”. L'allontanamento del piccolo dalla madre era finalizzato ad interrompere il “patto di lealtà” tra la donna e il figlio che non avrebbe consentito la ripresa della frequentazione con il padre.

La madre propone ricorso in Cassazione. Il padre e il curatore del minore si oppongono con controricorso.

La questione
L'articolo 337-ter c.c., tutela l'interesse del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, riconosciuti come complementari e ugualmente fondamentali per assicurare una corretta crescita. In questo contesto, sottolinea la giurisprudenza, tra gli obblighi genitoriali fondamentale è quello di “mantenere nel figlio viva la figura dell'altro genitore” non convivente.A volte peraltro il genitore convivente mette in atto un comportamento di manipolazione psicologica del figlio finalizzato a che questi non voglia più frequentare l'altro. Questo comportamento creerebbe nel minore uno stato di “alienazione genitoriale”. La situazione che si determina in un simile caso, viene comunemente indicata come Parental Alienation Syndrome (PAS) dal nome creato a metà degli anni Ottanta dallo psichiatra infantile nordamericano Richard Gardner. Il bambino viene indotto a stringere un “rapporto di fedeltà” con il genitore alienante, e di conseguenza rifiuta il genitore “alienato”. Come evidenziato da autorevole dottrina la validità scientifica della PAS è ampiamente contestata dalla letteratura internazionale (Figone, Diagnosi di PAS: il giudice può non condividerla e disporre l'affido condiviso del figlio minore”, in ilFamiliarista.it), e la posizione della giurisprudenza rispetto a tale situazione non è unanime.Alcuni provvedimenti giurisprudenziali hanno accettato tale sindrome privando dell'affidamento quel genitore che abusando della propria posizione ha denigrato l'altro ingenerando il rifiuto da parte del minore (Cass. 317/1998). Altri invece più recentemente sottolineano l'importanza di restare legati ai fatti prescindendo da tali teorie.
Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione con una sentenza lunga e articolata accoglie parzialmente il ricorso della donna.

Fulcro della questione è il diritto del figlio alla bigenitorialità, diritto che la giurisprudenza ha definito come presenza comune dei genitori nella sua vita, idonea a garantirgli stabilità e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere di madre e padre di cooperare nell'assistenza, educazione ed istruzione (Cass. 28723/2020).

Tale diritto viene riconosciuto dalla Corte anche al genitore come diritto di realizzare e consolidare relazioni e rapporti continuativi e significativi col figlio. Il diritto del genitore peraltro, si sottolinea, assume carattere recessivo di fronte a quello del minore. Principio cardine è infatti il superiore interesse del minore, così come sancito a livello internazionale dalla Convenzione sui diritti dell'infanzia (art. 3) e dall'art. 337-ter c.c., principio che impone che nelle decisioni che lo riguardano, di fronte a un contrasto di interessi prevalga sempre quello del minore.

Sulla base di tali fondamentali principi la Corte analizza il caso di specie e chiarisce che in sede di merito erano stati accertati i comportamenti della madre volti ad ostacolare il rapporto tra il figlio e il padre ciò però, si stabilisce, non può comportare automaticamente, ipso facto, la decadenza della donna dalla responsabilità genitoriale, quale misura estrema che recide ineluttabilmente ogni rapporto con il figlio. I giudici infatti, si precisa, hanno del tutto omesso di considerare le conseguenze per il minore sradicato dal contesto familiare, nel quale cresceva serenamente, e allontanato dalla madre dalla quale era accudito amorevolmente. Il provvedimento impugnato pertanto, si afferma, se da un lato è dettato nell'interesse del minore di costruire un rapporto con il padre non valuta affatto l'interesse dello stesso a mantenere la relazione con la madre e la continuità nelle consuetudini di vita.

Passando nello specifico alla discussa tematica della PAS la Corte afferma, richiamando suoi precedenti giurisprudenziali, che qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, che indicano la sussistenza della c.d. sindrome di alienazione parentale (PAS), il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente. L'organo giudicante deve pertanto sottolinea la Cassazione valutare i fatti prescindendo dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena (Cass. 25339/2021; 13274/2019).

Il richiamo alla sindrome d'alienazione parentale, come già in precedenza sottolineato dalla giurisprudenza,pertanto non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre (Cass. 13217/2021). Al fine della tutela del diritto alla bigenitorialità, ciò che deve essere adeguatamente provato, si evidenzia, non è se la condotta abbia o meno provocato un'alienazione parentale, ma, se la condotta sia stata tale da aver leso in modo grave il rapporto tra il figlio e l'altro genitore, sino al peggior risultato ipotizzabile, quello di renderlo difficilmente recuperabile o del tutto irrecuperabile.

In questo senso infatti la Corte ha più volte affermato, tentando di superare il contrasto sulla scientificità o meno della PAS, che i comportamenti alienanti, di allontanamento o cancellazione dell'altro genitore dai figli, non sono compatibili con l'idoneità genitoriale.

Si fa notare inoltre da più parti che il rischio di un ricorso, talvolta pregiudiziale e spesso indiscriminato, allo strumento della Pas, invocata quando un bambino rifiuta un genitore sulla base di motivazioni ritenute non attendibili, lede la volontà del minore violando la centralità dell'ascolto.

Nella specie gli Ermellini evidenziano in proposito che il minore non era stato ascoltato. Nell'ambito di un procedimento relativo all'affidamento dei figli, precisa la Corte, conformandosi al consolidato orientamento giurisprudenziale, l'ascolto del minore infradodicenne capace di discernimento costituisce adempimento previsto a pena di nullità, a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo ed è espressamente destinato a raccogliere le sue opinioni e a valutare i suoi bisogni. Tale adempimento non può, evidenzia la Cassazione, essere sostituito dalle risultanze di una consulenza tecnica di ufficio, la quale adempie alla diversa esigenza di fornire al giudice altri strumenti di valutazione per individuare la soluzione più confacente al suo interesse (Cass. 23804/2021; 1474/2021). La tutela del minore, parte sostanziale in questi giudizi, in quanto portatore di interessi comunque diversi, quando non contrapposti, rispetto ai genitori, si realizza mediante la previsione del suo ascolto. Costituisce pertanto violazione del principio del contraddittorio e dei suoi diritti il suo mancato ascolto, quando non sia sorretto da adeguata motivazione sull'assenza di discernimento, tale da giustificarne l'omissione (Cass. 16410/2020; 12018/2019).

Nel caso concreto, invece, nonostante la gravità del provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre, il minore non era stato sentito nel procedimento, senza alcuna motivazione al riguardo. L'omesso ascolto nella specie inoltre assume una significativa rilevanza anche alla luce dell'età del minore, prossimo ai 12 anni.

In conclusione, la Corte evidenzia come le modalità di esecuzione del provvedimento impugnato, consistente nell'uso della forza diretta a sottrarre il minore dal luogo ove risiede con la madre, per collocarlo in una casa-famiglia, non appare misura conforme ai principi dello Stato di diritto, e potrebbe cagionare rilevanti e imprevedibili traumi. Piuttosto si sottolinea, tra le misure che possono essere prese in considerazione per rendere effettivo il principio di bigenitorialità, potrebbe semmai essere efficace l'utilizzo delle sanzioni economiche ex art. 709-ter c.p.c., nei confronti di quel coniuge il quale dolosamente o colposamente si sottragga alle prescrizioni impartite dal giudice.

Alla luce di tutte le considerazioni esposte la Cassazione afferma che il giudice di merito non ha tenuto al centro il principio secondo il quale ogni decisione sull'affidamento del minore deve essere prioritariamente orientata a garantire il massimo benessere per quel determinato minore, protagonista di quella determinata vicenda e pertanto di conseguenza cassa il ricorso.

Osservazioni

Anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo si è espressa in relazione alla c.d. PAS, chiarendo come nella crisi di relazione tra genitori, non deve venire mai meno il diritto di visita del genitore non affidatario, anche quando il genitore convivente attua dinamiche alienanti nei confronti dell'altro, impedendo a quest'ultimo ed al proprio figlio di incontrarsi (CEDU, 10 febbraio 2011, Tsikasis c. Germania, ric. 1521/06).

Le autorità devono pertanto, anche nella relazione più conflittuale, adoperarsi per ripristinare gli incontri con il figlio minore, specie se si sia stabilito che ciò corrisponda al suo superiore e preminente interesse, e vi siano circostanze ostili al genitore non affidatario, idonee a consolidare nel tempo situazioni di fatto, assolutamente distanti dalle decisioni assunte con provvedimento del Tribunale (CEDU 2 novembre 2010, Piazzi c. Italia, ric. 36168/09). Non si può in tali ipotesi escludere l'uso di sanzioni in presenza di comportamenti manifestamente illegali del genitore che vive con il minore, che ostacoli con il suo comportamento il rapporto con l'altro genitore (CEDU, Fiala c. Repubblica Ceca, 18 luglio 2006, ric. 26141/03).

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