Capacità di testimoniare: il giudice non è tenuto a disporre la perizia salvo il caso in cui vi siano seri elementi perturbatori

Irma Conti
08 Aprile 2022

Nella sentenza in commento, la Suprema Corte torna ad affrontare la questione dell'accertamento della capacità di testimoniare che si inserisce nella categoria della valutazione dell'attendibilità del testimone che, nel caso della persona offesa, per di più minore, deve avvenire attraverso un vaglio ancor più rigoroso.
Massima

Il giudice è tenuto ad accertare, in concreto, la credibilità del testimone anche in relazione alle eventuali condizioni psichiche, ma non è obbligato a disporre accertamenti per verificare, sempre e in ogni caso, l'idoneità fisica e mentale del testimone, specie allorché non vi siano seri elementi perturbatori per giustificare la pretesa incapacità del teste.

Il caso

La sentenza in oggetto riguarda un caso di presunti abusi perpetrati, in modo estremamente violento, da un padre su un figlio minore e affetto da un deficit cognitivo.

In particolare, l'imputato è stato condannato alla pena – ridotta in appello – di anni otto di reclusione, in relazione al reato di cui all'art. 81 comma 2 c.p., art. 609-bis, art. 609-ter comma 1, n. 5 c.p., perché, abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica del figlio minore e con violenza consistita nel bloccargli le mani con una corda, costringeva il minore a subire atti sessuali, tra cui penetrazioni anali, con l'aggravante di avere commesso il fatto in danno del figlio minore degli anni diciotto.

La persona offesa è stata escussa in sede di incidente probatorio all'età di 24 anni, e, anche sulla base delle testimonianze delle psichiatre che lo avevano in cura, è stata respinta la richiesta di perizia sulla capacità di testimoniare, reiterata in appello come richiesta di rinnovazione dibattimentale.

L'imputato è stato quindi condannato sulla base della testimonianza della persona offesa, affetta da deficit cognitivi, tanto da integrare l'aggravante di cui all'art. 61 comma 1 n. 5 c.p.

La questione

Nella sentenza in commento, la Suprema Corte torna ad affrontare la questione dell'accertamento della capacità di testimoniare che si inserisce nella categoria della valutazione dell'attendibilità del testimone che, nel caso della persona offesa, per di più minore, deve avvenire attraverso un vaglio ancor più rigoroso.

Tale esame diventa ancor più cruciale nel caso dei reati contro la libertà sessuale in quanto, come accade nella stragrande maggioranza dei casi, l'unica fonte di prova testimoniale è quella della persona offesa.

Nel caso del minore vittima di abusi sessuali, l'esame dovrà mirare a verificare, ancor prima dell'attendibilità del narrato e della sua genuinità, la comprensione dei fatti, l'idoneità a rappresentarli e l'assenza di contaminazioni esterne.

A tal fine sono state previste alcune linee guida che devono guidare l'attività del magistrato volte a saggiare tale capacità di testimoniare, che prevedono anche una vera e propria perizia il cui ricorso, nonostante sia da sempre caldeggiato in sede convenzionale e negli studi di settore, non è mai stato ritenuto obbligatorio dalla giurisprudenza di legittimità.

Nella sentenza in commento, la Suprema Corte ha nuovamente definito quelli che sono gli oneri del giudice in un così delicato ambito e ha affrontato ulteriormente il tema dell'obbligatorietà della perizia sulla capacità di testimoniare.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in esame non solo è di grande interesse in quanto affronta nuovamente la questione della perizia sulla capacità di testimoniare, ma in quanto la Corte detta comunque il tipo di scrupoloso accertamento che deve essere effettuato dal giudice nello specifico contesto del vaglio delle dichiarazioni della persona offesa, minorenne all'epoca dei fatti, vittima di violenza sessuale.

Una valutazione che si pone in rapporto di specie a genere rispetto a quella che già, normalmente, il giudice deve effettuare con riferimento sia, in generale, alla testimonianza della persona offesa, sia, in particolare, rispetto ai casi di violenza sessuale e che assume una valenza “prodromica” rispetto al vaglio dell'attendibilità.

Nel caso di specie, il ricorrente ha proposto ricorso avverso alla sentenza della Corte d'appello che ha rigettato la richiesta di rinnovazione dibattimentale volta ad effettuare una perizia sulla capacità di testimoniare della persona offesa, in assenza di riscontri estrinseci alle sue dichiarazioni.

Inoltre, indipendentemente dall'esperimento di tale perizia, nella motivazione non sono stati forniti elementi a sufficienza a sostengo della credibilità della persona offesa.

In particolare, sotto il primo profilo, la Corte territoriale ha respinto la richiesta di rinnovazione sul rilievo che la persona offesa era stata sentita quando era già maggiorenne e che i testimoni dell'accusa, in particolare le psichiatre che avevano in cura la presunta vittima di abusi, avevano dichiarato che il deficit cognitivo non aveva inciso sulle facoltà mnemoniche e di comprensione degli eventi. Secondo la difesa, il dibattimento aveva consentito di far emergere, da un lato, pacifici elementi che consentono di far ritenere insussistente la predetta capacità e, al tempo stesso, di considerare inutilizzabili le dichiarazioni delle psichiatre per avere le stesse espresso degli apprezzamenti personali in violazione dell'art. 194 comma 3 c.p.p. e art. 191 c.p.p.

Sotto il secondo profilo, il ricorrente ha sottolineato come le sentenze di merito siano del tutto carenti sul punto della credibilità del racconto dell'asserita vittima. In particolare, «Non avrebbe esplicitato, la Corte territoriale, i criteri in base ai quali avrebbe ritenuto attendibile il minore e credibile il suo racconto affidando tale giudizio alla testimonianza della Dott.ssa G. che avrebbe escluso dubbi circa l'attendibilità del minore, testimone fortemente condizionata dal fatto che aveva assistito la sorella del minore anch'ella vittima di abusi sessuali da parte del padre».

Si tratta, pertanto, di due questioni, la prima relativa alla idoneità a testimoniare di determinati soggetti, la seconda, successiva, relativa all'attendibilità.

Per quanto attiene alla prima questione, la Corte di cassazione si è inserita nel solco di un orientamento che può essere ritenuto unanime e che esclude che il giudice sia tenuto all'espletamento di una preventiva perizia sulla capacità di testimoniare.

In particolare, la giurisprudenza di legittimità, nel corso degli anni, ha già sostenuto che:

  • in tema di testimonianza del minore vittima di abusi sessuali, il giudice non è vincolato, nell'assunzione e valutazione della prova, al rispetto delle metodiche suggerite dalla cd. Carta di Noto, salvo che non siano già trasfuse in disposizioni del codice di rito con relativa disciplina degli effetti in caso di inosservanza, di modo che la loro violazione non comporta l'inutilizzabilità della prova così assunta; tuttavia, il giudice è tenuto a motivare perchè, secondo il suo libero ma non arbitrario convincimento, ritenga comunque attendibile la prova dichiarativa assunta in violazione di tali metodiche, dovendo adempiere ad un onere motivazionale sul punto tanto più stringente quanto più grave e patente sia stato, anche alla luce delle eccezioni difensive, lo scostamento dalle citate linee guida (Cass. pen., sez. III, 11 ottobre 2016, n. 648);
  • l'art. 196 c.p.p., nel prevedere che il giudice possa ordinare gli accertamenti opportuni al fine di riscontrare l'idoneità fisica o mentale del teste a rendere testimonianza, non limita le modalità di verifica ai soli accertamenti di natura tecnica (quali perizie o esperimenti giudiziali), ma consente il ricorso anche all'esame di un teste qualificato (Cass. pen., sez. III, 10 dicembre 2013, n. 11096). Nel precedente trattato dalla Corte, è stata, nello specifico, ritenuta legittima l'escussione dei medici che avevano avuto in cura o si erano occupati per ragioni professionali delle capacità mentali della persona offesa vittima di abusi sessuali;
  • nel processo penale la capacità del teste o dell'imputato di rendere dichiarazioni non va valutata in astratto ma in concreto, sicché il divieto di assumere le dichiarazioni dei medesimi scatta solo quando il giudice abbia concreti elementi per stabilire che il teste o l'imputato – in considerazione dell'accertato stato psico fisico che non consente loro di partecipare liberamente e coscientemente al processo – siano assolutamente incapaci di rendere qualsivoglia dichiarazione. Al contrario, deve ritenersi che, se uno dei suddetti soggetti risulti affetto da una qualche patologia psichiatrica che non lo renda però incapace, pur essendo indubbio che le sue dichiarazioni debbano essere valutate e vagliate in modo particolarmente rigoroso, ciò non significa che, ove le medesime – all'esito del consueto processo cui le dichiarazioni accusatorie devono essere sottoposte – vengano riscontrate e cioè ritenute attendibili, il giudice non le possa utilizzare (Cass. pen., sez. II, 11 dicembre 2012, n. 3161);
  • l'idoneità a rendere testimonianza implica la capacità di comprensione delle domande e di adeguamento delle risposte, in uno ad una sufficiente memoria circa i fatti oggetto di deposizione ed alla piena coscienza di riferirne con verità e completezza; pertanto non ogni comportamento contraddittorio, ma soltanto una situazione di abnorme mancanza nell'escutendo di ogni consapevolezza in relazione all'ufficio ricoperto determina l'obbligo per il giudice di disporre accertamenti sulla sua idoneità a testimoniare, né questi devono necessariamente avere natura tecnica, ben potendo essere effettuati da parte di soggetti qualificati (Cass. pen., sez. I, 12 settembre 2017, n. 6969).

Nella sentenza in commento, la Corte, inserendosi nel solco di questo orientamento, ma introducendo immediatamente il correlato tema del vaglio dell'attendibilità, ha sostenuto:

  • che «L'idoneità a rendere testimonianza, in persona maggiorenne, implica la capacità di comprensione delle domande e di adeguamento delle risposte, in uno ad una sufficiente memoria circa i fatti oggetto di deposizione ed alla piena coscienza di riferirne con verità e completezza»;
  • richiamando il principio espresso nella summenzionata sentenza n. 6969/2017, che «il giudice è tenuto ad accertare, in concreto, la credibilità del testimone anche in relazione alle eventuali condizioni psichiche, ma non è obbligato a disporre accertamenti per verificare, sempre e in ogni caso, l'idoneità fisica e mentale del testimone, specie allorché non vi siano seri elementi perturbatori per giustificare la pretesa incapacità del teste»;
  • «se il mancato espletamento della perizia in ordine alla capacità a testimoniare non determina l'incapacità a testimoniare e l'attendibilità della testimonianza della persona offesa, ove non emergano elementi patologici che possano far dubitare della predetta capacità (Cass. pen., sez. III, 1 luglio 2015, n. 25800), a contrario, ove questi emergano, la valutazione da parte del giudice sia della capacità a testimoniare, che non richiede necessariamente l'espletamento di un accertamento tecnico, che dell'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, deve essere maggiormente stringente dovendo soffermarsi, il giudice, su tutti gli aspetti della vicenda sottoposta a scrutinio di modo che possa apprezzarsi la congruità della motivazione sui requisiti di capacità e attendibilità della persona offesa».

La Suprema Corte, pertanto, se da un lato non richiede un preliminare vaglio sulla capacità di testimoniare da effettuarsi esclusivamente attraverso perizia, dall'altro obbliga comunque ad effettuare un esame “maggiormente stringente sia sulla capacità, che sulla sua credibilità, quando emergano elementi “patologici che possano far dubitare della predetta capacità.

In particolare, nel caso di specie, la Corte ha accolto il motivo di ricorso del ricorrente, disponendo l'annullamento con rinvio alla Corte d'appello, non perché sia stato violato un inesistente “obbligo di perizia”, ma per l'assenza di quel duplice e necessario “stringente accertamento” tanto sulla capacità, quanto sulla credibilità in presenza di aspetti “patologici”.

Mello specifico, secondo la Corte:

  • «la sentenza impugnata mostra di non aver fatto corretta applicazione dei principi qui enunciati là dove ha respinto la richiesta di accertamenti sulla capacità a testimoniare rilevando che la persona offesa è stata sentita allorché era maggiorenne e che il "ritardo mentale lieve con disturbi del comportamento" non interferiva con la capacità a testimoniare come "testimoniato anche dalle psicologhe sopra citate"»;
  • «si tratta all'evidenza di una motivazione carente nella misura in cui, fermo il principio secondo il quale non è necessario l'espletamento di una perizia per l'accertamento della capacità a testimoniare, respinge la richiesta di accertamento tecnico sul rilievo che la persona offesa è stata sentita allorché era maggiorenne, tacendo il fatto che era affetto a da deficit cognitivo medio (tant'è che soggiornava in una comunità), e formula il relativo giudizio di capacità a testimoniare mediante generico richiamo alle dichiarazioni delle due psicologhe sentite nel giudizio di primo grado».

Alla luce di queste considerazioni, la Corte ha quindi accolto il primo motivo – ritenuto assorbente – di ricorso in quanto il giudice dell'appello “non è in linea con gli arresti sopra citati” e la sentenza impugnata è “sbrigativa” e “carente” sotto il profilo motivazionale.

Osservazioni

La Sentenza in parola è di grande interesse in quanto pur non allineandosi con la dottrina più specialistica e con le convenzioni che sono state sottoscritte in tema di abusi sessuali su minori, dà molta rilevanza al compito del giudicante che non può fermarsi ad una verifica meramente formale della testimonianza della vittima, ma, soprattutto in presenza di contraddizioni o di elementi “patologici”, deve operare un vaglio ancora più stringente.

Si osserva, infatti, che generalmente, indipendentemente dal tipo di reato e dalla particolare categoria di “persona offesa”, la suprema Corte ha sempre osservato che nel caso in cui la prova della penale responsabilità dell'imputato sia dimostrata esclusivamente sulla base delle dichiarazioni della persona offesa deve essere operata una «verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del narrato, che peraltro deve tuttavia effettuarsi in modo più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone» (Cass. pen., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 44442).

Nel caso specifico delle vittime di violenza sessuale, questo rigoroso esame dovrà essere molto più ampio e approfondito, in quanto, come sempre sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità:

«è opportuno ricordare che la valutazione circa l'attendibilità della persona offesa-teste, al pari di quella relativa all' attendibilità del teste in genere, si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa. La valutazione del contenuto della dichiarazione del minore – parte offesa in materia di reati sessuali- in considerazione delle complesse implicazioni che la materia stessa comporta, deve contenere un esame dell'attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo utile ed esatto, e della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne. […] Questa Corte, in particolare, ha precisato che, a tal fine, è proficuo l'uso dell'indagine psicologica, che concerne due aspetti fondamentali: l'attitudine del bambino a testimoniare, sotto il profilo intellettivo ed affettivo, e la sua credibilità. Il primo consiste nell'accertamento della sua capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all'età, alle condizioni emozionali, che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari. Il secondo – da tenere distinto dall'attendibilità della prova, che rientra nei compiti esclusivi del giudice – è diretto ad esaminare il modo in cui la giovane vittima ha vissuto ed ha rielaborato la vicenda in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna» (Cass. pen., sez. III, 3 luglio 1997, n. 8962, Ruggeri). Si è, inoltre osservato che, «…la credibilità di un bambino deve essere esaminata in senso omnicomprensivo, valutando la posizione psicologica del dichiarante rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne, la sua attitudine a testimoniare – che coinvolge la capacità di recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle –, le sue condizioni emozionali in riferimento alle relazioni con il mondo esterno ed alle dinamiche familiari, nonché i processi di rielaborazione cognitiva delle vicende vissute, processi tanto più limitati quanto più il bambino è in tenera età» (Cass. pen., sez. III, 6 aprile 2004, n. 23278, Di Donna, n. 229421) [Cass. pen., sez. III, 12 ottobre 2016 (dep. 16 gennaio 2017), n. 1752].

Nonostante sia pertanto richiesto dalla giurisprudenza di legittimità un controllo nei termini che sono stati appena illustrati, allo stato la giurisprudenza pressoché unanime non ha ritenuto in alcun modo vincolante che il preliminare esame della capacità di testimoniare venga svolto attraverso una perizia o una consulenza disposta sin dalle indagini preliminari, come caldeggiato da diverse convenzioni del settore e, in primis, dalla Carta di Noto.

Tale documento, come è noto, nasce dagli esiti di un convegno tenutosi il 9 giugno 1996 a Noto avente ad oggetto “l'abuso sessuale sui minori e processo penale” e al quale hanno partecipato figure di spicco di diversi settori nel campo dell'abuso sessuale al minore (avvocati, magistrati, psicologi, psichiatri, consulenti medici, esperti criminologi, etc.).

Il dibattito e il confronto tra tali operatori ha dato luogo ad una serie di proposte operative che poi sono state tradotte in un documento (che ha subìto modifiche e aggiornamenti nel corso degli anni) che detta delle linee guida da seguire nei casi di presunti abusi su minori.

In particolare, come è previsto dalla IV Carta di Noto, in tutti i casi del genere sarebbe opportuno predisporre una perizia sulla capacità a testimoniare in sede di indagini preliminari e quindi prima dell'audizione del minore, pur essendo previsto alcun termine perentorio.

Tale realtà emerge, per tabulas, dalla mera analisi della IV Carta di Noto la quale prevede al punto 10 del protocollo che «Per soggetti di età inferiore agli anni dodici si ritiene necessario, salvo in casi di eccezionali e comprovate ragioni di tutela del minore, che sia sempre disposta perizia al fine di verificarne la idoneità a testimoniare sui fatti oggetto d'indagine».

Nel successivo punto 16 del protocollo, nell'individuare la fase nella quale sarebbe preferibile procedere a perizia (si tratta sempre di linee guida che, come è noto, non possono prevedere un termine perentorio), la Carta di Noto IV individua, comunque, una fase ancora precedente l'incidente probatorio. Nella Carta si afferma, infatti, che tale accertamento deve “precedere l'audizione del minore”.

Si tratta, pertanto, di un accertamento che assume estrema rilevanza per gli esperti del settore che hanno cristallizzato questa esigenza nella IV Carta di Noto, persino ritenendo necessario tale accertamento come preliminare all'audizione del minore.

Pur non essendo tale esame previsto a pena di inammissibilità, parte della giurisprudenza ha sottolineato la sua dirimente importanza, evidenziando che:

  • occorre procedere «all'accertamento della sua capacità a recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle ed esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all'età, alle condizioni emozionali che regolano la sua relazione con il mondo esterno, alla qualità e alla natura dei rapporti familiari» (Cass. pen., sez. III, n. 8962/1997);
  • «quando la capacità a testimoniare del minore non sia stata accertata attraverso una perizia, o quando questa non sia stata svolta col rispetto di protocolli generalmente riconosciuti e condivisi dalle relative comunità scientifiche, allora la valutazione deve necessariamente fondarsi su altri oggettivi e sicuri elementi di prova o di riscontro ed è onere del giudice dare di ciò adeguata e puntuale motivazione» (Cass. pen., sez. III, n. 1752/2017).

Tanto evidenziato, nonostante la giurisprudenza abbia chiarito il grado di approfondimento richiesto al giudice in una materia così delicata come quella dell'abuso sui minori, si ritiene che, soprattutto nel caso in cui la vittima abbia meno di dieci anni, oppure sia affetta da deficit cognitivi, o vi siano condizioni ambientali capaci di condizionarne la testimonianza, l'esperimento di un accertamento tecnico preliminare sia assolutamente indispensabile.

E ciò in quanto, pur con tutte le accortezze del caso e il rispetto delle linee guida della Carte di Noto, la valutazione della capacità di testimoniare dovrebbe essere sempre preliminare a quella dell'attendibilità del narrato, raggiungendo così la duplice finalità di tutelare, sin dall'inizio, il minore e di proteggere anche il soggetto indagato da indebite distorsioni della realtà e da accuse infondate.

In tal senso, pur non discostandosi totalmente dall'indirizzo pressoché unanime che è stato fino ad ora analizzato, risulta di grande interesse il principio espresso dalla Corte di cassazione nella la sentenza n. 1752/2016, relativa ad un caso in cui la richiesta di perizia sulla capacità di testimoniare dei minori era stata rigettata solo sulla base delle dichiarazioni e delle relazioni della terapeuta delle minori.

La Suprema Corte ha infatti affermato il seguente principio di diritto: «il diritto alla prova contraria – garantito all'imputato dall'art. 495 comma 2 c.p.p. in conformità all'art. 6, par. 3, lett. d) della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e del Patto internazionale sui diritti civili e politici, nonchè dall'art. 111 comma 3 Cost e nel quale rientra anche il diritto alla prova scientifica – può essere, con adeguata motivazione, denegato dal giudice solo quando le prove richieste siano manifestamente superflue o irrilevanti; è illegittimo per violazione del principio della formazione della prova in contraddittorio il rifiuto del giudice di appello di disporre una perizia psicologica – oggetto di richiesta dall'imputato già in sede di incidente probatorio e reiterata in sede di formulazione delle istanze istruttorie in primo grado – al fine di accertare l'attitudine della persona offesa a testimoniare quando la condotta illecita offenda minori in tenera età e l'accertamento serva a valutare il rischio di eventuali elaborazioni fantasiose proprie dell'età o della struttura personologica del bambino, ove non venga espressa adeguata e puntuale motivazione della superfluità del mezzo di prova richiesto, alla luce di diversi, oggettivi e sicuri elementi di prova o di riscontro; non assurgono a elementi oggettivi e sicuri elementi di prova o di riscontro le valutazione di tipo psicologico compiute informalmente dagli operatori di una struttura socio-assistenziale, in cui il minore sia ospitato o che frequenti».

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