Diritto a una quota del trattamento di fine rapporto dell'ex coniuge1. Bussole di inquadramentoL'attribuzione di una quota del trattamento di fine rapporto all'ex coniuge titolare dell'assegno divorzile Ai sensi dell'art. 12-bis l. n. 898/1970 il coniuge divorziato, se non ha contratto nuovo matrimonio ed è titolare dell'assegno di divorzio, ha diritto a una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge alla cessazione del rapporto di lavoro. La percentuale è pari al 40% dell'indennità totale, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro ha coinciso con il matrimonio. Il diritto sorge anche se il trattamento spettante all'altro coniuge sia maturato successivamente alla proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio e prima dell'emissione della relativa sentenza. Come hanno osservato le Sezioni Unite della Corte di cassazione nella fondamentale sentenza del 2018 (Cass. S.U. , n. 18287/2018) che è andata a ridelineare la funzione dell'assegno divorzile avendo riguardo al persistente valore della solidarietà post-coniugale, l'assunto che sembrava emergere dalla motivazione di Cass., n. 11504/2017, per la quale l'estinzione del vincolo matrimoniale farebbe venir meno ogni vincolo di solidarietà tra i coniugi, è, tra l'altro, contraddetto dal riconoscimento al coniuge, già titolare dell'assegno di mantenimento, di una quota sul TFR parametrata alla durata del matrimonio e della pensione di reversibilità, il che postula la sopravvivenza di una solidarietà post-coniugale, derivante dalla stessa Costituzione. L'applicabilità della norma nell'ipotesi di scioglimento dell'unione civile Secondo quanto previsto dall'art. 1, comma 24, della l. n. 76/2016, il predetto art. 12-bis l. n. 898/1970 trova applicazione anche nell'ipotesi di scioglimento dell'unione civile (che si verifica quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente, la volontà di scioglimento dell'unione dinanzi all'ufficiale dello stesso civile e, decorsi tre mesi, è proposta la corrispondente domanda giudiziale al tribunale competente). Deve ritenersi che, in tale ipotesi, stante il richiamo operato dal predetto art. 1, comma 24, alle disposizioni espresse dall'art. 12-bis della l. n. 898/1970, che presupposti per la spettanza di una quota del trattamento di fine rapporto dell'ex partner siano, anche in questo caso, che: a) il richiedente non abbia contratto una nuova unione civile o matrimonio; b) il richiedente benefici di un assegno a carico dell'ex partner a seguito dello scioglimento dell'unione civile. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quali sono i presupposti per l'attribuzione di una quota del TFR all'ex coniuge?
Orientamento consolidato Il diritto è subordinato alla spettanza dell'assegno di divorzio e al non aver contratto un nuovo matrimonio Presupposti affinché possa essere riconosciuto il diritto all'attribuzione di una quota del trattamento di fine rapporto dell'ex coniuge ai sensi dell'art. 12-bis della l. n. 898/1970 sono la previsione di un assegno divorzile in favore del coniuge richiedente e la circostanza che lo stesso non abbia contratto un nuovo matrimonio. Da ciò derivano alcuni importanti corollari, puntualmente evidenziati nella giurisprudenza di legittimità. In primo luogo, il mancato riconoscimento dell'assegno divorzile esclude in radice qualsiasi pretesa sul trattamento di fine rapporto dell'ex coniuge, considerato che la spettanza di tale assegno ne costituisce il presupposto (cfr. Cass. VI, n. 12056/2020). Con riferimento al momento nel quale deve essere maturato il diritto al trattamento di fine rapporto dell'ex coniuge obbligato al versamento dell'assegno di divorzio in favore del richiedente affinché quest'ultimo possa percepire una quota di tale trattamento, è consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio in forza del quale l'art. 12-bis della l. n. 898 del 1970 – nella parte in cui stabilisce, in favore del coniuge titolare dell'assegno divorzile, il diritto ad una quota dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge, «anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza» – deve essere interpretato nel senso che tale diritto può sorgere anche prima della sentenza di divorzio, ma dopo la proposizione della relativa domanda, coerentemente con la natura costitutiva della sentenza sullo status e con la possibilità, ai sensi dell'art. 4 della l. n. 898/1970, di stabilire la retroattività degli effetti patrimoniali della sentenza a partire dalla data della domanda (Cass. VI, n. 7239/2018). Nondimeno, sebbene il diritto alla quota del trattamento di fine rapporto sorga anche se l'indennità spettante all'altro coniuge sia maturata o percepita nel corso della procedura di divorzio, l'art. 12-bis della l. n. 898/1970 presuppone l'avvenuta pronuncia di una sentenza di divorzio passata in giudicato con previsione di un assegno in favore del richiedente ai sensi dell'art. 5 l. n. 898/1970, con la conseguenza che, nelle more del giudizio di divorzio, non può essere proposta domanda di attribuzione della quota: in questa situazione il coniuge astrattamente avente diritto ha eventualmente la possibilità di proporre solo azioni cautelari, ove ne ricorrano i presupposti (Cass. I, n. 24057/2006). I presupposti per verificare la sussistenza del diritto vanno vagliati al momento della cessazione del rapporto di lavoro e non a quello della concreta erogazione del trattamento Il diritto del coniuge divorziato, che sia anche titolare dell'assegno di cui all'art. 5, c. 6, l. n. 898 del 1970, ad ottenere la quota del trattamento di fine rapporto dell'ex coniuge sorge nel momento in cui quest'ultimo matura il diritto a percepire detto trattamento e, dunque, al tempo della cessazione del rapporto di lavoro, anche se il relativo credito è esigibile solo quando - e nei limiti in cui - l'importo è effettivamente erogato; una volta cessato il rapporto di lavoro, non ha, dunque, alcuna incidenza sulla debenza della menzionata quota la presentazione, nel corso del giudizio instaurato per la relativa liquidazione, della richiesta di revoca dell'assegno divorzile, il cui eventuale accoglimento, anche se disposto dalla data della domanda, è successivo all'insorgenza del diritto previsto dall'art. 12 bis l. n. 898 del 1970 (Cass. I, n. 24483/2022). Spettanza di una quota degli importi corrisposti a titolo di incentivo all'esodo Nella giurisprudenza di legittimità si è affermato che, nell'importo nel quale deve essere calcolata in riferimento agli anni di matrimonio la quota del TFR spettante all'ex coniuge non passato a nuove nozze e titolare dell'assegno divorzile, vanno computati anche i c.d. incentivi all'esodo, in quanto gli stessi non hanno natura liberale né eccezionale, ma costituiscono reddito da lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di sollecitare e remunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto, e rientrano quindi nell'ambito di applicazione dell'art. 12-bis l. n. 898/1970 (Cass. lav., n. 14171/2016). Orientamento minoritario di merito Non spettanza delle somme corrisposte a titolo di incentivo all'esodo Rispetto all'ultimo profilo evidenziato, in base ad una differente ricostruzione, la giurisprudenza di merito anche successiva alla richiamata pronuncia della S.C. ha negato il diritto dell'ex coniuge a una quota del trattamento di fine rapporto dell'ex congiunto, ai sensi dell'art. 12-bis della l. n. 898/1970, con riguardo a quelle somme che siano erogate a titolo di incentivo all'esodo. Ciò in quanto si tratterebbe di un istituto di natura sostanzialmente risarcitoria erogato nell'ambito di una trattativa tra lavoratore e datore di lavoro finalizzata allo scioglimento del rapporto di lavoro, che mira a sostituire mancati guadagni futuri (lucro cessante). In sostanza, secondo tale impostazione interpretativa, a differenza del trattamento di fine rapporto l'incentivo all'esodo non è costituito da somme accantonate durante il pregresso periodo lavorativo «coincidente con il matrimonio», bensì va a sostituire un (mancato) reddito lavorativo futuro, ed al momento della sua erogazione in alcun modo è «riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio» (Trib. Milano, 19 maggio 2017, n. 5680).
Domanda
Se l’ex coniuge ottiene una quota di T.F.R. dell’altro, ciò determina necessariamente la riduzione o la revoca dell’assegno divorzile?
Orientamento recente della Corte di Cassazione
Al riconoscimento della quota di T.F.R. non segue la revoca dell'assegno divorzile, ma può incidere sulla quantificazione della misura dell'assegno stesso La S.C. ha da ultimo ricordato, in primis, che presupposto per il riconoscimento della quota del trattamento di fine rapporto spettante, ai sensi dell'art. 12-bis della l. n. 898/1970, all'ex coniuge è che quest'ultimo sia già titolare di assegno divorzile o abbia presentato la relativa domanda al momento in cui l'altro ex coniuge abbia maturato il diritto alla corresponsione del trattamento. Di qui sussiste, quindi, tra il diritto all'assegno divorzile ed il riconoscimento della quota del TFR un rapporto di univoca operatività sicché dato il primo ad esso consegue il secondo là dove, invece, al riconoscimento del secondo non segue la revoca del primo se non a pena di una disapplicazione dell'art. 12-bis l. l. n. 898/1970, cit., che del beneficio fissa presupposti e legittimazione. D'altra parte e fondamentalmente – ha sottolineato la S.C. - il riconoscimento della quota del TFR all'ex coniuge divorziato, che ha proposto domanda o che già lo percepisce, ex art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, può valere ad incidere univocamente sulla quantificazione dell'assegno di divorzio. Invero, al godimento del TFR ex art. 12-bis l. n. 898/1970 da parte del coniuge divorziato si accompagna in capo all'altro, che ha maturato la posta, una percezione di quel credito in una misura che, al netto della quota spettante al primo, è ben maggiore e che nel suo complessivo rilievo determina, nella intervenuta distribuzione tra le parti, in favore di entrambi gli ex coniugi una situazione reddituale migliorativa, all'esito del cui pieno scrutinio soltanto ben può trovare quantificazione una nuova misura dell'assegno (Cass. I, n. 7733/2022). 3. Azioni processualiFunzione e natura del giudizio La domanda di attribuzione della quota spettante, ex art. 12-bis della l. n. 898/1970, sul trattamento di fine rapporto liquidato all'ex coniuge (o partner) tenuto al versamento dell'assegno, presupponendo l'avvenuto scioglimento del vincolo coniugale e la previsione di tale assegno, può essere proposta solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il procedimento da seguire è quello in camera di consiglio di cui agli artt. 737 ss. c.p.c., procedimento da introdurre con ricorso e definite, in forza delle predette regole generali, senza formalità predeterminate, con ampi poteri istruttori d'ufficio, dal collegio con decreto. Aspetti preliminari Mediazione Secondo una parte della giurisprudenza di merito, purché nell'ambito dei diritti disponibili come quello che viene in rilievo nella fattispecie casistica in esame, è applicabile lo strumento della mediazione civile – volontaria ‒ ex art. 5 d.lgs. n. 28/2010 anche al processo della famiglia, con la conseguenza che l'ex coniuge che intenda accertare il suo diritto di credito, e in particolare, una somma di denaro, ex art. 12-bis l. n. 898/1970 ‒ una quota pari al 40% ‒ del trattamento di fine rapporto lavorativo liquidato all'ex marito, può avvalersi della procedura di mediazione (Trib. Milano IX, 14 ottobre 2015). Tutela cautelare Si è evidenziato che il ricorso per l'attribuzione di una quota del trattamento di fine rapporto dell'ex coniuge può essere promosso solo dopo la definizione (con il passaggio in giudicato della relativa sentenza) del giudizio di divorzio. Nondimeno, specie se il diritto è maturato prima e l'ex coniuge in pendenza del procedimento ha ricevuto le somme, potrebbero esservi situazioni nelle quali vi sia il concreto rischio che, prima della conclusione del giudizio, il coniuge che suppone che sarà probabilmente onerato del versamento dell'assegno divorzile e che ha percepito il trattamento di fine rapporto renda più complicato il recupero degli importi all'avente diritto. È quindi ammessa la proposizione di un'azione di sequestro conservativo nel corso del giudizio di divorzio, azione che potrà essere accolta ove ricorra, oltre al fumus boni juris del diritto del coniuge richiedente (i.e. la probabile spettanza dell'assegno divorzile), anche il pericolo concreto di una perdita della garanzia patrimoniale nelle more della definizione del giudizio. Giurisdizione La disposizione di cui all'art. 9, comma 2, della l. n. 898/1970, stabilendo, in caso di morte dell'ex coniuge ed in assenza di un coniuge superstite di questi avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il diritto del coniuge divorziato a tale pensione, definisce la natura della prestazione dovuta a quest'ultimo soggetto, escludendo che possa assimilarsi all'assegno divorzile e, di conseguenza, implicitamente, sottrae alla giurisdizione ordinaria, per devolverla a quella della Corte dei conti in materia di pensione, la controversia afferente all'erogazione della prestazione stessa, allorché il relativo trattamento sia a carico dello Stato. Tale disposizione in tema di giurisdizione non opera nell'ipotesi del concorso trai più coniugi succedutesi nel tempo, espressamente attribuita al giudice ordinario (Cass., S.U., n. 25456/2013). Competenza La competenza a decidere sul ricorso camerale volto all'attribuzione della quota del trattamento di fine rapporto spettante all'ex coniuge o partner spetta per materia al tribunale in composizione collegiale mentre, quanto alla competenza per territorio, operano i criteri generali degli artt. 18 e 20 c.p.c. Pertanto, il procedimento può essere incardinato sia ex art. 18 c.p.c. di fronte al tribunale del luogo di residenza del coniuge convenuto sia, ai sensi dell'art. 20 c.p.c., dinanzi al tribunale che ha pronunciato la sentenza di separazione o divorzio o ha omologato la stessa, da intendersi quale luogo in cui l'obbligazione è sorta. Legittimazione La legittimazione attiva a proporre il ricorso spetta all'ex coniuge che ritiene di essere titolare di una quota del trattamento di fine rapporto dell'altro, in base alle previsioni dell'art. 12-bis l. n. 898/1970. La legittimazione passiva è dell'ente previdenziale, nonché, qualora il de cuius avesse contratto un altro matrimonio, dell'altro coniuge. Profili di merito Onere della prova L'onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per l'attribuzione di una quota del trattamento di fine rapporto dell'ex coniuge o partner compete in linea di principio, secondo le regole generali ritraibili dall'art. 2697 c.c., al richiedente. Tuttavia, oltre agli ampi poteri istruttori officiosi dei quali gode il giudice nei procedimenti in camera di consiglio, occorre considerare che il richiedente potrebbe non essere in grado di fornire la prova che il trattamento è stato corrisposto all'ex coniuge o comunque del relativo importo, non essendo in possesso della relativa documentazione. In questo caso, a prescindere da una previa istanza di accesso, la parte potrà chiedere ed ottenere dal giudice un ordine di esibizione dal terzo ex art. 210 c.p.c. di un documento contenente dati personali dell'altra parte, poiché le ragioni di protezione dei dati personali sono per legge recessive rispetto alle esigenze di giustizia e, in un'ottica di concentrazione delle tutele, si deve favorire la composizione dei diversi interessi in un'unica sede, secondo le regole proprie di quest'ultima (Cass. I, n. 5068/2021). Contenuto del ricorso Il ricorso deve specificare le generalità del ricorrente e del suo difensore, compresa l'indicazione del codice fiscale di entrambi, e del numero di fax e di posta elettronica certificata del difensore presso cui la parte deve eleggere domicilio, nel Comune ove ha sede il giudice adito, conferendogli con atto separato la procura alla lite, la quale, va sottoscritta dal ricorrente e dal difensore che deve autenticarne la sottoscrizione. Nel ricorso, prima della formulazione delle conclusioni, nelle quali l'istante chiede l'attribuzione di una quota del trattamento di fine rapporto spettante all'ex coniuge, dovrà essere dedotta e documentata la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del relativo diritto. Richieste istruttorie Nell'ipotesi di contestazione circa l'erogazione o l'importo del TFR si è evidenziato che vi è la possibilità per l'ex coniuge richiedente di ottenere un ordine di esibizione dall'autorità giudiziaria nei confronti del datore di lavoro. Sin dalla proposizione del ricorso, invece, l'ex coniuge richiedente dovrà documentare l'esistenza dei presupposti per ottenere le somme richieste, secondo quanto previsto dall'art. 12 l. n. 898/1970, ossia di essere titolare dell'assegno divorzile e di non aver contratto un nuovo matrimonio. Regime dei provvedimenti Il decreto che decidendo su un diritto soggettivo di natura patrimoniale, pur nelle forme del procedimento camerale, definisce lo stesso è reclamabile ex art. 739 c.p.c. dinanzi alla Corte d'Appello. Poiché il diritto ad una quota del trattamento di fine rapporto dell'ex coniuge ha natura patrimoniale tale orientamento trova applicazione anche nell'ipotesi considerata. Di qui dovrà ritenersi, poi, che il provvedimento emesso sul reclamo dalla Corte d'Appello essendo decisorio e definitivo, a prescindere dalla veste formale, deve ritenersi sentenza c.d. in senso sostanziale contro la quale è esperibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. (Cass. I, n. 30200/2011). 4. ConclusioniDopo il passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento del vincolo coniugale o dell'unione civile, l'ex coniuge o partner che sia titolare a carico dell'altro dell'assegno e non abbia contratto un nuovo matrimonio (o un'azione civile) ha diritto ad ottenere una quota pari al 40% del trattamento di fine rapporto maturato dall'ex coniuge in relazione agli anni di durata del matrimonio (o dell'unione civile). In assenza dei predetti presupposti non vi è quindi diritto all'ottenimento degli importi. Se il trattamento è stato già erogato e il potenziale avente diritto teme una dispersione della garanzia patrimoniale può chiedere, nelle more della definizione del giudizio, un provvedimento di sequestro conservativo (del quale dovrà puntualmente dimostrare i presupposti in punto di fumus boni juris e di periculum in mora). È controverso, in base alla qualificazione più generale degli stessi, se i c.d. incentivi all'esodo debbano essere computati nel trattamento di fine rapporto. |