Decesso del coniuge prima della sentenza di divorzio e diritto dell'altro al TFR e alla pensione di reversibilità

Rosaria Giordano

1. Bussole di inquadramento

Il diritto a una quota del trattamento di fine rapporto all'ex coniuge titolare dell'assegno divorzile

Ai sensi dell'art. 12-bis l. n. 898/1970 il coniuge divorziato, se non ha contratto nuovo matrimonio ed è titolare dell'assegno, ha diritto ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge alla cessazione del rapporto di lavoro. La percentuale è pari al 40% dell'indennità totale, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro ha coinciso con il matrimonio.

Il diritto sorge anche se il trattamento spettante all'altro coniuge sia maturato successivamente alla proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio e prima dell'emissione della relativa sentenza.

Come hanno osservato le Sezioni Unite della Corte di cassazione nella fondamentale sentenza del 2018 (Cass., S.U. , n. 18287/2018) ‒ che è andata a ridelineare la funzione dell'assegno divorzile avendo riguardo al persistente valore della solidarietà post-coniugale ‒ l'assunto che sembrava emergere dalla motivazione di Cass., n. 11504/2017, per la quale l'estinzione del vincolo matrimoniale farebbe venir meno ogni vincolo di solidarietà tra i coniugi, è, tra l'altro, contraddetto dal riconoscimento al coniuge, già titolare di assegno di mantenimento, di una quota sul TFR parametrata alla durata del matrimonio e della pensione di reversibilità, il che postula la sopravvivenza di una solidarietà post-coniugale, discendente evidentemente dalla stessa Costituzione.

Il diritto alla pensione di reversibilità dell'ex coniuge premorto

Ai sensi dell'art. 9, comma 2, l. n. 898/1970, in caso di morte dell'ex coniuge ed in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5 della l. n. 898/1970 citata alla pensione di reversibilità, purché il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza.

Per effetto della l. n. 4/2018 nell'ipotesi di rinvio a giudizio per l'omicidio del coniuge, anche separato o divorziato, è sospeso il diritto alla pensione di reversibilità da erogare invece in favore dei figli minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti.

La necessità che l'assegno divorzile sia stato attribuito da un provvedimento giudiziario

Qualora il de cuius si sia risposato, la quota della pensione di reversibilità spettante agli aventi diritto sarà stabilita dal Tribunale tenendo conto della durata dei rispettivi matrimoni secondo quanto stabilito dall'art. 9, comma 3, l. n. 898/1970

Il presupposto costituito dalla titolarità dell'assegno divorzile per ottenere la corresponsione di una quota del trattamento di fine rapporto dell'ex coniuge, nonché, in caso di premorienza dello stesso, della pensione di reversibilità postula, come è stato chiarito dalla norma di interpretazione autentica di cui all'art. 5 della l. n. 263/2005, che l'accertamento del diritto all'assegno di divorzio debba essere effettuato tramite provvedimento giudiziale emanato ai sensi dell'art. 5 l. n. 898/1970.

La tendenza a ritenere integrato tale presupposto anche nell'ipotesi di assegno concordato in sede di divorzio congiunto (v., ad esempio, Trib. Salerno I, 22 febbraio 2016, n. 899, secondo cui l'espressione usata dall'art. 9 l. n. 898/1970, laddove subordina il diritto alla pensione di reversibilità, ovvero a una quota di essa, alla circostanza che il coniuge superstite divorziato «sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5», deve intendersi riferita non solo all'assegno stabilito nel divorzio contenzioso ma anche all'assegno concordato nel divorzio congiunto) implica che la relativa condizione possa essere inoltre integrata dall'accordo raggiunto tra le parti nell'ambito di una convenzione di negoziazione assistita.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
La morte dell'ex coniuge dopo la pronuncia sullo status determina la cessazione della materia del contendere?

Orientamento contrario

Se l'ex coniuge muore dopo la pronuncia sullo status, l'altro ha interesse a riassumere il giudizio per la decisione sulle altre domande

In accordo con un primo orientamento, il giudizio di divorzio, nonostante il decesso di uno dei coniugi, deve poter proseguire, in quanto permane l'interesse dell'altra parte alla pronuncia (Cass., n. 16951/2014; Cass. n. 8874/2013; Cass., n. 17041/2007), sicché il giudizio interrotto dalla morte dell'altro coniuge può essere riassunto nei confronti degli eredi per ottenere il riconoscimento del diritto all'assegno di divorzio relativamente ai crediti maturati nel periodo intercorso fra la cessazione dello status coniugale, per effetto della sentenza parziale di divorzio, e il decesso. In tal guisa – ai fini in esame – potrà essere integrato, così, uno dei presupposti costitutivi del diritto iure proprio alla pensione di reversibilità, nonché del diritto a una quota dell'indennità di fine rapporto.

Orientamento favorevole

Se l'ex coniuge muore dopo la pronuncia sullo status cessa sempre la materia del contendere sulle domande accessorie

Per altre pronunce di legittimità, di contro, la morte di una delle parti del giudizio di divorzio determina la cessazione della materia del contendere, anche in ordine alle domande accessorie ancora sub iudice, sebbene avvenga dopo l'eventuale sentenza parziale di scioglimento per divorzio dello status coniugale, senza che ne rilevi il passaggio in giudicato. Si afferma, in sostanza, che «la pendenza del giudizio sulle domande accessorie al momento della morte non può costituire una causa di scissione del carattere unitario proprio del giudizio di divorzio» e, del resto, «l'obbligo di contribuire al mantenimento dell'ex coniuge [sarebbe] personalissimo e non trasmissibile proprio perché si tratta di una posizione debitoria inscindibilmente legata a uno status personale e che conserva questa connotazione personalissima perché può essere accertata solo in relazione all'esistenza della persona cui lo status personale si riferisce» (Cass., n. 4092/2018, cui adde, tra le altre, Cass. n. 26489/2017; Cass., n. 18130/2013).

Rimessione del contrasto alle Sezioni Unite

Pronuncia sullo status e sorte del giudizio in corso sulle domande accessorie

A fronte di tale composito quadro giurisprudenziale, la Prima Sezione della Corte di Cassazione, con la recente ord. n. 30750/2021, ha rimesso al Primo Presidente ai fini dell'assegnazione alle Sezioni Unite la questione rilevando, in particolare, l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alle «sorti del giudizio di separazione o divorzio quando intervenga, nel corso del loro svolgimento la morte di una parte e se, dunque, un evento simile determini la cessazione della materia del contendere, sia con riferimento al rapporto di coniugio, sia a tutti i profili economici connessi e, in presenza del passaggio in giudicato della sentenza non definitiva che ha pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetto civili del matrimonio, riguardo alla determinazione della quota della pensione di reversibilità in astratto spettante al coniuge divorziato e al coniuge superstite».

Orientamento della Corte costituzionale

Le Sezioni Unite dovranno vagliare i fondamentali diritti sottesi all'accertamento del diritto all'assegno

La Corte Costituzionale, mediante una recentissima decisione (Corte cost., n. 25/2022, ha ritenuto di dover fornire, alla luce del quadro costituzionale di riferimento, fondamentali indicazioni alle Sezioni Unite ai fini della decisione della questione oggetto di contrasto.

Nella motivazione di tale ordinanza di inammissibilità la Corte ha invero ricordato che il diritto alla pensione di reversibilità scaturisce, in via autonoma e automatica, dal presupposto del “vivere a carico” dell'ex coniuge, che deriva dalla titolarità del diritto all'assegno di divorzio, a propria volta fondato su ragioni assistenziali e compensativo-perequative, che coniugano, nei rapporti orizzontali, la solidarietà con l'esigenza di riequilibrare gli effetti delle scelte condivise nello svolgimento della vita coniugale. Analogamente, la pretesa di una quota dell'indennità di fine rapporto è giustificata dalla titolarità dell'assegno, il che ha riflessi sul piano funzionale, associando, alla prevalente funzione perequativo-compensativa, anche una logica di tipo assistenziale.

Tali diritti – ha sottolineato la Corte – svolgono funzioni che, nei rapporti orizzontali tra ex coniugi, riflettono istanze di rilievo costituzionale.

Inoltre, la pronuncia ha ricordato che il diritto alla pensione di reversibilità e il diritto all'indennità di fine rapporto, pur traendo giustificazione e origine dai rapporti fra gli ex coniugi, producono effetti che si riverberano anche nei confronti di terzi. Vi è dunque che se il giudizio riguarda, in via principale, il riconoscimento dell'assegno di divorzio fatto valere nei confronti dell'obbligato e, ove subentri la sua morte, l'interesse alla prosecuzione del processo dell'altro ex coniuge non attiene alla spettanza in astratto del diritto all'assegno, ma serve a far valere, nei confronti degli eredi dell'ex coniuge, la pretesa creditoria relativa alle prestazioni in concreto maturate nel periodo di sopravvivenza dell'ex coniuge (ossia fra la sentenza parziale di divorzio e la morte).

Allo stesso tempo, il pieno accertamento del diritto all'assegno, svolto facendo applicazione dei criteri fissati dall'art. 5 della l. n. 898/1970, consente di dare fondamento ai diritti di cui agli artt. 9, comma 2, e 12-bis, della stessa legge.

Orientamenti di merito

Sul piano processuale occorre distinguere tra le conseguenze della morte di una delle parti nel giudizio di separazione e in quello di divorzio

La giurisprudenza di merito edita appare incline a non condividere la posizione espressa dalla più recente giurisprudenza di legittimità che, sulla scorta di una equiparazione del giudizio di separazione e di quello di divorzio, assume che la morte di una delle parti determini sempre e comunque, nel primo, come nel secondo, la cessazione della materia del contendere.

È stato a riguardo osservato, in primo luogo, che non è possibile parificare l'incidenza dell'evento morte nel caso di giudizio di separazione o di divorzio, atteso che qualsivoglia decisione assunta in sede di separazione, sia essa passata in giudicato o meno, non fa venire meno il matrimonio ma incide unicamente sui diritti ed i doveri gravanti sui coniugi, con la conseguenza che viene meno anche l'interesse del coniuge superstite alle pronunce di contenuto economico, vantando egli ancora diritti ereditari.

Peraltro l'estensione della cessazione della materia del contendere alle domande di contenuto economico ancora sub iudice non risulta coerente con il dettato dell'art. 149 c.c. atteso che, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza sullo status divorzile, il matrimonio è già cessato e la morte dell'ex coniuge non è più in grado di incidere su di un rapporto matrimoniale in essere, sicché risulta improprio derivare conseguenze in punto di assegno divorzile (il travolgimento delle domande di contenuto economico ancora pendenti) sulla scorta di un presupposto (lo scioglimento del matrimonio per effetto della morte) che non si è integrato.

Vi è inoltre che con la decisione sulla domanda di assegno divorzile, il Tribunale si pronuncia sulla spettanza di tale contributo in un periodo compreso tra il passaggio in giudicato della sentenza di status e la morte del coniuge, accertando così la sussistenza di un diritto (o di un obbligo) maturato nel patrimonio del coniuge superstite prima della morte dell'altro.

La “prova” che nell'ipotesi in esame manca la ratio sottesa alla cessazione della materia del contendere è data dalla circostanza che non viene meno l'interesse della parte superstite alla prosecuzione del giudizio, atteso che dall'attribuzione dell'assegno divorzile dipende la possibilità per il coniuge superstite, ormai privato dell'eventuale assegno di mantenimento, di richiedere la pensione di reversibilità a norma dell'art. 9, comma 2, l. 898/1970 (Trib. Parma, I, 21 maggio 2019, n. 767; Trib. Milano, IX, 2 novembre 2018, n. 20658).

3. Azioni processuali

Funzione e natura del giudizio

La morte di uno dei coniugi determina, secondo le regole generali, se dichiarata o notificata dall'avvocato nelle forme di cui all'art. 300 c.p.c., l'interruzione del giudizio pendente sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio o sul divorzio, e ciò anche sia stata già resa la pronuncia parziale sullo status.

Se l'altra parte è interessata a proseguire il giudizio sulle domande accessorie (ad esempio, quella di riconoscimento dell'assegno divorzile fino al decesso del coniuge), deve riassumere il giudizio nei confronti degli eredi del de cuius.

Aspetti preliminari

Competenza

La competenza a decidere sulle domande “accessorie” se dopo la pronuncia non definitiva sullo status muore l'ex coniuge spetta, a fronte della riassunzione dell'altro nei confronti degli eredi, al Tribunale che stava decidendo sulle domande accessorie nel giudizio di divorzio.

Legittimazione

La legittimazione attiva a riassumere il giudizio di divorzio sulle domande accessorie nei confronti degli eredi appartiene all'ex coniuge superstite a fronte dell'interruzione dello stesso giudizio a seguito del decesso dell'altro.

Profili di merito

Onere della prova

Il giudizio ha ad oggetto la sussistenza del diritto, sino al decesso dell'ex coniuge, a percepire dallo stesso l'assegno divorzile.

In conformità alle regole generali espresse dall'art. 2697 c.c. il coniuge che richiede l'assegno è onerato – fermi i poteri istruttori officiosi del giudice specie in punto di ricostruzione delle rispettive posizioni reddituali – della prova del complesso dei presupposti per il riconoscimento e la quantificazione dello stesso.

Pertanto, ai fini del riconoscimento dell'assegno nel suo connotato assistenziale quale misura funzionale all'attuazione del principio di solidarietà post-coniugale, la parte richiedente è tenuta a dimostrarsi di trovarsi incolpevolmente a non disporre di un reddito minimo, tale da non consentirle una vita dignitosa.

Invece il riconoscimento dell'assegno divorzile anche nella sua finalità compensativa o perequativa può avvenire nei soli casi in cui vi sia la prova – della quale è onerato lo stesso coniuge richiedente l'assegno – che la sperequazione reddituale in essere all'epoca del divorzio sia direttamente causata dalle scelte concordate di vita degli ex coniugi, per effetto delle quali un coniuge abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi interamente alla famiglia, in tal modo contribuendo decisivamente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune.

Contenuto dell'atto di riassunzione

L'atto di riassunzione, riguardando un giudizio già pendente, può limitarsi a fare riferimento alle vicende che lo hanno caratterizzato sino al momento dell'interruzione e ad evidenziare l'interesse che giustifica la prosecuzione del giudizio stesso nei confronti degli eredi per la decisione sulla domanda ex art. 5 della l. n. 898/1970.

Richieste istruttorie

Una ricostruzione complessiva della situazione reddituale dei coniugi può essere effettuata, oggi, ai sensi del combinato disposto degli artt. 492-bis c.p.c. e 155-sexies disp. att. c.p.c.

Dopo alcuni contrasti emersi sulla questione nella giurisprudenza amministrativa, di recente l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito che è possibile, nell'ambito dei procedimenti di separazione e divorzio, esercitare l'accesso documentale difensivo ‒ ed in particolare l'accesso difensivo ai documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell'anagrafe tributaria ‒ indipendentemente dalla previsione e dall'esercizio dei poteri processuali di esibizione istruttoria di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile (disciplinati ai sensi degli artt. 210,211 e 213 c.p.c. e, nello specifico, dagli artt. 155-sexies disp. att. c.p.c. e 492-bis c.p.c.) (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 4/2021).

4. Conclusioni

Sia il diritto a percepire una quota del trattamento di fine rapporto dell'ex coniuge che della pensione di reversibilità postulano, salvo un accordo in tale direzione in sede di negoziazione assistita, la sussistenza del diritto all'assegno di mantenimento da parte dello stesso.

Si pone quindi il problema, di recente sottoposto alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, per essersi formato negli anni più recenti un contrasto all'interno della giurisprudenza di legittimità sulla questione, sulla possibile prosecuzione, dopo la morte dell'ex coniuge, a fronte del passaggio in giudicato della sentenza non definitiva sullo status, del giudizio di divorzio che debba essere istruito invece sulle domande accessorie e, in primis, su quella di riconoscimento dell'assegno divorzile.

Proprio l'accertamento giudiziale del diritto all'assegno consente peraltro all'ex coniuge di poter beneficiare di una quota del trattamento di fine rapporto e della pensione di reversibilità del coniuge deceduto, eventualmente in concorso con il coniuge superstite.

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