Condotta ostacolante del genitore collocatario all'esercizio del diritto di visita1. Bussole di inquadramentoAffidamento condiviso e collocamento della prole presso un genitore L'art. 337-ter, comma 1, c.c. sancisce il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore e a ricevere da entrambi i genitori cura, educazione, istruzione e assistenza morale. Si tratta di una disposizione di fondamentale importanza soprattutto in quanto attribuisce e riconosce al minore il diritto alla bigenitorialità nonostante la crisi della coppia genitoriale. Il diritto del minore alla bigenitorialità costituisca e rappresenti l'essenza stessa dell'affidamento condiviso che è stato disciplinato come scelta da valutare in via prioritaria proprio al fine specifico di garantire alla prole minorenne il diritto di continuare ad avere, non solo nominalmente, ma anche tangibilmente e concretamente un rapporto costante con entrambi i genitori a prescindere dal dissolvimento del legame sussistente tra questi ultimi. L'affidamento condiviso dei figli minori nell'ambito delle procedure di separazione, divorzio e relative a figli di genitori non coniugati è stato introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento dalla l. n. 54/2006 che modificò integralmente l'art. 155 c.c. La disciplina dell'affidamento bigenitoriale è oggi contenuta nell'art. 337-ter c.c., introdotto dal d.lgs. n. 154/2013, che ricalca sostanzialmente il contenuto del previgente art. 155 c.c. L'affidamento dei figli minori ad entrambi i genitori deve essere valutato in via prioritaria dal giudice. L'art. 337-ter, comma 3, c.c. sancisce che la responsabilità genitoriale debba essere esercitata da entrambi i genitori e che le decisioni di maggiore interesse relative alla prole concernenti l'istruzione, l'educazione, la salute e la scelta della residenza abituale del minore debbano essere assunte di comune accordo tenendo in considerazione le capacità, l'inclinazione naturale e le aspirazioni dei figli. L'art. 337-ter, comma 2, c.c. stabilisce che il giudice debba stabilire i tempi e le modalità della presenza dei figli minori presso ciascun genitore. Invero, secondo il diritto vivente che si è formato dopo la riforma del 2006, l'affidamento condiviso non impone, ai fini della sua attuazione pratica, una matematica suddivisione dei tempi di permanenza del minore con ciascun genitore. Come ha chiarito la S.C., infatti, sebbene il figlio minorenne abbia il diritto di trascorrere tempi di durata sostanzialmente analoga con ciascun genitore, è evidente che ciò che deve essere salvaguardata e perseguita è soprattutto la qualità del tempo rispetto alla quantità dello stesso. Pertanto, anche nell'affidamento condiviso il minore avrà collocazione prevalente e residenza presso uno solo dei genitori (Cass. I, n. 18131/2013) che sarà individuato tenendo in considerazione l'interesse preminente del minore, avendo riguardo anche alle consuetudini già acquisite dallo stesso (Cass. I, n. 13619/2010). Inoltre, di norma il genitore con cui il minore risiederà prevalentemente sarà assegnatario della casa familiare, in modo da assicurare ai figli minori e a quelli maggiorenni senza colpa non economicamente autonomi la permanenza nell'habitat in cui sono nati e cresciuti, tanto è vero che in assenza di prole cui confermare tale diritto abitativo il giudice non può e non deve disporre alcunché in merito alla sorte della casa coniugale (Cass. I, n. 16649/2014; Cass. I, n. 1491/2011; Cass. I, n. 3934/2008). Previsione del diritto di visita e delle modalità del suo esercizio da parte del genitore non collocatario Qualora il provvedimento di affidamento preveda la collocazione prevalente della prole presso uno dei genitori, dovrà individuare anche le modalità di esercizio del diritto di visita da parte dell'altro genitore che dovranno essere tali da assicurare una continuità, specie sul piano qualitativo, funzionale all'esercizio del diritto/dovere alla bigenitorialità. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quali tutele sono previste in caso di violazioni sull'esercizio del diritto di visita?
Orientamento della Corte europea dei diritti dell'uomo Integra la violazione dell'art. 8 CEDU, la mancata adozione da parte delle autorità nazionali di misure adeguate e sufficienti a garantire il rispetto del diritto di visita del genitore non convivente con il figlio minore L'autorità giudiziaria deve tutelare il diritto del genitore non collocatario all'esercizio del diritto di visita. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha espresso il principio per il quale le autorità nazionali sono tenute, a fronte della disgregazione del nucleo familiare, a garantire il diritto di visita del genitore non convivente con il figlio minore, con la sollecita adozione di misure specifiche e adeguate alla vicenda di riferimento, tanto più a fronte della mancata collaborazione dell'altro genitore (Corte EDU, II, 29 gennaio 2013, ric. n. 25704). La Corte, nel riconoscere nel caso di specie la violazione in capo allo Stato italiano, rammenta, sulla scia dei propri precedenti, che, se l'art. 8 CEDU ha essenzialmente per oggetto la tutela dell'individuo dalle ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, esso non si limita ad ordinare allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a tale obbligo negativo possono aggiungersi obblighi positivi attinenti ad un effettivo rispetto della vita privata o familiare. Tali obblighi possono implicare l'adozione di misure finalizzate al rispetto della vita familiare, incluse le relazioni reciproche fra individui, e la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie ovvero di misure specifiche appropriate (si veda, ad esempio, Corte EDU, 23 giugno, 2005, Zawadka c. Polonia, § 53). Tali strumenti giuridici devono permettere allo Stato di adottare misure atte a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti fra i genitori (come già previsto nei casi Corte EDU, Ignaccolo-Zenide c. Romania, e Sylvester c. Austria, entrambi del 24 aprile 2003, nonché in Corte EDU, 18 gennaio 2007, Zavřel c. Repubblica Ceca, e Corte EDU, 12 gennaio 2006, Mihailova c. Bulgaria). Nella sentenza si precisa altresì che gli obblighi positivi non implicano solo che si vigili affinché il minore possa raggiungere il genitore o mantenere un contatto con lui, bensì che vengano attuate anche tutte le misure propedeutiche che consentono di pervenire a tale risultato (in tal senso Corte EDU, 5 febbraio 2004, Kosmopoulou c. Grecia, al § 24; Corte EDU, 26 maggio 2009, Amanalachioai c. Romania, al § 95). Per essere adeguate, le misure volte a riunire genitore e figlio devono essere, inoltre, attuate rapidamente, in quanto il decorso del tempo, così come è avvenuto nella fattispecie oggetto della pronuncia in esame, può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il minore ed il genitore non convivente (si vedano, oltre alle sentenze sopra citate, anche Corte EDU, 22 giugno 2006, Bianchi c. Svizzera, e Corte EDU, 2 settembre 2010, Mincheva c. Bulgaria). In applicazione di tali orientamenti la responsabilità delle autorità italiane viene rinvenuta nel non aver provveduto adeguatamente, in maniera concreta e diretta, al restauro dei rapporti tra padre e figlia, limitandosi i tribunali a riconoscere la non esecuzione delle proprie sentenze, e restando così «al di sotto di quello che ci si poteva ragionevolmente attendere da loro, delegando la gestione degli incontri ai servizi sociali» (§ 91 della motivazione). In forza dei medesimi principi è stata in seguito ad esempio riconosciuta una violazione al diritto alla vita privata e familiare sancito dall'art. 8 della CEDU in una fattispecie nella quale le autorità giudiziarie avevano tollerato per circa quattro anni che la madre, con il suo comportamento, impedisse l'instaurarsi di una vera relazione tra il padre e il figlio, senza adottare le misure adeguate al ripristino di regolari incontri tra i due, ma limitandosi reiteratamente e con formule stereotipate a confermare i propri provvedimenti, a richiedere informazioni e a disporre il monitoraggio della situazione (Corte EDU, I, 15 settembre 2016, ric. n. 43299). Orientamento più recente della Corte di Cassazione Se è ostacolato il diritto di visita si possono chiedere i provvedimenti ex art. 709-ter c.p.c. Qualora la posizione del genitore non collocatario venga in rilievo in quanto portatrice del “diritto” di visita del figlio minore, essa riceve tutela dal sistema rispetto alle condotte pregiudizievoli poste in atto dall'altro genitore che, di ostacolo all'esercizio dell'altrui diritto ed integrative di inadempimenti gravi, divengono ragione di risarcimenti e sanzioni secondo il sistema modulare e flessibile voluto dal legislatore all'art. 709-ter c.p.c. (Cass. I, n. 6471/2020). Orientamenti di merito Conseguenze delle violazioni sull'esercizio del diritto di visita La costante violazione delle modalità relative all'esercizio del diritto di visita tali da elidere la figura del genitore non collocatario determina, in caso di grave pregiudizio nello sviluppo psicofisico del figlio minore, l'affidamento esclusivo nei confronti del genitore non collocatario a causa dell'inidoneità dell'altro genitore a svolgere le relative funzioni genitoriali e ad assumersene le responsabilità correlate, nonché le sanzioni previste dall'art. 709-ter c.p.c. (Trib. Catania, I, 30 dicembre 2014). Va disposto l'affidamento super-esclusivo in favore di uno solo dei genitori quando l'altro dimostri gravi carenze nelle capacità genitoriali, caratterizzata da comportamenti che mirano ad estromettere dalla vita del figlio l'altro genitore determinando il rischio di alienazione e facendo valere rivalse personali (App. Venezia, 16 dicembre 2019, n. 8607).
Domanda
Nell'ipotesi di condotta ostativa all'esercizio del diritto di visita, il genitore non collocatario può smettere di versare l'assegno di mantenimento?
L'ex coniuge non può rifiutarsi di versare l'assegno ai figli se vi sono difficoltà nella frequentazione L'obbligo del coniuge separato di consentire la visita dei figli all'ex marito e l'obbligo di quest'ultimo di corrispondere l'assegno di mantenimento non sono in una relazione sinallagmatica. Di conseguenza, è arbitraria, e non idonea a far venir meno il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la “sospensione” dell'assegno divorzile, adottata unilateralmente quale strumento di coazione indiretta per indurre l'ex coniuge al rispetto degli impegni concernenti la frequentazione dei figli (Cass., VI, n. 21688/2017). 3. Azioni processualiFunzione e natura del giudizio Il principio della bi-genitorialità tutela il diritto del minore a ricevere apporto affettivo e risorse di mantenimento da entrambi i genitori ed a mantenere con ciascuno di essi un rapporto stabile. Tale principio si estrinseca, nel regime da valutare in via prioritaria, nell'ipotesi di crisi del rapporto tra i genitori, dell'affidamento condiviso che si sostanzia nell'esercizio congiunto della responsabilità genitoriale anche nell'ipotesi in cui sia venuto meno il rapporto affettivo tra i genitori del minore. L'art. 709-ter c.p.c. è una disposizione volta a realizzare questi obiettivi, non di rado compromessi nella pratica da condotte emulative o colpevoli di uno dei genitori, prevedendo l'intervento dell'autorità giudiziaria per la soluzione delle controversie sorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o sulle modalità di affidamento. Questo intervento può condurre sia alla modifica delle condizioni esistenti, sia all'emanazione di misure, anche di carattere risarcitorio e sanzionatorio, nei confronti del genitore inadempiente. Sull'ambito applicativo dell'art. 709-ter c.p.c., incideranno nel prossimo futuro le modalità con le quali il Governo eserciterà la delega contenuta nell'art. 1, comma 23, lett. mm), della l. n. 206/2021, nella parte in cui è demandato allo stesso di riordinare la disciplina dettata dall'art. 709-ter c.p.c., contemplando, in particolare, la possibilità per l'autorità giudiziaria di assumere anche d'ufficio, nel rispetto del contraddittorio tra le parti, misure coercitive indirette ex art. 614-bis c.p.c. a fronte dell'inadempimento agli obblighi di fare e di non fare anche quando relativi ai minori. Aspetti preliminari Competenza Nella formulazione attuale l'art. 709-ter c.p.c. detta due regole di competenza nel comma 1, distinguendo, in particolare, tra l'ipotesi in cui sia in corso il procedimento di separazione o divorzio tra i coniugi, in relazione alle quali sussiste la competenza del giudice del procedimento (in arg., Trib. Milano IX, 9 gennaio 2018) quella in cui detto procedimento si sia già concluso, rispetto alla quale viene invece prevista la competenza del tribunale del luogo di residenza del minore. Diversi problemi interpretativi sono peraltro sorti rispetto ad entrambi i criteri di collegamento della competenza ora richiamati. Con specifico riguardo all'ipotesi in cui la controversia tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o alle modalità di affidamento dei figli sia sorta nel corso del giudizio principale di separazione o di divorzio, sorge l'interrogativo, attesa la collegialità delle cause di famiglia, se anche le controversie di cui alla norma in commento debbano essere decise dal collegio o se la definizione delle stesse sia demandata al giudice istruttore. Sin dall'inizio, anche in sede applicativa, si sono “scontrate” le posizioni per le quali l'esigenza di ottenere una decisione in tempi brevi dovrebbe comportare che la relativa decisione venga demandata al giudice istruttore (Trib. Messina, 5 aprile 2007), e l'orientamento secondo cui, poiché la controversia sull'esercizio della potestà genitoriale o le modalità di affidamento della prole costituisce un sub-procedimento nell'ambito del giudizio principale, la stessa deve essere decisa dal collegio (Trib. Pisa 17 dicembre 2007 e Trib. Napoli 29 novembre 2007). Secondo una tesi “intermedia” la competenza spetta al giudice istruttore se la causa non è ancora nella fase decisoria ed al collegio quando la causa è in tale fase (v., tra le altre, Trib. Bologna 15 ottobre 2007; Trib. Termini Imerese 12 luglio 2006; Trib. Modena 29 gennaio 2007). Come evidenziato, invece, per i procedimenti di cui all'art. 710 c.p.c., incardinati quando non è più in corso la controversia sullo scioglimento o attenuazione del vincolo coniugale, è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. Sul punto si segnala una decisione di merito per la quale il comma 1 della disposizione in esame, applicabile ai procedimenti di revisione delle condizioni di divorzio per effetto dell'art. 9 l. n. 898/1970, nella parte in cui prevede la competenza del tribunale del luogo in cui il minore abbia la residenza deve essere interpretata nel senso che tale criterio di competenza valga anche laddove la sentenza di divorzio non sia ancora passata in giudicato per non essere ancora decorso il termine lungo o breve di impugnazione (Trib. Busto Arsizio 26 gennaio 2010). Tale regola di competenza deroga a quella di cui all'art. 18 c.p.c., norma che la giurisprudenza ritiene generalmente applicabile ai procedimenti instaurati ai sensi dell'art. 710 c.p.c. In astratto nessun problema di interferenza e quindi sulla competenza dovrebbe porsi in quanto dovrà ricorrersi al procedimento di cui all'art. 710 c.p.c. onde ottenere la revisione delle disposizioni sull'affidamento dei figli e l'attribuzione e l'esercizio della potestà genitoriale sugli stessi, mentre differenti sono le controversie per le quali possono essere richiesti provvedimenti ai sensi della norma in commento. Sotto altro profilo, potrebbe porsi un problema di riparto di competenza tra il tribunale ordinario e quello per i minorenni. Con riferimento alla formulazione dell'art. 38 disp. att c.c., applicabile sino al prossimo 22 giugno 2022 (v. infra), la S.C. ha ritenuto che la norma (come modificato dall'art. 3, comma 1, l. n. 219/2012, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall'1 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i procedimenti di limitazione e decadenza dalla potestà genitoriale di cui agli artt. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello (Cass., n. 1349/2015). In sede applicativa, con riferimento alle «interferenze» con l'art. 709-ter c.p.c., si è evidenziato che la disciplina dell'art. 709-ter c.p.c. attiene alle questioni inerenti all'attuazione dei provvedimenti relativi ai figli, in materia di affidamento ed esercizio della responsabilità genitoriale, ossia a un ambito diverso rispetto a quello relativo ai provvedimenti de potestate di cui agli artt. 330 e 333 c.c., sicché pendenti i giudizi di separazione, divorzio, nullità del matrimonio, della regolamentazione dei rapporti relativi ai figli di genitori non coniugati, la competenza, per i casi di gravi inadempienze o atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, è sempre quella del giudice del tribunale ordinario e, peraltro, rimane ferma la competenza del Tribunale ordinario per i provvedimenti ex art. 709-ter c.p.c. anche quando la sentenza di separazione e divorzio sia passata in giudicato (Trib. min. Potenza, 13 marzo 2017). Su questi aspetti è intervenuto il legislatore con la l. n. 206/2021, che ha modificato, tra l'altro, l'art. 38 disp. att. c.c., disciplinando espressamente (e opportunamente) quelle ipotesi, non infrequenti, nelle quali il ricorso ex art. 709-ter c.p.c. venga proposto in pendenza o poco prima di un giudizio di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale dinanzi al Tribunale per i minorenni. Più in particolare, l'art. 1, comma 28, l. n. 206/2021, in vigore dal 24 dicembre 2021 – con una disposizione che troverà applicazione per i procedimenti promossi 180 giorni dopo l'entrata in vigore della stessa legge (ossia a decorrere dal 22 giugno 2022) – prevede una modifica del predetto art. 38 disp. att. c.c. . nel senso di attribuire al tribunale per i minorenni la competenza per il ricorso disciplinato dall'art. 709-ter c.p.c. quando è già pendente o instaurato successivamente, tra le stesse parti, uno dei procedimenti rimessi alla competenza dello stesso tribunale, previsti dagli artt. 330,332,333,334 e 335 c.c. L'art. 38 disp. att. c.c., nella nuova formulazione, specifica che qualora sia già pendente (al momento dell'instaurazione dei procedimenti dinanzi al tribunale per i minorenni volti ad incidere sulla responsabilità genitoriale) o venga instaurato un autonomo procedimento ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. dinanzi al tribunale ordinario, quest'ultimo, d'ufficio o a istanza di parte, adotta senza indugio tutti gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmette gli atti al tribunale per i minorenni, di fronte al quale il procedimento, previa riunione, continua. Si precisa, poi, che i provvedimenti adottati dal tribunale ordinario conservano la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati, con provvedimento emesso dal tribunale per i minorenni. Legittimazione La legittimazione attiva a proporre il ricorso è rimessa al genitore che insta per la modifica dei provvedimenti regolanti l'affidamento e/o per l'emanazione di una delle misure sanzionatorie contemplate dal secondo comma dell'art. 709-ter c.p.c. nei confronti del genitore ostacolante. Curatore speciale del minore Il novellato art. 78, comma 3, c.p.c. – ex l. n. 206/2021, applicabile ai procedimenti promossi dalla data del 22 giugno 2022 - stabilisce che, tra l'altro, il giudice è tenuto a nominare, a pena di nullità del procedimento, un curatore speciale del minore, nel caso in cui dai fatti emersi nel procedimento venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore tale da precluderne l'adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori (n. 3) oppure quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni (n. 4). Il quarto comma della stessa disposizione, come novellata, attribuisce inoltre al giudice – che in detta ipotesi dovrà motivare pur succintamente la propria decisione – il potere di nominare un curatore speciale del minore quando i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi dello stesso.
Profili di merito Onere della prova Il genitore che propone il ricorso ex art. 709-ter c.p.c. è tenuto a dimostrare puntualmente i fatti costitutivi della propria domanda, ossia, nella fattispecie in esame, le condotte del genitore collocatario ostacolanti l'esercizio de diritto di visita. L'art. 1, comma 33, della l. n. 206/2021 prevede, con disposizione immediatamente precettiva – ad applicarsi ai procedimenti instaurati a decorrere dal centottantesimo giorno successivo all'entrata in vigore della stessa legge (ossia dal 22 giugno 2022) – la sostituzione del comma 2 n. 3 dell'art. 709-ter c.p.c. con la previsione secondo cui il giudice nel disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori a carico dell'altro può individuare anche la somma giornaliera dovuta per ciascun giorno di violazione o di inosservanza dei provvedimenti assunti dal giudice. In detta ipotesi, il provvedimento del giudice costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c. Contenuto del ricorso Il ricorso, che segue le forme di quello introduttivo dei procedimenti in camera di consiglio ex art. 737 c.p.c., deve – salvo che sia proposto nel corso di un giudizio “principale” di separazione o di divorzio ‒ contenere le generalità del ricorrente e del suo difensore, compresa l'indicazione del codice fiscale di entrambi, e del numero di fax e di posta elettronica certificata del difensore presso cui la parte deve eleggere domicilio, nel Comune ove ha sede il giudice adito, conferendogli con atto separato la procura alla lite, la quale, va sottoscritta dal ricorrente e dal difensore che deve autenticarne la sottoscrizione. Nel ricorso, prima della formulazione delle conclusioni, occorre specificare le ragioni poste a fondamento della stessa. Potranno essere a tal fine dedotte (e provate) condotte ostacolanti del genitore collocatario rispetto all'esercizio del diritto di visita dell'altro genitore. 4. ConclusioniSin dalla riforma del diritto di famiglia realizzata dalla l. n. 54/2006, il principio di bigenitorialità, e quindi il diritto del minore a continuare ad avere un rapporto equilibrato e armonioso con entrambi i genitori nonostante l'avvenuta disgregazione della coppia parentale, comporta che il regime “ordinario” e generale di affidamento sia quello condiviso. L'art. 709-ter c.p.c. è una disposizione volta a realizzare questi obiettivi, spesso compromessi nella pratica da condotte emulative o colpevoli di uno dei genitori, prevedendo l'intervento dell'autorità giudiziaria per la soluzione delle controversie sorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o sulle modalità di affidamento. Questo intervento può condurre sia alla modifica delle condizioni esistenti, sia all'emanazione di misure, anche di carattere risarcitorio e sanzionatorio, nei confronti del genitore inadempiente. Tali misure coercitive possono essere richieste come ha riconosciuto la stessa S.C., anche nell'ipotesi di condotte del genitore collocatario ostacolanti l'esercizio del diritto di visita da parte dell'altro genitore (Cass., n. 6471/2020). |