“Affidamento” dei figli maggiorenni portatori di handicap grave

Rosaria Giordano

1. Bussole di inquadramento

La normativa applicabile ai figli maggiorenni portatori di handicap grave nell'ipotesi di disgregazione del rapporto parentale

L'art. 337-septies, comma 2, c.c. stabilisce che per i figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori. La disposizione riproduce l'art. 155-quinquies, comma 2, c.c. previgente (introdotto dalla l. n. 54/2006), con una sola modifica, costituita dall'eliminazione del rinvio, contenuto nella disposizione precedente, alla l. n. 104/1992, art. 3, comma 3, ai fini della definizione di “handicap grave”, rinvio che è ora effettuato dall'art. 37-bis disp. att. c.c., introdotto dal d.lgs. n. 154/2013. La norma dell'art. 37-bis disp. att. c.c. precisa infatti che i figli maggiorenni portatori di handicap grave, di cui all'art. 337-septies, comma 2, c.c., si identificano con i portatori di handicap come definiti dall'art. 3, comma 3, l. n. 104/1992.

In particolare, l'art. 3, comma 1, della predetta l. n. 104/1992 individua la persona handicappata in quella portatrice di una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che determina difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e in questa misura può determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. Si ha un handicap grave, che è quello che rileva ai fini della questione in disamina, quando la minorazione abbia ridotto l'autonomia della persona al punto da rendere necessaio un intervento assistenziale pemanente e globale nella sfera individuale o in quella di relazione.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Le norme sull'affidamento si applicano ai figli maggiorenni portatori di handicap?

Orientamento consolidato della Corte di Cassazione

No, se non vi è un provvedimento limitativo della capacità di agire

La S.C. ha più volte affermato che – al di là della lettera dell'art. 337-septies, secondo comma, c.c. che fa riferimento ad un'applicazione “integrale” ai figli maggiorenni portatori di handicap delle norme in favore dei figli minori ‒ trovano applicazione, ai figli maggiorenni portatori di handicap grave, ai sensi della l. n. 104/1992, le sole disposizioni in tema di visite, di cura e di mantenimento (compreso, quindi, il disposto dell'art. 155-quinquies c.c., ora art. 337-septies c.c.) da parte dei genitori non conviventi e di assegnazione della casa coniugale, previste in favore dei figli minori, ma non anche quelle sull'affidamento, condiviso od esclusivo. In caso contrario, si dovrebbe, invero, concludere che il figlio portatore di handicap, ancorché maggiorenne, sia da considerarsi automaticamente privo della capacità di agire, mentre ciò potrà essere accertato eventualmente, in via parziale o totale, nei giudizi specifici di interdizione, inabilitazione o amministrazione di sostegno (Cass. I, n. 21819/2021).

Invero, l'interpretazione dell'art. 337-septies, comma 2, c.c., non si arresta all'evidenza restituita dall'impiego di un canone interpretativo rigorosamente letterale, atteso che l'automatismo consistente nell'estendere integralmente l'applicazione di norme dettate per la tutela della prole minorenne nella fase disgregante dell'unità familiare (artt. 337-bis-37-sexies c.c.; 337-octies c.c.) anche ai casi che vedono la presenza di figli maggiorenni con handicap grave implicherebbe l'introduzione nel sistema di un'irredimibile antinomia, dal momento che, in difetto di un accertamento giurisdizionale dell'incapacità nelle forme prescritte dalla legge (artt. 404-413, 414-432 c.c.; artt. 712-720 e 720-bis c.p.c.), contravvenendo al principio dell'automatica e generale espansione della capacità di agire con il compimento della maggiore età (art. 2 c.c.), perdurerebbe in danno del figlio gravemente disabile divenuto maggiorenne un'ablazione – peraltro generalizzata – della capacità, che l'ordinamento riconnette, in misura e forme diverse, solo alla minore età o ad una pronuncia di interdizione, inabilitazione o all'apertura di un procedimento di amministrazione di sostegno, circostanza di per sé in conflitto con la ratio che anima tale ultima misura protettiva – quella di limitare, nella minore misura possibile, la capacità di agire – oltre che suscettibile di dar luogo ad una manifesta disparità di trattamento con i figli maggiorenni con handicap grave viventi in nuclei familiari non disgregati, ai quali, per via della collocazione topografica della norma all'interno del capo II, del titolo IX, del libro I del codice, volto a regolare l'esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all'esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio”, l'art. 337-septies, comma 2, c.c., non sembra applicabile. Pertanto è incompatibile con i principi sopra esposti l'estensione, ai figli maggiorenni portatori di handicap grave, delle disposizioni in tenta di affidamento e di esercizio della responsabilità genitoriale, ben potendo all'opposto operare estensivamente le norme concernenti le frequentazioni e le visite con ciascun genitore, nonché gli obblighi di mantenimento e l'assegnazione della casa familiare, questi ultimi collegati alla condizione di non autosufficienza economica del figlio maggiorenne (cfr., in motivazione, Cass. n. 12977/2012).

Orientamenti di merito

Limiti all'applicazione delle regole che riguardano i figli minorenni

Non trovano applicazione nei confronti dei figli maggiorenni portatori di handicap grave, nonostante il disposto dell'art. 337-septies, comma 2, c.c., le norme che riconoscono ai genitori, e che ripartiscono tra loro, i poteri ricompresi nella responsabilità genitoriale, quali, ad esempio, la rappresentanza, l'amministrazione dei beni, l'usufrutto legale, in quanto con la maggiore età anche il soggetto portatore di handicap grave acquista la piena capacità legale di agire, a meno che non siano chieste e ottenute delle misure di protezione, ai sensi degli articoli 404 ss. c.c., tali da limitarne in tutto o in parte la suddetta capacità (App. Catania, 29 gennaio 2015).

Una differente lettura dell'art. 337-septies, comma 2, c.c., nel senso che resti fermo per i genitori del figlio disabile maggiorenne l'affidamento, inteso come esercizio della piena responsabilità genitoriale, comprensiva anche di tutti i poteri sul figlio (Trib. Treviso, 1 aprile 2016), introdurrebbe nell'ordinamento una nuova e ulteriore misura di protezione della persona priva di autonomia, in aggiunta all'amministrazione di sostegno, all'inabilitazione e all'interdizione, misura che, peraltro, sorgerebbe automaticamente, senza tutte le cautele che la legge prevede, a protezione della persona fragile, nella disciplina di quegli istituti (cfr. sulla conseguente irrimediabile antinomia del sistema Trib. Lucca, 4 aprile 2018; Trib. Treviso, 1° aprile 2016; App. Catania, 29 gennaio 2015, cit.).

Peraltro i genitori del figlio disabile maggiorenne restano obbligati a mantenere il figlio, a dare allo stesso un'abituazione adeguata, e a prendersene cura, nella misura e nei modi che sarebbero dovuti nei confronti di un figlio minore (Trib. Potenza, 12 gennaio 2016).

3. Azioni processuali

Funzione e natura del giudizio

L'inapplicabilità, nell'ipotesi di “separazione” tra i genitori, del regime di affidamento della prole minorenne rispetto a quella maggiore d'età che sia affetta da handicap grave (ma non assoggettata a misure di protezione della persona maggiorenne quali l'amministrazione di sostegno, l'inabilitazione e l'interdizione) ma solo il permanere dei doveri di cura dei genitori nei confronti di essi può nondimeno generare, specie nell'ipotesi in cui il figlio conviva con uno dei genitori, controversie nella coppia parentale sulle modalità di esercizio di detti doveri di protezione.

Se si ammette che, ai fini della tutela del figlio maggiorenne portatore di handicap grave, stante l'equiparazione ex art. 337-septies, secondo comma, c.c., ai figli minorenni, possa consentire, nell'ipotesi di contrasto tra I genitori, l'intervento dell'autorità giudiziaria il veicolo processuale appare il ricorso di cui all'art. 709-ter c.p.c.

Aspetti preliminari

Competenza

Nella formulazione attuale l'art. 709-ter c.p.c. detta due regole di competenza nel comma 1, distinguendo, in particolare, tra l'ipotesi in cui sia in corso il procedimento di separazione o divorzio tra i coniugi, in relazione alle quali sussiste la competenza del giudice del procedimento (in arg., Trib. Milano IX, 9 gennaio 2018) quella in cui detto procedimento si sia già concluso, rispetto alla quale viene invece prevista la competenza del tribunale del luogo di residenza del minore.

Diversi problemi interpretativi sono peraltro sorti rispetto ad entrambi i criteri di collegamento della competenza ora richiamati.

Con specifico riguardo all'ipotesi in cui la controversia tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o alle modalità di affidamento dei figli sia sorta nel corso del giudizio principale di separazione o di divorzio, sorge l'interrogativo, attesa la collegialità delle cause di famiglia, se anche le controversie di cui alla norma in commento debbano essere decise dal collegio o se la definizione delle stesse sia demandata al giudice istruttore.

Sin dall'inizio, anche in sede applicativa, si sono “scontrate” le posizioni per le quali l'esigenza di ottenere una decisione in tempi brevi dovrebbe comportare che la relativa decisione venga demandata al giudice istruttore (Trib. Messina 5 aprile 2007), e l'orientamento secondo cui, poiché la controversia sull'esercizio della potestà genitoriale o le modalità di affidamento della prole costituisce un sub-procedimento nell'ambito del giudizio principale, la stessa deve essere decisa dal collegio (Trib. Pisa 17 dicembre 2007 e Trib.Napoli 29 novembre 2007).

Secondo una tesi “intermedia” la competenza spetta al giudice istruttore se la causa non è ancora nella fase decisoria ed al collegio quando la causa è in tale fase (v., tra le altre, Trib. Bologna 15 ottobre 2007; Trib. Termini Imerese 12 luglio 2006; Trib. Modena 29 gennaio 2007).

Come evidenziato, invece, per i procedimenti di cui all'art. 710 c.p.c., incardinati quando non è più in corso la controversia sullo scioglimento o attenuazione del vincolo coniugale, è competente il tribunale del luogo di residenza del minore.

Sul punto si segnala una decisione di merito per la quale il comma 1 della disposizione in esame, applicabile ai procedimenti di revisione delle condizioni di divorzio per effetto dell'art. 9 l. n. 898/1970, nella parte in cui prevede la competenza del tribunale del luogo in cui il minore abbia la residenza deve essere interpretata nel senso che tale criterio di competenza valga anche laddove la sentenza di divorzio non sia ancora passata in giudicato per non essere ancora decorso il termine lungo o breve di impugnazione (Trib. Busto Arsizio 26 gennaio 2010).

Tale regola di competenza deroga a quella di cui all'art. 18 c.p.c., norma che la giurisprudenza ritiene generalmente applicabile ai procedimenti instaurati ai sensi dell'art. 710 c.p.c..

In astratto nessun problema di interferenza e quindi sulla competenza dovrebbe porsi in quanto dovrà ricorrersi al procedimento di cui all'art. 710 c.p.c. onde ottenere la revisione delle disposizioni sull'affidamento dei figli e l'attribuzione e l'esercizio della potestà genitoriale sugli stessi, mentre differenti sono le controversie per le quali possono essere richiesti provvedimenti ai sensi della norma in commento.

Sotto altro profilo, potrebbe porsi un problema di riparto di competenza tra il tribunale ordinario e quello per i minorenni.

Con riferimento alla formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c., applicabile sino al prossimo 22 giugno 2022 (v. infra), la S.C. ha ritenuto che la norma (come modificato dall'art. 3, comma 1, l. n. 219/2012, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall'1 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i procedimenti di limitazione e decadenza dalla potestà genitoriale di cui agli artt. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello (Cass., n. 1349/2015).

In sede applicativa, con riferimento alle «interferenze» con l'art. 709-ter c.p.c., si è evidenziato che la disciplina dell'art. 709-ter c.p.c. attiene alle questioni inerenti all'attuazione dei provvedimenti relativi ai figli, in materia di affidamento ed esercizio della responsabilità genitoriale, ossia a un ambito diverso rispetto a quello relativo ai provvedimenti de potestate di cui agli artt. 330 e 333 c.c., sicché pendenti i giudizi di separazione, divorzio, nullità del matrimonio, della regolamentazione dei rapporti relativi ai figli di genitori non coniugati, la competenza, per i casi di gravi inadempienze o atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, è sempre quella del giudice del tribunale ordinario e, peraltro, rimane ferma la competenza del Tribunale ordinario per i provvedimenti ex art. 709-ter c.p.c. anche quando la sentenza di separazione e divorzio sia passata in giudicato (Trib. min. Potenza 13 marzo 2017).

Su questi aspetti è intervenuto il legislatore con la l. n. 206/2021 (legge delega di riforma del processo civile), che ha, tra l'altro, modificato l'art. 38 disp. att. c.c., disciplinando espressamente (e opportunamente) quelle ipotesi, non infrequenti, nelle quali il ricorso ex art. 709-ter c.p.c. venga proposto in pendenza o poco prima di un giudizio di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale dinanzi al Tribunale per i minorenni. Più in particolare, l'art. 1, comma 28, di tale l. n. 206/2021, in vigore dal 24 dicembre 2021 – con una disposizione che troverà applicazione per i procedimenti promossi 180 giorni dopo l'entrata in vigore della stessa legge (ossia dal 22 giugno 2022) – prevede una modifica del predetto art. 38 disp. att. c..c. nel senso di attribuire al tribunale per i minorenni la competenza per il ricorso disciplinato dall'art. 709-ter c.p.c. quando è già pendente o instaurato successivamente, tra le stesse parti, uno dei procedimenti rimessi alla competenza dello stesso tribunale, previsti dagli artt. 330,332,333,334 e 335 c.c.

L'art. 38 disp. att. c.c., nella nuova formulazione, specifica che qualora sia già pendente (al momento dell'instaurazione dei procedimenti dinanzi al tribunale per i minorenni volti ad incidere sulla responsabilità genitoriale) o venga instaurato un autonomo procedimento ai sensi dell'art. 709-ter dinanzi al tribunale ordinario, quest'ultimo, d'ufficio o a istanza di parte, adotta senza indugio tutti gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmette gli atti al tribunale per i minorenni, di fronte al quale il procedimento, previa riunione, continua. Si precisa, poi, che i provvedimenti adottati dal tribunale ordinario conservano la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati, con provvedimento emesso dal tribunale per i minorenni.

Profili di merito

Onere della prova

Il procedimento non segue le regole “canoniche” sul riparto dell'onere probatorio tra le parti, in quanto il conflitto tra i genitori postula che ciascuno allegherà le ragioni poste a fondamento della propria opinione e il giudice sarà poi chiamato a decidere, in luogo dei genitori stessi tenendo conto dell'interesse superiore del figlio.

Trattandosi di figlio maggiorenne, pur portatore di handicap grave, sebbene non assoggettato ad alcuna misura di protezione (es. amministratore di sostegno), potrebbe discutersi in ordine alla possibilità per lo stesso di acquisire la veste di parte chiamata ad interloquire direttamente sulle scelte che lo riguardano, piuttosto che soggetto capace di discernimento la cui opinione deve essere oggetto di ascolto.

L'art. 1, comma 33, della l. n. 206/2021 prevede, con disposizione immediatamente precettiva – destinata ad applicarsi ai procedimenti instaurati a decorrere dal centottantesimo giorno successivo all'entrata in vigore della stessa legge (ossia dal 22 giugno 2022) – la sostituzione del comma 2 n. 3 dell'art. 709-ter c.p.c. con la previsione secondo cui il giudice nel disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori a carico dell'altro può individuare anche la somma giornaliera dovuta per ciascun giorno di violazione o di inosservanza dei provvedimenti assunti dal giudice. In detta ipotesi, il provvedimento del giudice costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c.

Contenuto del ricorso

Il ricorso deve contenere le generalità del ricorrente e del suo difensore, compresa l'indicazione del codice fiscale di entrambi, e del numero di fax e di posta elettronica certificata del difensore presso cui la parte deve eleggere domicilio, nel Comune dove ha sede il giudice adito, conferendogli con atto separato la procura alla lite, la quale, va sottoscritta dal ricorrente e dal difensore che deve autenticarne la sottoscrizione.

4. Conclusioni

Ai sensi dell'art. 337-septies, comma 2, c.c., ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.

Tuttavia questa norma – come già avveniva per l'analogo art. 155-quinquies c.c., dal tenore analogo, salva la mancata qualificazione dell'handicap come grave – è stata intesa non nel senso di fare fa riferimento ad un'applicazione “integrale” ai figli maggiorenni portatori di handicap delle norme in favore dei figli minori ed, in particolare, di quelle in tema di affidamento, ma solo di quelle relative alle visite, alla cura e al mantenimento da parte dei genitori non conviventi e di assegnazione della casa coniugale al genitore convivente.

L'operatività delle norme sull'affidamento andrebbe invero, nell'ipotesi di figli maggiorenni, a sostituire impropriamente gli accertamenti che devono essere operati, ove ne sussistano i presupposti, ai fini dell'emanazione di una misura di protezione della persona maggiore di età exartt. 404 ss. c.c.

Le questioni che possono involgere le modalità di cura e di esercizio del diritto di visita nei confronti dei figli maggiorenni sembrano potersi veicolare, sul piano processuale, nell'ipotesi di disgregazione della coppia parentale, con ricorso ex art. 709-ter c.p.c.

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