Disaccordo sull'educazione religiosa del minore

Rosaria Giordano

1. Bussole di inquadramento

Principio generale di bigenitorialità

L'art. 337-ter, comma 1, c.c. sancisce il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore e a ricevere da entrambi i genitori cura, educazione, istruzione e assistenza morale. Si tratta di una disposizione di fondamentale importanza soprattutto in quanto attribuisce e riconosce al minore il diritto alla bigenitorialità nonostante la crisi della coppia genitoriale. Il diritto del minore alla bigenitorialità è l'essenza stessa dell'affidamento condiviso, disciplinato sul piano normativo come scelta da valutare in via prioritaria proprio al fine specifico di garantire alla prole minorenne il diritto di continuare ad avere, non solo nominalmente, ma anche concretamente un rapporto costante con entrambi i genitori a prescindere dal dissolvimento del legame sussistente tra questi ultimi.

L'intervento residuale dell'autorità giudiziaria sulle scelte fondamentali che riguardano la prole

L'intervento dell'autorità giudiziaria nelle dinamiche familiari, in particolare per quanto attiene ai rapporti con i figli, è stato concepito dal legislatore come eccezionale e residuale: di conseguenza i genitori possono rivolgersi al Tribunale solo nell'ipotesi di disaccordo afferenti situazioni di particolare importanza, specifiche e circostanziate.

Tra queste può assumere rilievo la scelta sull'educazione religiosa del minore atteso che, abolita la religione di Stato e posto il principio in base al quale tutte le religioni sono egualmente libere davanti alla legge, ai sensi dell'art. 8 Cost., lo Stato laico non può riservare alcun favor alla religione cattolica come religione di Stato, né discriminare chicchessia, in ragione dell'appartenenza a una certa confessione religiosa.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quale è il criterio generale che deve seguire il giudice nella scelta sull'educazione religiosa del minore?

Orientamento della Corte di Cassazione

Deve valutare il best interest del minore

In presenza di una situazione di conflitto fra i due genitori che intendano entrambi trasmettere la propria educazione religiosa e non siano in grado di rendere compatibile il diverso apporto educativo derivante dall'adesione a un diverso credo religioso, la possibilità da parte del giudice di adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori in tema di libertà religiosa e di esercizio del ruolo educativo è strettamente connessa e può dipendere esclusivamente dall'accertamento in concreto di conseguenze pregiudizievoli per il figlio che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo e tale accertamento non può che basarsi sull'osservazione e sull'ascolto del minore, in quanto solo attraverso di esse tale accertamento può essere compiuto (Cass., n. 21916/2019).

Ciò si fonda sul generale presupposto, pacifico nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. I, n. 12594/2018; Cass. I, n. 9546/2012; Cass. I, n. 24683/2013), secondo, cui in tema di affidamento dei figli, il criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice nel fissare le relative modalità, in caso di conflitto genitoriale, è quello del superiore interesse del minore, stante il suo diritto preminente ad una crescita sana ed equilibrata, sicché il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l'adozione di provvedimenti, relativi all'educazione religiosa, contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro esplicazione determinerebbe conseguenze pregiudizievoli per il figlio, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo.

Orientamenti di merito

Il giudice può intervenire se vi è contrasto tra i genitori sull'educazione religiosa del minore

Il contrasto fra i coniugi in ordine all'educazione religiosa dei figli minori legittima l'intervento del giudice ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 78 c.p.c., qualora in forza dei provvedimenti provvisori e urgenti assunti dal presidente del tribunale i coniugi siano tenuti a concordare ogni decisione di particolare rilievo per la prole. Alla mancanza di accordo fra genitori separandi sull'educazione religiosa da impartire ai figli minori deve sopperire l'autorità giudiziaria, assumendo ogni provvedimento ritenuto conforme all'interesse morale e materiale della prole (Tribunale Massa, 18 settembre 1986).

Il giudice non può intervenire sulla scelta della religione del minore

Secondo una più risalente giurisprudenza di merito nell'ipotesi di contrasto tra genitori sull'educazione religiosa dei figli minori, è da escludere qualunque potere di intervento diretto del giudice, e quindi l'ammissibilità del ricorso all'art. 316 c.c. ovvero, in caso di separazione, all'art. 155 c.c. (o 708 c.p.c.), e, in caso di divorzio, agli art. 6 e 9 l. n. 898/1970. Infatti, il credo religioso, in quanto tale, non ha alcun rilievo, sia per quel che attiene l'affidamento, o la modifica dell'affidamento dei figli, sia per quel che concerne la determinazione delle modalità di incontro tra figli ed il genitore non affidatario. In particolare, secondo tale impostazione, l'intervento del giudice non può mai concretarsi nell'individuazione della religione nella quale educare il minore, privilegiando in base a tale opzione l'altro genitore, che a quel credo religioso aderisca (Trib. Napoli, 7 luglio 1998).

Il giudice può ordinare al genitore di non condurre il minore alle riunioni religiose

Nell'ipotesi di contrasto sull'educazione religiosa dei figli, il magistrato può imporre al genitore l'obbligo di non condurre la prole alle riunioni della propria fede religiosa e di non condizionarne in alcun modo gli orientamenti e le scelte religiose (Trib. Palermo, 12 febbraio 1990).

Domanda
È sempre necessaria l'audizione del minore capace di discernimento ai fini dell'assunzione di decisioni che lo riguardano?

Il minore può chiedere di non essere coinvolto

Nell'ipotesi di controversia sulle modalità di affidamento condiviso di un figlio minore infra-dodicenne, il giudice adito per l'adozione dei provvedimenti solutori opportuni, non è tenuto a procedere alla previa audizione del figlio stesso, pur richiesta da uno dei genitori, quando risulta, indipendentemente dall'accertamento della capacità di discernimento del figlio stesso, che questi aveva chiaramente manifestato la propria volontà di non essere coinvolto nella vicenda che pure lo riguarda, e che vede i genitori su posizioni contrapposte, atteso che un tale atto istruttorio rischia di essere inutile ai fini della decisione ed in contrasto con l'interesse del minore” (App. Milano 21 febbraio 2011).

Domanda
Costituisce causa di addebito della separazione la circostanza che un coniuge “inizi” la prole alla propria religione?

No, stante il principio di libertà di aderire a un credo religioso

In mancanza di accordo tra genitori di diversa fede religiosa circa l'educazione da impartire ai figli, rientra nei poteri-doveri di ciascuno offrire alla prole l'opportunità di conoscere ed apprezzare la fede religiosa preferita. Pertanto non costituisce pertanto ragione di addebitabilità della separazione la condotta del coniuge che - fuori da un ricorso al giudice ex art. 316 c.c., per risolvere il contrasto con l'altro coniuge circa l'educazione religiosa della prole - inizia il figlio ai riti della nuova fede, ai fini di una sua possibile conversione (Cass., n. 4498/1995).

3. Azioni processuali

Funzione e natura del giudizio

Il ricorso all'autorità giudiziaria per le scelte fondamentali che riguardano la vita dei figli, in caso di conflitto tra i genitori, proponibile ex art. 337, comma 3, c.c. segue le forme dei procedimenti in camera di consiglio.

Il Tribunale è chiamato a dirimere il contrasto tra la coppia genitoriale avendo riguardo all'interesse superiore del minore, i.e. ad assumere la decisione a tal fine più confacente.

Sul punto, anche di recente la S.C. ha precisato che, in tema di soluzione dei contrasti in ordine a questioni di particolare importanza per il figlio insorte tra i genitori, l'articolo 316, commi 1 e 2, c.c., il quale prevede che ciascuno di essi può ricorrere al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei, trova applicazione solo nel contesto di un nucleo genitoriale che sia tuttora unito; diversamente, nel caso di contrasto insorto tra coniugi legalmente separati ed entrambi esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio, trova applicazione l'art. 337-ter, comma 3, c.c., e la decisione è rimessa al giudice (Cass. I, n. 21553/2021).

Aspetti preliminari

Competenza

La competenza è demandata all'autorità dinanzi alla quale è già pendente il procedimento principale di separazione o divorzio.

Per i procedimenti introdotti successivamente alla definizione degli stessi il criterio di individuazione del Tribunale è quello del luogo di residenza abituale del minore; il medesimo criterio di competenza opera in ogni caso nell'ipotesi di ricorso proposto da genitori non coniugati.

In generale, il sistema delle regole di competenza per territorio dovrebbe essere modificato, seguendo il criterio della residenza abituale del minore anche per i ricorsi che riguardano i figli dei genitori coniugati, a seguito dell'esercizio del criterio di delega, contenuto nell'art. 1, comma 23, della l. n. 206/2021, secondo cui il Governo dovrà prevedere che nei procedimenti che riguardano i minori il criterio principale di collegamento della competenza territoriale dovrà essere costituito, in omaggio al c.d. principio di vicinanza o prossimità, dal luogo ove si trova la residenza abituale del minore.

Curatore speciale del minore

Il novellato art. 78, comma 3, c.p.c.ex l. n. 206/2021, applicabile ai procedimenti promossi dalla data del 22 giugno 2022 - stabilisce che, tra l'altro, il giudice è tenuto a nominare, a pena di nullità del procedimento, un curatore speciale del minore, nel caso in cui dai fatti emersi nel procedimento venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore tale da precluderne l'adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori (n. 3) oppure quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni (n. 4).

Il comma 4 della stessa disposizione, come novellata, attribuisce inoltre al giudice – che in detta ipotesi dovrà motivare pur succintamente la propria decisione – il potere di nominare un curatore speciale del minore quando i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi dello stesso.

Profili di merito

Onere della prova

Il procedimento non segue le regole “canoniche” sul riparto dell'onere probatorio tra le parti, in quanto il conflitto tra i genitori postula che ciascuno allegherà le ragioni poste a fondamento della propria opinione e il giudice, previa audizione del minore capace di discernimento, e a fronte di una più generale osservazione dello stesso, sarà poi chiamato a decidere, in luogo dei genitori stessi tenendo conto dell'interesse superiore del figlio.

Contenuto del ricorso

Il ricorso deve contenere le generalità del ricorrente e del suo difensore, compresa l'indicazione del codice fiscale di entrambi, e del numero di fax e di posta elettronica certificata del difensore presso cui la parte deve eleggere domicilio, nel Comune ove ha sede il giudice adito, conferendogli con atto separato la procura alla lite, la quale, va sottoscritta dal ricorrente e dal difensore che deve autenticarne la sottoscrizione.

Nel ricorso, prima della formulazione delle conclusioni, è opportuno indicare l'oggetto del conflitto sorto nella coppia genitoriale circa la scelta di particolare importanza riguardante la vita del figlio.

Mezzi istruttori

Come ripetutamente affermato in sede di legittimità, l'audizione del minore infradodicenne capace di discernimento — da parte del giudice ovvero, su mandato di questi, di un consulente o del personale dei servizi sociali — è un adempimento previsto a pena di nullità ove si assumano provvedimenti che lo riguardino, salvo che il giudice non ritenga, con specifica e circostanziata motivazione, l'esame manifestamente superfluo o in contrasto con l'interesse del minore (cfr., tra le altre, Cass. I, n. 10769/2019).

Strumenti di impugnazione

Con la recente pronuncia n. 142 del 2023 la S.C. ha affermato che il provvedimento di ammonimento di uno dei genitori emesso ex art. 709 ter, comma 2, n. 1 c.p.c., ha una portata immediatamente afflittiva - incidendo sul diritto-dovere dei genitori di intrattenere rapporti con i figli e di collaborare all'assistenza, educazione e istruzione degli stessi - e presenta caratteri di definitività che giustificano il riconoscimento dell'impugnabilità con il ricorso straordinario per cassazione.

Tale decisione si discosta dall'indirizzo espresso da Cass. n. 22100 del 2022 per il quale il provvedimento di ammonimento di uno dei genitori emesso ex art. 709 ter, comma 2, n. 1 c.p.c., a differenza dei provvedimenti di risarcimento dei danni o di irrogazione di una sanzione pecuniaria, previsti dalla stessa norma, non è ricorribile per cassazione, essendo privo dei caratteri della decisorietà e definitività.

4. Conclusioni

Sin dalla riforma del diritto di famiglia realizzata dalla l. n. 54/2006, il principio di bigenitorialità, e quindi il diritto del minore a continuare ad avere un rapporto equilibrato e armonioso con entrambi i genitori nonostante l'avvenuta disgregazione della coppia parentale, comporta che il regime “ordinario” e generale di affidamento sia quello condiviso.

Ne deriva che i genitori devono condividere le scelte fondamentali di vita del minore ed esercitare congiuntamente la responsabilità genitoriale.

Peraltro, se su scelte, come quella del credo religioso, vi è un insolubile conflitto tra i genitori, agli stessi è data la possibilità di dirimerlo richiedendo, ex art. 337, comma 3, c.c. l'intervento del Tribunale che, previa audizione del minore capace di discernimento, assumerà la scelta ritenuta più adeguata alla tutela dell'interesse superiore dello stesso.

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