Revoca dell'assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne con lavoro a tempo determinato1. Bussole di inquadramentoIndipendenza economica e maggiore età In linea di principio i figli hanno diritto di essere mantenuti da entrambi i genitori. Il dovere di mantenimento non cessa con l'intervenuto raggiungimento della maggiore età dei figli ma prosegue sino al raggiungimento della loro autosufficienza economica, sebbene la Corte di cassazione abbia, nelle pronunce più recenti, affermato che la maggiore età è idonea a far presumere, salva prova contraria, l'indipendenza economica (Cass. I, n. 17183/2020). Le relative questioni sono particolarmente delicate nel contesto attuale del diritto del lavoro, nel quale è difficile, nel declino del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato rispetto ad altre forme contrattuali, stabilire se l'indipendenza economica raggiunta dal figlio è o meno definitiva. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quali sono i criteri valutativi ai fini della cessazione dell'obbligo di mantenimento in favore del figlio maggiorenne che abbia iniziato ad espletare un'attività lavorativa?
Orientamento prevalente della Corte di Cassazione Il reperimento di un lavoro, con il raggiungimento di un'adeguata capacità lavorativa e di un'autosufficienza economica, seppure temporanea Il raggiungimento dell'indipendenza economica da parte del figlio maggiorenne, pur gravando l'onere della prova contraria sullo stesso almeno in linea con la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. I, 17183/2020, cit.), non è un presupposto integrato dall'inizio di una qualsivoglia attività lavorativa. Ad esempio, secondo la S.C. deve escludersi il venir meno dell'obbligo contributivo qualora il figlio sia occupato come apprendista, in quanto il contenuto dello speciale rapporto di apprendistato si distingue da un ordinario rapporto di lavoro subordinato, soprattutto con riguardo alla retribuzione. In sostanza, la cessazione dell'obbligo contributivo può essere ancorata solo alla percezione, da parte del figlio, di un reddito tale, per entità e durata, da poter far ritenere che abbia raggiunto l'indipendenza economica (Cass. I, n. 407/2007). Tuttavia, non può di contro pretendersi, secondo la stessa giurisprudenza di legittimità, che ai fini della cessazione dell'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne quest'ultimo debba aver conseguito una indipendenza economica “eterna”. Pertanto, se il figlio ha iniziato a svolgere un'attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento ad opera del genitore, l'eventuale perdita dell'occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell'obbligo del genitore al mantenimento (Cass. VI, n. 6509/2017; conf. Trib. Perugia, sez. I, 1° giugno 2020). Così, raggiunta l'autosufficienza economica, la cessazione del rapporto di lavoro, peraltro unitamente ad una acquisita capacità di lavoro specifica “spendibile” sul mercato, non comporta la reviviscenza del diritto al mantenimento in capo al figlio maggiorenne. Il diritto al mantenimento del figlio, infatti, si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione che tenga conto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, nella misura in cui siano compatibili con le condizioni economiche della famiglia. Pertanto, una volta acquisita una capacità lavorativa ed un'autosufficienza economica seppure temporanea, il diritto cessa di esistere, a meno che non si dimostri che il percorso formativo non sia stato ultimato, perché, ad esempio, trattasi di uno studente che ha svolto un lavoro occasionale per contribuire in prima persona al proprio sostentamento, acquisendo medio tempore una capacità lavorativa che tuttavia non è espressione del culmine di un percorso formativo che tenga conto delle proprie aspirazioni (cfr. Cass., n. 13354/2017). In definitiva, la cessazione dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere valutata caso per caso, atteso che il diritto del figlio al mantenimento durante gli studi si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori (Cass., n. 17183/2020). In ogni caso, le circostanze che giustificano il permanere dell'obbligo dei genitori di mantenere il figlio maggiorenne non autosufficiente economicamente vanno valutate secondo criteri il cui rigore aumenta in relazione all'età crescente del richiedente (Cass., n. 19135/2019). La condizione di chi, dopo aver raggiunto un'autosufficienza economica, si trovi a perdere il lavoro e dunque le risorse di cui vivere, anche per la cessazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato, al più può assurgere a presupposto del diritto agli alimenti, che tuttavia si fonda su presupposti del tutto differenti (cfr. Cass., n. 1585/2014, per la quale deve escludersi una reviviscenza dell'obbligo contributivo in favore del figlio maggiorenne ove questi abbia iniziato ad espletare un'attività lavorativa dimostrando quindi, il raggiungimento di una adeguata capacità, senza che possa rilevare al sopravvenienza di circostanze ulteriori che, pur determinando l'effetto di renderlo momentaneamente privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento, i cui presupposti erano già venuti meno; in termini analoghi v., in sede applicativa, Trib. Cuneo I, 28 gennaio 2021, n. 74). Tuttavia, come ha da ultimo riconosciuto la S.C., nel procedimento di revisione delle condizioni dell'assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne, promosso dal genitore divorziato per ottenere l'esonero dal relativo obbligo, la richiesta di alimenti da parte del figlio costituisce un minus necessariamente ricompreso in quella, dal medesimo avanzata in via riconvenzionale, di aumento dell'importo dell'assegno di mantenimento, con la conseguenza che essa non costituisce domanda nuova, vietata in sede di reclamo (Cass. n. 15437/2021).
Domanda
Se il genitore onerato chiede la riduzione dell'assegno, il figlio è legittimato ad intervenire nel giudizio?
È consentito l'intervento ad adiuvandum del figlio nella causa tra i genitori Il figlio maggiorenne può intervenire ex art. 105 c.p.c. nel giudizio instaurato dal genitore onerato nei confronti dell'altro per la riduzione o la revoca del contributo in proprio favore, essendo titolare di una situazione giuridica soggettiva che ne connota un'autonoma legittimazione ad agire e contraddire. Ritenuto che l'interveniente in un giudizio civile tra altri soggetti è legittimato ad intervenire qualora la domanda da lui avanzata presenti una connessione od un collegamento con le domande delle altre parti relativamente allo stesso oggetto sostanziale, tali da giustificare un simultaneo processo, può il figlio maggiorenne, avente diritto al mantenimento, intervenire nel giudizio di separazione personale instaurato contro il proprio genitore dalla moglie di quest'ultimo, che chieda al coniuge anche un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne con lei convivente (Cass. I, n. 4296/2012). 3. Azioni processualiFunzione e natura del giudizio L'art. 337-quinquies c.c. stabilisce che I genitori in ogni tempo possono chiedere la revisione delle disposizioni riguardanti I figli, l'attribuzione dell'esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura ed alla modalità del contributo. In particolare, l'istanza di revisione può essere presentata ove sopravvengano nuove circostanze, sia nel corso del giudizio di separazione o di quello di divorzio che, successivamente alla conclusione degli stessi, rispettivamente con ricorso ex art. 473-bis.29 c.p.c. Il giudizio avrà la finalità di accertare, nel caso, il raggiungimento dell'indipendenza economica del figlio maggiorenne per la revoca (o meno) del contributo economico in favore dello stesso. Aspetti preliminari Negoziazione assistita Ai sensi dell'art. 6, comma 1, del d.l. n. 132/2014, conv. in l. n. 162/2014, la convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra coniugi anche al fine di raggiungere una soluzione consensuale in ordine alla modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Opera anche in questa ipotesi la “biforcazione” del procedimento a seconda della presenza di figli dei coniugi da tutelare prevista dal capoverso del predetto art. 6. Invero, in mancanza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della l. n. 104/1992, ovvero economicamente non autosufficienti, l'accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita è trasmesso al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente il quale, quando non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nullaosta per gli adempimenti ai sensi del comma 3. Diversamente, in presenza di figli minori, di figli maggiorenni privi di indipendenza economica o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l'accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita deve essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, quando ritiene che l'accordo risponde all'interesse dei figli, lo autorizza. Quando ritiene che l'accordo non risponde all'interesse dei figli, il procuratore della Repubblica lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. All'accordo autorizzato si applica il comma 3. A partire dal 22 giugno 2022, per effetto dell'entrata in vigore delle norme immediatamente operative contemplate dalla l. n. 206/2021, la procedura di negoziazione assistita potrà essere utilizzata anche nei procedimenti di modifica delle condizioni di affidamento dei figli di una coppia non coniugata. La S.C. ha chiarito, peraltro, che, in tema di regime economico in favore della prole, in conseguenza della crisi familiare, la misura del contributo per il mantenimento dei figli minorenni, determinata in seno alla convenzione di negoziazione assistita per la soluzione consensuale del divorzio ex art. 6, comma 3, del d.l. n. 132 del 2014, conv., con modif., dalla l. n. 162 del 2014, è suscettibile di essere modificata, ai sensi dell'art. 337-quinquies c.c., in presenza degli stessi presupposti previsti per il caso in cui l'assegno sia stato determinato in sede giurisdizionale, poiché l'accordo produce gli effetti dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, sicché, per la modifica del contributo, è necessario che sia sopravvenuto un mutamento delle condizioni economiche dei genitori, idoneo a variare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con la convenzione (Cass. I, n. 19388/2024). Competenza Poiché viene in rilievo una modifica relativa al mantenimento dei figli maggiorenni, resta ferma la regola per la quale la competenza a decidere su tutte le istanze di modifica e revoca dei provvedimenti in materia di separazione o divorzio, quando non è pendente la causa, spetta per materia al tribunale in composizione collegiale mentre, quanto alla competenza per territorio, operano i criteri generalidegli artt. 18 e 20 c.p.c. (Cass. I, n. 22394/2008). Pertanto, il procedimento può essere incardinato sia ex art. 18 c.p.c. di fronte al tribunale del luogo di residenza del coniuge convenuto sia, ai sensi dell'art. 20 c.p.c., dinanzi al tribunale che ha pronunciato la sentenza di separazione o divorzio o ha omologato la stessa, da intendersi quale luogo in cui l'obbligazione è sorta (Cass. I, n. 8016/2013). Legittimazione La legittimazione attiva a proporre il ricorso spetta al genitore obbligato al versamento del contributo in favore del figlio maggiorenne del quale assume ormai raggiunta l'indipendenza economica. La legittimazione passiva compete al coniuge nei confronti del quale è stato disposto il versamento del contributo per il figlio maggiorenne (salvo che fosse già stato precedentemente disposto il versamento diretto dello stesso in favore del figlio, su richiesta giudiziale di quest'ultimo). Profili di merito Onere della prova Almeno secondo la giurisprudenza di legittimità più recente il raggiungimento della maggiore età determina una sorta di inversione dell'onere probatorio, nel senso che, a fronte della richiesta di revoca del contributo da parte del genitore, dovrà essere il figlio a dimostrare la permanente sussistenza dei relativi presupposti, ossia l'attualità, frutto di non incolpevole inerzia, della mancanza di autosufficienza economica. Nell'ipotesi, quindi, in cui il genitore ricorrente dimostri che il figlio maggiorenne abbia un'occupazione, anche se a tempo determinato o part-time, spetterà al convenuto (di solito l'ex coniuge, salvo l'intervento ex art. 105 c.p.c. del figlio maggiorenne) provare che tale circostanza non ha determinato il raggiungimento dell'indipendenza economica da parte dello stesso. Contenuto del ricorso Il ricorso deve contenere le generalità del ricorrente e del suo difensore, compresa l'indicazione del codice fiscale di entrambi, e del numero di fax e di posta elettronica certificata del difensore presso cui la parte deve eleggere domicilio, nel Comune ove ha sede il giudice adito, conferendogli con atto separato la procura alla lite, la quale, va sottoscritta dal ricorrente e dal difensore che deve autenticarne la sottoscrizione. Nel ricorso, prima della formulazione delle conclusioni, nelle quali l'istante chiede la revoca del contributo di mantenimento in favore del figlio in quanto il lavoro, pur a tempo determinato, gli ha dato un'autosufficienza economica, occorre e, se possibile, documentare i fatti posti a fondamento della richiesta. Richieste istruttorie Nell'ipotesi di contestazione circa l'avvenuto inizio di un'attività lavorativa da parte del figlio, il ricorrente potrà chiedere al giudice l'emanazione di un ordine di esibizione della relativa documentazione tanto nei confronti dell'ex coniuge resistente che del datore di lavoro del figlio. 4. ConclusioniL'obbligo di mantenimento dei figli non cessa quando gli stessi diventano maggiorenni bensì quando conseguono l'indipendenza economica (o si dimostri che non l'abbiano conseguita per propria responsabilità). Spetta ad entrambi i genitori, in proporzione ai propri redditi, consentire che il figlio possa completare adeguatamente il proprio percorso formativo, anche universitario ed eventualmente post-universitario. Se il figlio inizia a lavorare, anche se con un contratto a tempo determinato, di norma cessano i presupposti per il versamento del contributo di mantenimento in suo favore avendo lo stesso dimostrato di poter svolgere un'occupazione adeguatamente retribuita. Qualora il figlio non lavori più, anche per il decorso del termine previsto nel contratto di lavoro, in attesa del reperimento di una nuova occupazione, potrebbe chiedere ed ottenere dai genitori gli alimenti, ove ricorrano, beninteso, i differenti e rigorosi presupposti indicati dagli artt. 433 ss. c.c. |