Risarcimento dei danni in favore del genitore “alienato” e del minore affetto da sindrome da alienazione parentale

Rosaria Giordano

1. Bussole di inquadramento

Il risarcimento dei danni in favore delle vittime della condotta alienante

L'art. 709-ter c.p.c. prevede che, nell'ipotesi di violazioni afferenti obblighi (v. Corte cost. n. 145/2020) dei genitori nei confronti della prole per come indicati nei provvedimenti relativi all'affidamento, può essere proposto un ricorso volto tanto alla modifica degli stessi che alla comminazione nei confronti del genitore inadempiente di un ammonimento, di un risarcimento dei danni per i figli e il genitore resistente, una sanzione amministrativa.

Questa situazione può verificarsi quando il genitore collocatario violi sistematicamente, mediante condotte ostruzionistiche e talvolta “malevole”, il diritto dell'altro genitore, impedendo a quest'ultimo di frequentare con continuità la prole in omaggio al principio di bigenitorialità.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quali provvedimenti possono essere assunti verso il genitore alienante?

Orientamento di merito

Il genitore alienante può essere condannato al risarcimento del danno

Il diritto alla bigenitorialità è un diritto imprescindibile e fondamentale per una crescita psicosomatica della prole serena ed equilibrata e la sua violazione provoca gravi danni alla personalità del minore privato da significativi e costanti rapporti con entrambe le figure genitoriali. Nella giurisprudenza di merito è stato così affermato che l'art. 709-ter c.p.c., per la risoluzione di conflitti tra i genitori circa le modalità di affidamento, attribuisce all'autorità giudiziaria la facoltà, in presenza di gravi inadempienze, o comunque di atti che arrechino danno al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, non solo di modificare i provvedimenti in vigore e/o di ammonire il genitore inottemperante, ma anche di adottare congiuntamente provvedimenti sanzionatori a carico del genitore inadempiente, tra i quali appunto il risarcimento dei danni nei confronti del minore e nei confronti dell'altro genitore (Trib. Cosenza II, 18 ottobre 2017, n. 2044).

Il genitore alienante può essere condannato al pagamento di una sanzione amministrativa

In una fattispecie nella quale il collegio aveva accertato che la moglie aveva volontariamente indotto il figlio ad avversare il padre, così determinando l'insorgere nel figlio della sindrome di alienazione parentale, è stato disposta a carico della stessa una sanzione amministrativa ex art. 709-ter, comma 2, n. 4, c.p.c. (Trib. Messina I, 5 aprile 2007, n. 59).

Domanda
È necessario che le condotte alienanti siano dolose?

I comportamenti volti a neutralizzare la figura dell'altro genitore possono essere fondati anche sulla sola colpa

Il termine “alienazione genitoriale” non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, bensì un insieme di comportamenti posti in essere dal collocatario per emarginare e neutralizzare l'altra figura genitoriale: tali condotte non abbisognano dell'elemento psicologico del dolo, essendo sufficiente la colpa o la radice anche patologica delle condotte medesime (Trib. Milano IX, 11 marzo 2017).

Domanda
In presenza di condotte alienanti può essere disposto l'affidamento della prole ad un soggetto terzo?

È opportuno affidare il minore ad un ente terzo nell'ipotesi di PAS derivante da elevata conflittualità della coppia parentale

Qualora la coppia coniugale e genitoriale sia caratterizzata da un funzionamento gravissimamente disfunzionale del tipo “vittima/carnefice” e da altrettante disfunzionali separazioni/riappacificazioni, si impone l'affidamento dei figli ad un ente terzo, non apparendo ognuno dei coniugi/genitori in alcun modo idoneo all'esercizio della responsabilità genitoriale: in questo “caos”, il giudice può rimettere ai Servizi sociali l'adozione di ogni formale decisione finale — nel caso di insanabile contrasto tra i genitori sul punto e previa la sola mera consultazione degli stessi — in merito alle scelte più importanti (Trib. Milano IX, 16 giugno 2015).

3. Azioni processuali

Funzione e natura del giudizio

Il principio della bi-genitorialità tutela il diritto del minore a ricevere apporto affettivo e risorse di mantenimento da entrambi i genitori ed a mantenere con ciascuno di essi un rapporto stabile. Tale principio si estrinseca, nel regime da valutare in via prioritaria, nell'ipotesi di crisi del rapporto tra i genitori, dell'affidamento condiviso che si sostanzia nell'esercizio congiunto della responsabilità genitoriale anche nell'ipotesi in cui sia venuto meno il rapporto affettivo tra i genitori del minore.

L'art. 709-ter c.p.c. è una disposizione volta a realizzare questi obiettivi, non di rado compromessi nella pratica da condotte emulative o colpevoli di uno dei genitori, prevedendo l'intervento dell'autorità giudiziaria per la soluzione delle controversie sorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o sulle modalità di affidamento. Questo intervento può condurre sia alla modifica delle condizioni esistenti, sia all'emanazione di misure, anche di carattere risarcitorio e sanzionatorio, nei confronti del genitore inadempiente.

Sull'ambito applicativo dell'art. 709-ter c.p.c., incideranno nel prossimo futuro le modalità con le quali il Governo eserciterà la delega contenuta nell'art. 1, comma 23, lett. mm), della l. n. 206/2021, nella parte in cui è demandato allo stesso di «procedere al riordino della disciplina di cui all'art. 709-ter c.p.c., con possibilità di adottare anche d'ufficio, previa instaurazione del contraddittorio, provvedimenti ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c. in caso di inadempimento agli obblighi di fare e di non fare anche quando relativi ai minori».

Aspetti preliminari

Competenza

Nella formulazione attuale l'art. 709-ter c.p.c. detta due regole di competenza nel comma 1, distinguendo, in particolare, tra l'ipotesi in cui sia in corso il procedimento di separazione o divorzio tra i coniugi, in relazione alle quali sussiste la competenza del giudice del procedimento (in arg., Trib. Milano IX, 9 gennaio 2018) quella in cui detto procedimento si sia già concluso, rispetto alla quale viene invece prevista la competenza del tribunale del luogo di residenza del minore.

Diversi problemi interpretativi sono peraltro sorti rispetto ad entrambi i criteri di collegamento della competenza ora richiamati.

Con specifico riguardo all'ipotesi in cui la controversia tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o alle modalità di affidamento dei figli sia sorta nel corso del giudizio principale di separazione o di divorzio, sorge l'interrogativo, attesa la collegialità delle cause di famiglia, se anche le controversie di cui alla norma in commento debbano essere decise dal collegio o se la definizione delle stesse sia demandata al giudice istruttore.

Sin dall'inizio, anche in sede applicativa, si sono “scontrate” le posizioni per le quali l'esigenza di ottenere una decisione in tempi brevi dovrebbe comportare che la relativa decisione venga demandata al giudice istruttore (Trib. Messina 5 aprile 2007), e l'orientamento secondo cui, poiché la controversia sull'esercizio della potestà genitoriale o le modalità di affidamento della prole costituisce un sub-procedimento nell'ambito del giudizio principale, la stessa deve essere decisa dal collegio (Trib. Pisa 17 dicembre 2007 e Trib.Napoli 29 novembre 2007).

Secondo una tesi “intermedia” la competenza spetta al giudice istruttore se la causa non è ancora nella fase decisoria ed al collegio quando la causa è in tale fase (v., tra le altre, Trib. Bologna 15 ottobre 2007; Trib. Termini Imerese 12 luglio 2006; Trib. Modena 29 gennaio 2007).

Come evidenziato, invece, per i procedimenti di cui all'art. 710 c.p.c., incardinati quando non è più in corso la controversia sullo scioglimento o attenuazione del vincolo coniugale, è competente il tribunale del luogo di residenza del minore.

Sul punto si segnala una decisione di merito per la quale il comma 1 della disposizione in esame, applicabile ai procedimenti di revisione delle condizioni di divorzio per effetto dell'art. 9 l. n. 898/1970, nella parte in cui prevede la competenza del tribunale del luogo in cui il minore abbia la residenza deve essere interpretata nel senso che tale criterio di competenza valga anche laddove la sentenza di divorzio non sia ancora passata in giudicato per non essere ancora decorso il termine lungo o breve di impugnazione (Trib. Busto Arsizio 26 gennaio 2010).

Tale regola di competenza deroga a quella di cui all'art. 18 c.p.c., norma che la giurisprudenza ritiene generalmente applicabile ai procedimenti instaurati ai sensi dell'art. 710 c.p.c.

In astratto nessun problema di interferenza e quindi sulla competenza dovrebbe porsi in quanto dovrà ricorrersi al procedimento di cui all'art. 710 c.p.c. onde ottenere la revisione delle disposizioni sull'affidamento dei figli e l'attribuzione e l'esercizio della potestà genitoriale sugli stessi, mentre differenti sono le controversie per le quali possono essere richiesti provvedimenti ai sensi della norma in commento.

Sotto altro profilo, potrebbe porsi un problema di riparto di competenza tra il tribunale ordinario e quello per i minorenni.

Con riferimento alla formulazione dell'art. 38 disp. att c.c., applicabile sino al prossimo 22 giugno 2022 (v. infra), la S.C. ha ritenuto che la norma (come modificato dall'art. 3, comma 1, l. n. 219/2012, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall'1 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i procedimenti di limitazione e decadenza dalla potestà genitoriale di cui agli artt. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello (Cass. n. 1349/2015).

In sede applicativa, con riferimento alle «interferenze» con l'art. 709-ter c.p.c., si è evidenziato che la disciplina dell'art. 709-ter c.p.c. attiene alle questioni inerenti all'attuazione dei provvedimenti relativi ai figli, in materia di affidamento ed esercizio della responsabilità genitoriale, ossia a un ambito diverso rispetto a quello relativo ai provvedimenti de potestate di cui agli artt. 330 e 333 c.c., sicché pendenti i giudizi di separazione, divorzio, nullità del matrimonio, della regolamentazione dei rapporti relativi ai figli di genitori non coniugati, la competenza, per i casi di gravi inadempienze o atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, è sempre quella del giudice del tribunale ordinario e, peraltro, rimane ferma la competenza del Tribunale ordinario per i provvedimenti ex art. 709-ter c.p.c. anche quando la sentenza di separazione e divorzio sia passata in giudicato (Trib. min. Potenza 13 marzo 2017).

Su questi aspetti è intervenuto il legislatore con la l. n. 206/2021, che ha modificato l'art. 38 disp. att. c.c., disciplinando espressamente (e opportunamente) quelle ipotesi, non infrequenti, nelle quali il ricorso ex art. 709-ter c.p.c. venga proposto in pendenza o poco prima di un giudizio di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale dinanzi al Tribunale per i minorenni.

Più in particolare, l'art. 1, comma 28, di tale l. n. 206/2021, in vigore dal 24 dicembre 2021, – con una disposizione che troverà immediata applicazione per i procedimenti promossi 180 giorni dopo l'entrata in vigore della stessa legge (ossia dal 22 giugno 2022) prevede una modifica del predetto art. 38 disp. att. c.p.c. nel senso di attribuire al tribunale per i minorenni la competenza per il ricorso disciplinato dall'art. 709-ter c.p.c. quando è già pendente o instaurato successivamente, tra le stesse parti, uno dei procedimenti rimessi alla competenza dello stesso tribunale, previsti dagli artt. 330,332,333,334 e 335 c.c.

La norma specifica che qualora sia già pendente (al momento dell'instaurazione dei procedimenti dinanzi al tribunale per i minorenni volti ad incidere sulla responsabilità genitoriale) o venga instaurato un autonomo procedimento ai sensi dell'art. 709-ter dinanzi al tribunale ordinario, quest'ultimo, d'ufficio o a istanza di parte, adotta senza indugio tutti gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse del minore e trasmette gli atti al tribunale per i minorenni, di fronte al quale il procedimento, previa riunione, continua.

Si precisa, poi, che i provvedimenti adottati dal tribunale ordinario conservano la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati, con provvedimento emesso dal tribunale per i minorenni.

Legittimazione

La legittimazione attiva a proporre il ricorso è rimessa al genitore che insta per il risarcimento del danno (ossia il genitore c.d. alienato).

Profili di merito

Onere della prova

Il genitore che propone il ricorso ex art. 709-ter c.p.c. è tenuto a dimostrare puntualmente i fatti costitutivi della propria domanda, ossia, nella fattispecie in esame, che le condotte del genitore collocatario abbiano finito con il determinare un'alienazione del minore che abbia a propria volta determinato, seguendo le regole canoniche della responsabilità aquiliana, un danno risarcibile in favore del genitore e/o del figlio.

L'art. 1, comma 33, della già richiamata l. n. 206/2021 prevede, con disposizione immediatamente precettiva – destinata ad applicarsi ai procedimenti promossi 180 giorni dopo l'entrata in vigore della stessa legge (ossia dal 22 giugno 2022) – la sostituzione del secondo comma n. 3 dell'art. 709-ter c.p.c. con la previsione secondo cui il giudice nel disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori a carico dell'altro può individuare anche la somma giornaliera dovuta per ciascun giorno di violazione o di inosservanza dei provvedimenti assunti dal giudice. In detta ipotesi, il provvedimento del giudice costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza ai sensi dell'articolo 614-bis c.p.c.

Contenuto del ricorso

Il ricorso, che segue le forme di quello introduttivo dei procedimenti in camera di consiglio ex art. 737 c.p.c., deve – salvo che sia proposto nel corso di un giudizio “principale” di separazione o di divorzio – contenere le generalità del ricorrente e del suo difensore, compresa l'indicazione del codice fiscale di entrambi, e del numero di fax e di posta elettronica certificata del difensore presso cui la parte deve eleggere domicilio, nel Comune ove ha sede il giudice adito, conferendogli con atto separato la procura alla lite, la quale, va sottoscritta dal ricorrente e dal difensore che deve autenticarne la sottoscrizione.

Nel ricorso, prima della formulazione delle conclusioni, occorre specificare le ragioni poste a fondamento della stessa. Potranno essere a tal fine dedotte (e provate) condotte alienanti del genitore collocatario volte alla marginalizzazione nella vita del minore dell'altro genitore.

Richieste istruttorie

Trattandosi di un procedimento camerale, il giudice può disporre mezzi di prova anche d'ufficio.

Di solito è richiesta dal ricorrente una consulenza tecnica psicologica volta a dimostrare che il minore è affetto dalla (discussa già sul piano scientifico) sindrome da alienazione parentale.

Come ha chiarito la Corte di cassazione saranno inoltre necessari approfondimenti ulteriori svolti direttamente dall'autorità giudiziaria, quale, in primis e soprattutto, l'audizione del minore capace di discernimento.

4. Conclusioni

Sin dalla riforma del diritto di famiglia realizzata dalla l. n. 54/2006, il principio di bigenitorialità, e quindi il diritto del minore a continuare ad avere un rapporto equilibrato e armonioso con entrambi i genitori nonostante l'avvenuta disgregazione della coppia parentale, comporta che il regime “ordinario” e generale di affidamento sia quello condiviso.

L'art. 709-ter c.p.c. è una disposizione volta a realizzare questi obiettivi, spesso compromessi nella pratica da condotte emulative o colpevoli di uno dei genitori, prevedendo l'intervento dell'autorità giudiziaria per la soluzione delle controversie sorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o sulle modalità di affidamento. Questo intervento può condurre sia alla modifica delle condizioni esistenti, sia all'emanazione di misure, anche di carattere risarcitorio e sanzionatorio, nei confronti del genitore inadempiente.

Tali misure coercitive, e in particolare il risarcimento del danno, possono essere richieste, secondo la giurisprudenza di merito, anche a fronte dell'accertamento a carico della prole di una sindrome da alienazione parentale rispetto al genitore non collocatario.

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