Responsabile l'avvocato che trattiene il denaro ricevuto in nome e per conto del cliente

Redazione Scientifica
22 Aprile 2022

«L'avvocato che si appropri dell'importo dell'assegno emesso a favore del proprio assistito dalla controparte soccombente in un giudizio civile, omettendo di informare il cliente dell'esito del processo che lo aveva visto vittorioso e di restituirgli le somme di sua pertinenza, pone in essere una condotta connotata dalla continuità della violazione deontologica, destinata a protrarsi fino alla messa a disposizione del cliente delle somme di sua spettanza».

Un avvocato ricorre in Cassazione, impugnando la pronuncia del CNF, deducendo di non essere responsabile per aver trattenuto direttamente le somme dovutegli da parte dei suoi clienti, in quanto autorizzato specificatamente da quest'ultimi.

La doglianza è, però, infondata.

In base all'art. 31 del Codice deontologico forense, «l'avvocato è tenuto a mettere immediatamente a disposizione della parte assistita le somme, riscosse per conto di questa, che possono essere oggetto di lecita compensazione solo in presenza di preventivo ed inequivoco consenso prestato dal cliente». Nel caso di specie, il CNF avrebbe quindi osservato che «l'illiceità disciplinare del comportamento posto in essere dal professionista debba essere valutata solo in relazione alla sua idoneità a ledere la dignità e il decoro professionale, indipendentemente dal rilievo che tali comportamenti assumano sul piano civile o penale».

Inoltre, in materia di responsabilità disciplinare degli avvocati, «le norme del codice disciplinare forense costituiscono fonti normative integrative del precetto legislativo che attribuisce al CNF il potere disciplinare, con funzione di giurisdizione speciale appartenente all'ordinamento generale dello Stato, e come tali sono interpretabili direttamente dalla Corte di legittimità» (Cass. n. 8313/2019, n. 15852/2009).

Anche le Sezioni Unite hanno avuto modo di esprimersi a riguardo, sottolineando come «l'avvocato che si appropri dell'importo dell'assegno emesso a favore del proprio assistito dalla controparte soccombente in un giudizio civile, omettendo di informare il cliente dell'esito del processo che lo aveva visto vittorioso e di restituirgli le somme di sua pertinenza, pone in essere una condotta connotata dalla continuità della violazione deontologica, destinata a protrarsi fino alla messa a disposizione del cliente delle somme di sua spettanza» (Cass. n. 5200/2019).

Per tutti questi motivi la S.C. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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