Mandato di arresto europeo di donna incinta o con prole inferiore a tre anni

26 Aprile 2022

La Corte di Cassazione ha ritenuto necessario l'intervento, in via pregiudiziale, della Corte di giustizia dell'Unione Europea, affinchè precisi l'esatta interpretazione (ed eventuale validità) della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri.

Vengono sottoposte alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, in via pregiudiziale e ai sensi dell'art. 267 TFUE (Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea), due questioni.

1) Se l'art. 1, par. 2 e 3 e gli artt. 3 e 4 della decisione quadro 2002/584/GAI debbano essere interpretati nel senso che non consentono all'autorità giudiziaria dell'esecuzione di rifiutare o comunque differire la consegna della madre con figli minorenni conviventi; 2) se in caso di positiva risposta alla precedente questione le norme citate siano compatibili con artt. 7 e 24, par. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, anche alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo in materia di art. 8 Cedu e delle Costituzioni degli Stati membri, ove impongano, con la consegna, di recidere i rapporti tra madre e figlio minore senza tener conto del best interest of child.

Il caso. L'autorità giudiziaria belga, dopo aver condannato una donna per tratta di esseri umani e agevolazione dell'immigrazione clandestina, emetteva mandato di arresto europeo nei suoi confronti. Questa, al momento dell'arresto, avvenuto il 2 settembre 2021 in Italia, si trovava col figlio minorenne, che veniva affidato ai servizi sociali.

Nondimeno, in ordine a tale richiesta di consegna, la Corte di Appello di Bologna, dopo aver richiesto informazioni circa il trattamento carcerario che la condannata avrebbe subito e alle misure che sarebbero state adottate nei confronti del minore, non riceveva risposta in ordine a tali quesiti e perciò negava la consegna, deducendo di non avere alcuna certezza che nell'ordinamento dello Stato richiedente siano riconosciute modalità di detenzione assimilabili a quelle dello Stato italiano, che tutelino la madre e il rapporto con i figli, e d'altra parte che assicurino ai figli la necessaria assistenza materna costituzionalmente garantita.

Questioni prospettate nei ricorsi. È stato proposto ricorso per Cassazione sia da parte del Procuratore generale presso la Corte di appello che da parte della stessa condannata.

Secondo la Procura generale la sentenza va annullata perché la Corte avrebbe dovuto riproporre la propria richiesta all'Autorità competente a fornire le informazioni richieste.

Secondo l'interessata, invece, il rifiuto alla consegna è connesso alla circostanza che la ricorrente è stata condannata all'esito di un giudizio contumaciale del quale non ha mai avuto conoscenza.

In secondo luogo, perché l'esecuzione della consegna determinerebbe la lesione del diritto alla salute della madre e dell'interesse superiore del minore a non vedere reciso il rapporto con il genitore.

Infine, seppure l'essere madre incinta o di prole inferiore a tre anni non sia uno dei motivi di rifiuto obbligatorio della consegna della condannata, secondo la difesa, dovrebbe essere sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 l. n. 69/2005 in relazione agli artt. 2, 31, 3, e 111 e 10 della Costituzione, in relazione agli artt. 8 Cedu e all'art. 17 della Carta Sociale Europea.

Il ragionamento della Corte. La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha stabilito che, per addivenire alla decisione dei predetti ricorsi, sia necessario l'intervento, in via pregiudiziale, della Corte di giustizia dell'Unione Europea, affinchè precisi l'esatta interpretazione (ed eventuale validità) della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri.

Tale decisione è stata attuata in Italia con la l. 69/2005 che, nella sua formulazione originaria, prevedeva, all'art. 18, venti motivi di “rifiuto della consegna” obbligatori.

Tra i vari motivi era previsto anche che «la Corte di appello rifiuta la consegna … se la persona richiesta è donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente», a meno che le esigenze cautelari, nel caso specifico, non siano di eccezionale gravità.

Orbene, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che tale motivo di rifiuto si applicasse sia nel caso di mandato di arresto esecutivo che di mandato di arresto processuale (Cass. pen., sez. feriale, n. 35286/2008) e che tale divieto andasse esteso anche in materia di estradizione (ex plurimis, Cass. pen., sez. VI, n. 1677/2019).

Intervento della l. n. 117/2019. Con la l. n. 117/2019 è stata conferita delega al Governo al fine di adeguare la normativa nazionale alla decisione quadro 2022/584/GAI, così modificando la l. n. 69/2005.

Ciò si è reso necessario, atteso che la normativa di attuazione introduceva dei motivi di rifiuto ulteriori e del tutto nuovi rispetto a quelli previsti dalla decisione quadro.

Pertanto, la novella ha previsto una differenziazione tra motivi di rifiuto obbligatori e motivi di rifiuto facoltativi, introducendo l'art. 18-bis, riducendo gli stessi da venti a diciassette, e mantenendo quello relativo alla donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni.

Il d.lgs n. 10/2021. Tuttavia, non molto tempo dopo, con il d.lgs. n. 10/2021 sono stati abrogati tutti quei motivi di rifiuto non previsti come obbligatori dalla decisione quadro o che comunque, seppure previsti, avevano subito, nella legislazione nazionale una estensione maggiore rispetto a quanto previsto dal diritto dell'Unione.

L'art. 18 l. n. 69/2005 è stato, quindi, sostituito integralmente dall'art. 14 della novella, con la previsione di soli tre motivi di rifiuto della consegna. Si tratta del caso in cui il reato contestato con il mandato di arresto europeo si sia estinto per amnistia in Italia; del caso in cui in Italia, per gli stessi fatti, sia stata emessa sentenza o decreto penale o sentenza di non luogo a procedere definitiva, o quando in uno stato estero sia stata emessa una sentenza di condanna definitiva e la pena sia stata eseguita o sia in corso di esecuzione o non possa essere più eseguita; ed infine, del caso in cui la persona oggetto del mandato di arresto sia minore degli anni 14 al momento della commissione dei fatti.

La nuova normativa è entrata in vigore il 20 febbraio 2021, pertanto, soggiacendo al principio tempus regit actum si applica a tutti i mandati di arresto emessi dopo quella data, come nel caso di specie.

Per tale motivo, dunque, attualmente, la consegna di donna incinta o madre di prole minorenne convivente non può essere rifiutata, atteso che tale motivo non rientra più tra quelli normativamente previsti.

Si tratta di casi inderogabili? Secondo la giurisprudenza, tuttavia, nonostante l'abrogazione della norma suddetta, la consegna di donna incinta o madre di prole minorenne con lei convivente, se disposta senza preliminare verifica circa le modalità di detenzione dello Stato richiedente (che devono essere assimilabili a quelle del nostro ordinamento), potrebbe violare i diritti fondamentali della persona.

Se l'ordinamento dello Stato richiedente, pertanto, non preveda forme di tutela del minore comparabili con quelle previste sia a livello costituzionale che della Cedu, sarebbe lecito il rifiuto della consegna, ai sensi dell'art. 2 l. n. 69/2005, così come riformulato dall'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 10/2021, laddove prevede una prevalenza dei «principi supremi dell'ordine costituzionale o dei diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, dei diritti fondamentali e dei fondamentali principi sanciti dall'art. 6 del trattato sull'Unione europea o dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali».

Il parametro del “best interest of child”. Sulla base di tali premesse, dunque, l'obbligo assoluto di consegna di una madre di prole inferiore ad anni tre in esecuzione di un mandato di arresto europeo si pone in una situazione di conflitto non solo con i principi nazionali, ma anche con quelli europei che tutelano i diritti fondamentali sia della madre che del minore.

A ciò si aggiunga che, sulla scorta del dettato dell'art. 24, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea «in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente».

Tale principio è ribadito dall'art. 3, par. 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo e dall'art. 6, della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli.

Il parametro del best interest of child, dunque, deve sicuramente porsi alla base di qualunque scelta in ordine all'esecuzione di un mandato di arresto europeo, sia che coinvolga in prima persona un minore, sia che interessi la madre di un soggetto minore di anni tre con lei convivente e ciò, a prescindere dal principio di riconoscimento reciproco tra Stati membri.

Per tutte queste ragioni, la Corte ha ritenuto necessario sottoporre la questione alla Corte di Giustizia dell'unione europea nei termini già precisati.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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