Nessuna indennità spetta al conduttore in mancanza del consenso del locatore alla realizzazione delle migliorie alla cosa locata

Katia Mascia
03 Maggio 2022

Il Tribunale di Massa ritiene, da una parte, che il conduttore di un immobile adibito ad uso non abitativo - qualora abbia apportato allo stesso delle migliorie e delle addizioni e queste non siano state preventivamente oggetto di autorizzazione o di consenso da parte del locatore/proprietario - non possa pretendere la restituzione delle somme spese, e, dall'altra, che il locatore/proprietario, qualora non dimostri la dannosità delle opere eseguite nell'immobile dal conduttore, non possa chiederne la rimozione a spese e a cura di questi.
Massima

Il diritto del conduttore a percepire un'indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata presuppone, ex art. 1592 c.c., che le relative opere siano state eseguite con il consenso del locatore, che deve concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà, dalla quale possa desumersi l'esplicita approvazione delle eseguite migliorie.

Il caso

L'attrice adiva il Tribunale di Massa affinchè venisse accertato che il contratto di appalto stipulato nel 1994, nonchè le scritture di proroga dello stesso, presentavano gli elementi tipici del contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo, in misura prevalente rispetto a quello di appalto di servizi. Chiedeva che venisse dichiarata la natura di contratto misto o complesso degli stessi e che gli interventi di ristrutturazione ed ampliamento dell'immobile oggetto di contratto, effettuati dall'attrice subito dopo l'ingresso nello stesso, fossero avvenuti dietro consenso del legale rappresentante della controparte. Inoltre, l'attrice insisteva affinchè le due parti convenute (locatore e proprietario) venissero condannate in solido tra loro, in base a una convenzione esistente tra le stesse, a tenerla indenne, ex art. 1592 c.c., dalle spese sostenute per l'esecuzione dei suddetti miglioramenti.

I convenuti, per ragioni diverse, avanzavano entrambi eccezione di carenza di legittimazione passiva. Uno dei due, poi, avanzava domanda riconvenzionale volta alla rimozione delle opere realizzate dall'attrice, e ritenute abusive, a sua cura e a sue spese.

La questione

Si trattava di verificare se, nel caso in esame, l'attrice avesse diritto ad essere indennizzata per le spese sostenute per le migliorie e le addizioni apportate all'immobile locato o se invece le stesse dovessero essere rimosse a sua cura e a proprie spese.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Massa rigetta, in primo luogo, le eccezioni di carenza di legittimazione passiva avanzate dai due convenuti, potendo - l'azione volta a ripetere le somme spese per i miglioramenti apportati all'immobile - riguardare in astratto sia il concedente/locatore dell'immobile, sia il proprietario dello stesso, anche solo sotto il profilo astratto dell'ingiustificato arricchimento. Respinge la domanda attorea, ritenendola infondata nel merito, nonchè la domanda riconvenzionale avanzata da una delle convenute. Condanna l'attrice al pagamento delle intere spese processuali in favore del convenuto/locatore, compensandole, invece, per due terzi con il convenuto/proprietario, stante la reciproca soccombenza.

Osservazioni

Il Tribunale osserva come il titolo in forza del quale l'attrice ha goduto dell'immobile oggetto di causa e al quale ha apportato miglioramenti non possa classificarsi, sic et simpliciter, né come locazione, né tantomeno appalto, indipendentemente dal nomen juris dato dalle parti. Trattasi di un contratto avente natura mista e atipica, contenente sia aspetti riconducibili all'appalto di servizi, sia alla locazione o, più precisamente, all'affitto di azienda.

A prescindere, tuttavia, dalla qualificazione giuridica del contratto concluso tra le parti il giudice evidenzia due aspetti importanti che portano al rigetto della domanda attorea in quanto infondata. Viene, infatti, rilevato come, nel contratto stipulato nel 1994, sia stato espressamente prevista la possibilità per il concessionario di apportare all'immobile tutte le modifiche ritenute opportune per raggiungere una maggiore funzionalità dell'esercizio e per renderlo idoneo alle disposizioni di legge e amministrative in materia, rinunciando al rimborso e all'indennizzo delle relative spese dalla controparte. Alla luce, quindi, di tale clausola contrattuale, di carattere generale, pienamente legittima e non vessatoria - come previsto anche dalla Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2002, n. 10425) -, si deve escludere il diritto dell'attrice di rivendicare somme spese per le migliorie che essa stessa si era impegnata a non ripetere, ab origine.

Nel corso del tempo, si giunge a formalizzare un contratto di locazione tipico, dando atto di aver definito ogni pendenza relativa al precedente rapporto contrattuale, erroneamente definito appalto, ma avente, in realtà, natura atipica e mista. Si evince, dunque, come non sia possibile avanzare in giudizio ulteriori pretese relative al passato rapporto contrattuale, avendo l'attrice dichiarato espressamente di non avere, rispetto ad esso, più nessuna pretesa da far valere. D'altronde, la stessa attrice non ha fornito alcuna prova dell'esistenza del consenso delle convenute alle migliorie e alle addizioni apportate all'immobile.

Il consenso del proprietario/locatore, importando cognizione dell'entità, anche economica, e della convenienza delle opere, non può mai ritenersi implicito o tacito, dovendo concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà volta ad approvare le eseguite innovazioni, essere adeguatamente informato e avere ad oggetto gli specifici interventi (Cass. civ., sez. III, 6 giugno 2019, n. 15317; App. Roma 15 settembre 2020, n. 4166; Trib. Roma 17 aprile 2020, n. 6239; Trib. Ravenna 18 maggio 2020, n. 358).

Tuttavia, pur prendendo atto del fatto che il consenso ex art. 1592 c.c. debba muovere da una manifestazione “chiara ed inequivoca” di volontà, la giurisprudenza spesso non afferma che debba essere esclusivamente espresso, negando a priori qualunque possibilità che un comportamento concludente possa integrare il requisito previsto dalla norma (così Trib. Potenza 25 giugno 2008, n. 547, per il quale può ritenersi sufficiente una manifestazione tacita mediante fatti concludenti ed un contegno incompatibile con un proposito contrario).

Ad essere precisi, più che parlare di consenso dovrebbe parlarsi di autorizzazione, di permesso o di assenso del locatore all'esecuzione dei miglioramenti. Soltanto in tale ipotesi, infatti, il conduttore ha diritto ad un'indennità per le addizioni e le migliorie apportate alla cosa locata, corrispondente alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna del bene, avuto riguardo anche al valore dell'immobile prima della miglioria. In caso contrario, al conduttore non spetterà alcuna indennità. Le norme contenute negli artt. 1592 e 1593 c.c. non hanno carattere imperativo, potendo essere derogate dalle pattuizioni contenute nel contratto, come stabilito dalla giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 20 giugno 1998, n. 6158; Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 1991, n. 192; Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 1985 n. 1126; Cass. civ., sez. III, 27 aprile 1978, n. 1980).

Personalmente, si ritiene che il problema si sarebbe potuto evitare inserendo nel contratto una clausola secondo la quale l'eventuale mancata risposta da parte del locatore, entro un congruo termine, era da intendersi come consenso all'esecuzione del miglioramento da parte del conduttore o all'indennità, attribuendo quindi al silenzio prestato un significato concludente.

Quando si parla di miglioria, ex art. 1592 c.c., generalmente ci si riferisce ad un intervento che, senza mutare la natura del bene locato, ne comporti un miglioramento oggettivo, qualitativo o quantitativo tale da accrescerne il valore, aumentandone in modo durevole il godimento, la produttività e la redditività (Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2004, n. 13070; Trib. Reggio Calabria 14 gennaio 2003).

Per quanto riguarda, poi, le addizioni, si considerano tali, ai sensi dell'art.1593 c.c., soltanto quegli incrementi, qualitativi o quantitativi, che ineriscono alla cosa locata, lasciandone però integra la struttura fondamentale e l'organizzazione funzionale autonoma. Non può, invece, parlarsi di addizioni quando gli incrementi consistano in alterazioni strutturali intrinseche che abbiano come conseguenza la trasformazione della cosa locata o, addirittura, la perdita dell'autonomia propria del bene, così da realizzare una nuova ed unica entità patrimoniale (Cass. civ., sez. III, 27 agosto 1984, n. 4706).

Il Tribunale di Massa evidenzia come sia difficilmente ipotizzabile un'azione diretta ex artt. 1592 e 1593 c.c. nei confronti del convenuto/proprietario dell'immobile, se non sotto il profilo di un ingiustificato arricchimento, aspetto tuttavia non dedotto nè dimostrato dall'attrice. Pertanto, le osservazioni fatte dal giudice si ritengono valide soltanto per quanto attiene i rapporti tra l'attrice e il locatore.

C'è anche da osservare che, nel caso in cui le predette migliorie e le addizioni comportino un deterioramento della cosa locata, il locatore può chiedere al conduttore il risarcimento del danno in forma specifica mediante l'eliminazione delle stesse. Anche in giurisprudenza si afferma che qualora il conduttore abbia arrecato gravi danni all'immobile locato o abbia compiuto sullo stesso innovazioni non consentite, tali da rendere necessario per l'esecuzione delle opere di ripristino l'esborso di somme di notevole entità, in base all'economia del contratto e tenuto comunque conto delle condizioni delle parti, il locatore può legittimamente rifiutare di ricevere la restituzione del bene finché tali somme non siano state corrisposte dal conduttore, il quale, versando in mora, agli effetti dell'art. 1220 c.c., rimane tenuto altresì al pagamento del corrispettivo convenuto exart. 1591 c.c., quand'anche abbia smesso di servirsi dell'immobile per l'uso convenuto (Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2013, n. 12977; Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2009, n. 7992).

Tale circostanza, tuttavia, non è stata dimostrata dalla convenuta, ragion per cui la domanda riconvenzionale della stessa non merita accoglimento. In giudizio era emerso, inoltre, che il procedimento per sanatoria delle opere realizzate dal conduttore si era perfezionato anni addietro e che a mancare era unicamente il nulla osta dell'allora proprietario, nei cui rapporti giuridici è subentrata l'odierna proprietaria/convenuta.

Riferimenti

Monegat, Nessuna indennità spetta al conduttore per i miglioramenti realizzati nell'immobile locato in assenza di un espresso e chiaro consenso del locatore, in Immob. & proprietà, 2019, fasc. 7, 457;

Monegat, Nessun indennizzo per miglioramenti senza il consenso del locatore, in Immob. & proprietà, 2013, fasc. 11, 659;

Rossi, Il “consenso” del locatore all'indennità per addizioni e miglioramenti nel bene locato, in Obbligaz. e contratti, 2010, fasc. 7, 518;

Barlassina - Felici, Miglioramenti e addizioni: derogabilità del regime legale e tecnica contrattuale, in Immob. & proprietà, 2011, 171.

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