Contraddittorio differito: per la Corte costituzionale la strada da seguire in alcuni casi di esecuzione penale

Claudia Cavaliere
06 Maggio 2022

Con la sentenza n. 74/2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato «non fondate le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 667, comma 4, e 678, comma 1-bis, c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 27, 111 e 117 Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 Cedu, sollevate dal Tribunale di Sorveglianza di Messina».
Massima

Con la sentenza n. 74/2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato «non fondate le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 667, comma 4, e 678, comma 1-bis, c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 27, 111 e 117 Cost., quest'ultimo in relazione all'art.6 Cedu, sollevate dal Tribunale di Sorveglianza di Messina» con le ordinanze n. 78 e 79 del 2021.

Il caso

L'intervento della Corte costituzionale è stato determinato da due ordinanze del Tribunale di Sorveglianza di Messina. La prima trae origine da un'istanza di riabilitazione. La richiesta – conforme alle condizioni previste dall'art. 179 c.p.– avrebbe dovuto essere trattata nella forma semplificata prevista dall'art. 667 comma 4 c.p.p. così come richiamato dall'art. 678 comma 1-bis c.p.p.; ed infatti, sul punto, è citata – nell'ordinanza di remissione – giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui sarebbe irrituale l'immediata trattazione con procedimento a contraddittorio pieno. Seguendo il ragionamento logico-giuridico del Tribunale di Sorveglianza di Messina, nemmeno se si volesse disattendere l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità, conferendo la scelta del rito alla discrezionalità dell'organo procedente, «verrebbero comunque soddisfatte le esigenze sostanziali e processuali sottese ai plurimi profili di incostituzionalità della disciplina impugnata».

Per tale motivo, il Giudice ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione al combinato disposto degli artt. 667, comma 4, e 678, comma 1-bis, c.p.p., «in relazione al […] giudizio di riabilitazione ex artt. 178 e ss. c.p. e 683 c.p.p., nella parte in cui stabilisce che quest'ultimo si svolga obbligatoriamente nelle forme del rito cosiddetto “de plano”, in riferimento agli artt. 24, 27, 111 e 117 Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 Cedu».

La seconda ordinanza di remissione ha ad oggetto, invece, il combinato disposto degli artt. 667, comma 4, e 678, comma 1-bis, c.p.p., nella parte in cui stabilisce che la valutazione giudiziale dell'esito dell'affidamento in prova, anche in casi particolari, ai sensi dell'art. 47, comma 12, l. n. 354/1975, e dell'art. 94, comma 6, d.P.R. n. 309/1990, venga effettuata obbligatoriamente nelle forme del rito cosiddetto de plano, in riferimento agli artt. 3, 27, 111, 117 Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 Cedu.

La questione

È stato affermato che il procedimento semplificato a contraddittorio eventuale e differito – previsto ex art. 667 comma 4 c.p.p. in deroga al disposto di cui all'art. 666 c.p.p., che invece prevede un contraddittorio pieno ed obbligatorio tra le parti – nei giudizi di riabilitazione e di valutazione sull'esito dell'affidamento in prova lede: la funzione rieducativa della pena, il diritto di difesa delle parti, i principi del giusto processo, nonché – in relazione al procedimento di affidamento in prova – il principio di eguaglianza in relazione al diverso regime processuale previsto per giudizi assimilabili per ratio e per contenuto.

In primo luogo, si è ritenuto che il giudizio di riabilitazione impone necessariamente la partecipazione personale dell'interessato ai procedimenti posto che essi «comportano l'accertamento della sua personalità, del suo carattere o del suo stato mentale». Un accertamento che avrebbe duplice natura: di verifica circa la sussistenza di «una buona condotta, intesa come condotta rispettosa delle leggi non solo penali dello Stato laico, osservante dei doveri costituzionali del cittadino, dei principi di convivenza civile» e, contemporaneamente, di prognosi circa la capacità del soggetto di non dedicarsi in futuro ad attività o condotte penalmente rilevanti.

Il rinvio operato dall'art. 678 comma 1-bis c.p.p. con contraddittorio meramente cartolare, ridurrebbe, a parere del Giudice remittente, il lavoro del Giudice ad «un giudizio notarile con rilascio cartaceo di un certificato burocratico di buona condotta».

Ed è in questo modo, infatti che verrebbe compromessa la stessa funzione rieducativa della pena, considerato che il procedimento di riabilitazione interviene quando ormai la pena è stata eseguita (o perlomeno quando sia stata estinta la pena principale) e «si proietta nel settennio successivo», periodo in cui il condannato dovrà astenersi dal compiere altri reati.

Il Giudice a quo, inoltre, ancorando il suo percorso argomentativo alla premessa secondo cui la stessa Consulta ha più volte ribadito la centralità del contraddittorio nel processo penale, riflette sulla inevitabile lesione che tale procedura apporta al diritto di difesa delle parti.

In primo luogo, senza dubbio, dell'imputato il quale si vede privare della possibilità di poter intervenire ed assistere alla formazione della prova, nonché di vedere riconosciuto il proprio percorso riabilitativo. Egli, infatti, subirebbe una “decisione cartolare”, che non potrebbe non condizionare il giudice in caso di opposizione.

Allo stesso modo verrebbero travolti i diritti del difensore, che non potrebbe esercitare il proprio ufficio nell'immediatezza e nell'oralità del contraddittorio, momento fondamentale per l'assunzione dei mezzi di prova; del pubblico ministero, al quale sarebbe negato, in egual modo, la funzione di parte attiva dell'udienza; così come dell'organo giudicante, al quale è negata la possibilità di condurre un esame realistico e concreto sulla personalità del soggetto interessato con il conseguente rischio che la riabilitazione si traduca in una procedura automatizzata e possa finire con il premiare soggetti che, al contrario, risultano ancora oggettivamente pericolosi.

Ed infine, sarebbe violato il potere del «Popolo sovrano, nel cui nome è amministrata la giustizia», di condurre un controllo sulla trasparenza, obiettività, imparzialità e qualità delle decisioni giudiziarie.

È in tale ottica, inoltre, che il Tribunale di Sorveglianza di Messina ha sollevato questione di legittimità costituzionale, con ordinanza n. 79 del 2021, anche in merito al combinato disposto degli artt. 667, comma 4, e 678, comma 1-bis, c.p.p., nella parte in cui stabilisce che la valutazione giudiziale dell'esito dell'affidamento in prova, anche in casi particolari, ai sensi dell'art. 47, comma 12, l. n. 354/1975, e dell'art. 94, comma 6, d.P.R. n. 309/1990, venga effettuata obbligatoriamente nelle forme del rito cosiddetto “de plano”, in riferimento agli artt. 3, 27, 111, 117 Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 Cedu.

Nel caso di specie, il giudice era stato investito della decisione sull'esito di un affidamento in prova «cosiddetto “terapeutico”, disposto nei confronti di un soggetto presso una comunità per tossicodipendenti. Richiamando per relationem i “plurimi profili di incostituzionalità […] illustrati nella coeva e analoga ordinanza di rimessione”, si aggiunge che, con particolare riferimento alla valutazione dell'esito dell'affidamento in prova, vi sono altri elementi che sottolineano l'illegittimità costituzionale dell'esclusione “coatta” delle garanzie processuali della partecipazione personale ab initio del soggetto interessato e delle parti processuali al giudizio e della pienezza del contraddittorio».

Si osserva, in primo luogo, che il giudizio ha ad oggetto, inevitabilmente, la libertà personale dell'interessato posto che«l'esito positivo dell'affidamento in prova avrebbe un'efficacia simil-riabilitativa, estinguendo la pena principale e ogni altro effetto penale della condanna, ma, per converso, il suo esito negativo determinerebbe immediati effetti carceratori, con ripercussioni traumatiche nella sfera giuridica e personale del condannato».

In particolare si traccia un parallelo tra la decisione di revoca della misura e la declaratoria di estinzione ex art. 93 d.P.R. n. 309/90. Si evidenzia, nello specifico, che vi sarebbe una differenza di trattamento tra il soggetto che viene ammesso all'affidamento in prova (misura subordinata ad un contraddittorio de plano) e colui che è destinatario della decisione di revoca della misura o ex art. 93 d.P.R. n.309/90 (con le quali invece viene assicurato un contraddittorio effettivo).

Analogamente al procedimento di riabilitazione, verrebbe nuovamente impedito un giudizio effettivo e concreto circa la personalità del soggetto tossicodipendente con innegabili effetti sulla conseguente prognosi rieducativa che, dovrebbe presupporre, sempre, un contraddittorio pieno ed immediato.

Le soluzioni giuridiche

La Corte chiarisce, preliminarmente, che con l'introduzione della normativa di cui all'art. 678 c.p.p., avvenuta con l'art. 1, comma 1, lett. c), d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, il Legislatore ha ritenuto di dare esecuzione alle proposte già avanzate dalla Commissione mista per lo studio dei problemi della Magistratura di Sorveglianza, istituita su iniziativa del Ministero della Giustizia e del Consiglio Superiore della Magistratura.

Afferma la Corte, infatti, che è proprio nel rispetto del principio della ragionevole durata dei processi – sancito dall'art. 111, comma 2, Cost. e dall'art. 6, paragrafo 1, Cedu – che si è inteso riconoscere l'efficacia e la validità dei procedimenti che consentano un'accelerazione dei tempi processuali.

Del resto è noto che il numero delle pendenze dei giudizi penali, anche in fase esecutiva, impedisce di fornire risposte di giustizia in tempi adeguati, a danno non solo degli imputati e dei condannati, ma anche delle vittime e dell'intera collettività.

Sottolinea la Corte «Il giudizio di sorveglianza è, oggi, notoriamente afflitto da endemici ritardi nella gestione dei carichi processuali: dall'inizio della vicenda esecutiva – ove si registrano pressoché ovunque lunghissimi tempi di smaltimento delle istanze di misure alternative successive alla sospensione dell'ordine di esecuzione della pena ex art. 656, comma 5, c.p.p., con conseguente mantenimento di persone condannate in via definitiva in uno stato di “limbo” giuridico destinato, a volte, a durare anni prima che l'esecuzione della pena abbia in concreto inizio, all'interno o all'esterno del carcere –; sino alle battute finali dell'esecuzione penale, nel cui ambito si collocano i provvedimenti relativi alla riabilitazione e alla valutazione dell'esito dell'affidamento in prova, oggetto delle questioni ora all'esame di questa Corte.».

La Corte esclude, poi, il rischio che ciò possa indurre a ritenere che si tratti di una logica di «efficientismo giudiziario», come ritiene il Giudice remittente, affermando che, al contrario, tale soluzione costituisce l'adempimento di un dovere costituzionale. «La ragionevole durata è un connotato identitario della giustizia del processo.»

Né può ritenersi che un contraddittorio eventuale possa essere lesivo del diritto di difesa, costituzionalmente garantito.

In particolare la stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale ha, in altre pronunce, considerato in linea con gli artt. 24, comma 2, e 111 Cost. i procedimenti a contraddittorio eventuale e differito, nei quali una prima fase, senza formalità, è seguita da una successiva fase a contraddittorio pieno (sentenza n. 279/2019 e ordinanza n. 255/2009 – entrambe relative al procedimento di cui all'art. 667, comma 4, c.p.p. in questa sede censurato –, nonché, in relazione a diversi procedimenti a contraddittorio eventuale e differito, sentenza n. 245/2020; ordinanze n. 291/2005, n. 352/2003 e n. 8/2003).

A ciò aggiungasi che, come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità, le ordinanze emesse de plano ai sensi dell'art. 667, comma 4, c.p.p., non sono immediatamente esecutive e, pertanto, è garantito il diritto dell'interessato a partecipare al contraddittorio con lo strumento dell'opposizione. Giudizio di opposizione che si svolge nelle forme dell'art. 666 c.p.p., dove la presunta compressione del diritto di difesa acquista nuovamente la sua pienezza.

Da ultimo, nel rigettare anche le questioni sollevate in relazione al procedimento di affidamento in prova, la Corte osserva che il rito semplificato è riservato a procedimenti di limitata difficoltà e generalmente caratterizzati da decisioni favorevoli all'interessato. Riprendendo le argomentazioni svolte in merito all'esclusione di violazioni in materia di diritto di difesa, del contraddittorio e in generale del giusto processo, la Corte afferma che non può desumersi dall'art. 3 Cost. l'obbligo di adottare un unico modello di disciplina per tutti i procedimenti di sorveglianza, ben potendo essere differenziati dal Legislatore per una molteplicità di fattori, la cui valutazione è censurabile soltanto laddove il diverso trattamento sussista tra situazioni analoghe e sovrapponibili. Nel caso di specie così non è. «Da un lato, i procedimenti relativi alla revoca di un affidamento in prova al servizio sociale in corso sono suscettibili di determinare l'interruzione di un percorso ancora in atto in relazione a specifiche inosservanze degli obblighi imposti al condannato, mentre la valutazione sull'esito dell'affidamento in prova ha luogo quando tale percorso è ormai concluso senza che siano intervenute violazioni tanto significative da giustificare la revoca dell'affidamento stesso, e appare dunque ragionevole una prognosi di valutazione favorevole della misura. Dall'altro, l'estinzione del reato commesso dal tossicodipendente ex art. 93 t.u. stupefacenti non presuppone – a differenza di quanto accade nella valutazione dell'esito dell'affidamento in prova – l'avvenuta esecuzione di alcuna misura a contenuto sanzionatorio, bensì comporta la sospensione tout court dell'esecuzione di pene, peraltro anche di severità più elevata di quelle suscettibili di essere eseguite con la modalità dell'affidamento in prova al servizio sociale».

Osservazioni

La pronuncia in esame si colloca in un percorso già tracciato da tempo dalla Corte costituzionale volto ad individuare delle deroghe al principio dell'oralità ed immediatezza sancito proprio dalla Carta Costituzionale; non da ultimo la nota, e problematica, sentenza Bajrami.

In particolare, in merito all'immediatezza, pur non espressamente prevista, il rinvio va all'art. 111 Cost., che riconosce alla difesa «la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione di persone a sua difesa».

Sebbene tale disposto attenga sicuramente alla fase dibattimentale del processo, è in linea con il ragionamento giuridico svolto dal Giudice di Messina. In fase esecutiva il condannato non ha la possibilità di intervenire se non a seguito di un'opposizione avverso una decisione adottata allo stato degli atti.

La Corte giustifica tale procedura ritenendo che il più delle volte si tratta di decisioni favorevoli e che comunque è riconosciuta una seconda possibilità all'interessato di “recuperare” impugnando il provvedimento eventualmente negativo; il tutto nell'ottica di una ragionevole durata del processo.

Non si ritiene, innanzitutto, che la giustificazione di una deroga ad un principio costituzionale possa fondare su un ragionamento puramente statistico (il più delle volte le decisioni sono di accoglimento delle istanze). In secondo luogo non si ritiene realistico che un'eventuale duplicazione dello stesso giudizio, innanzi allo stesso giudice, possa, da un lato contenere nel minimo la durata del procedimento e, dall'altro, garantire il diritto di difesa di chi si troverà a proporre opposizione innanzi al giudice il quale ha già formato, proprio sugli elementi esposti dall'interessato, il proprio convincimento.

Ciò nonostante, si ritiene condivisibile, nella sostanza, il risultato finale cui approda la Corte.

L'esperienza insegna che la realtà dei fatti è ben lontana dal modello delineato nel nostro codice di procedura penale. Proprio per la smisurata durata dei processi, i principi dell'oralità e dell'immediatezza rischiano di finire per essere pura teoria ed il convincimento del giudice di fondarsi unicamente sulle trascrizioni delle udienze. Da qui il rinvio al principio espresso nella sentenza Bajrami.

Se, con tale sentenza, si è registrata, a parere di chi scrive, una lesione effettiva e profonda del diritto di difesa, quella in esame sembra avere offerto una soluzione condivisibile. L'eccessivo numero di procedure pendenti, infatti, impone un'accelerazione delle decisioni che incidono direttamente sulla libertà dell'individuo, come nel caso dell'applicazione di misure alternative. La possibilità di opporsi per istaurare un pieno contraddittorio, garantisce comunque il diritto della parte ad esporre le proprie ragioni.

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