Non compensabilità del credito relativo alla quota di liquidazione del socio escluso per intervenuto fallimento
11 Maggio 2022
In caso di esclusione del socio per intervenuto fallimento è possibile porre in compensazione il suo diritto alla liquidazione della quota sociale?
Il caso - G. L. viene escluso dalla società di cui è socio in quanto dichiarato fallito. La banca popolare soc. coop.r.l. decide di trattenere, a compensazione del maggior credito vantato nei suoi confronti, la somma di euro 50.000,00 corrispondente al valore della liquidazione del socio per l'esclusione dalla società accreditatogli sul conto corrente. Il curatore del fallimento di G.L. propone azione restitutoria contro la Banca sostenendo che il fatto genetico del credito per liquidazione della quota sociale è posteriore al fallimento e che dunque la compensazione non può operare. Si pone dunque il problema di stabilire se il credito relativo alla quota di liquidazione del socio escluso dalla società per effetto della dichiarazione di fallimento debba considerarsi anteriore o posteriore al fallimento e, quindi, se sia o meno compensabile ai sensi dell'art. 56 l. fall. La soluzione - La norma stabilisce che i creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. In relazione ai crediti non scaduti la compensazione non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore. Tale norma si pone, dunque, come una vera e propria eccezione al principio della par condicio creditorum perchè è evidente che i creditori che possono compensare i propri crediti vengono pagati prima ed integralmente rispetto agli altri. Orbene, perchè operi la compensazione ex art. 56 l. fall. è necessario che i rapporti di debito e credito siano preesistenti al fallimento, che siano reciproci, che siano certi e liquidi. È dunque necessario che il fatto genetico dell'obbligazione sia anteriore al fallimento (Cass. civ., sez. I, 31 agosto 2010, n. 18915) e che, in sostanza, le condizioni previste dall'art. 56 l. fall. si siano verificate prima della dichiarazione di fallimento, sebbene il creditore possa esprimere l'intenzione di compensare il credito dopo il fallimento stesso. La ratio della norma è quindi quella di evitare che il debitore del fallimento sia esposto al rischio di realizzare un proprio credito in moneta fallimentare. Nel caso che ci occupa, la compensazione riguarda la liquidazione spettante al socio di una società commerciale a seguito della sua esclusione dalla stessa in quanto fallito. Vi è stato, pertanto, prima il fallimento del socio e solo dopo, a seguito di tale evento, è stata deliberata la sua esclusione. Sicché il fatto genetico costitutivo del diritto alla liquidazione è stato una diretta conseguenza del fallimento; tale diritto è quindi sorto successivamente. Ebbene, come espresso chiaramente dalle sezioni unite della suprema Corte (Cass. civ., sez. un., 23 ottobre 2006, n. 22659), la costituzione del rapporto societario e l'originario conferimento, pur rappresentando il presupposto giuridico del diritto del socio alla quota di liquidazione, non rilevano come fatto direttamente genetico di un contestuale credito restitutorio del conferente, configurandosi la posizione di quest'ultimo come mera aspettativa o diritto in attesa di espansione, destinato a divenire attuale soltanto nel momento in cui si addivenga alla liquidazione (del patrimonio della società o della singola quota del socio, al verificarsi dei presupposti dello scioglimento del rapporto societario soltanto nei suoi confronti), ed alla condizione che a tale momento dal bilancio (finale o di esercizio) risulti una consistenza attiva sufficiente a giustificare l'attribuzione pro quota al socio stesso di valori proporzionali alla sua partecipazione. Sicchè, proseguono i supremi giudici, il credito relativo alla quota di liquidazione vantato dal socio di una cooperativa escluso dalla società per effetto della dichiarazione di fallimento (ovvero, ai sensi dell'art. 2533 n. 5 c.c., nel testo introdotto dal D.Lgs. 6/2003, a seguito della delibera di esclusione che è in facoltà della società adottare in caso di fallimento del socio) nasce o comunque diviene certo esclusivamente nel momento in cui interviene quella dichiarazione (o quella delibera), con la conseguenza che, non potendosi considerare detto credito anteriore al fallimento, viene a mancare il presupposto necessario, ai sensi dell'art. 56 l. fall., per la compensabilità dello stesso con i contrapposti crediti vantati dalla società nei confronti del socio. Dunque, non può esservi compensazione fra un debito verso il fallito e un credito di costui che sorga dopo la dichiarazione. Conseguentemente, in caso di esclusione del socio per intervenuto fallimento, non è possibile porre in compensazione il suo diritto alla liquidazione della quota sociale sorto a seguito dell'esclusione del socio per intervenuto fallimento con il credito della banca, mancando le condizioni previste dall'art. 56 l. fall.
Normativa - art. 56 l. fall. Giurisprudenza - Cass. civ., sez. VI, 15 marzo 2021, n. 7202; Cass. civ., sez. I, 31 agosto 2010, n. 18915; Cass. civ., sez. un., 23 ottobre 2006, 22659.
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