Spaccio di sostanze stupefacenti: sussiste l’aggravante se la cessione è avvenuta in prossimità di un ospedale

Redazione Scientifica
16 Maggio 2022

Per la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 80, comma 1, lett. g) d.P.R. n. 309/1990, non è necessario che lo spaccio sia effettuato nei confronti di «specifiche categorie di soggetti, essendo sufficiente, in coerenza con la ratio dell'aggravante basata sul maggior rischio innescato dalla condotta del reo, che l'offerta o la cessione della sostanza si sia verificata all'interno o in prossimità dei luoghi indicati dalla norma».

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione si è pronunciata su una vicenda riguardante lo spaccio di stupefacenti effettuato in prossimità di un ospedale.

La Corte d'appello, riformando in parte la sentenza del GUP che aveva condannato uno straniero a tre anni di reclusione per lo spaccio aggravato di sostanze stupefacenti, aveva applicato all'imputato la misura di sicurezza dell'espulsione dal territorio dello Stato italiano a pena espiata.

L'imputato ricorre in Cassazione, denunciando, tra i vari motivi, il vizio di motivazione in relazione all'applicazione della circostanza aggravante ex art. 80, comma 1, lett. g) d.P.R. n. 309/1990. In particolare, l'accusato ritiene che sia erronea l'applicazione della suddetta aggravante, in quanto dalle dichiarazioni rese era emerso soltanto che egli si incontrava con i clienti nelle vicinanze del parcheggio dell'ospedale, ma non che avesse creato in quel luogo un punto di spaccio accessibile alle persone che facevano parte di quella comunità.

La doglianza è infondata.

La finalità della disposizione in esame è quella di tutelare dal fenomeno della cessione di sostanze stupefacenti «le comunità notoriamente più aggredibili, perché frequentate da persone potenzialmente a rischio di fronte al pericolo droga […]» (Cass. pen., n. 3786/2016).

Per la sussistenza della circostanza aggravante, che punisce chi spaccia in determinati luoghi, non è necessario però che lo spaccio sia effettuato nei confronti di «specifiche categorie di soggetti, essendo sufficiente, in coerenza con la ratio dell'aggravante basata sul maggior rischio innescato dalla condotta del reo, che l'offerta o la cessione della sostanza si sia verificata all'interno o in prossimità dei luoghi indicati dalla norma», tra cui sono annoverati gli ospedali (Cass. pen., n. 1666/2020).

Inoltre, il requisito della prossimità ad uno dei luoghi indicati dalla norma in cui deve avvenire lo spaccio «attiene a quelle aree esterne rispetto alle strutture tipizzate (scuole, comunità giovanili, caserme ecc.) che devono essere ubicate nelle loro immediate vicinanze, configurandosi un rapporto di relazione immediata tra i luoghi indicati e le aree di prossimità» (Cass. pen., n. 27458/2017).

Per quanto riguarda il caso in esame, dalle risultanze istruttorie era emerso che le cessioni di sostanze stupefacenti erano avvenute nel parcheggio del pronto soccorso dell'ospedale, luogo frequentato da persone maggiormente esposte al rischio di essere attratte dal consumo di droga.

I giudici di merito, quindi, non hanno sbagliato nel ritenere che sussistesse la circostanza aggravante ex art. 80, comma 1, lett. g) d.P.R. n. 309/1990.

Per questi motivi, la Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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