Decesso da Covid 19 e indennizzabilità in ambito di infortunistica privata: “iudex peritus peritorum o peritus sine peritis?”

Alessandro Lacchini
17 Maggio 2022

Il Tribunale di Torino, recependo le indicazioni del C.T.U. nominato per la disamina della vicenda clinica, ha concluso per la riconducibilità dell'infezione da SARS COV 2 all'ambito degli infortuni ed accolto la domanda di indennizzo proposta dai beneficiari di polizza infortuni. Si tratta di una decisione a suo modo “rivoluzionaria”, per la conclusione cui giunge (opposta alle precedenti) e per le modalità di svolgimento del processo scelte dal Giudice, che si discostano dalle soluzioni adottate da altri magistrati. Sul punto, sono rinvenibili tre più risalenti pronunce, non solo di segno contrario, ma caratterizzate da una gestione del procedimento completamente difforme: Tribunale di Roma, Tribunale di Pescara e Tribunale di Pesaro. Nel presente Focus analizzeremo le singole decisioni e le motivazioni addotte dai Giudici.
Quale il ruolo dello specialista in medicina legale e delle assicurazioni: tesi opposte

È di recente commento su queste pagine la sentenza del Tribunale di Torino, sez. IV Civile, 19 gennaio 2022, n. 184 (si veda: Il Tribunale di Torino riconosce l'indennizzabilità in ambito infortunistico privato del decesso da Covid, quale causa diretta ed esclusiva e Tribunale di Torino e infezione da Covid: le relative conseguenze possano rientrare nelle assicurazioni infortuni private o nelle assicurazioni malattia?.

Il Giudice, recependo le indicazioni del C.T.U. nominato per la disamina della vicenda clinica, ha concluso per la riconducibilità dell'infezione da SARS COV 2 all'ambito degli infortuni ed accolto la domanda di indennizzo proposta dai beneficiari di polizza infortuni – caso morte.

Si tratta di una decisione a suo modo “rivoluzionaria”, per la conclusione cui giunge (opposta alle precedenti) e per le modalità di svolgimento del processo scelte dal Giudice, che si discostano dalle soluzioni adottate da altri magistrati.

Ed infatti, sul punto, sono rinvenibili tre più risalenti pronunce, non solo di segno contrario, ma caratterizzate da una gestione del procedimento completamente difforme: Tribunale di Roma, Pescara e Pesaro.

Analizzeremo solo nel prosieguo le singole decisioni e le motivazioni addotte dai Giudici.

Ciò di cui ci piace dar conto in prima istanza è l'acceso dibattito che, proprio mentre scriviamo, infiamma i corridoi degli istituti di medicina legale: che parte ha il medico legale (rectius, lo specialista in medicina legale e delle assicurazioni) nella valutazione dell'indennizzabilità del decesso o invalidità, conseguenti all'infezione da COVID-19 in ambito di infortunistica privata?

(i) I più, certamente gli organismi rappresentativi di categoria (S.I.M.L.A. – F.A.M.L.I. – A.M.L.A. – S.M.L.T.) e sicuramente gli esponenti di maggior rinomanza della specialità (cfr. Proff. Zoja, Ronchi, Migliorini, Genovese ed i Dott.ri Rossi, Pedoja, Mastroroberto, Ascari), rivendicano un ruolo indefettibile e centrale da parte della medicina legale nell'accertamento in oggetto, pur giungendo in alcuni casi a conclusioni diametralmente opposte in ordine all'indennizzabilità.

(ii) Pochi, ma non ne abbiamo conoscenza diretta, ritengono che detta valutazione sia di natura eminentemente giuridica e, come tale, spetti al magistrato, senza alcun coinvolgimento da parte dello specialista in medicina legale e delle assicurazioni.

Ne siano un esempio i tre Giudici di Roma, Pescara e Pesaro i quali, lo vedremo, hanno ritenuto non necessario l'espletamento di una consulenza tecnica per valutare i casi sottoposti al loro giudizio.

L'apporto dello specialista in medicina legale e delle assicurazioni è irrinunciabile

Mai dimentichi degli studi classici, siamo soliti diffidare dell'opinione dei molti”, ma nel caso di specie, non possiamo che accodarci a chi sostiene che il giudizio di indennizzabilità in ambito privato del decesso da COVID 19 non possa prescindere da una valutazione medico legale, e le ragioni sono molteplici:

1. innanzitutto, è fin troppo banale ricordare come si verta su accadimenti di natura clinica che, come tali, non possono essere debitamente interpretati ed intesi nel loro effettivo apporto causale se non da un medico (al più, da chi non ne abbia il titolo ma, indefettibilmente, le competenze).

2. secondariamente, la vicenda sanitaria oggetto di causa andrà calata nello specifico contesto assicurativo, valutando il contenuto della polizza e, dunque, l'indennizzabilità dell'evento lesivo e dei suoi effetti sulla base delle previsioni contrattuali. Chi, se non uno specialista in medicina legale e delle assicurazioni potrà provvedervi?

Chi sostenga il contrario, dimentica (o non sa) che le compagnie di assicurazione da sempre hanno affidato proprio a tale figura professionale il compito di valutare la coerenza e sostenibilità - sotto il profilo tecnico - dei propri prodotti assicurativi.

3. se ciò non bastasse, sarà sufficiente consultare le condizioni generali di assicurazione di qualsiasi polizza infortuni, per rilevare come sia la stessa volontà dei contraenti a demandare al confronto medico legale ogni controversia “di natura medica sull'indennizzabilità del sinistro”.

Può il Giudice decidere sull'indennizzabilità o meno del decesso da COVID 19, senza l'ausilio di uno specialista in medicina legale e delle assicurazioni?

La domanda è retorica: ovviamente sì, lo può fare, le tre decisioni oggetto della successiva analisi sono lì a dimostrarlo.

Dunque, è necessario riformulare il quesito: “incorre in erroreil Giudice che decida sull'indennizzabilità o meno del decesso da COVID 19, senza l'ausilio di uno specialista in medicina legale e delle assicurazioni?”.

Il Magistratoè peritus peritorum, il che significa che egli(e ci mancherebbe altro)non è vincolato al risultato dell'accertamento redatto dal consulente tecnico da lui stesso nominato potendo, quindi, disattendere in tutto o in parte le conclusioni a cui è giunto l'esperto. Lo potrà (dovrà) fare ogni qual volta la propria diretta conoscenza della materia oggetto d'esame gli consenta di pervenire a valutazioni diverse da quelle del C.T.U., purché, naturalmente, corrette e debitamente motivate.

A ben vedere, nella pratica giudiziaria, specialmente nei casi concernenti questioni sanitarie, si tratta di evento assai raro, data la specificità della materia.

Nell'ambito della responsabilità medica, peraltro, se è difficilmente ipotizzabile che il Giudice si discosti dalle conclusioni del proprio consulente (se coerenti e ben articolate), egli è tenuto a ricorrervi ab origine prevedendo l'art. 15 della Legge n. 24/2017: “Nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l'autorità giudiziaria affida l'espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento”.

La ratio della norma parrebbe evidente: pur preservando la libertà del Magistrato di dissentire dalle conclusioni del proprio collegio di esperti (Iudex peritus peritorum), si presume che una corretta decisione su una materia tecnica non possa prescindere da una preventiva disamina da parte di idonei consulenti tecnici.

Conclusione

Il breve excursus che precede consente di concludere che, nella valutazione di indennizzabilità del decesso da COVID 19 in ambito di infortunistica privata:

  • certamente non vi è obbligo per il magistrato di disporre C.T.U., nessuna norma lo impone.
  • se il Giudice non ordina l'accertamento tecnico, egli si evolve da peritus peritorum in peritus sine peritis, in quanto così facendo non si discosta dalle valutazioni degli esperti, ma vi rinunzia a priori: non perito dei periti, dunque, ma perito senza periti.
  • la sua scelta sarà lecita e meriterà ogni plauso ove dimostri competenza specifica in ambito medico legale ed assicurativo; al contrario, emetterà delle sentenze opinabili.

TRIBUNALE DI PESARO, sezione prima, dott.ssa Manuela Mari, RG n. 436/2021 Ordinanza Rep. n. 690/2021 del 15/06/2021

(…) Nel merito, le parti controvertono se la polizza contro gli infortuni (doc. 5 dei ricorrenti) si applichi nel caso di specie. In particolare, discutono se il decesso del xxxxxxxxxxx cagionato da infezione da Corona virus rientri nell'oggetto dell'assicurazione: cioè se sia qualificabile come infortunio ai sensi della polizza privata stipulata dalla xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx. Va chiarito che trattandosi di polizza privata la ricostruzione del suo oggetto va fatta secondo il contenuto del contratto. L'interpretazione del contratto va fatta secondo i criteri dettati dagli artt. 1362 e seg. c.c. (…).

Non vi è dubbio che la polizza di cui qui si discute – esplicitamente intestata “contratto di assicurazione contro gli infortuni” - sia una polizza contro il rischio di infortunio e non contro il rischio di malattia. La polizza prevede una indennità specificamente quantificata per l'ipotesi di morte, l'ipotesi di invalidità permanente, l'ipotesi di ricovero, derivanti da infortunio professionale o extraprofessionale.

Il concetto di infortunio è descritto nella polizza: “l'evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produca lesioni fisiche obbiettivamente constatabili” (v. glossario).

Nel comune sentire sociale il Covid-19 è considerato una malattia. Normalmente il Covid-19 è qualificato come la malattia prodotta dal Corona Virus Sars-Cov-2. Il Covid-19, in sé, non è dunque un infortunio, ma una malattia (che può risolversi con sintomi lievi, ma può portare anche alla morte).

Anche la medicina qualifica il Covid-19 come la malattia associata al virus Corona Virus Sars-Cov-2.

Resta da chiarire se la contrazione della infezione virale che porta allo sviluppo della malattia Covid-19 configuri un infortunio, infatti rientra nell'oggetto di polizza anche il caso di infortunio da cui sia scaturita una malattia che abbia cagionato una invalidità o la morte.

Nel caso di specie non può sostenersi che la contrazione del virus sia avvenuta in circostanze tali da configurare un infortunio. Non risulta che ci sia stato un fatto traumatico, violento ed esterno - nel senso inteso ai termini di polizza, corrispondente alla concezione di “infortunio” comunemente intesa - in occasione del quale il xxxxxxxxxxxx abbia contratto il virus.

Diversamente ragionando, se il fatto del contagio fosse già di per sé qualificabile come infortunio - anche in assenza di un quid pluris dato dalle circostanze traumatiche in cui si è verificata la contrazione del virus - si perverrebbe alla conclusione che la contrazione di qualunque malattia virale in qualunque circostanza, costituisca un infortunio rientrante nel rischio coperto dalla polizza-infortuni. Il che sarebbe una forzatura rispetto all'oggetto del contratto.

Come sintetizzato da un autorevole giurista, secondo una generale pratica interpretativa ex art.1368 c.c. “nei contratti di assicurazione della persona la malattia è una cosa, e l'infortunio un'altra; ed una infezione virale rientra nella prima categoria”.

Il fatto che la polizza stipulata dalla XXXXXXXXXXXXXXXXXXX contenga una specifica clausola che stabilisce che i soggetti affetti da HIV non sono assicurabili non è sufficiente per concludere che tutte le altre infezioni virali rientrino nella copertura assicurativa. Va aggiunto che il Covid-19 neppure era conosciuto all'epoca della stipula della polizza.

Sintetizzando le argomentazioni del Giudice:

(A) La malattia da COVID 19 non sarebbe generata da infortunio, in quanto l'infezione non sarebbe fatto traumatico, violento ed esterno, corrispondente alla concezione di infortunio “comunemente intesa”.

Ebbene, se, come abbiamo auspicato, il Giudice avesse chiesto ausilio ad uno specialista in medicina legale e delle assicurazioni, avrebbe scoperto che:

(i) la dottrina medico legale, con orientamento che si perde nella notte dei tempi (1900), considera l'infezione un infortunio e, anche senza voler scomodare un C.T.U., sarebbe stato sufficiente riferirsi al parere della Società Italiana di Medicina Legale, espresso su questa rivista dal suo Presidente Prof. Zoja (https://ridare.it/articoli/focus/sars-co-v2-ed-infortunio-nellassicurazione-privata-annotazioni-medico-legali ), a quello della Società Medico Legale Triveneta, a firma del Presidente Dr.a Zanaldi (https://www.smlt.it/wp-content/uploads/2020/06/Documento-Tecnico-Operativo-SMLT-COVID.-Polizza-Infortuni.pdf ), o alle indicazioni dell'I.N.A.I.L. (https://ridare.it/articoli/focus/lindagine-medico-legale-nei-casi-di-infezione-da-sars-co-2-lesperienza-inail), estensore Dr. Rossi - Sovrintendente sanitario centrale Inail, per sgombrare il campo da equivoci.

(ii) Quanto poi alla distinzione che il Giudice opera tra i concetti di infortunio e trauma, sottintendendo che in assenza di violenza (volgarmente intesa) il primo non esista, rileviamo come, già a far data dagli insegnamenti del Prof. Lorenzo Borri (1864-1923), la relazione infortunio≡trauma abbia perso ogni barlume di sostenibilità scientifica.

Come brillantemente documentato dal Prof. Zoja (cfr. op. cit.) “trattando dell'infezione batterica da Bacillus Anthracis, riconoscendola a tutti gli effetti come infortunio, Borri affermava nell'approfondimento della violenza causale, dopo avere delineato teorie minoritarie riduttive della stessa a «quella che volgarmente, nel parlare comune, si designa come violenza, cioè di una violenza meccanica», si attribuisce l'onore di avere disatteso integralmente tali tesi affermando essere «principalmente opera nostra e della nostra Scuola aver battuto in breccia siffatta tesi, dimostrando con – sembraci – valide argomentazioni come questa interpretazione particolaristica, limitativa, che veniva a circoscrivere in termini non molto lati il campo della tutela...» fosse in aperto contrasto con i fondamenti della definizione stessa di infortunio.

E, dunque, considerare violenta un'azione solo per i suoi caratteri formali sarebbe dare al concetto un valore empirico, ove «in realtà, la violenza di un'azione non dalla forma deriva, ma dalla sostanza».

Se il Giudice pesarese avesse consultato uno specialista, pertanto, avrebbe accertato che «siffatta capacità lesiva si riscontra anche in azioni che nella loro manifestazione esteriore non hanno nulla di grandioso, di grossolano, di brutale, tanto che talvolta sfugge persino il momento in cui esse investono l'organismo. Un tossico che penetrando nell'organismo in quantità minima, alla dose di pochi mgr. è capace di determinare la morte; un VIRUS che, superate le difese poste da natura alla superficie di contatto del corpo con l'ambiente, suscita imponenti fenomeni morbosi, sono evidentemente agenti lesivi altrettanto, se non più, violenti di un trauma che discontinua o attrita i nostri tessuti: eppure nell'avvenimento per cui il tossico, il VIRUS, giungono ad esplicare la loro azione sull'organismo non v'ha nulla di grossolanamente elettivo, nulla di violento nel significato volgare di tale aggettivo» (Proff. Borri e Zoja, op. cit.).

Suddetta distinzione sull'efficienza lesiva di una condotta, peraltro, è ben nota anche in ambito giuridico, ove si consideri la differenziazione rinvenibile tra violenza propria ed impropria (entrambi elementi costitutivi del reato di violenza privata, art. 610 c.p.).

Per violenza propria, si intende l'impiego di energia fisica sulle persone o sulle cose, esercitata direttamente o per mezzo di uno strumento.

La violenza impropria si configura quando si utilizzi un qualsiasi mezzo idoneo, esclusa la minaccia, a coartare la volontà del soggetto passivo, annullandone la capacità di azione o determinazione. Conseguentemente, saranno “violenti” l'ipnosi, la narcosi, l'ubriacamento, l'inebriamento con sostanze stupefacenti, etc. (eventi non traumatici, esattamente come il virus).

(B) Il richiamo che si fa nell'ordinanza al concetto di “sentire sociale”, quasi si trattasse di un valido criterio ermeneutico nell'interpretazione contrattuale, poi, non ha alcuna fondatezza giuridica nel contesto del peculiare rapporto tra assicuratore e contraente/consumatore, regolato da specifiche condizioni di indennizzabilità ed esclusione, non certo dalla comune sensibilità.

In applicazione dell'art. 1362 c.c., non possiamo non osservare come, stipulando una polizza infortuni, l'assicurato intenda tutelarsi contro un infortunio, manifestando la propria volontà di coprire il rischio connesso ad una qualsiasi “disgrazia, sventura, sciagura” che possa colpirlo “violentemente, fortuitamente e dall'esterno” , così da causargli conseguenze di danno.

Questo è il solo “sentire” degno di tutela e di analisi, quello dei due soggetti contraenti, una percezione “individuale” e “non sociale”.

Si tratta, dunque, di uno specifico interesse di tutela per la propria salute, al quale l'assicuratore viene incontro, assumendosene in tutto od in parte il rischio, adottando le misure che ritiene compatibili col prodotto assicurativo offerto (escludendo, a propria discrezione, alcune categorie di infortunio).

  • Non potranno che valere, dunque, i criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., con particolare valenza ermeneutica da attribuirsi all'art. 1370 c.c., a mente del quale “le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s'interpretano, nel dubbio (ma non ci pare ve ne siano), a favore dell'altro”.
  • Peraltro, il “sentire sociale” richiamato dal Magistrato, si riferisce alle conseguenze del contagio, non alle cause, ad ulteriore riprova del mancato rilievo della divergenza tra concetto di movens ed effectum: l'infezione virulenta (infortunio) e la sua consequenziale evoluzione morbosa, la malattia.

Per banalizzare, la frattura di un femore è infortunio (fino a prova contraria, visti i tempi), dalla quale trarrà origine una malattia traumatica, come tale incapace di inficiare l'indennizzabilità dell'evento.

(C) A parere del Giudice:“Come sintetizzato da un autorevole giurista, secondo una generale pratica interpretativa ex art.1368 c.c., nei contratti di assicurazione della persona la malattia è una cosa, e l'infortunio un'altra; ed una infezione virale rientra nella prima categoria”.

Il passaggio è cruciale:

il Giudice riferisce e pone a fondamento della propria decisione il pensiero di un “autorevole giurista”, il quale esprimerebbe un parere su una materia che è (dovrebbe essere) ad esclusivo appannaggio della medicina legale e delle assicurazioni.

Ne è naturale conseguenza che descrivere come “generale pratica interpretativa” l'attribuzione dell'infezione virale al novero delle malattie, e non degli infortuni, è tanto apodittico, quanto errato.

(D) Un'ultima censura, inevitabile, alla chiosa del Giudice:“Va aggiunto che il Covid-19 neppure era conosciuto all'epoca della stipula della polizza”.

Anche in questo caso, un esperto avrebbe chiarito al Giudice che: Orthocoronavirinae è una sottofamiglia di virus, noti anche come coronavirus, della famiglia Coronaviridae, del sottordine Cornidovirineae, dell'ordine Nidovirales. Si pensa che il primo caso riportato di coronavirus sia dovuto a veterinari tedeschi che nel 1912 descrissero il caso di un gatto febbricitante con un enorme ingrossamento del ventre. Ma solo negli anni 1960 un virus con struttura a forma di corona che causava comuni raffreddori venne isolato e venne associato al fenomeno, inclusi altri riscontrati in svariati animali. I ricercatori pensarono che i coronavirus fossero capaci di causare negli umani solo sintomi lievi, fino a che non ci fu l'epidemia di SARS nel 2003.

I coronavirus sono stati responsabili delle gravi epidemie di SARS del novembre 2002, di quella della MERS del 2012 e della pandemia di COVID-19 del 2020.

All'epoca della stipula del contratto in esame, pertanto, l'agente patogeno era conosciuto, certamente alle compagnie di assicurazione le quali (alcune delle quali), hanno deliberatamente eliminato l'esclusione d'indennizzabilità delle infezioni virali (forse per rendere i propri prodotti assicurativi maggiormente appetibili ai consumatori, mal calcolando il rischio che l'evento assicurato si potesse verificare con simili proporzioni?).

TRIBUNALE DI ROMA - SEZIONE DODICESIMA CIVILE - dott. PARZIALE, sentenza n. 5947/2021

E' pacifica tra le parti la esistenza della polizza azionata e la sua validità al momento del verificarsi del decesso dell'assicurato.

La contrapposizione tra le parti verte in ordine alla estensione della garanzia assicurativa ed al fatto che il decesso dell'assicurato prodotto dalla infezione da Covid-19 possa essere considerata come conseguenza di un infortunio. (…) Il glossario presente all'interno delle condizioni generali di polizza indica come infortunio “l'evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produce la morte o le lesioni corporali obiettivamente constatabili”.

Per malattia, secondo il contratto, si intende, invece, l'alterazione dello stato di salute dell'assicurato che non dipende da infortunio, clinicamente ed oggettivamente constatabile, insorta per la prima volta in epoca non antecedente il trentesimo giorno successivo alla data di decorrenza della polizza. (…) Nell'articolo 14, tra le esclusioni è indicato che sono esclusi i danni conseguenti ad operazioni chirurgiche, accertamenti o cure mediche ove gli stessi non siano stati resi necessari da infortuni, da avvelenamento del sangue anche se in conseguenza di infortunio e gli infarti e le ernie, queste ultime nel caso che non siano conseguenti ad infortuni.

La polizza, quindi, contiene chiari elementi diretti a qualificare la stessa come un polizza infortuni, polizza che postula, per l'insorgenza del sinistro indennizzabile, che si sia verificato un infortunio dal quale sia scaturito il decesso dell'assicurato.

L'infortunio, come indicato sia nel glossario che nell'articolo 13, è qualificato come l'evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produce la morte o le lesioni corporali obiettivamente constatabili.

La malattia è considerata nella modalità attraverso la quale dall'infortunio si produce la morte, nel senso che, tenuto conto di esclusioni specifiche indicate in polizza, se dall'infortunio consegue una malattia dalla quale consegue la morte, l'evento rientra in garanzia in quanto la malattia è innescata dall'infortunio – si pensi ad una malattia infettiva contratta dal soggetto ricoverato in ospedale a seguito di in investimento che, dopo essere stato operato, deceda per una infezione nosocomiale contratta durante la degenza.

In altre parole la malattia non è considerata dalla polizza equiparata all'infortunio, ma è presa in considerazione dalla stessa solo nel caso che sia causalmente conseguente all'infortunio e determini la morte come conseguenza dello stesso.

D'altra parte la stessa polizza prevede dei casi di malattia – è il caso del diabete – la cui insorgenza non esclude la garanzia per eventuali infortuni subiti dall'assicurato, ma si prevede espressamente che non rientrino nella garanzia le conseguenze della malattia stessa.

Si deve, quindi, escludere che possa rientrare nel concetto di infortunio la malattia infettiva contratta causalmente, difettando nel meccanismo infettivo il presupposto dell'infortunio, vale a dire la causa del sinistro che deve contemporaneamente fortuita, violenta ed esterna.

In altre parole, ciò che contraddistingue l'infortunio è la causa violenta che nel meccanismo operativo della infezione da virus non ricorre a meno che non sia provato che il contatto con il virus si sia verificato per effetto della causa violenta, circostanza che nel caso di specie non è stata neppure adombrata.

Deve, pertanto, essere respinta la domanda attrice.

Sintetizzando le argomentazioni del Giudice: la malattia infettiva non sarebbe infortunio, difettando la causa del sinistro delle condizioni contrattuali di evenienza fortuita, violenta ed esterna.L'infortunio sarebbe la causa violenta che nel meccanismo operativo della infezione da virus non ricorrerebbe a meno che non sia provato che il contatto con il virus si sia verificato per effetto della causa violenta.

Anche in questo caso, nessun bisogno di C.T.U., avendo il giudice ritenuto di padroneggiare le nozioni cliniche e scientifiche, necessarie ad emettere la sentenza.

Tuttavia, pare anch'egli essere incorso nei fraintendimenti della collega Pesarese: come ampiamente documentato, causa violenta è concetto completamente diverso da causa traumatica; il che significa che l'introduzione dell'agente patogeno del Coronavirus, pur non traumatica, è evento violento, come tale indennizzabile ai sensi di polizza infortuni.

L'etimologia del lemma virus ne è solo una delle molteplici conferme, ricollegandosi alla radice indoeuropea vis- che significa forza, vigore, violenza; da questa radice, il sanscrito vis-âs = veleno ed il latino virus = veleno.

TRIBUNALE ORDINARIO di PESCARA - Giudice dott. Federico Ria R.G.N.nr. 3082/2021

(…) È pacifico tra le parti che il signor XXXXXXXXXXXXX avesse stipulato con la convenuta XXXXXXXXX S.p.a. due polizze assicurative, entrambe valide al momento del decesso (…). Le attrici invocano, a sostegno della propria pretesa, l'operatività della polizza xxxxxxxxxxxx, adducendo la riconducibilità dell'infezione da Covid-19 nel concetto di infortunio. Le parti convenute, al contrario, sostengono la totale estraneità del contagio Covid alla nozione di infortunio, asserendone al contrario la natura di malattia.

Proprio in applicazione di tali disposizioni di deve pertanto procedere ad interpretare le clausole contrattuali oggetto della presente causa.

Orbene, il glossario contenuto nella nota informativa allegata alla polizza “xxxxxxxxxxxxxxx” stipulata dal xxxxxxxxxxxxx definisce l'infortunio come “evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produce lesioni fisiche obiettivamente constatabili”.

Parte attrice afferma che l'infezione da covid presenterebbe tutti i suddetti caratteri: sarebbe fortuita, in quanto il contatto con un infetto sarebbe imprevedibile e accidentale; sarebbe esterna, essendo il virus un fattore endogeno al corpo umano; sarebbe violenta, perché la causa è concentrata nel tempo (con equiparazione della causa virulenta a quella violenta).

La maggiore criticità di tale interpretazione è che essa consentirebbe tuttavia di estendere la nozione di infortunio a qualsiasi tipo di infezione, vanificando la distinzione invalsa nella pratica assicurativa. Il discrimine tra le infezioni che rientrerebbero nel concetto di infortunio e quelle che rimarrebbero escluse sulla base del suddetto ragionamento, perlomeno nell'ambito delle assicurazioni private, pare labile e arbitrario; è ben chiaro che il livello pandemico raggiunto dall'infezione Covid abbia portato a maggiori ponderazioni in ordine alla copertura delle polizze assicurative, ma tali riflessioni, pur supportate da certa letteratura scientifica, non possono ricadere sulle compagnie assicurative, quali “controparti” di rapporti privatistici formatisi sulla scorta di testi ed interpretazioni consolidati. Depone a favore della permanenza della distinzione malattia-infortunio anche l'art. 2.1, punti 7, 9 e 10, delle condizioni generali relative alla garanzia infortuni “xxxxxxxxxxxx”: il punto 7 la estende a “asfissia non di origine morbosa”; il punto 9 a “avvelenamento del sangue o infezione purché il germe infettivo si sia introdotto nell'organismo al momento del verificarsi di una lesione esterna traumatica”; il punto 10 a “avvelenamento acuto o infezione da morsi di animali o da punture di insetti o aracnidi, escluse le infezioni malariche”.

Le condizioni generali risultano sufficientemente chiare e univoche quindi nell'escludere dalla copertura assicurativa ogni tipo di infezione, salvo il caso in cui il microorganismo penetri attraverso una lesione corporale constatabile; il penetrare di microorganismi attraverso la via respiratoria o digerente od il virulentarsi di quelli già presenti nell'organismo, invece, non determinano forme morbose indennizzabili.

L'ultima decisione oggetto d'esame, anch'essa priva di supporto tecnico medico legale, pare corretta nel risultato cui perviene (il rigetto della domanda di indennizzo), ma censurabile nelle motivazioni addotte.

Scrive il Giudice, a ragione, che le esclusioni contenute art. 2.1 punti 9 e 10 (c.d. “infezioni mediate”) determinano la non indennizzabilità dell'infezione da COVID 19; il Coronavirus di cui si tratta, infatti, di norma penetra nell'organismo tramite le vie respiratorie o digerenti, non a causa di lesione esterna traumatica (punto 9), nè a seguito di morsi di animali /insetti/aracnidi (punto 10).

Lo specifico contratto esaminato, dunque, esclude l'indennizzabilità di eventi lesivi in quanto, sebbene classificabili come infortuni, non si sono originati e manifestati con le modalità prestabilite dalle parti.

Il che conferma che, a differenza di quanto sostenuto dal Giudice pescarese, nella prassi assicurativa non vi è alcuna “distinzione invalsa” nella categoria delle infezioni, rilevante ai sensi dell'art. 1368 c.c. Anzi, è vero esattamente il contrario: è fatto assolutamente notorio come esse siano sempre e tutte considerate infortuni, sempre liquidabili, salvo che il contratto non ne preveda esplicitamente l'esclusione (come nel caso di specie).

Altrimenti, quale necessità ci sarebbe di inserire tra le esclusioni una distinzione sull'eziologia dell'infezione, se per comune prassi assicurativa esse fossero comunque considerate malattie? è lapalissiano come non sia necessario escludere quel che non è incluso.
Pare, dunque, non condivisibile quanto affermato dal Giudice: “Le condizioni generali risultano sufficientemente chiare e univoche quindi nell'escludere dalla copertura assicurativa ogni tipo di infezione, salvo il caso in cui il microorganismo penetri attraverso una lesione corporale constatabile”.

Niente di tutto ciò: le C.G.A. prevedono l'indennizzabilità di ogni evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produce lesioni fisiche obiettivamente constatabili, tra cui le infezioni; le clausole di esclusione, semplicemente, negano l'indennizzo agli infortuni/infezioni che si siano verificate senza l'apporto di un “agente mediante” (lesione esterna traumatica e a seguito di morsi di animali /insetti/aracnidi).

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