La presenza dell'offeso tra i destinatari del messaggio di posta elettronica dal contenuto diffamatorio

17 Maggio 2022

L'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, consente di mutare il titolo del reato da un'ipotesi di diffamazione aggravata nella diversa ipotesi di ingiuria?
Massima

L'invio di e-mail a contenuto diffamatorio integra un'ipotesi di diffamazione aggravata e l'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria.

Il caso

Il Tribunale, quale giudice di appello, confermava la sentenza del Giudice di Pace, con la quale l'imputata veniva dichiarata responsabile del reato ascrittole di cui agli artt. 81 cpv. e 595 c.p.

La difesa di quest'ultima ricorreva avverso la Suprema Corte di cassazione articolando tre motivi. In particolare, con il primo motivo di ricorso si deduceva la violazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606 lett. b) c.p.p., per erronea applicazione dell'art. 595 c.p., relativamente ad uno specifico episodio di diffamazione, posto in essere dall'imputata nei confronti dell'amministratore di condominio, attraverso l'invio di una e-mail.

Nel ricorso si eccepiva che, in relazione a tale episodio, non fossero configurabili sia l'elemento oggettivo del reato della diffusione della comunicazione a più persone, che quello soggettivo dell'intenzione di ledere l'altrui reputazione. A sostegno dell'imputata, si affermava che la e-mail in questione era indirizzata solo ad altro condomino dello stabile amministrato dalla parte offesa, il quale provvedeva ad inoltrarla a quest'ultima, senza che, così come comprovato dalle testimonianze rese, gli altri condomini ne avessero letto il contenuto. Nel ricorso, inoltre, si sosteneva che quanto esposto nella e-mail, che doveva essere valutata singolarmente costituendo nella prospettazione accusatoria autonoma fattispecie diffamatoria, non poteva essere ritenuto di per sé offensivo della reputazione della persona offesa.

La Suprema Corte, nel trattare il motivo di gravame afferma che questo risulta “privo di pregio”, dichiarando conseguentemente l'inammissibilità del ricorso in ogni sua doglianza e sostenendo che i giudici del merito avevano applicato correttamente gli istituti di diritto penale sostanziale, in quanto sussiste nel caso di specie sia il requisito della comunicazione con più persone, sia quello dell'elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie di cui all'art. 595 c.p., escludendo altresì l'applicabilità dell'esercizio del diritto di critica.

Nella motivazione della sentenza, infatti, si ricorda come il destinatario della e-mail dal contenuto offensivo, oltre a girarla direttamente anche alla persona offesa, commentava il contenuto del messaggio di posta elettronica ricevuto dall'imputata con gli altri condomini, come era prevedibile che accadesse trattandosi di questioni che riguardavano il condominio.

A tal proposito, nello specifico episodio in esame, per la Corte sussiste l'offesa e l'animus diffamandi richiesto dall'art. 595 c.p., in quanto le dichiarazioni rese dall'imputata nella e-mail insinuavano il dubbio circa la correttezza della condotta dell'amministratore e, nel riportare la conoscenza di un possibile nuovo amministratore, ritenuto "valido", con cui rimpiazzarlo, alludevano implicitamente all'inidoneità dello stesso a ricoprire la carica, cercando, con tali maniere, di intaccarne la stima e reputazione acquisita nel contesto di riferimento rappresentato dall'opinione degli altri condomini.

La questione

La sentenza affronta la fattispecie di diffamazione a mezzo internet, ovvero quando l'offesa sia recata attraverso l'invio di una e-mail dal contenuto offensivo, sotto un duplice aspetto.

La prima questione attiene alla configurabilità del reato in oggetto e, nello specifico, se sussista il requisito oggettivo della "comunicazione con più persone" anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio ad una sola persona determinata?

La seconda questione strettamente collegata alla prima: se l'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, consenta di mutare il titolo del reato da un'ipotesi di diffamazione aggravata nella diversa ipotesi di ingiuria?

Le soluzioni giuridiche

Riguardo alla prima questione, occorre ricordare che il requisito della comunicazione con più persone si realizza con la cd. “divulgazione del fatto offensivo”, che è caratteristica strutturale del reato: essa consiste nella presa di contatto con soggetti diversi dall'offeso al fine di renderli partecipi di fatti lesivi della reputazione di questi e può avvenire con qualsiasi mezzo idoneo, sia con la comunicazione verbale con altre persone presenti, che con l'invio di scritti, con il compiere affermazioni verbali o gesti nel corso di trasmissione diffusa via etere attraverso il mezzo televisivo, radiofonico e informatico. Infatti, come noto, il bene giuridico tutelato dall'art. 595 c.p. è l'onore nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (alias reputazione) di ciascun cittadino e l'evento è costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente ad incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino. Di conseguenza, le espressioni saranno obiettivamente pregiudizievoli della reputazione della persona offesa quando siano idonee ad intaccarne l'opinione tra il pubblico dei consociati.

La comunicazione, pertanto, che nel caso concreto potrà avvenire sia a voce, sia per iscritto sia attraverso gesti o immagini, dovrà essere percepita o percepibile da almeno due persone e, per la sussistenza del reato non sarà «necessario che la propalazione delle frasi offensive venga posta in essere simultaneamente, potendo la stessa aver luogo anche in momenti diversi, purché risulti comunque rivolta a più soggetti» (Cass. pen., sez. V, 14 ottobre 2021, n. 323).

Inoltre, la giurisprudenza di legittimità, sulla base di un orientamento risalente e consolidato, ha affermato che sussiste l'estremo della comunicazione con più persone non solo quando l'agente prenda direttamente contatto con una pluralità di soggetti, ma anche quando egli comunichi ad una persona una notizia destinata, nelle sue stesse intenzioni, ad essere riferita ad almeno un'altra persona, che ne abbia poi conoscenza: «sussiste il requisito della comunicazione con più persone, necessario per integrare il reato, anche quando le espressioni offensive siano comunicate ad una sola persona ma destinate ad essere riferite almeno ad un'altra persona, che ne abbia poi effettiva conoscenza con la volontà da parte dell'agente medesimo, dell'ulteriore diffusione del contenuto diffamatorio attraverso il destinatario» (Cass. pen., sez. V, 16 giugno 2004, n. 31728).

Secondo la soluzione offerta dalla Suprema Corte nella sentenza in commento, infatti, «l'utilizzo della posta elettronica non esclude la sussistenza del requisito della "comunicazione con più persone" anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio ad una sola persona determinata, e ciò sia quando l'accesso alla casella mail sia consentito almeno ad altro soggetto, a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, e tale accesso plurimo sia noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo l'ordinaria diligenza salva l'esplicita indicazione di riservatezza, sia in tutti i casi in cui la comunicazione inviata via mail a un solo soggetto sia, come prevedibile - con giudizio da operarsi ex ante rispetto alla ricezione -, stata diffusa o comunque posta a conoscenza di almeno un altro soggetto» (Cass. pen., sez. V, 26 maggio 2016, n. 522).

E' quanto può accadere, ad esempio, nell'ipotesi di trasmissione di un messaggio di posta elettronica al responsabile di un pubblico ufficio per motivi inerenti la funzione svolta che, per necessità operative del servizio o dell'ufficio, non resta riservato tra il mittente ed il destinatario ed è, pertanto, destinato ad essere visionato da più persone. In tal caso, «la modalità di trasmissione a mezzo mail in nulla si distingue dall'ordinario inoltro per posta ordinaria, in busta chiusa non recante la dicitura "riservata - personale", essendo la comunicazione originata da ragioni di ufficio destinata a essere conosciuta anche dagli addetti all'apertura e smistamento della corrispondenza, o a successivi destinatari, competenti per le fasi del procedimento amministrativo al quale la comunicazione medesima abbia dato avvio. E tale destinazione in incertam personam riguarda, all'evidenza, anche gli allegati ad una nota di trasmissione, che con quest'ultima si integrano per relationem, avendone il mittente fatto proprio il contenuto» (Cass. pen., sez. V, 8 marzo 2019, n. 30727).

Nel caso di specie, come affermato nella sentenza ed accertato dai giudici di merito, il destinatario della e-mail, oltre a girarla direttamente anche alla persona offesa, commentava il contenuto del messaggio di posta elettronica ricevuto dall'imputata con gli altri condomini, come era prevedibile che accadesse trattandosi di questioni che riguardavano il condominio.

Dunque, secondo quanto stabilito dalla Suprema Corte, ai fini della configurabilità del reato di diffamazione, è necessario che l'autore della frase lesiva dell'altrui reputazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona ma con modalità tali che la notizia venga sicuramente a conoscenza di altri e tale requisito deve presumersi qualora l'espressione offensiva sia contenuta in un documento che, per sua natura, sia destinato ad essere visionato da più persone. Indici rivelatori della suddetta presunzione possono essere desunti dalla conoscenza delle prassi in uso al destinatario, ovvero dalla natura stessa dell'atto, se destinato all'esclusiva conoscenza del medesimo o se, invece, finalizzato all'attivazione di poteri propri di quest'ultimo che, necessariamente, implichino l'accessibilità delle informazioni da parte di terzi.

In tal senso, è stato affermato che integra l'elemento oggettivo del reato di diffamazione, sotto il profilo della comunicazione con più persone, l'invio a mezzo telefax a un ordine professionale di una lettera contenente espressioni lesive dell'altrui reputazione, «poiché le caratteristiche e la natura del mezzo prescelto implicano la conoscenza o la conoscibilità del contenuto della comunicazione da parte di un numero indeterminato di soggetti, ancorché qualificati da un titolo professionale»(Cass. pen., sez. I, 26 aprile 2007, n. 18888).

La Suprema Corte è giunta alla medesima conclusione anche riguardo alla trasmissione a mezzo posta elettronica certificata (PEC) di messaggi contenenti espressioni lesive dell'altrui reputazione integra il reato di diffamazione aggravata, anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione ad un solo indirizzo di posta, in quanto la certificazione garantisce la prova dell'invio e della consegna della comunicazione, ma non ne esclude di per sé la potenziale accessibilità a terzi diversi dal destinatario a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, per la cui prevedibilità in concreto è richiesto, tuttavia, un rafforzato onere di giustificazione (Cass. pen., sez. V, 23 ottobre 2020, n. 34831).

Riguardo alla seconda questione, invece, la soluzione offerta dalla Suprema Corte nella sentenza si basa sull'orientamento più recente e prevalente della giurisprudenza di legittimità secondo cui «l'invio di e-mail a contenuto offensivo integra il reato di diffamazione aggravata anche nell'eventualità che tra i destinatari del messaggio di posta elettronica vi sia l'offeso» (Cass. pen., sez. V, 6 aprile 2011, n. 29221; Cass. pen., sez. V, 16 ottobre 2012, n. 44980). La presenza dell'offeso tra i destinatari della e-mail offensiva non consente di mutuare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria – fattispecie oggi depenalizzata – stante la non contestualità del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione del messaggio di posta elettronica.

Di particolare interesse la motivazione quando rileva come i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di corrispondenza tradizionale rimangano validi «anche qualora la corrispondenza con più destinatari avvenga per via telematica, in quanto, se è vero che la digitazione della missiva avviene con unica azione, la sua trasmissione si realizza attraverso una pluralità di atti operati dal sistema e di cui l'agente è ben consapevole» (Cass. pen., sez. V, 2 febbraio 2017, n. 12603).

Per la Suprema Corte, la conclusione circa la configurabilità della diffamazione nelle comunicazioni a distanza diretta a più persone oltre all'offeso non mutua se alla comunicazione epistolare tradizionale si sostituisce, per effetto dell'evoluzione tecnologica, l'invio di una missiva per posta elettronica che includa fra i destinatari sia la persona offesa, sia gli ulteriori soggetti portati a conoscenza dell'offesa, trattandosi di strumento moderno che realizza, con semplicità ed efficacia esponenziali, il medesimo risultato in passato ottenuto con l'invio di una pluralità di lettere a più destinatari.

Alla luce di tale assetto giurisprudenziale, può ritenersi definitivamente superato l'orientamento di segno contrario secondo cui integrava«il reato di ingiuria l'invio a soggetti diversi della persona offesa di una mail contenente espressioni offensive con la consapevolezza che essa sarebbe stata comunicata al soggetto offeso» (Cass. pen., sez. V, 10 aprile 2008, n. 16425) ed anche quell'orientamento - solo apparentemente difforme - che aveva ravvisato il reato di ingiuria nell'invio a soggetti diversi dalla persona offesa di una e-mail contenente espressioni offensive con la consapevolezza che essa sarebbe stata comunicata al soggetto offeso (Cass. pen., sez. V, 20 aprile 2015, n. 24325). Tale pronuncia risultava, infatti, esclusivamente focalizzata sulla volontà offensiva del mittente, in concreto esclusa per i pessimi rapporti fra destinatario della lettera e persona offesa, e resa in un contesto in cui non era prospettabile la diffamazione perché la lettera era stata indirizzata a una sola persona.

Ne consegue, dunque, che la condotta dell'imputata si inquadra esclusivamente nel reato di diffamazione.

Osservazioni

Alla luce delle questioni affrontate, risulta di particolare rilevanza quella relativa al rapporto tra la fattispecie di diffamazione e quella di ingiuria, quando tra i destinatari del messaggio di posta elettronica dal contenuto diffamatorio vi sia l'offeso. La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha più volte affrontato la distinzione tra ingiuria e diffamazione alla luce dell'evoluzione tecnologica e digitale della nostra società.

Come noto, la norma incriminatrice prevista dall'art. 594 c.p. – abrogata per effetto del d.lgs. n. 7/2016 – puniva chiunque avesse offeso l'onere o il decoro di una persona presente.

La fattispecie, in ogni caso, continua a fornire un necessario parametro di riferimento nella tipizzazione del delitto di diffamazione alla luce del successivo art. 595 c.p., che tuttora punisce: «chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione».

Dal raffronto del dettato delle norme si ottiene che:

  • l'offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria, anche se sono presenti altre persone;
  • l'offesa diretta a una persona "distante" costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario; se la comunicazione "a distanza" è indirizzata ad altre persone oltre all'offeso, si configura il reato di diffamazione;
  • l'offesa riguardante un assente comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti), integra sempre la diffamazione.

Sulla base di tali parametri, la Suprema Corte ha difatti affermato che la e-mail a contenuto diffamatorio diretta all'offeso e ad altri destinatari (almeno due) configura il reato di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese.

Dunque, a seguito dell'abolizione del reato di ingiuria, finisce per confluire in tale ultimo e più recente orientamento anche quello più tradizionale che ravvisava, in dette comunicazioni, oltre al reato di diffamazione (indubbiamente sussistente) anche, e in concorso con esso, il reato di ingiuria, ora depenalizzato (Cass. pen., sez. V, 22 ottobre 2009, n. 48651). Secondo quest'ultimo orientamento più tradizionale, in tali casi si configurava il concorso formale tra i reati di ingiuria e diffamazione, impostazione questa che farebbe residuare, mutatis mutandis, il concorso fra l'illecito civile di cui all'art. 4 d.lgs. n. 7/2016 e il reato di diffamazione.

In definitiva, è la nozione di "presenza" dell'offeso ad assurgere a criterio distintivo e tale concetto implica necessariamente la presenza fisica, in unità di tempo e di luogo, di offeso e spettatori ovvero una situazione ad essa sostanzialmente equiparabile realizzata con l'ausilio dei moderni sistemi tecnologici.

L'evoluzione dei mezzi di comunicazione potrebbe ingenerare confusione circa le nozioni di "presenza" e "distanza", imponendo una riflessione ulteriore.

I numerosi applicativi attualmente in uso per la comunicazione tra persone fisicamente distanti non modificano, nella sostanza, la linea di discrimine tra le due figure come sopra tracciata, dovendo porsi solo una particolare attenzione alle caratteristiche specifiche del programma e alle funzioni utilizzate nel caso concreto.

Molti programmi mettono a disposizione degli utenti una variegata gamma di servizi: messaggistica istantanea (scritta o vocale), videochiamate e conversazione telefoniche, effettuate sfruttando la connessione internet. Sono state sviluppate diverse piattaforme per convocare riunioni a distanza tra un numero, anche rilevante, di persone presenti virtualmente. Le medesime piattaforme permettono di scrivere, durante la riunione, messaggi diretti a tutti i partecipanti, ovvero a uno o ad alcuni di essi. Per tale ragione il mero riferimento a una definizione generica (chat) o alla denominazione commerciale del programma è, di per sé, privo di significato e foriero di equivoci, laddove non accompagnato dalla indicazione delle caratteristiche precise dello strumento di comunicazione impiegato nel caso specifico.

Come detto, rimane fermo il criterio discretivo della "presenza", anche se "virtuale", dell'offeso; occorre dunque ricostruire sempre l'accaduto, caso per caso: se l'offesa viene proferita nel corso di una riunione "a distanza" (o "da remoto"), tra più persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l'offeso, ricorrerà l'ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone (fatto depenalizzato). È questo, ad esempio, il caso, che ha qualificato come ingiuria l'offesa pronunciata nel corso di un incontro tra più persone, compreso l'offeso, presenti contestualmente, anche se virtualmente, sulla piattaforma di un noto motore di ricerca.

Di contro, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all'offeso e ad altre persone non contestualmente "presenti" (in accezione estesa alla presenza "virtuale" o "da remoto"), ricorreranno i presupposti della diffamazione. Nella fattispecie – a parte una e-mail inviata solo all'offeso – l'imputato è stato condannato per il delitto di diffamazione per aver spedito all'offeso e ad altre dieci persone una e-mail contenente epiteti palesemente offensivi rivolti alla persona offesa indicata per nome.

In sostanza, le e-mail non sono altro che lettere in formato elettronico recapitate dalla casella di posta del mittente a singoli destinatari, non contestualmente presenti.

Deriva che nel caso quale quello richiamato in sentenza – di invio di una e-mail, dal contenuto offensivo, destinata sia all'offeso sia ad altre persone (almeno due) – è ravvisabile il delitto di cui all'art. 595 c.p., in ossequio al medesimo principio enucleato dalla Corte di cassazione per la corrispondenza tradizionale, poiché «se è vero che la digitazione della missiva digitale avviene con unica azione, la sua trasmissione si realizza attraverso una pluralità di atti operati dal sistema e di cui il mittente è ben consapevole» e, quindi, «lo stesso mittente pone in essere una condotta specifica rivolta a comunicare il messaggio a ciascuno dei destinatari prescelti, digitando il singolo indirizzo di posta elettronica nell'apposita casella» (Cass. pen., sez. V, 4 marzo 2021, n. 13252).

Per la Corte il mezzo di trasmissione-comunicazione adoperato (internet appunto), consente, in astratto, (anche) al soggetto vilipeso di percepire direttamente l'offesa ma il messaggio è diretto ad una cerchia talmente vasta di fruitori, tanto che l'addebito lesivo si colloca in una dimensione più ampia di quella interpersonale tra offensore ed offeso, tenuto conto che la diffusività e la pervasività di internet risultavano solo lontanamente paragonabili a quelle della stampa ovvero delle trasmissioni radio-televisive, per i quali si verificava la medesima situazione.

Nello stesso senso, è opportuno ricordare che la Suprema Corte ha avuto modo di confermare come anche la lesione dell'altrui reputazione nelle chat di whatsApp configura ad ogni modo l'ipotesi di diffamazione e non di ingiuria, posto che, sebbene il mezzo di trasmissione/comunicazione adoperato consenta, in astratto, anche al soggetto vilipeso di percepire direttamente l'offesa, il fatto che il messaggio sia diretto ad una cerchia di fruitori – i quali, peraltro, potrebbero venirne a conoscenza in tempi diversi – fa sì che l'addebito lesivo si collochi in una dimensione ben più ampia di quella interpersonale tra offensore ed offeso: da qui l'offesa alla reputazione della persona ricompresa nella cerchia dei destinatari del messaggio (Cass. pen., sez. V, 17 gennaio 2019, n. 7904).

Infine, occorre brevemente osservare che se, da un lato, risulta corretta la conclusione espressa dalla Suprema Corte circa la configurabilità del reato di diffamazione con l'invio di una e-mail dal contenuto offensivo anche qualora fra i destinatari del messaggio vi sia la persona offesa, dall'altro lato, non risulta condivisibile quanto espresso dalla Corta medesima circa la sussistenza dell'aggravante prevista dal comma terzo dell'art. 595 c.p., per l'uso di uno strumento di pubblicità a notevole capacità diffusiva e, cioè, «con qualsiasi altro mezzo di pubblicità».

L'applicabilità della circostanza in questione si fonda su quella giurisprudenza secondo cui l'invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l'utilizzo di internet, integra un'ipotesi di diffamazione aggravata, «quando plurimi ne siano i destinatari, in presenza della prova dell'effettivo recapito dello stesso, ovvero che il messaggio sia stato “scaricato” mediante trasferimento sul dispositivo del destinatario». Secondo la Corte, in caso di invio multiplo, a pluralità di destinatari, il reato di diffamazione si configura in forma aggravata in considerazione del particolare e formidabile mezzo di pubblicità della posta elettronica, (Cass. pen., sez. V, 6 aprile 2011, n. 29221).

Diversamente da quest'ultimo orientamento, si ritiene condivisibile quello che tende ad escludere l'aggravante in questione: secondo tale tesi l'art. 595, comma 3 c.p., riguarda il caso in cui l'offesa sia arrecata con il mezzo della stampa o comunque con mezzo pubblicitario potenzialmente diffusivo e non può essere esteso sino a ricomprendere il caso in cui l'offesa sia stata arrecata con uno scritto inoltrato per conoscenza a un numero circoscritto e limitato di destinatari, personalmente individuati e determinati, a cui la missiva è stata diretta per renderli informati del suo contenuto.

La posta elettronica, infatti, è uno strumento tecnologico più agevole, comodo ed efficiente della posta tradizionale, ma non configura di per sé automaticamente un “mezzo pubblicitario”, al quale tuttavia può essere equiparata in concreto quando per le particolari modalità della condotta sia stato possibile raggiungere un gruppo indeterminato o molto elevato di destinatari (Cass. pen., sez. V, 6 luglio 2018, n. 34484).

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