Il riconoscimento degli status familiari ai fini dell'esercizio dei diritti che discendono dalla libera circolazione

18 Maggio 2022

Con la sentenza del 14 dicembre 2021, la Corte di giustizia UE si è occupata dell'esercizio della libertà di circolazione all'interno dell'UE di una minore figlia di una coppia same-sex.
Massima

Gli articoli 20 e 21 TFUE, gli articoli 7, 24 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e l'articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2004/38/CE, relativo al diritto di libera circolazione e soggiorno, vanno interpretati nel senso che lo Stato di cittadinanza di un minore, nato nello Stato ospitante dei suoi genitori, è obbligato a rilasciare il documento di identità senza richiedere alle autorità nazionali di una delle due madri l'emissione di un atto di nascita e a riconoscere il documento proveniente dallo Stato membro ospitante che consente al minore di esercitare, con ciascuno dei due genitori, il proprio diritto di circolare liberamente nel territorio degli Stati membri.

Il caso

Una cittadina bulgara e una cittadina del Regno Unito risiedono dal 2015 in Spagna, dove si sono sposate nel 2018 e dove è nata, nel 2019, la loro figlia. L'atto di nascita, rilasciato dalle autorità spagnole, menziona le due madri come genitori della medesima. La madre bulgara, dopo aver presentato una traduzione, autenticata, dell'estratto del registro dello stato civile spagnolo, ha chiesto al comune di Sofia copia dell'atto di nascita, finalizzato ad ottenere un documento d'identità bulgaro. Atteso che il modello di atto di nascita bulgaro prevede una sola casella per la “madre” e una sola casella per il “padre”, il Comune di Sofia ha invitato la donna a fornire le prove in ordine all'identità della madre biologica. La donna ha ritenuto di non essere tenuta a tali obblighi informativi. Così il Comune di Sofia ha rigettato la richiesta, considerando, tra l'altro, che menzionare due genitori di sesso femminile sia contrario all'ordine pubblico bulgaro.

La questione

La madre bulgara ha proposto ricorso avverso la decisione dinanzi al Tribunale amministrativo di Sofia poiché il rifiuto di concedere il documento d'identità è in grado di ostacolare l'esercizio del diritto alla libera circolazione da parte del minore. Il Tribunale ha così operato un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, domandando se il rigetto delle autorità bulgare di trascrivere la nascita di un cittadino, avvenuta in un altro Stato membro e attestata da un atto di nascita che designa due madri senza precisare l'identità di quella biologica, violi i diritti tutelati dagli articoli 4, paragrafo 2, TUE, 20 e 21 TFUE, nonché dagli articoli 7, 24 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di giustizia UE, in Grande Sezione, ha statuito, da un lato, che gli Stati membri sono tenuti a riconoscere il rapporto di filiazione oggetto della causa in esame al fine di consentire alla minore di esercitare, insieme a ciascuno dei suoi genitori, il proprio diritto alla libera circolazione; d'altro lato, che i due genitori devono disporre di un documento che li autorizzi a viaggiare con la minore. Poiché quest'ultima ha nazionalità bulgara, in forza della direttiva 2004/38, le autorità del paese di cittadinanza sono obbligate a rilasciare un documento d'identità con i dati anagrafici riportati nell'atto di nascita del Paese ospitante.

Le autorità di questo Paese sono nella posizione migliore per emettere un documento che evidentemente gli altri Stati membri sono obbligati a riconoscere, poiché il documento di identità deve permettere a un minore come quello della causa in esame di esercitare, con ciascuna delle due madri, il cui status genitoriale sia stato accertato nel corso di un soggiorno conforme alla direttiva 2004/38, il diritto alla libera circolazione. In particolare, l'articolo 21, paragrafo 1, TFUE garantisce ai cittadini europei il diritto di condurre una normale vita familiare sia nello Stato membro ospitante sia nello Stato membro di origine nelle ipotesi di ritorno in tale Stato.

Secondo la Corte di giustizia, infine, una misura nazionale idonea ad ostacolare l'esercizio della libera circolazione può essere giustificata solo se è conforme ai diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE. Nel caso in esame invece, rendere impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio del diritto del minore alla libera circolazione per il fatto che i suoi genitori siano dello stesso sesso contrasta con gli articoli 7 e 24 della Carta.

Osservazioni

Come è già ampiamente emerso in altre pronunce della Corte (CGUE, Grande Sezione, 5 giugno 2018, C-673/16, Coman e a. V., al riguardo, G. Pizzolante, Matrimonio same sex quale presupposto giuridico per l'applicazione di norme materiali europee, in IlFamiliarista, 4 luglio 2018), il riconoscimento del rapporto di filiazione tra minore e madre same-sex funzionale all'esercizio, da parte dello stesso minore, dei diritti di circolazione non viola l'identità nazionale né minaccia l'ordine pubblico dello Stato membro d'origine. Infatti, il riconoscimento non comporta che lo Stato membro interessato debba prevedere, nel suo diritto interno, la genitorialità di persone dello stesso sesso o riconoscere, a fini diversi dall'esercizio dei diritti di circolazione, il rapporto di filiazione tra il minore e le persone indicate come genitori nell'atto di nascita dello Stato membro ospitante.

La decisione della Corte presuppone la circostanza che lo status è nella competenza degli Stati membri che sono liberi evidentemente di prevedere o meno il matrimonio e la filiazione della coppia same-sex. Tuttavia, nell'esercizio della competenza nazionale, ciascuno Stato deve agire conformemente alle disposizioni del Trattato relative alla libertà di circolazione, riconoscendo lo status acquisito in un determinato Stato membro conformemente al diritto di quest'ultimo. Invero, alla luce del sistema internazional-privatistico spagnolo, l'accertamento della filiazione è determinato dal criterio di collegamento della residenza abituale del minore e dunque dallo stesso diritto spagnolo che contempla la genitorialità della moglie della madre biologica di un minore. Nel caso all'esame, dunque, in forza del diritto spagnolo, le due donne, che comunque conducono una vita familiare effettiva in Spagna, hanno acquisito validamente lo status di genitore del minore.

Dunque, beneficiando la minore, attraverso la cittadinanza bulgara, dello status di cittadina UE, rappresenta un ostacolo alla sua libera circolazione, alla luce dell'articolo 4, paragrafo 3, direttiva 2004/38, non solo il rifiuto di un documento di identità bulgaro, ma anche il rifiuto di compilare un atto di nascita bulgaro che, conformemente a quello spagnolo, designi due donne quali madri della minore. Secondo la Corte, infatti, sebbene la ricorrente non sia la madre biologica della minore, le autorità dello Stato di origine hanno realizzato un ostacolo al suo diritto alla libera circolazione avendo la donna acquisito lo status di madre in forza del diritto spagnolo.

A causa del rigetto, la moglie britannica della ricorrente non può essere considerata madre alla luce del diritto bulgaro, risultato tale da dissuadere ricorrente e minore dal ritornare nello Stato membro d'origine. Se su tale documento o su altri documenti di viaggio, che servono a designare le persone autorizzate a circolare con la minore interessata, dovesse figurare solo una delle due donne indicate come madre della minore nell'atto di nascita spagnolo, si creerebbe un ostacolo poiché il diritto alla libera circolazione in forza dell'articolo 21, paragrafo 1, TFUE comporta che la minore deve poter viaggiare individualmente con ciascuno dei genitori. Peraltro, gli ostacoli sarebbero rilevanti sia per l'UE, appunto in tema di diritto di soggiorno, sia per il diritto nazionale, ad esempio in tema di affidamento, di sicurezza sociale e di successione.

Per quanto riguarda gli ostacoli in materia di riconoscimento degli status, la Corte, tra l'altro, ha avuto modo di chiarire, nelle sentenze del 2 ottobre 2003, C‑148/02, Garcia Avello, del 14 ottobre 2008, C‑353/06, Grunkin e Paul, del 2 giugno 2016, C‑438/14, Bogendorff von Wolffersdorff, che una divergenza tra i dati di documenti rilasciati da diversi Stati membri relativi allo status di un individuo è tale da generare per gli interessati inconvenienti di ordine amministrativo, professionale e privato. Questa divergenza può, in particolare, suscitare dubbi riguardo all'identità della persona, determinando status giuridici claudicanti nel territorio dell'Unione.

Sempre nella sentenza Coman e a. sopra citata, la Corte ha chiarito che i “familiari” che beneficiano del diritto alla libera circolazione sono quelli menzionati nell'articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38. La disposizione, alla lettera a), si riferisce al “coniuge” di un cittadino UE e, alla lettera c), ai suoi “discendenti diretti”. La circostanza di non qualificare come “familiare” il coniuge same-sex di un cittadino UE con il quale quest'ultimo ha validamente contratto un matrimonio in forza della normativa di uno Stato membro, per la sola ragione che un altro Stato membro non preveda nel proprio ordinamento tale possibilità, comporterebbe una gradualità di applicazione dei diritti contenuti nell'articolo 21, paragrafo 1, TFUE, in funzione delle disposizioni nazionali (sul punto ci permettiamo di rinviare a G. Pizzolante, Il riconoscimento nell'ordinamento di destinazione degli status familiari costituiti all'estero per motivi di ricongiungimento, in Freedom, Security & Justice: European Legal Studies, 2020, 2, p. 116 ss.). La Corte ha altresì statuito che la nozione di “discendente diretto” deve ricevere in tutta l'Unione un'interpretazione uniforme (CGUE, Grande Sezione, 26 marzo 2019, C‑129/18, SM, Minore sottoposto a kafala algerina).

Pertanto, il mancato riconoscimento dello status acquisito in Spagna, non solo crea uno status giuridico claudicante, ma, come si è anticipato, può dissuadere la madre bulgara dal ritorno nel suo Stato membro d'origine. Infatti, in caso di rientro, alla ricorrente sarebbe precluso lo svolgimento della vita familiare condotta in Spagna ed in particolare, dovendosi escludere la moglie dallo status di madre, i compiti collegati alla genitorialità, quali l'iscrizione a scuola o le decisioni mediche, verrebbero svolti in autonomia.

La definizione, in senso giuridico, di famiglia rientra senz'altro nell'identità nazionale di uno Stato membro ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, TUE, incidendo evidentemente sulla struttura della società. Difatti, la Corte, sempre nella sentenza Coman e a., ha riconosciuto come le norme che disciplinano il matrimonio facciano parte dell'identità di uno Stato membro. Tuttavia, tale identità appare salvaguardata nell'impostazione accolta e definita dalla Corte di giustizia, ammettendosi i vincoli di parentela instaurati in Spagna ai soli fini dell'applicazione del diritto alla libera circolazione dei cittadini. Così, il riconoscimento della figlia della ricorrente quale “discendente diretta” e della moglie quale “coniuge” garantisce al nucleo familiare di stabilire il soggiorno nel territorio dello Stato bulgaro. Atteso poi che tali nozioni debbono essere applicate anche ai “familiari” di un lavoratore migrante in forza del regolamento (UE) n. 492/2011, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione, la minore, allo stesso titolo di un figlio biologico, può usufruire dei vantaggi sociali e fiscali collegati all'eventuale status di lavoratrice migrante della ricorrente bulgara. Ne consegue che il riconoscimento dei vincoli di parentela instaurati in Spagna ai fini dell'applicazione del diritto derivato dell'Unione, nelle ipotesi ad esempio della direttiva 2004/38 e del regolamento n. 492/2011, non pregiudica assolutamente l'identità nazionale degli Stati membri.

Occorre infine ricordare che la nozione di vita familiare, ai sensi dell'articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali, va interpretata alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'Uomo relativa all'articolo 8 CEDU. La Corte di giustizia ha così dichiarato, nella sentenza Coman e a., che l'articolo 7 della Carta comprende le relazioni familiari sviluppate nell'ambito di un rapporto tra persone dello stesso sesso, a prescindere dalla loro qualificazione giuridica in un determinato Stato membro. Alla tutela di tale vita familiare si aggiunge poi la necessità di mantenere l'unità del nucleo familiare per garantire l'interesse superiore del fanciullo, in forza dei paragrafi 2 e 3 dell'articolo 24 della stessa Carta.

Riferimenti

W. Wengler, Le questioni preliminari nel diritto internazionale privato, in Diritto internazionale, 1963, 53 ss.

P. Picone, Saggio sulla struttura formale del problema delle questioni preliminari nel diritto internazionale privato, Napoli, 1971.

P. Picone, Les méthode de la référence à l'ordre juridique compétent en droit international privé, in Recueil des Cours de l'Académie de droit international de la Haye, 1986, II, 229 ss.

G. Carella, Sistema delle norme di conflitto e tutela internazionale dei diritti umani: una rivoluzione copernicana?, in Diritti umani e diritto internazionale, 2014, 523 ss.

G. Pizzolante, Il riconoscimento nell'ordinamento di destinazione degli status familiari costituiti all'estero per motivi di ricongiungimento, in Freedom, Security & Justice: European Legal Studies, 2020, 2, p. 116 ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.