È nulla la delibera assembleare che, senza il consenso unanime, modifichi le tabelle millesimali escludendo dalle stesse una o più unità immobiliari

Adriana Nicoletti
18 Maggio 2022

I giudici di merito sono nuovamente tornati sul tema relativo alla modifica delle tabelle millesimali, esaminando il profilo concernente i presupposti per dichiarare nulla la relativa delibera assembleare. Dal contenuto della sentenza di merito in commento, emerge, ancora una volta, come l'errore essenziale che legittima la revisione delle carature millesimali non può essere confuso con la volontà di porre nel nulla l'originaria ripartizione in assenza di un consenso unanime per riformare i criteri fondanti in tema di ripartizione delle spese condominiali.
Massima

Gli errori che giustificano la revisione delle tabelle millesimali devono essere errori essenziali, che si manifestano nell'obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle, potendo così rientrare nell'ipotesi normativa (all'esito della novella del 2012) gli errori commessi nella misurazione della superficie reale o della cubatura, della planimetria o degli schizzi altimetrici, o nell'aver dato ad un alloggio una destinazione diversa da quella reale. La ricorrenza delle suddette condizioni va dimostrata, in base alla regola generale del riparto dell'onere probatorio e quantomeno con riferimento agli errori obiettivamente verificabili, da chi intende modificare le tabelle.

Il caso

Una condomina impugnava, per annullabilità e/o nullità, due delibere assembleari approvate in sua assenza e rispetto alle quali lamentava l'approvazione della nuova tabella millesimale in violazione non solo dell'art. 69 disp. att. c.c., ma anche dei criteri adottati, asseritamente non in linea con i dettami normativi e gli orientamenti giurisprudenziali costanti sul punto. Il condominio si costituiva eccependo la tardività nell'impugnazione della prima delibera e, nel merito, chiedendo il rigetto delle domande di parte attrice.

Il Tribunale rigettava l'eccezione del convenuto in quanto, dall'esame del verbale assembleare, non risultava che con la prima deliberazione si fosse pervenuti all'approvazione delle nuove tabelle oggetto del giudizio, sostanzialmente rinviata ad un momento successivo, anche se i partecipanti, senza il consenso unanime previsto dall'art. 69 cit., si erano espressi in modo favorevole per tale cambiamento. Il deliberato così assunto non determinava un onere di impugnativa a carico del condomino mancando, in effetti, l'approvazione delle tabelle in nuova formulazione.

Per quanto concerne la seconda delibera oggetto di impugnativa, il Tribunale rilevava che risultando implicitamente avvenuta una modifica delle tabelle millesimali per relationem, in quanto dal verbale assembleare risultava un'implicita approvazione delle stesse per effetto del riferimento all'esito della precedente votazione che, pur in assenza di unanimità dei consensi, aveva dato il via libera alle nuove carature millesimali, che sarebbero state applicate fino ad eventuali provvedimenti giudiziari.

Così sintetizzato il quadro di fatto, il Tribunale, ritenendo assorbita la domanda relativa alla illegittimità della prima delibera, dichiarava la nullità della seconda per violazione dei criteri indicati dagli artt. 1123 ss. c.c. in quanto approvata senza una convenzione che fosse espressione dell'autonomia contrattuale (Cass. civ., sez. II, 23 marzo 2016, n. 5814).

La questione

La sentenza in commento ha posto due questioni: la prima, di carattere preliminare, è emersa, incidentalmente, dall'eccezione di tardività nell'impugnativa sollevata dal convenuto e riguarda la c.d. non deliberazione, mentre la seconda, sostanziale, concerne, ancora una volta, la nullità della modifica delle tabelle millesimali se avvenuta a maggioranza.

Le soluzioni giuridiche

Dalla motivazione della sentenza, risulta che le due questioni qui evidenziate sono state poste, per la conseguenzialità degli eventi, in stretta connessione. Il giudicante, infatti, ha ritenuto che la prima delibera, ovvero quella asseritamente impugnata al di fuori dei termini di cui all'art. 1137 c.c., non dovesse costituire oggetto di impugnativa per mancanza di un deliberatum, salvo, poi, nella decisione finale conferire alla stessa un valore determinante per dichiarare la nullità della seconda deliberazione.

A tal fine, il ragionamento del Tribunale è pienamente condivisibile. In effetti, in un primo tempo, l'assemblea aveva approvato a maggioranza le nuove tabelle millesimali, tuttavia, l'amministratore aveva rilevato che tale maggioranza non era sufficiente allo scopo ed a tal fine, per raggiungere il consenso di tutti i condomini, avrebbe chiesto un assenso scritto agli assenti, rimanendo in vigore le vecchie carature. Quindi, la situazione rimaneva congelata fino al momento in cui non si fosse raggiunta l'unanimità dei consensi. Con la seconda delibera, invece, ovvero quella che è stata dichiarata nulla, il Tribunale si è trovato a dover fare rivivere la precedente (interlocutoria) poiché ad essa si era fatto riferimento, nel momento in cui l'assemblea, pur non avendo esplicitamente deliberato sul punto, aveva proceduto al richiamo dell'immediato precedente nel quale i condomini avevano approvato i nuovi millesimi in modo non conforme alla normativa vigente.

E ciò anche con riferimento allo specifico motivo di impugnativa che riguardava l'esclusione di alcune unità immobiliari dalle tabelle concernenti le spese delle scale e dell'ascensore.

Osservazioni

La sentenza in esame è interessante, poiché presenta spunti di riflessione sui quali è opportuno soffermarsi.

Va osservato, in primo luogo, che l'amministratore, avendo dichiarato di voler ottenere anche il residuo assenso dei condomini non presenti nel consesso assembleare, ha posto la delibera in stato di quiescenza poiché questa, per poter validamente modificare le carature millesimali, avrebbe assunto valore solo nel momento in cui si fosse realizzata la condizione rappresentata dal raggiungimento dell'unanimità del quorum.

La giurisprudenza ha costantemente definito non impugnabili le deliberazioni preparatorie, programmatiche od interlocutorie, rispetto alle quali manca l'interesse ad agire per assenza di statuizione. In questo senso, infatti, l'interesse all'impugnazione di una deliberazione dell'assemblea condominiale, ai sensi dell'art. 1137 c.c., postula che la stessa sia idonea a determinare un mutamento della posizione dei condomini suscettibile di eventuale pregiudizio (v., per tutte, Cass. civ., sez. II, 23 novembre 2016, n. 23903). Pertanto, secondo tale principio, nel caso specifico la prima delibera era da ritenersi a tutti gli effetti interlocutoria in quanto sospesa in attesa del verificarsi di successivi sviluppi, frutto dell'input posto in atto dallo stesso amministratore.

Tuttavia, in una sequenza di deliberazioni che abbiano ad oggetto uno stesso argomento anche la decisione provvisoria potrebbe assumere i connotati di una delibera effettiva, intesa come espressione della volontà dei partecipanti all'assemblea tale da incidere sulla sfera dei singoli soggetti. Questo può avvenire nel caso in cui - come nella fattispecie - la delibera interlocutoria rappresenti il precedente nel quale trova fondamento il provvedimento assembleare ad essa strettamente collegato.

Tale situazione si è verificata nella controversia portata all'attenzione del giudice toscano, là dove l'approvazione delle nuove tabelle millesimali avrebbe dovuto riparare ad un errore originario, in conseguenza del quale le spese delle scale e dell'ascensore erano state poste a carico anche di quei condomini che con avevano alcun accesso all'interno dello stabile e che non potevano, pertanto, utilizzare l'impianto di risalita. La modifica, quindi, avrebbe dovuto esonerare dall'onere di contribuzione i compartecipanti ingiustamente penalizzati.

Qui si va ad innestare la seconda questione che chiama in causa l'art. 69 disp. att. c.c., nella formulazione prevista dalla l. n. 220/2012. La norma, nella formulazione prevista dalla riforma, stabilisce che la rettifica o la modifica dei valori millesimali, che può essere richiesta anche nell'interesse di un solo condomino, è determinata da due ipotesi tassative: l'errore nella redazione delle tabelle stesse e l'alterazione del valore proporzionale dell'unità immobiliare, anche di un singolo condomino, nella misura maggiore ad un quinto, quando tale variazione sia determinata da sopraelevazione, incremento di superfici o incremento o diminuzione delle unità immobiliari. In questi casi, la maggioranza richiesta per una delibera valida è quella stabilita dall'art. 1136, comma 2, c.c.

Considerando la natura dei c.d. “errori essenziali” che giustificano la revisione delle tabelle millesimali, non può rientrare in tale àmbito la decisione che porti ad escludere dalle spese condominiali, inerenti ad ascensore e pulizia di scale ed androne, le unità immobiliari (nella specie, locali commerciali) che non abbiano accesso all'interno dello stabile ed il cui ingresso sia situato sul fronte strada.

Sulla questione fa stato la costante giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 20 aprile 2017, n. 9986; Cass. civ., sez. II, 10 luglio 2007, n. 15444) secondo la quale, ai sensi dell'art. 1117 c.c. rappresentano beni comuni le scale e gli anditi, in quanto parti necessarie all'uso comune (n. 1) e gli ascensori in quanto opere, installazioni e manufatti destinati all'uso comune (n. 3). Questi ultimi, in particolare, rappresentano un mezzo indispensabile per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura, rispetto ai quali nulla escluse l'uso potenziale anche da parte dei proprietari dei negozi e dei locali terranei (basti solo pensare che anche tali soggetti hanno diritto di utilizzare il terrazzo/lastrico solare comune per posizionarvi le antenne televisive di natura esclusiva). Lo stesso analogo discorso vale nel caso delle scale che sono considerate, in relazione all'obbligo della manutenzione e ricostruzione, beni appartenenti a tutti i condomini senza distinzione.

L'unica eccezione, invece, è rappresentata dall'esistenza di un titolo contrario (art. 1117, comma 1, c.c.) che escluda, ab origine, la comproprietà di detti beni rispetto ad alcune unità immobiliari tra le quali, naturalmente i negozi che hanno accesso diretto dalla via pubblica.

A questo proposito, occorre rilevare che se è vero che le caratteristiche strutturali di un bene ne possono escludere la relativa condominialità - Cass. civ., sez. II, 8 settembre 2021, n. 24189: fattispecie relativa ad un cortile destinato al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari - è altrettanto vero che tale principio non può essere applicato all'ipotesi di beni, quali quelli al centro della controversia, che rappresentano funzionalmente una parte essenziale ed imprescindibile dell'edificio.

In questo quadro, pertanto, il titolo contrario non può essere altro che un regolamento di condominio di natura contrattuale, allegato e recepito negli atti di acquisto, talchè l'eventuale esclusione successiva dalle spese condominiali di una o più unità abitative può avvenire solo con l'assenso di tutti i condomini.

Quindi, tornando alla decisione in esame, approvare con una delibera assembleare assunta a maggioranza allargata che i negozi e similari, privi di accesso al portone dell'edificio ma ugualmente inseriti nelle carature originali, non debbano contribuire alle spese concernenti androne, scale ed ascensore non può che determinarne la nullità, come correttamente ritenuto dal giudice livornese.

Riferimenti

Nucera, Le spese condominiali e i criteri di riparto, in Arch. loc. e cond., 2022, 106;

Nasini, Regolamento condominiale e tabelle millesimali, facciamo il punto dopo la riforma, in Arch. loc. e cond., 2020, 379;

Ferrari, Tabelle millesimali: la guida completa, in Altalex.it, 31 ottobre 2019;

Prete, Il concetto di errore rilevante per la revisione delle tabelle millesimali, in Arch. loc. e cond., 2019, 571.

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