Considerazioni sul rapporto tra litispendenza e revocazione

Alessandro Rossi
23 Maggio 2022

In caso di successiva proposizione di due giudizi aventi identico oggetto, non è possibile la dichiarazione di litispendenza ai sensi dell'art. 39 c.p.c. da parte del giudice di quello instaurato per secondo, laddove in relazione al primo giudizio si sia già formato il giudicato.
Massima

In caso di successiva proposizione di due giudizi aventi identico oggetto, non è possibile la dichiarazione di litispendenza ai sensi dell'art. 39 c.p.c. da parte del giudice di quello instaurato per secondo, laddove in relazione al primo giudizio si sia già formato il giudicato, ivi inclusa l'ipotesi che tale giudicato consegua ad una pronuncia della Corte di Cassazione avverso la quale penda l'impugnazione per revocazione, ai sensi degli artt. 391 bis e 395 n. 4, c.p.c. (ovvero penda il termine per proporla).

Il caso

L'ordinanza in esame ha ad oggetto una vicenda giudiziaria complessa ed influenzata da due distinti processi.

Nel primo di essi era stata proposta, ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c., opposizione all'esecuzione da Tizio, al quale sono successivamente subentrate nel processo le eredi Caia e Sempronia, contro Intesa Sanpaolo S.p.A e la società S.G.A. S.p.A.

Nello svolgimento di tale processo vi è stata la pronuncia sia del Tribunale di Santa Maria Capua Venere, con sentenza n. 51/2012, che della Corte d'appello di Napoli. Quest'ultima, con sentenza n. 4315/2015, ha confermato la statuizione di primo grado.

La pronuncia di seconda istanza veniva successivamente impugnata tramite ricorso per cassazione. Il giudice di legittimità, con la pronuncia n. 32137/2019, ha dichiarato inammissibile il ricorso contro sentenza di secondo grado.

Avverso tale pronuncia del giudice di legittimità è stata proposta revocazione ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c. Ai fini dell'analisi della vicenda processuale nel suo complesso, è necessario sottolineare come tale giudizio sia ancora pendente al momento della pronuncia di appello resa nell'altro.

Il secondo processo, sempre introdotto dal medesimo attore contro le stesse parti, ha ad oggetto un'opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615, comma 2, c.p.c., con contestuale richiesta della condanna degli opposti ex art. 96 c.p.c.

L'opponente, davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, vedeva rigettate entrambe le domande proposte.

La decisione di primo grado veniva impugnata di fronte alla Corte d'appello di Napoli.

Il giudice di seconda istanza riformava tale pronuncia dichiarando, con ordinanza definitiva n. 1359/2021 del 10 maggio 2021, la litispendenza del processo ai sensi dell'art. 39 c.p.c.

Questi, infatti, rilevava la simultanea pendenza di un identico giudizio di opposizione all'esecuzione. Tale processo è quello in cui poi si è addivenuti alla pronuncia Cass. civ., n. 32137/2019 e trattata in precedenza.

A presupposto della pronuncia di litispendenza, il giudice d'appello poneva proprio il fatto della pendenza della revocazione contro la pronuncia di cassazione resa nell'altro processo.

Contro l'ordinanza n. 1359/2021, Caia e Sempronia hanno proposto regolamento di competenza articolando il relativo ricorso in due motivi.

Con il primo, le ricorrenti denunciano, ai sensi dell'art. 360, n. 4 c.p.c., la violazione dell'art. 39 c.p.c. Con il secondo, sempre ai sensi dell'art. 360, n. 4 c.p.c., denunciano la violazione dei principi affermati dalla pronuncia Cass. civ., sez. un., 12 dicembre 2013, n. 27846.

La questione

Ai fini della decisione delle doglianze promosse dalle ricorrenti, è necessario stabilire quale sia il rapporto che intercorre tra l'istituto della litispendenza e quello della revocazione.

Nello specifico, bisogna comprendere se, nel caso della simultanea pendenza di due cause identiche, possa essere dichiarata la litispendenza del giudizio instaurato successivamente anche se la pronuncia resa in quello precedente, pur se passata in giudicato, sia oggetto di un'impugnazione straordinaria.

Porsi tale quesito è fondamentale per capire se si possa applicare l'istituto della litispendenza al caso in esame o se, invece, operi, ai sensi dell'art. 2909 c.c., il principio del ne bis in idem.

Nel caso in cui si addivenga a stabilire che la litispendenza non possa essere pronunciata ove nell'altro identico giudizio sia stato emesso un provvedimento passato in giudicato formale, sarà anche necessario comprendere se la revocazione contro le pronunce di cassazione, disciplinata ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c., abbia natura ordinaria o straordinaria.

Solo l'impugnazione ordinaria, secondo quanto disposto dall'art. 324 c.p.c., è difatti idonea a posticipare il passaggio in giudicato della sentenza.

Le soluzioni giuridiche

In ragione dell'articolazione delle criticità che si pongono nel caso di specie deve, in primis, risolversi la questione di diritto relativa alla litispendenza.

Ai sensi dell'art. 39, comma 1, c.p.c. è disposto che «Se una stessa causa è proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, anche d'ufficio, dichiara con ordinanza la litispendenza e dispone con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo».

In dottrina, per litispendenza si intende il fenomeno processuale per cui non si può «pervenire a decidere il merito della causa in un nuovo processo quando la stessa domanda, benché non sia ancora stata decisa con sentenza passata in giudicato, contestualmente penda davanti ad un altro giudice, non importa in quale grado del processo» (Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Torino, 2021, 370).

Per capire a fondo l'istituto, è necessario comprendere come vada inteso il concetto di “identità di causa”. Vi è identità di causa quando le due cause pendenti abbiano le stesse parti, lo stesso petitum e la stessa causa petendi (Merlin, Sub art. 39 c.p.c., in Consolo (a cura di) Codice di procedura civile. Commentario, I, Milano, 2018, 553).

L'antecedenza tra i due processi, definita prevenienza, è dettata dalla data di notificazione della domanda o del deposito del ricorso, secondo quanto disposto ai sensi dell'art. 39, comma 3, c.p.c. Sarà considerato preveniente il processo con data anteriore di notifica dell'atto di citazione o di deposito del ricorso.

Proprio per questa sua attitudine ad imporre una pronuncia di rigetto in rito della medesima domanda dedotta in un successivo giudizio, la litispendenza può essere considerata un presupposto di decidibilità della causa nel merito (Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Torino, 2021, 359 ss.).

La litispendenza è un istituto simile alla continenza, benché tra le due figure vi sia una netta linea di confine. La continenza, disciplinata ai sensi dell'art. 39, co. 2, c.p.c., è un fenomeno processuale che si basa sulla pendenza di più cause in modo tale che ve ne sia una che contiene l'altra (continenza c.d. quantitativa) o che sia idonea ad «abbracciarne in tutto o in parte gli effetti decisori (continenza c.d. qualitativa) (Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Torino, 2021, 374).

La ratio dell'istituto della litispendenza sembra doversi rinvenire nel fine di evitare la formazione di giudicati contrastanti (Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Torino, 2021, 370).

Svolte queste considerazioni iniziali sull'istituto, è necessario affrontare il quesito di diritto sollevato nel caso in esame.

In applicazione di quanto enunciato, non sembra possibile dichiarare la litispendenza nel caso in cui una delle due cause sia arrivata ad una pronuncia con efficacia di giudicato, intesa tanto nel suo senso formale che sostanziale.

A sostegno di tale conclusione, si pongono plurimi argomenti.

In primis, si può citare il tenore letterale dell'art. 2909 c.c.

Tale disposizione prevede che «L'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa.». Il “fare stato” della pronuncia va inteso sia come effetto positivo-conformativo del giudicato sulle controversie che cadono sul medesimo diritto, che come effetto negativo-preclusivo ad emettere una nuova decisione nel merito sulle stesse (Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Torino, 2021, 104 ss.; Consolo//Paoletti, Sub art. 2909 c.c., in Consolo (a cura di) Codice di procedura civile. Commentario, I, Milano, 2018, 100 ss.).

A “fare stato”, è l'accertamento contenuto nella pronuncia. Questo comporta che la pronuncia, che deve essere non solo non più impugnabile (giudicato c.d. formale), debba aver statuito nel merito della controversia e che abbia, quindi, accertato l'esistenza o l'inesistenza della situazione giuridica sostanziale dedotta in giudizio, potendosi così qualificare come passata in giudicato c.d. sostanziale (Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Torino, 2021, 100).

Ove si ammettesse l'operatività della litispendenza anche nel caso in cui sia resa una pronuncia divenuta irretrattabile, secondo quanto appena accennato, si produrrebbe una violazione frontale della regola del giudicato.

Nel momento in cui un provvedimento non sia più impugnabile, l'accertamento contenuto nella stessa produrrà, nella controversia deducente il medesimo diritto, o l'effetto positivo-conformativo (imponendo una decisione simmetrica della controversia) o quello negativo-preclusivo (comportando un rigetto in rito della domanda) (Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Torino, 2021, 105-106 e 111 ss.).

La rassegnata conclusione sembra confermata dalla disciplina della formazione del giudicato dettata ai sensi del combinato disposto degli artt. 2909 c.c., 99 c.p.c. e 324 c.p.c.

Ex art. 324 c.p.c. è disposto che «Si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 395.».

Secondo il tenore letterale della norma in esame, quindi, la cosa giudicata si forma nel momento in cui siano scaduti i termini per la proposizione delle impugnazioni da esso previste (Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Torino, 2021, 88).

Il citato articolo va interpretato, allora, nel senso che il giudicato formale si realizzi nel momento in cui non possano essere più esperite le impugnazioni c.d. ordinarie. Questo poiché l'appello, il regolamento di competenza, il ricorso per cassazione e la revocazione per i nn. 4 e 5 sono qualificabili come tali (Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2021, 427; Mandrioli//Carratta, Diritto Processuale Civile, II, Torino, 2019, 412; Mastracchio//Teodoldi, Sub 324 c.p.c., in Consolo (a cura di) Codice di procedura civile. Commentario, II, Milano, 2018, 1141).

Se questo è condivisibile, è necessario operare una distinzione a seconda che il giudicato arrivi alla sua versione sostanziale o si fermi a quella formale.

Coerentemente con quanto già esposto, sembra ragionevole ritenere che, solamente con il passaggio in giudicato sostanziale della pronuncia relativa ad uno dei più giudizi aventi ad oggetto la medesima domanda, non possa più dichiararsi la litispendenza del processo e vada applicata la regola derivante dal combinato disposto degli artt. 2909 c.c., 99 c.p.c. e 324 c.p.c. In questo caso, infatti, si produrranno nei confronti degli altri procedimenti pendenti l'effetto positivo-conformativo o negativo-preclusivo.

Se, invece, vi sia un rigetto in rito con formazione del solo giudicato formale, la seconda causa potrà essere proseguita in quanto non si produrrà nessuno degli effetti citati prima.

Tale soluzione sembra accolta anche in seno alla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione.

Con la pronuncia Cass. civ., sez. un., 12 dicembre 2013, n. 27846, il giudice di legittimità, seppur chiamato principalmente a pronunciarsi sulla possibilità o meno di dichiarare la litispendenza tra due procedimenti pendenti in diversi gradi di giudizio, ha statuito che «(… omissis) La conclusione discende pianamente ove si tenga conto della funzione dell'istituto della litispendenza. Questo è, infatti, espressione della regola, sovraordinata al sistema del processo, secondo cui de eadem re ne bis sit actio; tale regola delimita il diritto di azione nella sua dimensione pubblica, in quanto, cioè, esso sia volto ad ottenere dallo Stato la prestazione della giurisdizione, e nella sua dimensione privata, in quanto diretto verso altro soggetto che sì voglia sottoporre alle statuizioni del giudice. In tale prospettiva, la regola della litispendenza, intesa come effetto della consumazione del diritto di azione, ha lo stesso fondamento, ovvero appaga le stesse esigenze, della regola del giudicato, sicché la prima dovrebbe espandersi finchè non funzioni già l'altra. Supponendo, cioè, la cosa giudicata una sentenza irrevocabile, la litispendenza, che preserva gli stessi interessi propri della prima, sarebbe tenuta ad occupare, e quindi a regolare, tutta la vicenda processuale che precede la regiudicata. Pertanto, in nome della realizzazione dell'obiettivo del ne bis in idem, tra eccezione di litispendenza e eccezione di giudicato non possono lasciarsi spazi vuoti. In sostanza, la pendenza della lite, che si determina dall'attimo in cui la domanda sia regolarmente proposta, cessa soltanto quando si consegua una sentenza definitiva non impugnabile con mezzi ordinari (col che all'eccezione di litispendenza subentra quella di giudicato), oppure si verifichi l'estinzione della domanda (omissis…).» (Cass. civ., sez. un., 12 dicembre 2013, n. 27846, in DeJure).

Ove si condivida la rassegnata conclusione relativa al primo profilo di diritto rilevante per la risoluzione della controversia, si pone come necessaria l'analisi del secondo, ovvero quello relativo alla natura della revocazione ove proposta contro le pronunce di cassazione ex art. 391-bis c.p.c.

La risposta a tale quesito è essenziale per stabilire se, nel caso di specie, possa considerarsi formato il giudicato o meno. Le impugnazioni ordinarie, come detto in chiusura del precedente paragrafo, sono le uniche, secondo la disciplina dell'art. 324 c.p.c., a posticipare la formazione del giudicato (Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2021, 427; Mandrioli//Carratta, op. cit., 412).

Secondo una prima tesi, assolutamente prevalente in giurisprudenza (Cass. civ., sez. I, 20 aprile 2006, n. 9174, in DeJure; Cass. civ., sez. III, 06 ottobre 2000, n. 13342, in DeJure e Cass. civ., sez. lav., 21 settembre 1995, n. 10005, in DeJure) e accolta dalla dottrina maggioritaria (Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Bari, 2019, 518; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2021, 634, nello specifico si rinvia alla nota intertestuale; Consolo//Parisi, Sub art. 391-bis c.p.c., in Consolo (a cura di) Codice di procedura civile. Commentario, III, Milano, 2018, 20; Impagnatiello,Il concorso tra cassazione e revocazione. Contributo allo studio della formazione e dell'impugnazione del giudicato, Napoli, 2004, passim;Mandrioli//Carratta, op. cit., 599, nello specifico si rinvia alla nota 38.), la revocazione ex art. 391-bis c.p.c. avrebbe sempre natura straordinaria.

A sostegno di tale tesi, tra i vari argomenti, si pone il tenore letterale dell'art. 324 c.p.c. Come visto in precedenza, tale articolo, nell'individuare le impugnazioni qualificate come ordinarie, rinvia solo alla revocazione ex art 395, nn. 4 e 5 e non anche a quella prevista ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c.

Inoltre, a sostegno di tale tesi si pone anche la disciplina del ricorso per cassazione. In quanto impugnazione di ultima istanza, conclusosi il relativo giudizio la decisione non potrebbe che acquisire valore di cosa giudicata, sempre secondo quanto previsto ai sensi dell'art. 324 c.p.c.

Secondo un'altra tesi, avallata dalla dottrina minoritaria (Salvaneschi, Sulla natura della revocazione per errore di fatto delle pronunce della cassazione, in Riv. dir. proc., 2018, VI, 1461 ss.; Villa, La revocazione, in Dittrich (a cura di) Diritto processuale civile, II, Milano, 2019, 2823), la revocazione per errore di fatto delle pronunce di cassazione avrebbe natura mista. Straordinaria ove esperita avverso le pronunce di rigetto del ricorso (Salvaneschi, op. cit, 1465) ma ordinaria se proposta nei confronti delle pronunce di accoglimento dello stesso (Salvaneschi, op. cit, 1465).

A sostegno di tale tesi si porrebbe, in primis, il tenore letterale dell'art. 391-bis, comma 5, c.p.c. Tale disposizione prevede che «La pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto». A contrario, allora, la revocazione avrebbe natura ordinaria se proposta avverso le pronunce che accolgono il ricorso per cassazione.

Tale disposizione, quindi, sarebbe speciale rispetto a quella generale dettata ex art. 324 c.p.c. in tema di formazione di giudicato e derogherebbe alla regola per cui una pronuncia diverrebbe definitiva ove, contro di essa, non siano più esperibili il regolamento di competenza, l'appello, il ricorso per cassazione o la revocazione ex art. 395, nn. 4 e 5, c.p.c.

Coerentemente a quanto riportato, vi sarebbe l'impossibilità di interpretare estensivamente l'art. 391-bis, comma 5, c.p.c. in modo tale da ricomprendere nella stessa disciplina anche il caso in cui venga accolto il ricorso.

Nel caso di specie l'interpretazione estensiva, oltre che dal rapporto di specialità, sarebbe negata in quanto sembrerebbe impossibile considerare l'ipotesi della sentenza che accoglie il ricorso per cassazione come rientrante, in maniera implicita, nella fattispecie prevista ai sensi dell'art. 391-bis, co. 5, c.p.c. Tale disposizione, infatti, disciplina il caso radicalmente opposto del rigetto del ricorso in cassazione. Nel caso di specie, quindi, non si sarebbe dato luogo a quel “minus dixit quam voluit” in capo al legislatore che permetterebbe l'applicazione estensiva della norma a casi che, seppur non menzionati espressamente, rientrerebbero nella fattispecie astratta della stessa (Carnevali, Appunti di diritto privato, Milano, 2019, 34 ss.).

In conclusione sul punto di analisi delle questioni di diritto sottese dal caso in esame, secondo quanto argomentato, sembra ragionevole rassegnare le seguenti conclusioni:

a) per quanto riguarda il rapporto tra litispendenza e formazione del giudicato, la pronuncia definitiva resa in uno dei più processi uguali risulta ostativa alla dichiarazione della litispendenza negli identici giudizi simultaneamente pendenti.

Al momento dell'irretrattabilità della pronuncia, identificata secondo la disciplina dell'art. 324 c.p.c., l'accertamento contenuto nel provvedimento passato in giudicato produrrà nei confronti del giudizio avente ad oggetto la stessa domanda i suoi effetti, ovvero quello negativo-preclusivo o positivo-conformativo. Non rimarrebbe, quindi, spazio per la pronuncia della litispendenza ai sensi dell'art. 39 c.p.c., atteso che il processo, nel caso di specie, andrebbe concluso, a seconda che si consideri il giudicato come avente effetti meramente processuali o sostanziali, con una pronuncia di rito o di merito;

b) per quanto relativo alla natura della revocazione per motivi di fatto ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c., secondo una prima tesi, fondata sull'interpretazione letterale del dispositivo dell'art. 324 c.p.c., la revocazione delle sentenze di cassazione avrebbe sempre natura straordinaria. Concluso il giudizio di cassazione, vi sarebbe la consumazione di tutte le impugnazioni ordinarie e la conseguente formazione del giudicato. Le ulteriori impugnazioni contro la sentenza irretrattabile, allora, vanno qualificate come straordinarie.

Per altra tesi, invece, sussisterebbe un rapporto di specialità tra gli artt. 324 c.p.c. e 391-bis, comma 5, c.p.c. tale da giustificare il riconoscimento di natura straordinaria alla sola revocazione proposta contro le pronunce di rigetto del ricorso per cassazione.

L'adesione ad una o all'altra di queste tesi, come detto in chiusura del precedente paragrafo, influenza in maniera determinante la decisione nel caso di specie. Ove si aderisca alla prima, non vi sarebbe certamente spazio per la pronuncia di litispendenza. Ove si aderisse alla seconda, invece, tale pronuncia sarebbe possibile, benché limitatamente all'ipotesi in cui la revocazione ex art. 391-bis c.p.c. sia proposta contro una pronuncia di accoglimento del ricorso in cassazione.

Osservazioni

La Corte di cassazione, tramite la pronuncia in commento, accoglie il regolamento di competenza.

Ai risultati raggiunti tramite tale statuizione sembra potersi prestare la massima condivisione.

Il giudice di legittimità, in piena adesione con la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria formatesi sul punto, ha considerato la formazione del giudicato in senso sostanziale come ostativa alla pronuncia di litispendenza.

Una soluzione diversa, difatti, aprirebbe ad una svalutazione degli effetti prodotti dal giudicato in via conformativo-positiva o negativo-preclusiva.

Questi, nel caso di proposizione di una nuova domanda avente ad oggetto lo stesso diritto, non avrebbero mai modo di operare ove la statuizione resa precedentemente fosse oggetto di revocazione straordinaria.

Tale eventualità si renderebbe inaccettabile dal punto di vista sistematico, atteso che le impugnazioni straordinarie si possono porre solo avverso una pronuncia già passata in giudicato. Giudicato che, se così fosse, nascerebbe potenzialmente privo di effetti già in radice, così negando l'idea stessa di una pronuncia irretrattabile ed ostativa ad una nuova decisione della medesima controversia.

Tale pronuncia, inoltre, si esprime, seppur indirettamente, anche sulla natura della revocazione per motivi di fatto delle sentenze di cassazione ex art. 391-bis c.p.c. Anche qui, in aderenza alla dottrina e alla giurisprudenza maggioritarie, il giudice di legittimità valorizza l'istituto del giudicato negando che, con la proposizione di tale mezzo di censura, possa essere ancora procrastinata la formazione dello stesso. Riconosce, allora, natura sempre straordinaria alla revocazione per motivi di fatto delle sentenze della cassazione ex art. 391-bis c.p.c. a prescindere da che essa sia proposta contro una pronuncia di accoglimento o di rigetto.

Questa soluzione è avvalorata anche dalla necessità del rispetto del principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. Esso impone il rapido raggiungimento di una statuizione non più sindacabile (T.A.R. Napoli, (Campania), Sez. VIII, 11 ottobre 2021, n. 6411) ed idonea a produrre effetti positivo-conformativi o negativo-preclusivi sui giudizi successivamente instaurati tra le medesime parti ed aventi ad oggetto il medesimo diritto.

Riferimenti
  • Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Bari, 2019;
  • Carnevali, Appunti di diritto privato, Milano, 2019;
  • Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I e II, Torino, 2021;
  • Consolo//Paoletti, Sub art. 2909 c.c., in Consolo (a cura di) Codice di procedura civile. Commentario, I, Milano, 2018;
  • Consolo//Parisi, Sub art. 391-bis c.p.c., in Consolo (a cura di) Codice di procedura civile. Commentario, III, Milano, 2018;
  • Mandrioli//Carratta, Diritto processuale civile, II, Torino, 2019;
  • Mastracchio//Teodoldi, Sub 324 c.p.c., in Consolo (a cura di) Codice di procedura civile. Commentario, II, Milano, 2018;
  • Merlin, Sub art. 39 c.p.c., in Consolo (a cura di) Codice di procedura civile. Commentario, I, Milano, 2018;
  • Salvaneschi, Sulla natura della revocazione per errore di fatto delle pronunce della cassazione, in Riv. dir. proc., 2018, VI;
  • Villa, La revocazione, in Dittrich (a cura di) Diritto processuale civile, II, Milano, 2019.

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