Costituzione della Repubblica - 27/12/1947 - n. 0 art. 103[I] Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. [II] La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge. [III] I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate. InquadramentoL'art. 103, comma 1, Cost. cristallizza in Costituzione il criterio generale di riparto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa basato sulla dicotomia fra diritti soggettivi e interesse legittimi. La disposizione prevede poi un criterio di riparto ulteriore che, in deroga al criterio generale, attribuisce alla giurisdizione del giudice amministrativo «particolari materie», a prescindere che vengano in rilievo nella controversia interessi legittimi o diritti soggettivi. Il recepimento di tale meccanismo di riparto fu oggetto di contrasti e ripensamenti in assemblea costituente e non ha posto fine, negli anni a seguire, ad un intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale volto ad individuare criteri più certi di riparto di giurisdizione. Come rilevato da autorevole dottrina, da questo punto di vista, dunque, la scelta del costituente non ha rappresentato un punto di arrivo ma, semmai, di passaggio (Caringella, 5). Si ripercorreranno a seguire le tappe che hanno portato all'assetto previsto in Costituzione di riparto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, mentre per la definizione e l'inquadramento costituzionale delle nozioni di interesse legittimo e diritto soggettivo e per le garanzie costituzionali della loro tutela, si rinvia al commento degli artt. 24 e 113 Cost. Si esamineranno, infine, i contenuti dell'art. 103, comma 2, Cost., che disciplina la garanzia costituzionale riservata alla giurisdizione contabile, mentre non sarà oggetto del commento il terzo comma dell'art. 103 Cost., dedicato alla giurisdizione dei tribunali militari ed estraneo, pertanto, all'ambito del presente lavoro. Il sistema di giustizia amministrativa e il criterio di riparto di giurisdizione prima della Costituzione.Gli ordinamenti dell' ancien régime non conoscevano un sistema di giustizia amministrativa: in fattispecie di cattivo esercizio di poteri amministrativi, i sudditi non avevano altra scelta che quella di rivolgersi agli uffici superiori dell'amministrazione, avvalendosi dunque di forme di tutela amministrativa e non giurisdizionale. È con la rivoluzione francese che le controversie inerenti all'esercizio del potere pubblico cominciano ad essere attribuite alla competenza di autorità giurisdizionali o paragiurisdizionali. In Italia, prima dell'avvento della l. n. 2248/1865, allegato E (c.d. l. abolitiva del contenzioso amministrativo), i tribunali investiti della giurisdizione del contenzioso amministrativo erano i c.d. Consigli di Governo e, in secondo grado, il Consiglio di Stato. Come rilevato dalla dottrina, si trattava di tribunali non sempre dotati di potestà giurisdizionale in senso stretto, bensì di organismi sostanzialmente amministrativi (Caringella, 8). Il criterio di riparto prevedeva allora che al giudice ordinario fossero devolute le controversie tra privati ed amministrazione relative a rapporti di diritto privato nei quali veniva in rilievo la lesione di un diritto soggettivo, quali per esempio le controversie in materia di diritto di proprietà. In materia di rapporti di diritto pubblico, le controversie erano invece ripartite tra giudice ordinario e i giudici del contenzioso amministrativo secondo una ripartizione di materie individuate in via legislativa. Ai giudici del contenzioso amministrativo non competeva, però, il potere di annullamento degli atti amministrativi, che, in forza del principio di separazione dei poteri, competeva alla sola amministrazione. Con la l. n. 2248/1865, allegato E, abolitiva del contenzioso amministrativo, i tribunali investiti della giurisdizione del contenzioso amministrativo vennero infine soppressi, in accoglimento del principio della giurisdizione unica. Vennero così devolute alla giurisdizione ordinaria anche «tutte le cause e tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorché siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'Autorità amministrativa» (cfr. l'art. 2 dell'allegato E della l. n. 2248/1865). Prevalse l'indirizzo di pensiero, infatti, secondo cui il contenzioso amministrativo dovesse essere devoluto al giudice ordinario che, in quanto munito di garanzie di imparzialità ed indipendenza rispetto al potere esecutivo, era ritenuto più idoneo ad assicurare una giustizia al cittadino più ampia nei confronti dell'amministrazione. Al giudice ordinario vennero attribuite, così, non solo le controversie in cui la pubblica amministrazione agiva nella sua veste privatistica, ma anche quelle in cui «la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'Autorità amministrativa» (cfr. l'art. 2 e l'art. 4 dell'allegato E, l. n. 2248/1865). Emersero sin da subito, però, alcuni limiti della legge abolitiva del contenzioso amministrativo. Il giudice ordinario era dotato, anzitutto, di poteri giurisdizionali deboli. Al giudice competeva, infatti, un mero potere di disapplicazione del provvedimento amministrativo e non anche un potere di annullamento o revoca del provvedimento stesso. La rimozione del provvedimento amministrativo poteva essere ottenuta solo «sovra ricorso alle competenti Autorità amministrative» (cfr. l'art. 4 dell'allegato E della l. n. 2248/1865). Il sistema non prevedeva, inoltre, alcun meccanismo per rendere coercibili le sentenze del giudice, la cui esecuzione era dunque rimessa all'adempimento spontaneo dell'amministrazione. Solo con la legge del 1889, di cui a breve si dirà, fu infine introdotta l'azione di ottemperanza. Il principale limite della legge sull'abolizione del contenzioso amministrativo fu, infine, quello di aver attribuito al giudice ordinario il solo potere di decidere controversie in materia di diritti soggettivi, lasciando dunque privi di tutela giurisdizionale gli interessi diversi dai diritti soggettivi – o, per usare le parole del legislatore, i c.d. «affari» –, con insindacabilità in sede giurisdizionale della correlata azione amministrativa (Caringella, 18). Per tali «affari» residuava solo una tutela amministrativa, come previsto dall'art. 3 dell'allegato E della l. n. 2248/1865. In questa fase, dunque, la individuazione dei confini della giurisdizione ordinaria non è ancora una questione riparto di giurisdizione, ma semmai di riparto di attribuzioni tra giudice ordinario e pubblica amministrazione. In vigenza della legge sull'abolizione del contenzioso amministrativo e in ragione dei limiti della legge stessa, si fece strada, dunque, un'interpretazione abrogativa della stessa, come ha affermato la dottrina (Battini, 2013, 47 e ss.): il giudice ordinario finì con l'essere ritenuto quasi sempre privo di giurisdizione a sindacare l'esercizio dei poteri amministrativi, sulla scorta dell'equazione in base alla quale non poteva esistere un diritto soggettivo in presenza di un provvedimento regolato da una legge amministrativa. Una legge che era stata introdotta per garantire maggiore tutela ai cittadini, finì così, invece, per lascare privo di tutela giurisdizionale il privato inciso dall'esercizio autoritativo del potere pubblicistico. Per colmare tale vuoto di tutela giurisdizionale, il legislatore avrebbe potuto attribuire maggiori poteri al giudice ordinario e invece, con l. n. 5992/1889, istituì presso il Consiglio di Stato (che aveva mantenuto, anche a seguito della approvazione della legge abolitiva del contenzioso, alcune competenze) una nuova sezione (la IV) cui attribuì la competenza a fornire una forma di tutela nuova – questa volta giurisdizionale, impugnatoria ed eliminatoria – avverso gli atti di imperio dei pubblici poteri. Con l'istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato nasce così la giurisdizione amministrativa e, con essa, il problema del riparto tra la giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione (di cui all'art. 2 dell'allegato E della l. n.2248/1865) e quella del giudice amministrativo (di cui all'art. 3 della l. n. 5992/1889). Il problema venne risolto per anni in modo opposto dai giudici amministrativi e dai giudice ordinari. Il Consiglio di Stato riteneva che il problema del riparto fosse da risolvere con il c.d. criterio del petitum formale. Secondo tale criterio, il giudice amministrativo poteva conoscere di ogni controversia in cui fosse chiesto l'annullamento di un atto amministrativo illegittimo, a prescindere che venisse in rilievo una questione di diritto soggettivo o interesse legittimo, con conseguente ascrizione alla giurisdizione amministrativa anche della cognizione di diritti soggettivi purché incisi da atti dei quali il privato chiedesse l'annullamento. La ricostruzione postulava il c.d. principio della «doppia tutala», secondo cui con riferimento alla medesima fattispecie era possibile postulare un doppio tipo di tutela, quella risarcitoria dinnanzi al g.o. e quella annullatoria dinnanzi al g.a. La Cassazione sposò, invece, il c.d. criterio della causa petendi (o del c.d. petitum sostanziale), che attribuiva rilievo deciso alla sola individuazione della posizione giuridica sostanziale dedotta in giudizio (di diritto soggettivo ovvero di interesse legittimo). In applicazione di tale criterio, la giurisdizione del giudice amministrativo non veniva riconosciuta in tutti i casi in cui fosse richiesto l'annullamento di un atto amministrativo, ma solo laddove tale annullamento fosse richiesto a fronte di un atto amministrativo lesivo di una posizione di interesse non protetto come diritto soggettivo (Caringella, p. 34). Il criterio della causa petendi presentò sin da subito problemi applicativi, per la difficoltà di distinguere nel caso concreto tra interessi legittimi e diritti soggettivi. Il legislatore si fece carico di tali difficoltà e, nel 1923, con il r.d. n. 2840, introdusse per la prima volta nel nostro ordinamento la figura della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per materia, estesa sia ai diritti soggettivi che agli interessi legittimi. Fu il criterio della causa petendi, infine, ad essere accolto come criterio generale di riparto. Prima fu accolto dalla giurisprudenza, con il c.d. concordato giurisprudenziale del 1929 e, infine, come a breve si dirà, dall'Assemblea Costituente. I lavori dell'Assemblea costituente e l'art. 103 Cost.L'Assemblea costituente dovette anzitutto affrontare in via preliminare la questione – comunque connessa a quella del riparto – circa l'unità o la pluralità delle giurisdizioni, decidendo se mantenere le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato o se invece sopprimerle, affidando in questo secondo caso la cognizione delle controversie con le pubbliche amministrazioni alla giurisdizione ordinaria. La proposta relativa alla soppressione della giurisdizione amministrativa venne sostenuta, come noto, dall'on. Calamandrei, che riteneva che le ragioni che avevano portato nel 1889 all'istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato fossero ormai superate. L'on. Calamandrei proponeva, nello specifico, di conferire all'autorità giudiziaria ordinaria poteri pieni, consentendo al cittadino di «ricorrere alla autorità giudiziaria ordinaria non soltanto per chiedere la reintegrazione del proprio diritto soggettivo violato da un atto della pubblica amministrazione, ma anche per chiedere l'annullamento o la modificazione per i motivi di legittimità o di merito stabiliti dalla legge, dell'atto amministrativo lesivo del suo interesse» (cfr. il resoconto della seduta pomeridiana del 10 gennaio 1947, della seconda Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione). La gran parte dei costituenti si opposero alla proposta di Calamandrei, che fu alla fine rigettata dall'Assemblea, che optò per la permanenza del principio di pluralità delle giurisdizioni. Una volta acquisita la scelta di mantenere in vita un sistema di doppia giurisdizione, si pose il problema di decidere in base a quel criterio risolvere la questione del riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e ordinario. Il progetto iniziale di Costituzione non prevedeva un sistema fondato sulla distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi. L'art. 95 del progetto iniziale di Costituzione prevedeva infatti che al Consiglio di Stato spettasse «la giurisdizione nelle materie e nei limiti stabiliti dalla legge». Il progetto di Costituzione, dunque, una volta accolto il principio di pluralità delle giurisdizioni e la permanenza della giurisdizione amministrativa in capo al Consiglio di Stato, aveva rimesso al legislatore – senza alcun vincolo costituzionale – la definizione dell'ambito e dei contenuti della giurisdizione stessa (cfr. Cerulli Irelli, p. 6). La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi come criterio generale di riparto delle giurisdizioni fu introdotta nel testo della Costituzione soltanto nel corso dei lavori dell'Assemblea, che alla fine approvò il testo dell'attuale art. 103 Cost. A tale criterio fu affiancato dal Costituente il criterio derogatorio della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in «particolari materia», con un'espressione che, come noto, creò non pochi problemi interpretativi, forse più di quanti non avesse fino ad allora già posto il criterio di riparto fondato sulle situazioni giuridiche soggettive. La progressiva estensione dell'area della giurisdizione esclusiva e l'intervento della Corte costituzionale.Secondo la dottrina più risalente, la ragione storica dell'istituzione della giurisdizione esclusiva è da ricercare nella difficoltà di distinguere diritti soggettivi e interessi legittimi in talune materie, dove essi si intersecano e aggrovigliano in modo tale che, per il giudice – ordinario o amministrativo che sia – diventa difficile pronunciarsi nei limiti della propria giurisdizione, senza invadere il campo di altro giudice (Police). Le materie originariamente devolute alla giurisdizione esclusiva erano quelle elencate dall'art. 29 del T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato, cui si sono poi aggiunte nel tempo alcune materie specifiche, in buona parte coincidenti con quelli rimesse al sindacato esteso anche al merito del giudice amministrativo. A partire degli anni '90, il legislatore – anche in considerazione delle incertezze ingenerate dalla difficoltà di distinguere le situazioni soggettivi – ha cominciato progressivamente ad estendere ulteriormente, però, l'area della giurisdizione esclusiva. Già nel 1980, del resto, autorevole dottrina scriveva che si rendeva necessaria la creazione di «territori sempre più vasti di giurisdizione esclusiva, di territori cioè la cui esistenza segna la presa d'atto della novità e complessità degli attuali rapporti fra cittadini e Stato» (Nigro, 47 ss.). Il generico riferimento alle «particolari materie» contenuto nell'art. 103 Cost. ha fatto pensare, infatti, che il Costituente avesse conferito al legislatore ordinario una assoluta e incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva. La giurisdizione esclusiva è stata così progressivamente estesa, ad esempio, all'impugnazione degli atti delle autorità amministrative indipendenti (artt. 33 della l. n. 287/1990; 7 del d.lgs. n. 74/1992; 10 della l. n. 109/1994; 2 della l. n. 481/1995; 1 della l. n. 249/1997) o alla materia degli accordi tra privati e pubblica amministrazione (artt. 11 e 15 della l. n. 241/1990). Con l'art. 7 della l. n. 205/2000 il legislatore ha finito però con l'attribuire tout court al giudice amministrativo alcune materie in blocco, ridefinendo dunque l'istituto della giurisdizione esclusiva secondo ambiti di intere materie (i c.d. blocchi di materie), a prescindere dall'esplicazione di poteri autoritativi della pubblica amministrazione. La Corte costituzionale non ha tardato a sanzionare l'intervento del legislatore, andando a individuare i limiti che discendono dall'art. 103 Cost. e che il legislatore deve rispettare nel disciplinare, ampliandola, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Con la sentenza Corte cost. n. 204/2004, la Corte ha chiarito che l'art. 103, comma 1, Cost. non ha conferito al legislatore ordinario una «assoluta ed incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva», ma il potere di indicare «particolari materie» nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe «anche» diritti soggettivi. La Corte costituzionale ha così chiarito che le materie assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo devono essere «particolari» – in rapporto di species a genus – rispetto a quelle devolute alla giurisdizione del giudice stesso secondo il criterio generale di riparto. Devono partecipare cioè «della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo». Anche nell'individuazione delle materie devolute alla giurisdizione esclusiva, il legislatore deve fare riferimento, dunque, alla natura delle situazioni soggettive coinvolte e non può basarsi esclusivamente sul dato delle materie o sulla circostanza della mera partecipazione dell'amministrazione al giudizio né sul generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia. A radicare la sussistenza di una attribuzione esclusiva di giurisdizione in favore del giudice amministrativo deve essere, in altri termini, l'esercizio da parte della pubblica amministrazione di un potere autoritativo, seppur mediato: intanto può aversi giurisdizione amministrativa se, ed in quanto, si faccia questione dell'esercizio o del mancato esercizio di un potere autoritativo (Santise, 765). Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte costituzionale – con pronuncia additiva – ha così dichiarato incostituzionale l'art. 7, comma 1, lett. a) della l. n. 205/2000 nella parte in cui, modificando l'art. 33 del d.lgs. n. 80/1998, aveva attribuito alla giurisdizione esclusiva del g.a. «tutte le controversie» in materia di pubblici servizi, senza escludere quelle in cui l'amministrazione agiva senza esercitare il suo potere autoritativo o strumenti negoziali in sostituzione del potere stesso. Con la stessa sentenza e per le stesse ragioni, la Corte ha dichiarato altresì incostituzionale l'art. 7, comma 1, lett. b) della l. n. 205/2000 nella parte in cui, modificando l'art. 34 del d.lgs. n. 80/1998, attribuiva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, oltre «gli atti e i provvedimenti» attraverso i quali le pubbliche amministrazioni svolgevano le loro funzioni pubblicistiche in materia di urbanistica ed edilizia, anche i relativi «comportamenti», estendendo la giurisdizione del g.a., dunque, a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercitava – nemmeno mediatamente – alcun potere pubblico. Con la pronuncia del 2004, la Corte affrontò anche un'altra questione di rilevante interesse ai fini della delimitazione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La Corte precisò, infatti, che «il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova «materia» attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione». L'art. 103 Cost. è stato dunque ritenuto compatibilità con l'attribuzione al giudice ammnistrativo della giurisdizione in materia di reintegrazione in forma specifica e risarcimento del danno. La Corte costituzionale è poi nuovamente intervenuta ad interpretare l'art. 103 Cost. e a delimitare l'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la sentenza Corte cost. n. 191/2006. Con tale pronuncia, la Corte è stata investita della questione della conformità all'art. 103 Cost. della norma che, in tema di espropriazione per pubblica utilità, devolveva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto, oltre che «gli atti, i provvedimenti, gli accordi», anche i «comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati». In linea con quanto stabilito con la sentenza del 2004, la Corte ha ritenuto conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a «comportamenti» (di impossessamento del bene altrui) collegati all'esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, mentre ha ritenuto costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di «comportamenti» posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto. Gli interventi della Corte costituzionale hanno reso più certo e stabile il criterio di riparto, non già per l'introduzione di un sistema di enumerazione delle materie, ma per effetto di un intervento di chiarificazione della clausola generale prevista in Costituzione dall'art. 103 Cost. (Battini, 16/31). Il vero criterio di riparto enunciato dalla Corte, come desunto dall'art. 103 Cost., prevede infatti che sia il potere amministrativo – cioè la circostanza che l'amministrazione agisca come autorità – ciò che fonda la giurisdizione amministrativa, con conseguente perdita di rilievo ai fini del riparto di giurisdizione della annosa questione attinente alla qualificazione delle situazioni soggettive che si contrappongono al potere (Battini, 16). Il codice del processo amministrativo e il recepimento degli insegnamenti della Corte costituzionale.Secondo autorevole dottrina, anche nel codice del processo amministrativo, il criterio di riparto fondato sulla distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi sembra essere stato messo nell'ombra dal criterio di riparto fondato sulla sussistenza del potere amministrativo (Battini, 16). Nell'art. 7 del codice del processo amministrativo il riferimento alle situazioni soggettive sarebbe divenuto, infatti, quasi superfluo considerato che la norma devolve espressamente al giudice amministrativo le controversie «concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni». Il codice del processo amministrativo ha introdotto all'art. 133, inoltre, un elenco delle materie riservate alla giurisdizione del giudice amministrativo. Secondo la dottrina, tale elencazione dimostra come la giurisdizione esclusiva sia ormai diventata la parte più rilevante di giurisdizione del giudice amministrativo e come, in realtà, il tradizionale criterio di riparto fondato sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi vada riletto ed integrato alla luce degli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale cristallizzati nelle richiamate sentenze n. 204/2004 e n. 196/2006 e, in particolare, alla luce del principio della necessaria afferenza del contenzioso all'esercizio da parte della pubblica amministrazione di un potere autoritativo (Santise, 765). La garanzia costituzionale riservata alla giurisdizione contabileL'art. 103, comma 2, Cost. attribuisce rilevanza costituzionale anche alla giurisdizione del giudice contabile. La disposizione prevede che «la Corte dei Conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge». Anche nel caso del giudice contabile, la dottrina (Police, 18) e la giurisprudenza hanno incontrato non poche difficoltà nell'individuare i confini della sua giurisdizione. Come la Corte costituzionale non ha mancato di rilevare, la nozione di contabilità pubblica infatti «non è definibile oggettivamente» (Corte cost. n. 641/1987). I giudizi storicamente attribuiti alla Corte costituzionale sono quelli di responsabilità amministrativa e contabile, ma si tratta di giudizi in riferimento ai quali, secondo alcune pronunce della Corte costituzionale (Corte cost. n. 385/1996), il giudice potrebbe sempre scorporare alcuni ambiti per attribuirli alla cognizione di altro giudice. Rientra sicuramente nelle attribuzioni della Corte dei Conti, invece, il giudizio sul rendiconto degli agenti contabili, a garanzia della corretta gestione del denaro pubblico. Per il resto, la concreta attribuzione della giurisdizione, in relazione alle diverse fattispecie di responsabilità amministrativa, è rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario (Corte cost. n. 355/2010). Al di fuori delle materie di contabilità pubblica, e quindi anche in tema di responsabilità, occorre infatti che la giurisdizione della Corte dei Conti abbia il suo fondamento in una specifica disposizione di legge (Cass. S.U., n. 26086/2009. In termini identici, v. Cass. S.U., n. 20075/2013). La giurisdizione pensionistica è la più importante ipotesi, a titolo esemplificativo, di «altra materia» assegnata dalla legge alla Corte dei Conti e riguarda le controversie attinenti ai diritti dei dipendenti pubblici al trattamento di quiescenza. L'art. 1 del d.lgs. n. 174/2016, che ha approvato il «nuovo codice della giustizia contabile», ha disposto, da ultimo, che «la Corte dei conti ha giurisdizione nei giudizi di conto, di responsabilità amministrativa per danno all'erario e negli altri giudizi in materia di contabilità pubblica». Il legislatore ha fatto espressamente rientrare nelle materie di «contabilità pubblica», dunque, non solo i giudizi di conto, ma anche quelli di responsabilità per danno erariale. BibliografiaAndrioli, Bilancio della l. 20 marzo 1865, n. 2248 all. 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