Costituzione della Repubblica - 27/12/1947 - n. 0 art. 118(1) (2) [I] Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. [II] I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. [III] La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. [IV] Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. (1) Articolo così sostituito dall'art. 4 l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, di cui alla nota al titolo V. Il testo precedente recitava: «[I]. Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali. [II]. Lo Stato può con legge delegare alla Regione l'esercizio di altre funzioni amministrative. [III]. La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegando alle Provincie, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici». (2) V. art. 7 l. 5 giugno 2003, n. 131 , sub art. 114.
InquadramentoIl principale elemento di novità dell'art. 118 della Cost. consiste nel superamento del criterio del parallelismo, fatta eccezione delle Regioni e Province ad autonomia speciale, che prevedeva l'attribuzione alle Regioni a statuto ordinario della competenza amministrativa nelle stesse materie di cui all'art. 117 della Cost. Sicché, oggi la funzione amministrativa è organizzata autonomamente rispetto a quella legislativa, sulla base dei principi di sussidiarietà, di differenziazione e di adeguatezza. Occorre sin da ora precisare che il principio di sussidiarietà rileva nella sua duplice dimensione, verticale e orizzontale: infatti, non solo ridefinisce l'architettura del sistema amministrativo (sussidiarietà verticale), ma, come declinato nell'ultimo comma (sussidiarietà orizzontale), impone di favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati per lo svolgimento di attività d'interesse generale (Bassanini, 16 ss.). Nel «vecchio» sistema, tuttavia, il criterio del parallelismo veniva attenuato da alcune disposizioni (Caravita, 78 ss.): a) innanzitutto dal primo comma dell'art. 118, per il quale lo Stato poteva sottrarre alle Regioni quelle funzioni amministrative ritenute di interesse esclusivamente locale, che potevano con legge statale essere direttamente attribuite «alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali»; b) dal secondo comma del vecchio art. 118, per il quale lo Stato poteva, con legge, «delegare alle Regioni l'esercizio di altre funzioni amministrative» aggiuntive; c) dal terzo comma, per il quale le Regioni avrebbero dovuto esercitare normalmente le proprie funzioni amministrative «delegandole alla Province, ai Comuni o ad altri enti locali». Sicché, le Regioni avevano funzioni amministrative proprie nelle materie di competenza legislativa, e delegate, nelle materie di competenza statale. Viceversa, gli enti locali non potevano esercitare le funzioni proprie, in quanto non erano rinvenibili in Costituzione: si trattava infatti di funzioni attribuite dal legislatore statale sulla base degli articoli 118, comma primo, e 128 Cost. A differenza di quelle delegate, affidate loro dalle Regioni ai sensi del richiamato terzo comma dell'art. 118 Cost. Emerge dunque come il vecchio articolo 128 Cost., oggi abrogato, non garantiva appieno l'autonomia degli enti locali, la cui delimitazione era rimessa a «leggi generali della Repubblica»: il nuovo art. 118, letto nella prospettiva di raccordo con l'art. 114, comma 2 della Cost., consente di affermare che l'autonomia degli enti locali è garantita direttamente dalla Costituzione, posta a presidio dell'autonomia statutaria, funzionale, finanziaria e amministrativa. Per doveri di completezza, si richiama anche la disposizione del terzo comma, che prevede forme di coordinamento tra Stato e Regioni in alcune materie di competenza esclusiva statale, quali l'immigrazione l'ordine pubblico e sicurezza, oltre a forme di intesa e coordinamento nel settore della tutela dei beni culturali. Ciò è volto a mitigare una presunzione assoluta di competenze amministrative in capo allo Stato centrale nelle materie menzionate (Camerlengo, 2350 ss.). Il principio di sussidiarietà verticale e la ripartizione delle funzioni amministrative (primo e secondo comma)I principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, che imperniano il nuovo art. 118 della Cost., regolano l'organizzazione del sistema amministrativo della Repubblica e la ripartizione dei poteri e dei compiti amministrativi e di governo tra i diversi livelli istituzionali, già introdotti, a livello di legislazione ordinaria, dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, con riferimento alla delega di competenze amministrative a Regioni ed enti locali. Sicché con la riforma del Titolo V le autonomie locali sono state «costituzionalizzate», ossia dotate di un ancoraggio costituzionale. Fortemente innovativa è l'attribuzione delle funzioni amministrative ai Comuni, salvo nelle ipotesi in cui per esigenze di unitarietà, siano conferite alle Province, alle Città metropolitana, Regioni e Stato, quali istituzioni territoriali di dimensioni maggiori, in omaggio ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Da ciò emerge la volontà dello Stato di privilegiare l'azione dell'amministrazione comunale più vicina ai cittadini, in ragione del favor autonomiae che impernia il nuovo volto costituzionale degli enti locali (Caringella, 515 ss.). Si tratta di una previsione in linea con il panorama comunitario, secondo cui «nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, l'Unione interviene, secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possano essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possano dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati e meglio conseguiti a livello unionale». A livello di normativa primaria, invece, il principio in parola è stato introdotto dalle Riforme Bassanini e in specie, nell'art. 4, comma 3 l. n. 59/1997, c.d. federalismo amministrativo a Costituzione invariata e poi confluito rispettivamente nell'art. 2, comma 5 l. n. 142/1990 e nel d.lgs. n. 267/200. In definitiva, l'impianto dello «Stato policentrico delle Autonomie» guarda al principio di equiordinazione istituzionale consacrato nell'art. 114 della Cost. nonché alla parificazione delle potestà legislative fra Stato e Regioni di cui all'art. 117 della Cost. Sicché, il principio di sussidiarietà rappresenta la chiave di volta al fine di superare il dogma del parallelismo tra la funzione legislativa e amministrativa. Come stato efficacemente osservato in dottrina, la ratio di tale sistema è da rinvenirsi nella presunzione di idoneità dell'istituzione più vicina ai cittadini ad assicurare l'efficacia delle relative prestazioni, a organizzare e a gestire i relativi servizi, o a regolarne e monitorarne l'erogazione laddove la gestione sia affidata a terzi (Bassanini, 18 ss.). I principi di differenziazione e di adeguatezza sono strettamente connessi al principio di sussidiarietà: ne sono la necessaria interfaccia. Tuttavia, occorre sin da ora precisare come sussidiarietà non significa attribuzione alla istituzione più prossima ai cittadini di tutte le funzioni amministrative, ma solo di quelle che l'istituzione stessa sia in grado di svolgere in modo adeguato. Al riguardo, si richiede una valutazione, caso per caso, sull'adeguatezza delle istituzioni di prossimità ai fini dell'applicazione del principio di sussidiarietà, da compiersi in relazione alle specificità del caso concreto, ossia alla luce dell'effettiva realtà (dimensionale, organizzativa, gestionale) di ciascuna istituzione territoriale. Si tratta del principio di differenziazione, quale corollario del principio di sussidiarietà, secondo cui nell'allocazione delle funzioni, il legislatore tiene conto anche delle diverse caratteristiche degli enti locali. Ne deriva che il criterio che orienta l'allocazione delle funzioni e la cessione dei poteri statuali a favore degli enti locale è il principio di sussidiarietà, che abbraccia una logica di localizzazione delle funzioni a livello territoriale (Caringella, 515 ss.). Alle istituzioni territoriali di dimensione maggiore vanno pertanto attribuite, in virtù degli stessi principi di sussidiarietà e adeguatezza e a norma del primo comma dell'articolo 118 della Cost., le funzioni e i compiti che le istituzioni di prossimità non sono in condizione di svolgere in modo adeguato ovvero laddove, l'esercizio unitario appare necessario per garantire i diritti dei cittadini e l'unità dell'ordinamento (Bassanini). In definitiva, l'articolo 118 garantisce non solo flessibilità al sistema, ma altresì un sufficiente grado di stabilità e rigidità. In particolare, «l'ascensore della sussidiarietà» non può essere manovrato in salita, sottraendo funzioni e compiti alle istituzioni di prossimità a discrezione del legislatore statale, anche in mancanza dei presupposti che legittimano tale attribuzione, in grado di minare l'esercizio unitario dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione (Bassanini). In conclusione, la regola generale che può trarsi dal nuovo articolo 118 attiene alla competenza legislativa, che non corrisponde più a quella amministrativa: il riparto delle funzioni amministrative si muove in senso trasversale rispetto al riparto delle competenze legislative fra Stato e Regioni disposto dall'art. 117 della Cost., non più rigido e tendenzialmente stabile ma dinamico ed evolutivo. Si è al cospetto di un municipalismo (o localismo) d'esecuzione, con la tendenziale riserva alle Regioni (e Stato) soltanto delle funzioni legislative, di programmazione e di coordinamento, unitamente a quelle amministrative, che postulano un margine di manovra più ampio (Gorlani, 2002). La vocazione «dinamica» della sussidiarietàLa Corte costituzionale ha evidenziato la peculiare funzione attribuita alla sussidiarietà, sulla scorta del combinato disposto degli articoli 117 e 118 della Cost., che si differenzia, sebbene solo in parte, da quella contenuta nella l. 15 marzo 1997 n. 59, in cui rappresentava il criterio di riparto, rigido e statico, delle funzioni amministrative fra lo Stato e gli altri enti territoriali (Corte cost. n. 303/2003). A seguito della costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà nell'art. 118 della Cost. emerge la sua dimensione dinamica ed evolutiva, che gli consente di operare non più come ratio ispiratrice di un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come fattore di temperamento, in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie. Al riguardo, afferma testualmente la Consulta: «è del resto coerente con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarietà che essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle finalità che si intenda raggiungere; ma se ne è comprovata un'attitudine ascensionale deve allora concludersi che, quando l'istanza di esercizio unitario trascende anche l'ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato». Si tratta della c.d. avocazione in sussidiarietà, che pone l'attenzione sulle funzioni amministrative e sulla loro collocazione al fine dell'individuazione del soggetto titolare della potestà legislativa (Caringella, 515 ss.). In sostanza, la Corte ha ammesso che il legislatore statale possa attribuire allo Stato funzioni amministrative non solo nelle materie di competenza esclusiva, ma anche in quelle di potestà concorrente o residuale, riconoscendo quindi alla legge statale la competenza ad organizzare tali funzioni. Tuttavia, la Corte osserva come l'art. 118, primo comma, della Cost., pur riferendosi esplicitamente alle funzioni amministrative, introduca un meccanismo dinamico, di ragionevole elasticità, che finisce col rendere meno rigida la stessa distribuzione delle competenze legislative. Un ruolo chiave gioca, infatti, il principio di legalità da leggersi nella sua duplice prospettiva formale e sostanziale, il quale impone la regolarizzazione e l'organizzazione da parte della legge in punto di assunzione delle funzioni per sussidiarietà. Ne consegue che solo la legge statale può disciplinare l'attrazione delle funzioni prevista dall'art. 118 della Cost., dovendosi escludere che le singole Regioni, con discipline differenziate, possano organizzare e regolare funzioni amministrative attratte a livello nazionale. Grazie al richiamo al principio di sussidiarietà consacrato nell'art. 118, comma 1 della Cost. la Corte costituzionale è giunta a individuare un precipuo meccanismo atto a supplire alla mancata previsione di una clausola di supremazia dell'ordinamento statale in presenza di esigenze unitarie, sì da consentire allo Stato di attrarre non solo dell'esercizio delle funzioni amministrative, ma anche delle corrispondenti funzioni legislative regionali. Quanto al meccanismo di attrazione alla potestà del legislatore statale di fattispecie astrattamente attribuite alla competenza legislativa regionale, si fa rinvio al commento dell'art. 117 della Cost. e in specie, alla pronuncia emessa dalla Consulta n. 303/2003. Le diverse tipologie di funzioni amministrative: fondamentali, proprie, conferite e attribuiteLa formulazione del nuovo art. 118 evoca diverse categorie di funzioni amministrative, proprie, conferite e attribuite, in aggiunta a quelle fondamentali degli enti locali, la cui individuazione è rimessa alla competenza esclusiva del legislatore statale, in forza del nuovo art. 117, comma secondo, lett. p) della Cost. Preliminarmente, il conferimento delle funzioni all'ente con legge statale è subordinato alla riconducibilità della materia alla legislazione esclusiva dello Stato, di cui all'art. 117, comma 2 della Cost. viceversa, l'attribuzione della funzione avviene con legge statale o regionale in caso di legislazione concorrente ex art. 117, comma 3 della Cost. ovvero residuale, ai sensi dell'art. 117, comma 4 della Cost. Al fine di individuare il significato delle nuove espressioni frutto della riforma n. 3/2001, la dottrina si è fatta carico di fornire una lettura tassativizzante in chiave completiva, senza rinunciare all'utilizzo di colorite espressioni, come «il balletto terminologico» oppure «rovo terminologico», dirette a criticare la scelta del legislatore. Tuttavia, la dottrina non è pervenuta a risultanze univoche, se non in ordine all'opportunità di procedere ad interpretazioni riduttive e «svalutative» del dettato costituzionale, da cui emerge la previsione di un sistema non obbediente a logiche razionali e organiche (D'Atena, 2002, 305 ss.; Bin,2002; Gorlani, 2002). In particolare, si è sottolineato come i primi due commi dell'art. 118, senza considerare per il momento le questioni nascenti dalla lett. p), comma secondo, dell'art. 117, pongano più di un problema di armonizzazione (Mangiameli, 2007). In primo luogo, in ordine alla sfera amministrativa di Comuni e Province, in cui il secondo comma distingue tra funzioni proprie e funzioni conferite, mentre il primo comma prevede il principio di attribuzione a favore dei soli Comuni. In secondo luogo, in relazione alla regola che riconosce alle Regioni e allo Stato le funzioni amministrative solo a fronte dell'incapacità dei livelli amministrativi locali. Ciò in conseguenza anche della avvenuta trasposizione nel nuovo art. 118, senza un'opera di armonizzazione, di due disposizioni legislative (l'art. 4, comma 3 lett. a, l. n. 59/1997 e art. 3, comma 5, d.lgs. n. 267/2000). In ogni caso, sulla scorta della lettera dell'art. 118, comma 1 della Cost., si può rinvenire un chiaro criterio normativo in ordine al modo di allocare e di svolgere le funzioni amministrative, volto a garantire l'esercizio unitario delle funzioni stesse, attribuendole al livello territoriale più prossimo (o sussidiario) e adeguato (Mangiameli). Sicché, nel momento in cui una determinata funzione amministrativa viene allocata, essa deve svolgersi soltanto dal livello di pertinenza in autonomia. Nell'alveo delle teorie volte a semplificare il quadro concettuale sin qui descritto, si fa strada una prima tesi che afferma l'equazione tra funzioni fondamentali e funzioni proprie (Bin, 2002). Al riguardo, si è osservato che, a favore dell'equivalenza semantica milita, oltre all'indubbio vantaggio che ne deriva in termini di semplificazione concettuale, già nelle leggi Bassanini e in specie, nell'art. 1, comma 1, l. n. 59/1997, il legislatore aveva inteso ridurre ad unità le varie forme di trasferimento di funzioni, pur difettando di ogni indicazione che consenta di stabilire in modo convincente e di differenziare il nucleo delle funzioni «fondamentali» da quelle «proprie» degli enti locali (Gorlani). Si tratta di una disposizione di rilievo centrale nel conferimento delle funzioni: in particolare, attribuisce alle Regioni e agli enti locali le funzioni amministrative volte alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, secondo un criterio sostanziale nonché le funzioni amministrative localizzabili nei rispettivi territori attraverso un criterio formale – territoriale (Caringella). Opposte alle predette tipologie sarebbero le funzioni «conferite» di cui al secondo comma dell'art. 118 della Cost., ossia quelle «aggiunte» dalle leggi statali e regionali. In particolare, «conferite» è ritenuto equivalente ad «attribuite», a meno che non si voglia ricondurle nell'alveo delle funzioni «attribuite» ai Comuni dalla Costituzione stessa, in ragione della regola del primo comma e a quelle non fondamentali, che, per ragioni di adeguatezza, vengono «conferite» agli enti di livello più elevato, via via fino allo Stato. Comuni, Province e Città Metropolitane disporranno così di funzioni «fondamentali» o «proprie», ossia quelle che il legislatore statale nella sua discrezionalità ritiene irrinunciabili al fine di garantire l'uguaglianza e l'esistenza di tali enti nonché quelle non fondamentali, conferite con legge statale o regionale «secondo le rispettive competenze», che potranno invece essere diversificate tra un ente e l'altro in forza dei principi di adeguatezza e differenziazione. Non è mancato chi ritiene preferibile vincolare l'espressione funzioni fondamentali alle sole funzioni indefettibili, sicché lo Stato può attribuire agli enti locali sia funzioni fondamentali (nel senso appena detto), attingendo, oltre che alle materie di competenza legislativa statale, a quelle di competenza legislativa regionale, sia funzioni conferite, guardando, in questo caso, alle sole materie sottoposte alla sua legislazione esclusiva (D'Atena, 310 ss.). Le Regioni sarebbero a loro volta abilitate a conferire agli enti locali funzioni solo nell'ambito delle materie di propria competenza legislativa. A detta di altri si possono individuare le funzioni proprie con quelle costituenti l'acquis storico degli enti locali richiamati dalla norma: si tratta delle funzioni ad essi spettanti in base alla normativa vigente riplasmata dall'entrata in vigore della Costituzione, che, a stretto rigore, non potrebbero essere riallocate altrove (Mangiameli; Caravita). Le restanti funzioni amministrative esercitate direttamente dallo Stato o dalle Regioni possono invece essere attribuite o conferite (e cioè delegate) agli enti locali. In senso critico, a questa tesi si è obiettato come finirebbe per svuotare la competenza del legislatore statale in materia di funzioni fondamentali comportando un drastico ridimensionamento delle restanti norme sull'allocazione delle attribuzioni amministrative (D'Atena). Sarebbe più opportuno parlare di funzioni proprie solo in termini meramente descrittivi e soltanto per i Comuni (titolari della competenza generale, ai sensi dell'art. 118, comma primo) mentre per le Province e le Città metropolitane dette funzioni presenterebbero la natura di «funzioni conferite con legge statale o regionale». Sotto il versante contenutistico, pertanto, le funzioni fondamentali vengono prevalentemente ricondotte a quelle competenze dell'ente locale che, connotandone la vocazione funzionale, risultano comuni a tutti gli enti del medesimo tipo e come tali vengono disciplinate uniformemente dalla legge statale (Pizzetti, 2001, 1179 ss.; Cammelli, 2001, 1293 ss.; Corpaci, 1314 ss.). In particolare, le funzioni in parola caratterizzano un determinato tipo di ente e ne definiscono l'ambito di azione, al fine di scongiurare un mutamento significativo della fisionomia dello stesso ente frutto di una eventuale sottrazione (Falcon). Siffatta ricostruzione ha trovato peraltro consacrazione nell'art. 2 della l. n. 131/2003 che, nel dettare la delega – poi non esercitata dal Governo – per l'attuazione dell'art. 117, comma 2, lett. p) della Cost. e, più in generale, per l'adeguamento al quadro costituzionale riformato delle disposizioni in materia di enti locali, ha definito le funzioni fondamentali come quelle «connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell'ente e per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento». Analoghe definizioni mutatis mutandis contengono i disegni di legge attualmente pendenti alle Camere, che dovranno sciogliere anche il nodo cruciale concernente la natura delle funzioni fondamentali, se in particolare, si tratta di funzioni istituzionali ovvero di funzioni materiali (Berti - De Martin, 2001, 57 ss.). In ogni caso, occorre tenere presente la distinzione tra l'individuazione delle funzioni fondamentali, spettante alla legge statale in via esclusiva, e la disciplina puntuale delle stesse, che va ripartita tra il legislatore statale e quello regionale a seconda delle rispettive competenze (Cerulli Irelli - Pinelli, 2004, 64 ss.). La giurisprudenza costituzionale e il ruolo della legge, nell'allocazione delle funzioni amministrativeLa giurisprudenza costituzionale, pur senza addentrarsi nelle distinzioni tra le diverse tipologie di funzioni amministrative, non si è sottratta dall'individuazione dei principi, cui deve ispirarsi l'art. 118 della Cost. In particolare, la Consulta ha affermato che la concreta collocazione delle funzioni amministrative ai vari livelli di governo «non può che trovar base nella legge» (Corte cost. n. 303/2003 e Corte cost. n. 43/2004). Da ciò deriva che «sarà la legge statale o regionale, a seconda che la materia spetti alla competenza legislativa dello Stato o della Regione, ad operare le scelte relative, nel rispetto dei principi generali indicati», precisando che «è ciò che in sostanza risulta dal nuovo articolo 118, secondo comma, secondo cui gli enti locali sub regionali (non solo i Comuni) sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze». Tuttavia, le censure mosse dalle Corte vanno in parte a vanificare la rilevanza della distinzione terminologica evocata dall'art. 118 Cost.: infatti, ad avviso della Corte «quale che debba ritenersi il rapporto fra le «funzioni fondamentali» degli enti locali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), e le «funzioni proprie» di cui al detto articolo 118, secondo comma, sta di fatto che sarà sempre la legge, statale o regionale, in relazione al riparto delle competenze legislative, a operare la concreta collocazione delle funzioni, in conformità alla generale attribuzione costituzionale ai comuni o in deroga ad essa per esigenze di «esercizio unitario», a livello sovracomunale, delle funzioni medesime». Il criterio ordinatore, peraltro, è stato recepito dal legislatore ordinario con l'art. 7 comma 1 della l. n. 131/2003. Quanto alle materie oggetto di potestà legislativa concorrente, la Corte ha precisato che non spetta di regola al legislatore statale la distribuzione puntuale delle funzioni amministrative, a meno che non operi il richiamato meccanismo della chiamata in sussidiarietà (Corte cost. n 336/2005). In ogni caso, il potere del legislatore statale di prevedere e disciplinare poteri amministrativi nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica (Corte cost. n. 376/2003). Di centrale rilievo è quanto osservato dalla Consulta, secondo cui la legge statale non è più competente a determinare «le funzioni» dei Comuni e delle Province, né ad attribuire loro le funzioni «di interesse esclusivamente locale» nelle materie di competenza regionale, come accadeva alla stregua degli articoli 128 e 118, primo comma, del vecchio testo, ma solo a disciplinare le «funzioni fondamentali» degli enti locali territoriali (articolo 117, secondo comma, lettera p). Per il resto, il legislatore statale può dettare norme nelle sole materie di competenza esclusiva elencate nell'articolo 117, secondo comma, e principi fondamentali in quelle di competenza concorrente elencate nell'articolo 117, terzo comma (Corte cost. n. 16/2004). In ultimo, la Corte costituzionale si è soffermata anche sul criterio storico: in particolare, ne circoscrive l'utilità ai fini della ricostruzione del concetto di autonomia provinciale e comunale, limitatamente a quel nucleo fondamentale delle libertà oggetto di una lunga tradizione nel regime democratico (Corte cost. n. 286/2007). Tuttavia, il criterio in parola è privo di rilevanza giuridica ogni qual volta si considera l'innegabile discrezionalità riconosciuta alla Costituzione, la competenza del legislatore statale nel modello di amministrazione locale e la mutevolezza nel tempo delle scelte legislative in punto di individuazione delle aree di competenza dei diversi enti locali. Detti fattori, infatti, impediscono che possa parlarsi, in generale, di competenze storicamente consolidate dei vari enti locali, addirittura immodificabili e inscalfibili da parte sia del legislatore statale che di quello regionale. Il coordinamento tra Stato e Regioni (terzo comma)L'art. 118, comma 3, Cost. prevede che con legge statale possono essere disciplinate forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) ed h) del secondo comma dell'art. 117 della Cost. (immigrazione, ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale, specificamente disciplinata dal d.lgs. n. 112/1998 agli artt. 158 ss.), nonché forme di intesa e coordinamento nella tutela dei beni culturali. Si tratta di materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, in cui, tuttavia, l'esigenza di coordinamento è chiaramente imposta dalla differente collocazione territoriale delle relative problematiche. In origine la funzione di indirizzo e coordinamento spettava allo Stato nelle materie conferite alle Regioni, ex art. 17 della l. n. 281/1970, art. 3 della l. n. 382/1975 e art. 4 del d.P.R. n. 616/1977. L'art. 8 della l. n. 59/1997, disciplinando l'esercizio del coordinamento, ha abrogato l'art. 2, comma 3, lett. d) della l. n. 400/1988 (così trasferendo il potere di adottare gli atti di indirizzo e coordinamento alle singole amministrazioni statali previo assenso della Conferenza permanente Stato-Regioni). La Corte costituzionale, tuttavia, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, comma 5, lett. c), l. n. 59/1997 in quanto gli atti di indirizzo e controllo rientrano fra i provvedimenti governativi «a collegialità necessaria», per la cui validità è comunque indispensabile la deliberazione del Consiglio dei Ministri (Corte cost. n. 408/1998). L'art. 8 vigente prevede, perciò, che tali atti sono adottati previa intesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni o con la singola Regione interessata; se l'intesa non viene raggiunta, il Consiglio dei Ministri adotta i relativi atti previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Solo in caso di urgenza il Consiglio dei Ministri può provvedere senza l'osservanza di tali procedure, ma dovrà tener conto dei pareri negativi espressi successivamente dalla Conferenza e dalla Commissione e riesaminare i provvedimenti adottati. In ogni caso, si discute se la funzione di indirizzo e coordinamento permanga anche dopo la modifica del Titolo V della Costituzione in quanto basata sui principi fondamentali dell'ordinamento (art. 5 Cost.) o se, al contrario, sia venuta meno. Sedi di concertazione nazionale delle politiche in materia di autonomie sono le Conferenze permanenti, attuative del c.d. regionalismo cooperativo e del principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni, che attualmente sono: la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome; la Conferenza permanente Stato-città ed autonomie locali; la Conferenza unificata. Si tratta di organi statali a composizione mista. L'art. 11, comma 1, della l.cost. n. 3/2001, infine, prevede la possibilità, per i regolamenti della Camera e del Senato, di integrare rappresentanti delle Regioni ed enti locali nella Commissione parlamentare per le questioni regionali. La sussidiarietà orizzontale (quarto comma)Il quarto comma dell'art. 118 della Cost. ha costituzionalizzato il principio di sussidiarietà orizzontale, anch'esso innovativo sebbene anticipato, a livello di legislazione ordinaria, dalla l. n. 59/1997, c.d. Legge Bassanini e sotto il versante comunitario, dal Trattato di Maastricht, che impone agli enti territoriali di favorire l'iniziativa dei privati per lo svolgimento di attività di interesse generale, salva la indisponibilità o incapacità di questi ultimi ad eguagliare i risultati ritenuti ottimali e raggiungibili dai poteri pubblici (Rescigno, 6 ss.). Il principio in parola impone di garantire, evidenziare e promuovere, al di sotto della minima entità pubblica organismi ancora inferiori, come le associazioni, le famiglie, le comunità e le singole persone (Razzano, ss.). In particolare, si afferma la preferenza dell'iniziativa privata, in ragione del carattere sussidiario dell'intervento pubblico, in modo tale da attuare la semplificazione amministrativa, delegificazione e la privatizzazione delle attività private (Cons. St. n. 1354/2002). Sicché, in omaggio al principio di sussidiarietà dei mezzi giuridici di cui all'art. 118 della Cost. e art. 1, commi 1-bis e terl. 241/90, il diritto pubblico interviene solo a fronte del fallimento dell'iniziativa privata, obbediente alla logica di parificazione che regola i rapporti equiordinati (Caringella, 515 ss.). Come noto, il principio di sussidiarietà dei mezzi giuridici deve leggersi nella prospettiva di raccordo con il principio di proporzionalità che impernia l'attività amministrativa, che, in linea con la giurisprudenza del Consiglio di Stato, impone di verificare: l'idoneità della misura, ossia il rapporto tra il mezzo adoperato e l'obiettivo avuto di mira; la sua necessarietà, ossia l'assenza di qualsiasi altro mezzo idoneo, tale da incidere in misura minore sulla sfera del singolo e infine, la sua adeguatezza, ossia la tollerabilità della restrizione che comporta per il privato (Cons. St. n. 4403/2019). Tuttavia, la rilevanza generale del principio non è univocamente condivisa in dottrina, dove se ne rimarca la mera natura procedurale e la mancata previsione a livello di principi fondamentali, venendo l'operatività limitata all'ambito del riparto delle funzioni amministrative (Arena; Cerulli Irelli, 2004, 1 ss; D'Atena e Camerlengo). Per altro verso, si è affermato che il principio di sussidiarietà, esprimendo una visione dell'organizzazione dello Stato e del ruolo delle istituzioni e della società civile nelle sue varie articolazioni (nelle sue «formazioni sociali»), fosse già contemplato nell'impianto della Costituzione del 1948 (Bassanini). Altresì, si è rilevato come la Costituzione, accanto alle tradizionali forme della rappresentanza politica, intenda «favorire» attività di interesse generale poste in essere da cittadini singoli e associati, «istituzioni spontanee di cittadini che intendono provvedere alla risoluzione dei problemi di interesse generale della collettività» (Cerulli Irelli, 2004, 1 ss). Sicché il principio in questione non si limita alla definizione del «perimetro» del sistema istituzionale e amministrativo, al fine di ridurre le attività di gestione o di produzione diretta di beni e servizi di interesse generale e di garantire migliori risultati in termini di qualità delle prestazioni e di costi per i bilanci pubblici, ma inerisce al sostentamento delle autonome iniziative no profit della società civile, che possono integrare l'azione delle amministrazioni pubbliche nel perseguimento di interessi generali. Sul punto, la giurisprudenza costituzionale è intervenuta solo sporadicamente e in specie, con riferimento alle fondazioni (anche se non esplicitamente, Corte cost. n. 300/2003 e Corte cost. n. 301/2003) e alle scuole non statali (Corte cost. n. 220/2007). Terreno fertile di applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale è certamente la giurisprudenza amministrativa, anche in considerazione del rilievo attribuito al principio di sussidiarietà ad opera dell'art. 4 della l. n. 59/1997. In particolare, il Consiglio di Stato (Sezione consultiva per gli atti normativi), con riferimento alle fondazioni bancarie, definite «soggetti dell'organizzazione delle libertà sociali», ha affermato che «lo Stato e ogni altra autorità pubblica proteggono e realizzano lo sviluppo della società civile partendo dal basso, dal rispetto e dalla valorizzazione delle energie individuali, dal modo in cui coloro che ne fanno parte liberamente interpretano i bisogni collettivi emergenti dal sociale» (Cons. St. n. 1354/2002). Sotto il versante procedimentale, la giurisprudenza ha sancito l'obbligo di motivazione in caso di intervento pubblico incidente in settori caratterizzati dall'iniziativa economica privata (T.A.R. Lombardia, n. 94/2003). Ancora, il Consiglio di Stato (Sezione consultiva per gli atti normativi), negando che la sussidiarietà orizzontale possa risolversi nella convergenza fra interessi imprenditoriali privati e interessi degli enti locali, ha affermato che il principio «va piuttosto riferito ai fenomeni tipici della cittadinanza societaria, laddove si evidenziano attività di interesse generale a cura di soggetti, utenti e agenti al medesimo tempo, operanti nella propria comunità di base» (Cons. St. n. 1440/2003). In ultimo, si è affermato che «lo specifico ruolo ordinamentale attribuito ai privati ed alle loro formazioni sociali sul piano sostanziale riverberi i suoi effetti anche sul piano procedimentale e processuale» (T.A.R. Liguria n. 267/2004). Da ciò discende che l'apporto dei privati nell'ambito del procedimento andrà valorizzato non solo in termini di mera collaborazione nell'adozione dei provvedimenti che incidano direttamente la loro sfera giuridica, ma anche ai più generali fini della gestione stessa della funzione amministrativa per renderla più adeguata rispetto agli interessi pubblici perseguiti. L'attuazione dell'art. 118 e l'individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali.In ordine all'attuazione dell'art. 118 della Cost.si occupavano talune disposizioni della l. n. 131/2003 Legge La Loggia, in specie, l'art. 2 delegava il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi volti all'individuazione delle funzioni fondamentali di cui all'art. 117, comma 2, lett. p) della Cost., fra quelle «necessarie a garantire il funzionamento di tali enti e a soddisfare i bisogni primari delle comunità di riferimento». Parallelamente, l'art. 7, comma 1 prevedeva che lo Stato e le Regioni conferissero agli enti territoriali minori le funzioni amministrative da essi esercitate al momento di entrata in vigore della legge, sulla scorta dei principi codificati dall'art. 118 della Cost. In particolare, ai Comuni dovevano essere conferite a un livello di Governo superiore, partendo dalla Provincia per giungere allo Stato. Inoltre, la disposizione in parola al comma 2, consacrava un procedimento per il trasferimento delle risorse, basato sugli accordi tra Stato, Regioni ed enti locali, da concludere in sede di Conferenza unificata. Le richiamate disposizioni della l. n. 131/2003 sono rimaste pressoché inattuate: la delega di cui all'art. 2 è scaduta inutilmente e il meccanismo di cui all'articolo 7 non ha avuto attuazione per le difficoltà di raggiungimento degli accordi ipotizzati nella norma in seno alla Conferenza unificata. La questione della piena attuazione dell'art. 118 della Cost. costituisce una delle esigenze prioritarie da fronteggiare a livello di normativa statale, alla quale è demandata la definizione di linee guida che, insieme ai principi fondamentali della legislazione concorrente, costituiscano per l'intero sistema la cornice, il quadro di riferimento entro cui l'autonomia di ciascun livello istituzionale possa svilupparsi pienamente, tenuto conto delle specificità un progetto comune. È venuto meno con la scadenza anticipata della XV legislatura il d.d.l. di iniziativa governativa (d.d.l. Amato-Lanzillotta) volto alla individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane e le altre funzioni degli enti locali, che avrebbe dovuto armonizzare il vigente T.U.E.L. con il nuovo Titolo V, attuando una semplificazione e una modernizzazione del sistema in termini di ottimizzazione dell'esercizio di funzioni complesse e di riduzione di costi e di apparati pubblici. Nel corso della attuale legislatura, la XVI, pende un nuovo d.d.l. di iniziativa parlamentare (Sen. Bastico, AS 1208), che prevede una nuova delega al Governo per la individuazione delle funzioni fondamentali e la individuazione, per ciascun livello di governo locale, di funzioni connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell'ente e per il soddisfacimento dei bisogni primari delle comunità di riferimento. In particolare, il disegno prevede che talune funzioni fondamentali possano essere esercitate solo in forma associata e unitariamente sulla base di accordi tra Comuni e Province. Sicché, le funzioni fondamentali dei Comuni dovranno coincidere con quelle che li connotano come enti di Governo di prossimità mentre quelle delle Province con quelle di enti per il Governo di area vasta, partendo per entrambi i livelli da quelle storicamente svolte. L'esercizio delle funzioni da parte di un solo livello di ente locale dovrà comportare la soppressione di tutte le strutture amministrative esistenti agli altri livelli istituzionali, razionalizzando il sistema vigente, nel quale, ai diversi livelli, «tutti fanno tutto». Inoltre, si prevede che anche le Regioni si spoglino di funzioni di amministrazione diretta, spesso svolte attraverso agenzie o enti settoriali, da sopprimere per far proprio il ruolo che la Costituzione le affida in termini di legislazione, di programmazione strategica dello sviluppo e di riferimento per il sistema delle autonomie territoriali. In tal senso, si conia un procedimento semplificato rispetto al previgente articolo 7 della citata l. n. 131/2003. Il Governo è inoltre delegato ad adottare uno o più decreti legislativi, aventi ad oggetto l'individuazione delle restanti funzioni amministrative in atto esercitate dallo Stato che, non richiedendo l'unitario esercizio a livello statale. Tuttavia, il disegno di legge in questione non prende una precipua posizione in ordine al dibattito sorto in dottrina sulla natura delle funzioni fondamentali e cioè se ritratta di sole funzioni istituzionali o anche di funzioni materiali, anche se l'ampiezza della delega prevista propende per la seconda soluzione. In proposito, accorta dottrina ha manifestato non poche ritrosie e resistenze in ordine al rischio secondo cui, una volta incluse nella categoria le funzioni materiali afferenti prevalentemente a materie di competenza legislativa regionale, concorrente e residuale, la formulazione stessa delle «funzioni fondamentali» finisca per oscillare tra due criteri (Mangiameli, 2007, 69 ss). Da un lato, si ripudia un'individuazione delle funzioni fondamentali così dettagliata e specifica da tradursi in una compressione degli spazi che spettano alla potestà legislativa dello Stato e della Regione, nel disciplinare le materie di rispettiva attribuzione; dall'altro, si ribadisce la necessità di evitare la speculare eccessiva genericità delle formulazioni in punto di individuazione delle funzioni, in grado di vanificare le finalità di garanzia delle competenze degli enti locali che la norma persegue. Attento a dette esigenze è il disegno governativo approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 15 luglio 2009, noto come d.d.l. Calderoli. La sostanziale novità del disegno risiede nell'individuazione diretta da parte della legge statale delle funzioni fondamentali, a differenza dei previgenti disegni che prevedevano una legge delega, rimettendo la concreta individuazione ad un successivo provvedimento governativo. In particolare, le funzioni fondamentali soggiacciono alla seguente dicotomia: quelle essenziali e imprescindibili per il funzionamento degli enti, che attengono alle c.d. funzioni istituzionali e quelle connaturate al carattere di ente di prossimità (Comuni) o di area vasta (Province) o di ente dell'area metropolitana (Città Metropolitane), che ineriscono alle c.d. funzioni materiali. La distinzione rileva anche ai fini della possibilità (o obbligatorietà) di un esercizio associato delle predette funzioni da parte dei piccoli Comuni. Ferma restando la provvisorietà della disciplina, ancora suscettibile di modifiche, nel primo gruppo sono contemplate le seguenti funzioni: normativa, di programmazione e pianificazione, di amministrazione, di organizzazione e gestione del personale; di controllo interno; di gestione finanziaria e contabile; di vigilanza e controllo nelle aree funzionali di competenza; di gestione dei servizi pubblici locali. Nel secondo gruppo invece rientrano quelle concernenti la disciplina delle attività commerciali, l'edilizia pubblica e privata, la pianificazione, vigilanza e controllo territoriale di base, anche attuativa, la regolazione dell'attività urbanistica ed attuazione di interventi di recupero del territorio e relativa gestione (ma non è stata invece ricompresa la gestione del catasto), le attività di protezione civile inerenti la competenza comunale, la costruzione e gestione delle strade comunali, la gestione del sistema locale dei servizi sociali, l'edilizia scolastica e l'organizzazione e gestione dei servizi scolastici, compresi gli asili nido, fino alla istruzione secondaria di primo grado. Infine, sono funzioni fondamentali attribuite alle Province: la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, la gestione integrata degli interventi di difesa del suolo e di gestione del demanio idrico marittimo, fluviale e lacuale; l'attività di previsione, prevenzione e pianificazione d'emergenza in materia di protezione civile. BibliografiaArena, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell'art. 118, ultimo comma della Costituzione, in Studi in onore di Giorgio Berti, Napoli, 2005, I, 179-221; Bassanini, La Repubblica della sussidiarietà. 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