Decreto legislativo - 30/03/2001 - n. 165 art. 2 - Fonti 12 (Art. 2, commi da 1 a 3 del d.lgs n. 29 del 1993, come sostituiti prima dall'art. 2 del d.lgs n. 546 del 1993 e poi dall'art. 2 del d.lgs n. 80 del 1998)

Ciro Silvestro

1. Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive. Esse ispirano la loro organizzazione ai seguenti criteri:

a) funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità. A tal fine, periodicamente e comunque all'atto della definizione dei programmi operativi e dell'assegnazione delle risorse, si procede a specifica verifica e ad eventuale revisione;

b) ampia flessibilità, garantendo adeguati margini alle determinazioni operative e gestionali da assumersi ai sensi dell'articolo 5, comma 2;

c) collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere di comunicazione interna ed esterna, ed interconnessione mediante sistemi informatici e statistici pubblici;

d) garanzia dell'imparzialità e della trasparenza dell'azione amministrativa, anche attraverso l'istituzione di apposite strutture per l'informazione ai cittadini e attribuzione ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della responsabilità complessiva dello stesso;

e) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell'utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi dell'Unione europea.

1-bis. I criteri di organizzazione di cui al presente articolo sono attuati nel rispetto della disciplina in materia di trattamento dei dati personali  3 (A).

2. I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano o che abbiano introdotto discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate nelle materie affidate alla contrattazione collettiva ai sensi dell'articolo 40, comma 1, e nel rispetto dei principi stabiliti dal presente decreto, da successivi contratti o accordi collettivi nazionali e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili [, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge]  4.

3. I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel titolo III del presente decreto; i contratti individuali devono conformarsi ai principi di cui all'articolo 45, comma 2. L'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi e salvo i casi previsti dal comma 3-ter e 3-quater dell'articolo 40 e le ipotesi di tutela delle retribuzioni di cui all'articolo 47-bis, o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall'entrata in vigore dal relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva5.

3-bis. Nel caso di nullita' delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile 6.

_______________

(A) In riferimento alle indicazioni per il rientro in sicurezza sui luoghi di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, a seguito dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, vedi: Circolare Presidenza del Consiglio dei Ministri (vari Dipartimenti) 24 luglio 2020 n. 3.

[1] Per gli indirizzi realtivi all'applicazione del presente articolo vedi Dir.P.C.M. 1 marzo 2002.

[2]  Per una deroga vedi l'articolo 13, comma 1, del D.L. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla Legge 6 agosto 2021, n. 113.

[3] Comma inserito dall'articolo 176, comma 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2004, come disposto dall'articolo 186, comma 1, del medesimo D.Lgs. 196/2003.

[4] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 4 marzo 2009, n. 15 e dall'articolo 33, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Ai sensi di quanto disposto dal comma 2 del medesimo articolo 1, il secondo periodo del presente comma si applica alle disposizioni emanate o adottate successivamente alla data di entrata in vigore della Legge 4 marzo 2009, n. 15. Comma da ultimo modificato dall'articolo 1, comma 1, del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75.

Inquadramento

L'articolo 2 del decreto n. 165 rappresenta la norma-manifesto della privatizzazione (rectius, contrattualizzazione) del pubblico impiego.

È in questa sede che è compendiato il nuovo assetto delle fonti di disciplina del lavoro pubblico, come delineato dalla legge delega del 1992 e dal d.lgs. n. 29/1993. Il legislatore ha dato vita ad un sistema in cui il rapporto di lavoro con le p.a. è tendenzialmente regolato dal diritto comune e dai contratti collettivi, mentre leggi, regolamenti e atti amministrativi di macro organizzazione definiscono i lineamenti organizzativi delle amministrazioni pubbliche.

L'epocale riforma del 1993 supera definitivamente l'assunto secondo cui il carattere soggettivamente pubblico di una delle parti del rapporto di lavoro implicherebbe necessariamente il carattere pubblicistico dello stesso. Viene, infatti, riconosciuta la natura privatistica del rapporto di pubblico impiego, geneticamente fondato sull'autonomia privata e sul contratto individuale di lavoro. Il rapporto non scaturisce più, come in precedenza, da un provvedimento amministrativo unilaterale di nomina, attributivo di uno status, a cui meramente accedeva, come condizione di efficacia, l'accettazione dell'interessato. Nato da un negozio giuridico bilaterale e partitario, il rapporto di lavoro vede le sue successive vicende determinate e scandite dalla presenza di atti dell'amministrazione – datrice di lavoro aventi natura privatistica, con definitiva eclisse dello strumentario di diritto amministrativo.

L'articolo 3 del d.lgs. n. 165/2001 ha, comunque, consentito per alcune categorie di pubblici dipendenti – magistrati, diplomatici, prefettizi, militari e forze di polizia, ecc. – la sottrazione, in via di eccezione, alla generale riforma delle fonti di disciplina del rapporto di lavoro. Di qui la sopravvivenza di normative di settore ispirate al tradizionale regime di diritto pubblico.

L'abbandono del «tradizionale statuto del pubblico impiego in favore della regola – temperata da alcune eccezioni – del rapporto di lavoro subordinato privato» si giustifica perché «ritenuta più idonea alla realizzazione delle esigenze di flessibilità nella gestione del personale sottese alla riforma». A giudizio della Corte costituzionale, la flessibilità, introdotta per via dell'esaltazione della dimensione contrattuale, risulta «strumentale ad assicurare il buon andamento dell'amministrazione, salvi peraltro restando i limiti collegati al perseguimento degli interessi generali cui l'organizzazione e l'azione delle pubbliche amministrazioni sono indirizzate. In questo quadro, la legge, in vista del rispetto anche degli altri princìpi posti dall'art. 97 Cost., non rinuncia tuttavia a disciplinare nel merito – e sovente non soltanto con norme di mero principio – numerosi aspetti dei rapporti privatizzati più strettamente legati a profili organizzativi dell'attività dell'amministrazione: tra i quali, in particolare, quelli concernenti la dirigenza». La flessibilità, assicurata proprio dalla valorizzazione delle fonti contrattuali a discapito di quelle legali, non è fine ma mezzo, cioè strumento di inveramento del principio costituzionale di buon andamento. Il nuovo paradigma conduce alla accentuazione progressiva della distinzione tra aspetto organizzativo della pubblica amministrazione e rapporto di lavoro con i suoi dipendenti. La scelta tra regime pubblicistico e privatistico resta affidata alla «discrezionalità del legislatore, da esercitarsi in vista della più efficace ed armonica realizzazione dei fini e dei princìpi che concernono l'attività e l'organizzazione della pubblica amministrazione. In particolare, il corretto bilanciamento tra i due termini dell'art. 97 Cost., imparzialità e buon andamento, può attuarsi riservando alla legge una serie di profili ordinamentali; sì che, per converso, risultino sottratti alla contrattazione tutti quegli aspetti in cui il rapporto di ufficio implica lo svolgimento di compiti che partecipano del momento organizzativo della pubblica amministrazione. [...] Il valore dell'imparzialità può essere in astratto – e viene dalla normativa in esame – non irrazionalmente integrato con quello dell'efficienza: essendo da ritenere che l'imparzialità stessa non debba essere garantita necessariamente nelle forme dello statuto pubblicistico del dipendente, ben potendo viceversa trovare attuazione – come nel caso di specie – in un equilibrato dosaggio di fonti regolatrici» (Corte cost. n. 313/1996).

Rapporto di lavoro e organizzazione amministrativa.

Nell'ambito delle numerose problematiche scaturite dalle riforme del pubblico impiego, particolare rilievo ha assunto quella concernente l'individuazione della linea di confine tra i profili di organizzazione amministrativa e quelli inerenti il rapporto di lavoro.

Invero, la prima definizione di tale spartiacque – che risale all'art. 2, comma 1, lett. c) dalla legge n. 421/1992, legge delega da cui è scaturito il d.lgs. n. 29/1993 – faceva riferimento a sette materie «regolate con legge, ovvero, sulla base della legge o nell'ambito dei principi dalla stessa posti, con atti normativi o amministrativi»: 1) responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell'espletamento delle procedure amministrative; 2) organi, uffici e modi di conferimento della titolarità dei medesimi; 3) principi fondamentali di organizzazione degli uffici; 4) procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro; 5) ruoli e dotazioni organiche; 6) garanzia della libertà didattica e scientifica; 7) disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l'impiego pubblico ed altre attività e casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici. Tale ripartizione non è stata con chiarezza né abrogata né espressamente incorporata nella «seconda privatizzazione», scaturita dalla l. n. 59/1997, alimentando qualche dubbio sulla sua persistente attualità. Nessun argomento letterale, tuttavia, assecondava una tale interpretazione negativa, giacché: 1) la seconda privatizzazione si svolgeva sulla base degli stessi principi e criteri direttivi della prima, sia pure in parte corretti ed integrati; 2) in ogni caso, nelle «sette materie» la riserva di legge appare agganciata a precisi vincoli di carattere costituzionale (Zoppoli, 231; Natullo, 15; Bonomolo).

Il d.lgs. n. 80 del 1998 è, comunque, intervenuto, a ridefinire e innovare l'ambito di rispettiva competenza delle fonti pubblicistiche, prevedendo un più puntuale riparto, all'interno delle fonti unilaterali pubblicistiche, tra legge, regolamento e atti organizzativi. Ne è risultata ampliata la sfera di questi ultimi a scapito delle fonti normative.

Infatti, mentre la formulazione originaria dell'articolo 2 del d.lgs. n. 29 non distingueva, nella disciplina dell'ordinamento delle amministrazioni, gli ambiti di competenza delle fonti legislative, delle fonti secondarie e, sulla base di esse, degli altri atti pubblicistici di organizzazione, la novella del 1998 ha inteso limitare l'intervento della legge a fissare i principi generali (delegificazione), sulla base dei quali le amministrazioni pubbliche devono definire, «mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti», le linee fondamentali di organizzazione degli uffici. Sono così individuati gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi e determinate le dotazioni organiche complessive (cfr. l'art. 2, comma 1, del decreto n. 165/2001).

Al contempo, nel disciplinare ulteriormente il potere organizzativo della P.A., il legislatore ha portato a maturazione la distinzione tra gli atti di macro organizzazione, riservati come visto alla fonte unilaterale pubblicistica, e gli atti di micro organizzazione a valle, rimessi alle determinazioni unilaterali assunte dai dirigenti pubblici nell'esercizio della capacità di diritto privato propria del datore di lavoro (cfr. l'art. 5 del decreto n. 165).

Il decreto n. 80/1998 ha dunque definito, nell'ambito delle fonti di regolamentazione della organizzazione degli uffici, una distinzione tra atti organizzativi generali di natura provvedimentale, assoggettati allo statuto pubblicistico – in quanto esplicazione di potere autoritativo – e interventi organizzativi particolari, ai quali espressamente non viene attribuita la qualifica di atto, che potrebbe richiamare la categoria dell'atto amministrativo, ma quella di «determinazione», di natura privatistica e sottoposti alla giurisdizione del giudice ordinario. Essi sono in tutto assimilabili agli atti unilaterali che il datore di lavoro privato assume per l'organizzazione del lavoro nella sua impresa.

Si tratta, in entrambi i casi, di campi sottratti alla contrattazione collettiva.

Sviluppando la distinzione tra profili di organizzazione e disciplina del rapporto di lavoro, il d.lgs n. 165/2001 opera cos'una tripartizione fra macro organizzazione, di competenza di atti unilaterali pubblicistici (art. 2, comma 1), micro organizzazione, che si svolge nei limiti degli atti di macro organizzazione ed è dominio dell'autonomia dirigenziale che esercita le corrispondenti determinazioni con la capacità ed i poteri privatistici (art. 5, comma 2) e sfera riservata alla contrattazione collettiva.

In passato, è spesso accaduto che, nella prassi, la micro-organizzazione divenisse oggetto di una disciplina para-contrattuale. Difatti, approfittando della debolezza manifestata dal datore di lavoro pubblico, specie a livello decentrato, «le materie di partecipazione sindacale, a carattere organizzativo, sono state sovente oggetto di negoziazione, «con una risalita della contrattazione a monte della sfera organizzativa, che ha determinato forme di cogestione dai tratti ambigui e spuri. Ma anche a livello nazionale, non di rado, la contrattazione collettiva, sempre più pervasiva, ha invaso la sfera preclusa, per esempio in materia di concorsi pubblici e soprattutto attraverso la definizione convenzionale delle progressioni di carriera. Queste hanno garantito passaggi di massa alle categorie superiori in modo sostanzialmente indiscriminato e poco selettivo. Hanno risposto ad aspettative dei dipendenti pregresse e consolidate nel tempo e quindi sostanzialmente sulla base dell'anzianità di servizio, ma con un tradimento dei principi costituzionali del pubblico concorso e del merito e senza alcuna attenzione alle esigenze di spesa pubblica» (Talamo, 470).

In sostanza, specie con riferimento alla contrattazione integrativa, le forme di partecipazione sindacale sono state intese come potenziali fonti di disciplina para-contrattuale, attraverso il richiamo alla categoria dei contratti gestionali (in cui il datore di lavoro procedimentalizza ed autolimita i propri poteri). Si trattava, in realtà, di un'interpretazione distorsiva, perché nel pubblico impiego la contrattazione collettiva integrativa rimane autorizzata ex lege ad espandersi solo sulle materie afferenti al rapporto di lavoro ed espressamente delegate a tale fine dal contratto nazionale. In generale (e con riguardo anche alla contrattazione nazionale), la contrattazione collettiva si è spinta a disciplinare profili, che assieme al rapporto di lavoro, toccano e si intrecciano per qualche verso all'organizzazione, ritenendo insussistente un divieto assoluto di negoziabilità di tali aspetti, divieto ora esplicitamente ribadito a seguito della riforma del 2009 (cfr. ora il dettato dell'art. 40, comma 1, del decreto n. 165).

Solo con la riforma Brunetta è, infatti, tornato in primo piano il principio del rispetto della ripartizione fra le diverse sfere di competenza (cfr. l'art. 3, comma 1, della legge delega n. 15/2009), nel senso sia di restituire alle fonti (unilaterali) pubblicistiche uno spazio puntuale e ben presidiato, sia di salvaguardare la facoltà decisionale ultima del dirigente nelle determinazioni (unilaterali) privatistiche, rientranti nella cd. micro organizzazione.

Criteri ispiratori dell'organizzazione.

Come specificato dal comma 1 dell'art. 2 del decreto n. 165, le P.A., nell'esercizio dei poteri di organizzazione, sono chiamate a conformarsi ad una serie di criteri:

a) funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità, con verifiche e revisioni periodiche;

b) ampia flessibilità, garantendo adeguati margini alle determinazioni operative e gestionali dei dirigenti;

c) collegamento delle attività degli uffici, sviluppando comunicazione interna ed esterna ed interconnessioni;

d) garanzia dell'imparzialità e della trasparenza dell'azione amministrativa, anche attraverso l'istituzione di apposite strutture per l'informazione ai cittadini e l'attribuzione ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della responsabilità complessiva dello stesso (implementando, per questa via, la normativa sul responsabile del procedimento recata dalla l. n. 241/1990);

e) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell'utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi dell'Unione europea.

I predetti criteri di organizzazione sono attuati nel rispetto della disciplina in materia di trattamento dei dati personali.

Da segnalare, in tema di organizzazione delle P.A., la recente previsione dell'art. 6 del d.l. n. 80/2021, inerente il varo di un nuovo strumento di programmazione degli interventi in materia: il Piano integrato di attività e organizzazione PIAO).

Il Piano è funzionale ad «assicurare la qualità e la trasparenza dell'attività amministrativa e migliorare la qualità dei servizi ai cittadini e alle imprese e procedere alla costante e progressiva semplificazione e reingegnerizzazione dei processi anche in materia di diritto di accesso», con finalità di semplificazione della pluralità di adempimenti pianificatori previsti dalla normativa vigente.

Il Piano, di durata triennale (ed aggiornato annualmente), è chiamato a definire: obiettivi programmatici e strategici della performance; strategia di gestione del capitale umano e dello sviluppo organizzativo; obiettivi formativi e valorizzazione delle risorse interne; reclutamento; trasparenza ed anti-corruzione; pianificazione delle attività; individuazione delle procedure da semplificare e ridisegnare; accesso fisico e digitale; parità di genere; monitoraggio degli esiti procedimentali e dell'impatto sugli utenti.

Al Dipartimento della Funzione pubblica è assegnato il compito di adottare un Piano tipo per agevolare la redazione da parte delle altre pubbliche amministrazioni; in quella sede sono definite, altresì, le modalità semplificate per l'adozione del Piano per le amministrazioni con meno di cinquanta dipendenti (per entrambi gli adempimenti, previa intesa in sede di Conferenza unificata).

Da rimarcare che la mancata adozione del Piano è oggetto di sanzioni: in particolare, è fatto divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti che risultino avere concorso alla mancata adozione del Piano, per omissione o inerzia nell'adempimento dei propri compiti. Né l'amministrazione può procedere ad assunzioni di personale o al conferimento di incarichi di consulenza o di collaborazione comunque denominati. Il rinvio è alle sanzioni di cui all'art. 10, comma 5, d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, fermo restando il disposto dell'articolo 19, comma 5, del d.l. n. 90/2014, in tema di sanzioni ANAC per omissioni inerenti adempimenti dell'anticorruzione.

Fonti di disciplina del rapporto di lavoro.

Il comma 2 dell'art. 2 del decreto n. 165 descrive il modello cui si è ispirato il legislatore nel contrattualizzare il rapporto di lavoro nel pubblico impiego. Esso è definibile come «misto», giacché affianca alle fonti proprie del lavoro privato (codice civile e discipline lavoristiche) anche le speciali disposizioni contenute nello stesso decreto n. 165 (rafforzate dall'essere qualificate dalla legge come imperative).

Si veda, ad esempio, la disciplina di cui all'art. 2103 c.c. e l'emblematico tema delle mansioni che, declinato nell'ambito del pubblico impiego, deve dialogare con il principio dell'accesso mediante concorso ai sensi dell'art. 97 Cost.. Per tale motivo, lo svolgimento di mansioni superiori a quelle contrattuali può dare diritto al corrispondente inquadramento solo se il datore di lavoro non è una pubblica amministrazione. Presso la P.A., il lavoratore destinato di fatto a mansioni superiori oltre i limiti di legge (art. 52 del decreto n. 165) avrà eventualmente diritto solo a percepire le differenze retributive (cfr. Cons. St. V, n. 2539/2016).

In sostanza, la natura pubblica del datore di lavoro cessa di influire sulla natura giuridica del rapporto (che è ormai un rapporto di lavoro di stampo privatistico), ma continua, in parte, ad esercitare influenza sulla disciplina dello stesso, la quale conserva tratti di specialità rispetto a quella applicabile ai rapporti di lavoro privati tout court.

Il comma 2 dell'art. 2 richiama, altresì, le altre eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, ulteriori rispetto al decreto n. 165, che introducano discipline limitate ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche (o a categorie di essi), muovendosi pur sempre in un ambito privatistico.

Proprio su tale enunciato è intervenuto, da ultimo, l'art. 1 del decreto n. 75/2017, ridefinendo le ipotesi di derogabilità, da parte delle fonti pattizie, di tale ulteriore disciplina unilaterale incidente sui profili normativi (per quelli economici cfr. il successivo comma 3).

Nella attuale formulazione, il secondo periodo del comma 2 dell'art. 2 in esame sancisce che «le disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano o che abbiano introdotto discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate nelle materie affidate alla contrattazione collettiva ai sensi dell'articolo 40, comma 1, e nel rispetto dei principi stabiliti dal presente decreto, da successivi contratti o accordi collettivi nazionali e per la parte derogata non sono ulteriormente applicabili».

In tal modo:

– viene superata la formulazione introdotta con la riforma Brunetta del 2009, che aveva un valore e un significato assai diversi. Essa statuiva che le norme legali potevano essere derogate da parte dei contratti o accordi collettivi (oggi con la precisazione che si tratta esclusivamente di quelli nazionali) solo ove ciò fosse «espressamente previsto dalla legge», riferimento che viene cancellato dalla riforma Madia;

– si amplia quanto previsto dal testo originario del decreto del 2001, dove si stabiliva che la derogabilità poteva intervenire salvo che la legge disponesse espressamente in senso contrario;

– viene, altresì, precisato esplicitamente che la norma collettiva potrà disapplicare non solo le norme del rapporto di lavoro medio tempore intervenute (cioè fra un contratto e l'altro, come era previsto nella formulazione originaria), ma potrà dispiegarsi anche per il passato nei confronti degli istituti del rapporto di lavoro sui quali la stessa legge aveva eventualmente affermato la propria «resistenza» (sottraendosi all'eventuale disapplicazione per via contrattuale, prima dell'entrata in vigore del decreto n. 75/2017);

– si delimita il perimetro della derogabilità attribuita alle fonti pattizie, riferendola (esclusivamente) alle materie affidate alla contrattazione collettiva, ai sensi del successivo art. 40, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, nel rispetto dei «princìpi» posti dal medesimo decreto 165. Il riferimento ai “princìpi” appare valorizzare un nesso di coordinazione ed integrazione funzionale (più che di gerarchia) se non di sussidiarietà, nel rapporto tra fonte pubblicistica ed atto pattizio.

Rimane inalterata la qualificazione del complesso delle disposizioni contenute nel d.lgs n. 165/2001 come aventi «carattere imperativo» (previsione introdotta nel 2009). Viene, poi, sancito che «nel caso di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile», secondo il meccanismo della sostituzione automatica delle clausole difformi e della conservazione del contratto affetto da nullità parziale (nuovo comma 3-bis dell'art. 2 cit.).

In definitiva, il vigente testo del decreto 165 restituisce a contratti e accordi collettivi nazionali la capacità di reagire –mediante la deroga successiva – all'invasione da parte della legge e delle alte fonti unilaterali di ambiti riservati alla contrattazione ovvero al moltiplicarsi delle c.d. «microleggine», con destinatari i dipendenti pubblici. Una garanzia ai rischi di rilegificazione.

Come specificamente osservato da Cons. St. comm. spec., parere n. 916/2017, «la preferenza per la fonte contrattuale rispetto alla disciplina unilaterale, nelle materie precisamente e tassativamente individuate dallo stesso decreto legislativo sul pubblico impiego, appare funzionale alla necessità di garantire un principio di coerenza con il regime della privatizzazione. Inoltre, sotto altro profilo, il rinvio alla contrattazione collettiva risponde anche alle finalità di semplificazione e omogeneità della disciplina rispetto ai possibili particolarismi di interventi normativi di settore, ponendosi essa come strumento astrattamente idoneo ad evitare l'introduzione di regimi differenziati per determinate categorie di personale (trovando così attuazione lo specifico principio di delega di cui all'art. 17, comma 1, lett. h), legge n. 124/2015 relativo alla «parità di trattamento fra categorie omogenee»)».

Ciò rende la delegificazione mediante contrattazione un elemento di fondo della disciplina sul lavoro pubblico. Si chiude la «parentesi» aperta nel 2009, laddove con la riforma Brunetta l'inderogabilità della legge era presunta, senza alcuna necessità di una sua menzione espressa; mentre la derogabilità da parte del successivo contratto collettivo doveva essere dichiarata. Il legislatore riprende a dettare regole idonee a favorire reali negoziazioni in tutti i comparti e a tutti i livelli.

Disciplina contrattuale e attribuzione dei trattamenti economici.

Il comma 3 dell'art. 2 del decreto n. 165 ribadisce la regolazione contrattuale dei rapporti individuali di lavoro del pubblico impiego privatizzato (riserva negoziale), rinviando, per criteri e modalità della relativa contrattazione collettiva, alla specifica disciplina del titolo III dello stesso decreto. I contratti individuali devono, peraltro, conformarsi ai principi sanciti dal successivo articolo 45, comma 2, in tema di parità di trattamento contrattuale e di applicazione di trattamenti non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi.

Ulteriore disposto del comma in commento è relativo al carattere di esclusività della attribuzione di trattamenti economici tramite contratti collettivi o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Al riguardo, va sottolineato che la riforma Brunetta ha rimodulato il carattere della originaria riserva alla contrattazione della disciplina retributiva per «far posto» a nuovi istituti – derogatori in quanto a carattere unilaterale. Tendenzialmente, l'attribuzione di trattamenti economici continua ad avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni ivi previste, mediante contratti individuali, ma sono fatti salvi (nel comma 3 dell'art. 2, come pure nel comma 1 del successivo art. 45):

a) «i casi previsti dal comma 3-ter e 3-quater dell'articolo 40», statuenti, il primo, la facoltà per l'amministrazione, in caso di ritardo nel rinnovo dei contratti integrativi, di provvedere, unilateralmente e in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo (fino alla successiva sottoscrizione); il secondo, ora abrogato dal d.lgs. n. 75/2017, definiva la rilevanza della graduatoria di performance delle amministrazioni nazionali, formulata dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (la vecchia Civit, poi assorbita in ANAC), in ordine alla ripartizione delle risorse per la contrattazione decentrata;

b) «le ipotesi di tutela delle retribuzioni di cui all'articolo 47-bis», che prevede la possibile erogazione unilaterale, in via provvisoria, degli incrementi stipendiali previsti dalla legge finanziaria ovvero l'anticipazione dei benefici nel caso di cospicuo ritardo nel rinnovo dei contratti nazionali.

Non toccato dalle ultime riforme, è rimasto invariato il valore particolarmente «rafforzato» del contratto collettivo rispetto alle disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti dai contratti stessi.

La possibilità di deroga delle fonti unilaterali da parte delle fonti pattizie successive, disposto dal precedente art. 2, comma 2, riguarda, infatti, solo i trattamenti normativi. In materia retributiva la regola è, invece quella della diretta e immediata cessazione di efficacia delle speciali disposizioni introdotte unilateralmente a far data dal successivo rinnovo contrattuale. Una sorta di disapplicazione «automatica», sancita dall'ultima parte del comma 3 dell'art. 2 del d.lgs n. 165/2001. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti «con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi», mentre i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva.

Queste previsioni, se pongono un limite ai rischi di rilegificazione in materia, non sono esenti, nella concreata attuazione, di produrre qualche incertezza. Non è apparso sempre «agevole individuare se una certa legge provveda solo a ridefinire in senso incrementale specifiche voci della retribuzione («riassorbibili» dalla successiva contrattazione) oppure intervenga a regolare ex novo una intera struttura retributiva o venga utilizzata per risolvere problemi interpretativi e applicativi di determinati istituti del trattamento economico (risultando, così, «intangibile» dalla contrattazione)» (D'Alessio, 35).

Infine, va evidenziato quanto rilevato dal Giudice delle leggi sulla «specificità del lavoro pubblico, per il quale rileva l'art. 97 della Costituzione, legittima differenziazioni di trattamento rispetto al lavoro privato, anche in vista dell'esigenza di razionalizzare il costo del lavoro pubblico stesso, contenendo la spesa complessiva per il personale entro i vincoli di finanza pubblica». Conseguentemente, anche nella specie, riferita alla l'esclusione, recata dalla legge finanziaria 2006, dei pubblici dipendenti dal godimento del trattamento economico nei giorni festivi coincidenti con la domenica, «non è possibile effettuare una comparazione tra la categoria dei lavoratori che prestano la loro attività nelle pubbliche amministrazioni e quella dei dipendenti dai datori di lavoro privati, non sussistendo quella omogeneità di situazioni normative che renderebbe ingiustificata la diversa regolamentazione adottata» (Corte cost. n. 146/2008).

Bibliografia

Bonomolo, Il (difficile) rapporto tra fonte normativa e fonte contrattuale nel pubblico impiego privatizzato, in lexitalia.it, 2006; D'Alessio, Le fonti del rapporto di lavoro pubblico, in Pizzetti, Rughetti (a cura di), La riforma del lavoro pubblico, Roma, 2010, 29; Natullo, Tra legge e contratto l'«equilibrio instabile» del sistema delle fonti del lavoro pubblico, in Esposito, Luciani, Zoppoli (a cura di), La riforma dei rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Torino, 2018, 15; Talamo, Pubblico e privato nella legge delega per la riforma lavoro pubblico, in Giornale di dir. amm., 2009, 470; Zoppoli, Problemi giuridico - istituzionali della riforma del contratto collettivo (a proposito della «riforma Brunetta»), in Carrieri, Nastasi (a cura di), Spazio e ruolo delle autonomie nella riforma della contrattazione pubblica, Bologna, 2009, 231.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario