Decreto legislativo - 19/08/2016 - n. 175 art. 12 - Responsabilita' degli enti partecipanti e dei componenti degli organi delle societa' partecipate

Andrea Zoppini

Responsabilità degli enti partecipanti e dei componenti degli organi delle società partecipate

 

1. I componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house. E' devoluta alla Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale di cui al comma 2.

2. Costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell'esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione.

Inquadramento

L'art. 12 è dedicato alla disciplina della responsabilità civile ed erariale dei componenti degli organi di società partecipate da pubbliche amministrazioni. In particolare, il comma 1: i) al primo periodo, stabilisce che, in linea di principio, i componenti degli organi di amministrazione e di controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, ferma però restando la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house; ii) al secondo periodo, devolve alla Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale; danno, quest'ultimo che è definito al successivo comma 2, come danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell'esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione pubblica.

La norma in commento rappresenta il frutto di un ampio, e per alcuni versi ancora irrisolto, dibattito giurisprudenziale sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice contabile, di cui si darà ampia illustrazione nel seguente § 2.

L'art. 12 del TUSP, a ben vedere, «si occupa non della responsabilità ma della giurisdizione sulla responsabilità» (Ibba, 165; Serra, 204), in quanto «è il giudice che conforma la responsabilità e non il tipo di responsabilità che conduce dal giudice» (Torchia, 212).

Riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice contabile nella giurisprudenza antecedente al TUSP

Il tema del riparto di giurisdizione tra il giudice ordinario e il giudice contabile in ordine alla responsabilità degli amministratori e degli organi di gestione delle società a partecipazione pubblica è stato oggetto di una importante elaborazione giurisprudenziale della Cassazione risalente agli anni Ottanta.

Un primo orientamento (Cass. S.U., n. 1282/1982) ha escluso, in linea generale, la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti degli amministratori, funzionari e impiegati degli enti pubblici economici, in quanto tali enti, pur perseguendo finalità di interesse generale, agiscono nelle forme del diritto privato, con eccezione per le c.d. «attività di autorganizzazione involgenti un potere autoritativo». Successivamente, i giudici di legittimità hanno abbandonato questo principio, estendendo l'ambito della responsabilità amministrativa per danno erariale nei confronti degli amministratori e dei dipendenti delle società a partecipazione pubblica, ritenendo che si tratta di «soggetti pubblici per definizione, istituiti per il raggiungimento di fini del pari pubblici attraverso risorse di eguale natura»; sicché quel che rileva non è più il quadro di riferimento (diritto pubblico o diritto privato) nel quale si colloca la condotta produttiva del danno, ma il fatto che l'evento si verifichi in danno di una pubblica amministrazione (Cass. S.U., n. 19667/2003; in dottrina, Lamorgese, 237). Nel 2004, le Sezioni Unite della Cassazione (Cass. S.U., n. 3899/2004) hanno poi ritenuto sussistente la giurisdizione della Corte dei conti sull'azione di responsabilità degli amministratori di una società partecipata in misura maggioritaria da un Comune, che svolgeva un servizio pubblico, sul presupposto dell'esistenza di un rapporto di servizio tra la società e l'ente pubblico. Nel 2009, con la sentenza n. 26806, le Sezioni Unite hanno mutano la propria impostazione, ristringendo nettamente l'ambito di applicazione del danno erariale. Con tale pronunciamento, la Corte di Cassazione, partendo dal presupposto che le società partecipate soggiacciono alle regole organizzative e gestionali del codice civile che regolano la vita delle società in genere, e che le stesse «non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro Ente pubblico», ha enunciato il principio secondo il quale le decisioni degli amministratori della società pubblica possono essere contestate dalla Corte dei conti solo qualora questi abbiano causato un danno diretto all'Ente pubblico partecipante; nel caso, invece, in cui tali decisioni abbiano causato un danno al patrimonio della società, senza tuttavia recare pregiudizio all'Ente pubblico partecipante, il danno causato non può configurarsi come «erariale» e, pertanto, la contestazione dello stesso esula dalla competenza della Corte dei conti per rientrare in quella della giurisdizione ordinaria (Cass. S.U., n. 26806/2009; in dottrina: Lamorgese, 237; Goisis, 41). Con quest'ultima pronuncia si è, dunque, ristretto l'ambito di applicazione del danno erariale, tanto che la giurisprudenza successiva (ex multis: Cass.S.U., n. 520/2010; Cass.S.U., n. 4306/2010; Cass.S.U., n. 3692/2012; Cass.S.U., n. 10299/2013; Cass.S.U., n. 15199/2015; Cass.S.U., n. 23306/2015; Cass., I, n. 27733/2013), ha individuato due specifiche fattispecie in relazione alle quali è stata ritenuta sussistente la giurisdizione contabile. Una prima fattispecie è quella relativa all'azione del procuratore contabile volta a fare valere «la responsabilità dell'amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall'ente pubblico che sia stato danneggiato dall'azione illegittima non di riflesso, quale conseguenza indiretta del pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, bensì direttamente». In questi casi, precisa la Cassazione, si è «in presenza di un cosiddetto danno erariale, ossia di un danno provocato dall'agente al patrimonio dell'ente pubblico, come ad esempio accade nel caso del danno all'immagine della pubblica amministrazione» (Cass., I, n. 27733/2013, che richiama Cass. S.U., n. 26806/2009). La riconducibilità del danno all'immagine è stata peraltro confermata anche dall'art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009, in forza del quale «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della l. n. 97/2001». La seconda ipotesi di giurisdizione della Corte dei conti, individuata dalla Cassazione, riguarda, invece, l'azione del procuratore contabile «nei confronti (non già dell'amministratore della società partecipata, per il danno arrecato al patrimonio sociale, bensì nei confronti) di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio e abbia perciò pregiudicato il valore della partecipazione» (Cass. S.U., n. 520/2010). Ciò nel caso in cui il socio pubblico, in presenza di atti di mala gestio imputabili agli amministratori o agli organi di controllo della società partecipata, trascuri ingiustificatamente di esercitare le azioni di responsabilità alle quali egli sia direttamente legittimato, ove ne sia derivata una perdita di valore della partecipazione. Sulla stessa linea di questo orientamento maggiormente restrittivo, sono poi intervenute Sezioni Unite che, con la sentenza n. 26283/2013, hanno statuito che la giurisdizione contabile sussiste solo quando l'azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per danni da essi cagionati al patrimonio delle società in house, caratterizzate, come noto, dalla presenza di tre requisiti: i) la totale partecipazione pubblica al capitale sociale; ii) l'esercizio di un controllo analogo sulla società a quello esercitato dal socio sui propri servizi; iii) la realizzazione della parte più rilevante della propria attività con l'ente o gli enti che la controllano (sulla nozione di società in house si rinvia al commento dell'art. 16) (Miele, 832; Perrino, 180). In particolare, con tale pronunciamento la Suprema Corte, partendo dal presupposto che la giurisdizione contabile sussiste nel solo caso in cui «si arrivi a negare la distinzione stessa tra ente pubblico partecipante e società di capitali partecipata, e quindi tra la distinta titolarità dei rispettivi patrimoni», ha osservato: i) che «La società in house, come in qualche modo già la sua stessa denominazione denuncia, non pare [...] in grado di collocarsi come un'entità posta al di fuori dell'ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna, [essendo essa stessa] una longa manus della pubblica amministrazione, al punto che l'affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (Corte cost. n. 46/2013, cit.); di talché «l'ente in house non può ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa» (così Cons. St., Ad. plen., n. 1/08, cit.)»; e ii) che «il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo, è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all'ente pubblico». È proprio sulla base di simili considerazioni che la Cassazione ha concluso che «la Corte dei Conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso detta corte quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house, per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possano esser soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici». Il principio enunciato dalla sentenza n. 26283/2013 è stato seguito anche dal giudice contabile, il quale ha affermato la propria giurisdizione per il danno arrecato alle società in house, in quanto caratterizzate da una sostanziale immedesimazione della società stessa con la pubblica amministrazione per la quale opera, onde i relativi danni ad essa provocati sono perseguibili con l'azione contabile. In particolare, i giudici contabili sono pervenuti a questa conclusione, ritenendo che le società in house «hanno delle società solo la forma esteriore ma costituiscono in realtà delle articolazioni della P.A. da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi. Ne consegue che gli organi di tali società, assoggettati come sono a vincoli gerarchici facenti capo alla P.A., neppure possono essere considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, come investiti di un mero munus privato, inerente ad un rapporto di natura negoziale instaurato con la medesima società. Essendo essi preposti ad una struttura corrispondente ad una articolazione interna alla stessa P.A., è da ritenersi che essi siano personalmente a questa legati da un vero e proprio rapporto di servizio, non altrimenti da quel che accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall'Ente pubblico» (C. conti, sez. giur. III, App., n. 538/2017; in tal senso ex multis: C. conti II, App., n. 52/2019; C. conti II, App., n. 586/2016; C. conti, sez. giur., Veneto, n. 36/2019; C. conti, sez. giur., Calabria, n. 428/2018; C. conti, sez. giur., Sicilia, n. 38/2016; C. conti, sez. giur., Lazio, n. 997/2011; C. conti, sez. giur., Lazio, n. 327/2011).

L'art. 12 del TUSP: i dubbi interpretativi.

A un punto di approdo dell'annoso dibattito giurisprudenziale sembrerebbe essere giunti con l'art. 12 del TUSP. La norma in commento, tuttavia, pur avendo apparentemente recepito gli orientamenti della Cassazione, ha suscitato non poche perplessità in dottrina, tanto da essere definita come la disposizione «più oscura, confusa e contraddittoria dell'intero testo unico» (Ibba, 967).

Al riguardo, infatti, occorre osservare che sin dal testo originario dell'art. 12 del TUSP sono emersi non pochi dubbi interpretativi, tanto che il Consiglio di Stato, nel parere n. 968/2016 reso sullo schema del TUSP, ha indicato alcune possibili modifiche da apportare allo stesso. Il testo originario prevedeva testualmente che «I componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva il danno erariale» (comma 1); e che «costituisce danno erariale esclusivamente il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che abbiano con dolo o colpa grave trascurato di esercitare i propri diritti di socio, pregiudicato il valore della partecipazione» (comma 2). Al riguardo il Consiglio di Stato ha rilevato come la norma facesse generico riferimento al danno erariale «subito dagli enti partecipanti», senza specificare che tale danno dovesse essere esclusivamente quello subito direttamente dagli stessi. A tal proposito, dunque, il Consiglio di Stato ha suggerito di aggiungere prima della parola «subito», l'espressione «direttamente». Il Consiglio di Stato, inoltre, osservando come la norma non dettasse una disciplina ad hoc per le società in house, ha suggerito di introdurre un doppio binario di giurisdizione a seconda della natura delle società. In parziale accoglimento delle indicazioni del Consiglio di Stato, il testo dell'art. 12 del TUSP è stato modificato nei termini che seguono: «I componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house. È devoluta alla Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale di cui al comma 2. Costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell'esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione». Anche sul testo definitivo dell'art. 12 del TUSP, il Cons. St., parere n. 638/2017 reso sullo schema del correttivo del TUSP, non ha mancato di sollevare ulteriori osservazioni, ritenendo che fosse necessario: i) specificare la natura esclusiva della giurisdizione contabile nel caso di società in house; ii) chiarire il riferimento operato dal comma 1 ai «limiti della quota di partecipazione pubblica»; e iii) delimitare il danno erariale alla sola ipotesi di danno «diretto» al patrimonio dell'ente. Questi suggerimenti non sono stati però recepiti nel vigente testo dell'art. 12.

Difficoltà interpretative e applicative sono state ravvisate anche dalla dottrina, con riguardo al rapporto tra il primo e il secondo periodo del comma 1 e, in particolar modo, su quale sia la effettiva portata precettiva di quest'ultima previsione, la quale dispone che: «È devoluta alla Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale di cui al comma 2».

Due sono le possibili interpretazioni. Secondo una prima interpretazione, la norma potrebbe riferirsi esclusivamente al periodo precedente, in cui si fa salva la giurisdizione contabile per danno erariale nell'ambito delle società in house, individuando in tal modo, una specificazione del perimetro della giurisdizione erariale nei confronti degli amministratori delle società in house ove vi sia una partecipazione privata. Secondo una diversa lettura, invece, la disposizione avrebbe portata generale volta a sancire la dicotomia tra: il danno subito dalla società, soggetto alla disciplina societaria e, dunque, alla giurisdizione del giudice ordinario; e il danno subito direttamente dall'ente pubblico socio soggetto alla giurisdizione del giudice contabile, con l'unica eccezione per le società in house (Giliberti-Bassolino, 887; Morgante, 902).

Altra questione che ha destato perplessità concerne la qualificazione del «danno erariale» cui fa riferimento la norma in commento. Tale danno è definito proprio dall'art. 12 del TUSP, come il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell'esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione. Tipica ipotesi di danno erariale di carattere patrimoniale è il pregiudizio al valore della partecipazione societaria determinato dalla condotta (omissiva o commissiva) degli amministratori. Il danno erariale di cui si discorre è solo quello «subito dagli enti partecipanti» e non anche quello subito dalla partecipata pubblica.

Il danno erariale, inoltre, deve essere conseguente alla condotta non solo dei «rappresentanti degli enti pubblici partecipanti», ma anche dei «titolari del potere di decidere per essi». Con riferimento alla prima categoria, il concetto di rappresentanza è riferito tanto alla rappresentanza legale verso l'esterno, quanto alla rappresentanza in seno alla società partecipata. La seconda categoria di soggetti individuata dalla norma rappresenta, invece, una situazione atipica, non necessariamente legata ad un formale potere rappresentativo, ma alla concreta possibilità di un determinato soggetto di esplicare una effettiva ingerenza sulle decisioni assunte dall'ente pubblico partecipante nell'esercizio dei propri diritti di socio. Essendo, come detto, una situazione atipica, la stessa deve essere dimostrata e accertata caso per caso (Morgante, 933).

Ai fini della configurazione del danno erariale, l'art. 12 del TUSP, non sembra richiedere una condotta specifica; sicché è intervenuta la giurisprudenza a chiarire che il danno in questione può essere causato tanto da una condotta omissiva quanto da una condotta commissiva. Nel primo caso è stato chiarito che il socio pubblico che detiene una quota del patrimonio di una società ha il dovere di fare tutto il possibile affinché tale partecipazione venga indirizzata in vista del raggiungimento del miglior risultato possibile; per cui, se lo stesso omette di compiere quanto è in suo potere in vista di tale obiettivo, in concreto determina la perdita di valore della sua quota di partecipazione all'interno della società, il che si traduce in un danno erariale (Cass. S.U., n. 17188/2018). In proposito, a titolo esemplificativo, si pensi alla responsabilità per omesso esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori delle partecipate o per il mancato esercizio del potere di revoca degli amministratori delle partecipate. Anche la condotta commissiva è stata considerata rilevante ai fini dell'art. 12 del TUSP. Sul punto, infatti, le Sezioni Unite hanno avuto modo di precisare che appartiene alla giurisdizione contabile l'azione esercitata dalla procura contabile nei confronti di chi, quale rappresentante dell'ente pubblico partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia, con il proprio comportamento, pregiudicato il valore della partecipazione e quindi arrecato un danno al patrimonio dell'ente, non solo trascurando colpevolmente di esercitare i propri poteri e diritti inerenti alla posizione di socio pubblico, ma anche «esercitando tali diritti in modo non conforme al dovere di diligente cura del valore di detta partecipazione, con effetto direttamente pregiudizievole per il patrimonio dell'ente pubblico» (Cass. S.U., n. 4132/2019, concernente un danno erariale derivante dalla realizzazione di due operazioni di finanziamento). Nello stesso senso, le S.U. n. 21962/2016 hanno ritenuto sussistente la giurisdizione contabile nei confronti dei sindaci di due comuni in relazione al danno cagionato agli enti dalla sottoscrizione, da parte dell'amministratore delegato della società partecipata, su richiesta dei due sindaci, di un contratto di sponsorizzazione per una manifestazione sportiva. Sulla stessa linea, con la sentenza n. 11139/2017, le Sezioni Unite hanno confermato la giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla domanda di risarcimento del danno patrimoniale proposta dal procuratore contabile nei confronti del delegato del sindaco di un comune che, esercitando i poteri spettanti a quest'ultimo quale rappresentante dell'ente, aveva arrecato un danno patrimoniale al comune, deliberando un aumento del numero e del compenso dei consiglieri di amministrazione di una società partecipata integralmente dall'ente.

Le società in house.

Un discorso a parte meritano le società in house, per le quali, l'art. 12 del TUSP prevede espressamente la deroga alla regola generale di soggezione alla disciplina civilistica in materia di responsabilità degli organi.

Le Sezioni Unite, in linea con la pronuncia n. 26283/2013, hanno sempre sostenuto, e continuano a sostenere, la sussistenza della giurisdizione contabile per la responsabilità degli organi sociali per danni cagionati al patrimonio delle società cosiddette in house providing, nelle quali, in ragione delle loro particolari caratteristiche (da ultimo, ex multis, Cass. S.U., 14236/2020; Cass.S.U., n. 3330/2019; Cass.S.U., n. 32608/2019; Cass.S.U., n. 22413/2018; Cass.S.U., n. 22409/2018; anche C. conti, sez. giur., Sicilia,n. 38/2016).

Adottando un approccio formale, la giurisprudenza definisce le questioni di giurisdizione prendendo anzitutto a riferimento lo statuto societario. In un caso, ad esempio, le Sezioni Unite hanno affermato che «l'azione di responsabilità per i danni arrecati ad una società per azioni in cui si è trasformata una preesistente azienda speciale comunale spetta alla giurisdizione del giudice ordinario in tutti i casi in cui siano dedotti i pregiudizi al patrimonio della società in sé e per sé considerato e non dell'ente pubblico che pure possa o debba risponderne, a maggior ragione quando manchino tutti i presupposti per la configurabilità di una società in house e, in particolare, il divieto o l'impossibilità di estensione della compagine sociale a soggetti privati, oppure quando siano dedotti fatti anche anteriori alla trasformazione ma quali presupposti o antefatti delle condotte successive» (Cass. S.U., n. 30006/2019).

Nello stesso senso si è posto anche il giudice contabile che, con riferimento ad una società totalmente partecipata da un comune, ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione a fronte della carenza dei requisiti propri della società in house, quali la prevalente attività in favore del socio unico (bensì a favore di altri comuni esterni alla compagine sociale) e il controllo analogo da parte del socio (che, alla luce delle modifiche statutarie avvicendatesi negli anni interessati, è risultato previsto solo per alcuni periodi) (C. conti, Lazio, sez. giur., n. 232/2019).

Del pari, le Sezioni Unite hanno escluso dalla giurisdizione del giudice contabile l'azione di responsabilità nei confronti di società che non rivestono formalmente la forma di società in house, essendo partecipate da soggetti che, pur svolgendo un'attività pubblicistica ed essendo conseguenzialmente sottoposti alla vigilanza ministeriale e al controllo della C. conti, rivestono la qualificazione giuridica di ente privato (Cass. S.U., n. 32608/2019).

Le Sezioni Unite hanno, inoltre, escluso la giurisdizione contabile sulle holding a controllo interamente pubblico, come anche sulle società c.d. satelliti, sul presupposto che questi ultime non possano essere qualificate come società in house. Sul punto la Suprema Corte ha precisato che queste società «sono organizzate secondo il tipo societario di stampo civilistico e conservano la loro natura privata, essendo pubblico soltanto il soggetto che partecipa ad esse». Il principio in questione, in particolare, è stato enunciato con riguardo alla società Ferrovie dello Stato S.p.A., la quale «svolge un'attività economica e commerciale in regime di mercato libero e la sua veste giuridica non rappresenta un mero schermo di copertura di una struttura amministrativa pubblica». Al riguardo, le Sezioni Unite hanno anche affermato: i) che tale società, «in quanto holding, non ha rapporti di servizio pubblico con lo Stato»; ii) che alla «Capogruppo fanno capo le Società Operative nei diversi settori della filiera e altre Società di servizio e di supporto al funzionamento del Gruppo [che] sono dotate di una propria specificità aziendale e godono di autonomia gestionale nel perseguimento degli obiettivi di business [...]» (Cass. S.U., n. 1159/2015); e, con riferimento a queste ultime società, iii) che «La natura industriale e commerciale dell'attività gestita dalla società collocata in capo alla filiera si riverbera, quale logico corollario, sulla natura delle società poste in coda, oltre che essere imposta dal carattere unitario della politica aziendale di un Gruppo di imprese operante nel mercato, con strategie di sviluppo competitive in ambito comunitario ed internazionale» (Cass. S.U., n. 30978/2017; da ultimo anche: Cass. S.U., n. 17034/2020; Cass.S.U., n. 19584/2019).

Non sono mancati, tuttavia, pronunciamenti in cui la Corte di Cassazione si è spinta oltre e, adottando un approccio maggiormente sostanzialista, ha affermato la giurisdizione contabile basandosi sulle concrete attività svolte e sulle effettive risorse impiegate dalla società, a prescindere dalla natura o meno in house della società. Al riguardo, occorre richiamare la sentenza n. 21871/2019 che ha considerato il «presupposto normativo della attribuzione alla giurisdizione della Corte dei conti della azione di responsabilità per danno erariale», la circostanza che «un ente privato esterno all'Amministrazione venga incaricato di svolgere, nell'interesse di quest'ultima e con risorse pubbliche, un'attività o un servizio pubblico in sua vece, in tal modo inserendosi pur temporaneamente nell'apparato organizzativo della P.A.» (Cass. S.U., n. 21871/2019). Questo orientamento non convince però pienamente, discostandosi dalle previsioni del TUSP che ancorano la giurisdizione contabile alle sole società in house che formalmente e sostanzialmente possono essere qualificate come tali e, quindi, per le sole società in house siccome definite dall'art. 1, comma 1 lett. o) e dall'art. 16 del TUSP. In altri casi, invece, la giurisprudenza, pur in presenza di una società che riveste formalmente la qualifica di società in house, ha ritenuto comunque sussistente la giurisdizione del giudice ordinario.

Si pensi al caso di un'azione azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare di una società in house. In tale ipotesi, infatti, le Sezioni Unite hanno considerato evidente «l'attribuzione dell'azione esercitata dalla curatela fallimentare alla giurisdizione del giudice ordinario, attesa la natura prettamente civilistica delle norme azionate alle quali la società, per le ragioni indicate, non può sottrarsi». A conferma di ciò – precisa la Corte – si porrebbe proprio l'art. 12 del TUSP, laddove da un lato prevede la specifica attribuzione alla giurisdizione della Corte dei conti delle azioni relative al danno erariale; dall'altro, «lascia chiaramente intendere la configurabilità di un danno non erariale, al cui ristoro, soprattutto con riferimento alla posizione dei creditori sociali, non è idonea, e pertanto non può avere alcuna efficacia ostativa alle azioni proponibili davanti al giudice ordinario, l'azione concernente la responsabilità contabile» (Cass. S.U., n. 22406/2018).

La giurisdizione della Corte dei conti per le c.d. società legali.

Un'ulteriore eccezione alla regola generale della giurisdizione ordinaria, seppur non prevista espressamente dall'art. 12 del TUSP, riguarda le c.d. società legali, intese dalla come quelle società istituite, trasformate o comunque disciplinate da una apposita legge speciale (Catricalà, Fimmanò, Occorsio, 9), le quali, «pur avendo veste formalmente privata, presentano specifiche caratteristiche che consentono di assimilarle agli enti pubblici, almeno per quanto attiene alla soggezione dei loro amministratori e dipendenti alla giurisdizione della Corte dei Conti» (Iadecola, 71).

La giurisprudenza delle Sezioni Unite ha, infatti, sempre riconosciuto per queste particolari società la giurisdizione del giudice contabile.

Si pensi, in primo luogo, all'ordinanza n. 27092 del 2009 ove le Sezioni Unite hanno pacificamente ritenuto sussistente la giurisdizione della Corte dei conti nel caso di risarcimento del danno cagionato alla Rai-Radio Televisione Italiana S.p.A., da componenti del consiglio d'amministrazione e da dipendenti di tale società e degli enti pubblici azionisti, in relazione alla nomina del direttore generale e al trattamento economico dello stesso e degli ex direttori generali. A tale conclusioni è giunta la Corte rilevando che «la Rai, [...] nonostante la veste di società per azioni (peraltro partecipata totalitariamente da enti pubblici), ha natura sostanziale di ente pubblico, con uno statuto assoggettato a regole legali, per cui essa è designata direttamente dalla legge quale concessionaria dell'essenziale servizio pubblico radiotelevisivo; sottoposta a penetranti poteri di vigilanza da parte di un'apposita commissione parlamentare; destinataria di un canone d'abbonamento avente natura di imposta; compresa tra gli enti sottoposti al controllo della Corte dei Conti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria; tenuta all'osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell'affidamento degli appalti» (Cass., I, n. 8066/2016, nella parte in cui richiama l'ordinanza n. Cass. S.U., n. 27092/2009).

Parimenti, anche con riferimento ai danni arrecati all'ENAV S.p.A., le Sezioni Unite hanno ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice contabile, dopo aver preso in considerazione una serie di fattori, ovverosia: che la totalità delle azioni dell'ENAV è dello Stato; che molte attività dell'ENAV sono svolte ex lege, con oneri totalmente a carico dello Stato; che l'Ente presta un servizio pubblico essenziale; che la Corte dei conti esercita il controllo sulla gestione finanziaria dell'Ente (Cass. S.U., n. 5032/2010).

Alle medesime conclusioni è giunta la Corte di cassazione riguardo all'azione di responsabilità promossa nei confronti degli organi e dei dipendenti di ANAS S.p.A., valorizzando il fatto che la stessa è stata istituita con atto normativo e il relativo statuto è stato approvato con decreto ministeriale. La Corte, inoltre, ha precisato che la natura di società legale di ANAS S.p.A. non potrebbe comunque essere scalfita dalla sua trasformazione in società per azioni, poiché tale operazione non ne ha modificato gli essenziali connotati pubblicistici, essendosi tradotta nella mera adozione di una formula organizzativa corrispondente a quella della società azionaria (Cass. S.U., n. 15594/2014).

Chiarito l'orientamento pacifico della giurisprudenza delle Sezioni Unite in ordine alla sussistenza della giurisdizione contabile per le c.d. società legali, seguito anche dalle più recenti pronunce (da ultimo, anche Cass. S.U., n. 7645/2020, con riferimento alla fondazione ENPAM; v. anche Cass. S.U., n. 24737/2016, con riferimento ad SCR Piemonte S.p.A.), in dottrina ci si è chiesti come possa essere interpretato l'art. 12 del TUSP nella parte in cui, tra le eccezioni alla regola generale della giurisdizione ordinaria, non prende in considerazione anche l'ipotesi della giurisdizione contabile per le c.d. società legali. Un primo orientamento, valorizzando il principio del «ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit», ha ritenuto che l'art. 12 del TUSP abbia implicitamente negato la sussistenza della giurisdizione contabile in tali ipotesi (Giusti, 679). Secondo altro orientamento, invece, il fatto che l'art. 12 non attribuisca alla giurisdizione della Corte dei conti i giudizi relativi ai danni patrimoniali delle società legali non vale a sottrarli alla giurisdizione contabile, in quanto per tali società, definite dallo stesso TUSP come società a partecipazione pubblica «di diritto singolare», restano ferme «le specifiche disposizioni, contenute in leggi o regolamenti governativi o ministeriali» che le regolano (art. 1, comma 4, lett. a) TUSP) (Iadecola, 75), ed esulano, dunque, dal campo di applicazione del TUSP, ivi incluso l'art. 12 in commento.

Giurisdizione concorrente del giudice ordinario e del giudice contabile.

In giurisprudenza è oramai pacifica la reciproca autonomia e quindi l'ammissibilità del concorso delle azioni di responsabilità per danno erariale e di responsabilità civile, anche quando trovano causa nei medesimi fatti materiali, in quanto la prima è volta alla tutela

dell'interesse pubblico generale, al buon andamento della Pubblica Amministrazione e al corretto impiego delle risorse, con funzione prevalentemente sanzionatoria; mentre la seconda mira, invece, al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria e integralmente compensativa, a protezione dell'interesse particolare della parte attrice (ex multis, da ultimo, Cass. S.U., n. 4883/2019; n. 30006/2019; n. 10019/2019; n. 15570/2021).

Tale principio è stato enunciato sin dal 2009, ove le Sezioni Unite hanno precisato che la configurabilità di un'azione di responsabilità promossa dal Procuratore della Corte dei Conti (nei confronti di dipendenti di enti o società che abbiano natura sostanziale di ente assimilabile a una amministrazione pubblica) non esclude la possibilità del datore di lavoro (nel contesto di un rapporto di lavoro privatistico) di proporre, anche contemporaneamente, un'azione nei confronti del dipendente basata sulla violazione della disciplina contrattuale del rapporto di lavoro. Questo, perché – precisa la Corte – «l'avere entrambe le azioni (e cioè l'azione di responsabilità amministrativa davanti al giudice contabile e l'ordinaria azione civilistica di responsabilità) per oggetto il medesimo danno non osta alla loro coesistenza, né comporta rischi di duplicazione del risarcimento, atteso che la giurisdizione civile e quella contabile sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, sicché il rapporto tra le due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività, dando luogo a questioni non di giurisdizione, ma di proponibilità della domanda» (Cass. S.U., n. 27092/2009; in tal senso anche: Cass. S.U., n. 63/2014; n. 14632/2015).

Sulla scia di tali pronunciamenti, la Corte si è spinta oltre, giungendo ad affermare la sussistenza di un concorso fra la giurisdizione ordinaria e quella contabile anche per le azioni di responsabilità contro amministratori e organi di controllo di società in house. A titolo esemplificativo, si pensi al caso delle di una società in house fallita, ove l'azione di responsabilità promossa dal curatore, diretta al risarcimento del danno provocato ai creditori, non può in alcun modo essere esclusa a vantaggio dell'azione contabile promossa dal procuratore della Corte dei conti. Secondo la Corte, infatti, in tali casi, «laddove sia prospettato anche un danno erariale, al di là di una semplice interferenza fra i due giudizi, deve ritenersi ammissibile la proposizione, per gli stessi fatti, di un giudizio civile e di un giudizio contabile risarcitorio erariale, al di là di una semplice interferenza fra i due giudizi» (Cass. S.U., n. 22406/2018; in tal senso Cass. S.U., n. 10019/2019).

Le società quotate.

In forza dell'art. 1, comma 5 del TUSP, l'art. 12 del TUSP non si applica alle «società quotate», così come definite dall'art. 2, comma 1, lett. p) del TUSP, poiché l'applicabilità di tale previsione non è espressamente prevista dalla norma in commento.

Per tali tipi di società, dunque, resta in vigore la regola sul riparto di giurisdizione dettata dall'art. 16-bis del d.l. n. 248/2007, in forza del quale «per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario».

Quest'ultima disposizione, non abrogata dal TUSP, assume particolare rilievo perché «ha introdotto per le società quotate un'eccezione alla giurisdizione contabile da riferire, appunto, alla sola area in cui detta giurisdizione risulterebbe altrimenti applicabile» (Cass. S.U., n. 26283/2013). La norma, sempre secondo le Sezioni Unite, «lascia chiaramente intendere che, in ordine alla responsabilità di soci pubblici, vi sia una naturale area di competenza giurisdizionale diversa da quella ordinaria, avendo il legislatore stabilito che – sia pure limitatamente alle società quotate, o loro controllate, con partecipazione pubblica inferiore al 50% – la giurisdizione spetta invece in via esclusiva proprio al giudice ordinario» (Cass. S.U., n. 21692/2016).

È evidente, dunque, l'intenzione del legislatore di riservare nel settore delle società quotate un maggior spazio alla giurisdizione contabile allo scopo di prevenire comportamenti distrattivi delle risorse pubbliche.

Bibliografia

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