Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 5 - Responsabile del procedimento1Responsabile del procedimento1
1. Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all'unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell'adozione del provvedimento finale. 2. Fino a quando non sia effettuata l'assegnazione di cui al comma 1, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma del comma 1 dell'articolo 4. 3. L'unità organizzativa competente, il domicilio digitale e il nominativo del responsabile del procedimento sono comunicati ai soggetti di cui all'articolo 7 e, a richiesta, a chiunque vi abbia interesse2. [1] Rubrica inserita dall'articolo 21, comma 1, lettera e), della legge 11 febbraio 2005, n. 15. [2] Comma modificato dall'articolo 12, comma 1, lettera c), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120. InquadramentoIl responsabile del procedimento rappresenta l'interfaccia della p.a. procedente nei confronti del privato, costituendo il referente per quest'ultimo durante l'intero procedimento e rivestendo il ruolo – con assunzione della relativa responsabilità – di dominus dell'intero iter procedurale: è, infatti, il responsabile ad attivare e a presiedere gli strumenti procedurali. L'istituto in esame è stato introdotto, per la prima volta, con la l. n. 241/1990, al fine di contrastare il rallentamento dell'azione amministrativa, spesso paralizzata a causa dei farraginosi rapporti tra uffici e organi delle amministrazioni, senza che nessuno di essi si assumesse la cura e la responsabilità di portare avanti e concludere il procedimento. E, infatti, dottrina e giurisprudenza avevano più volte sottolineato come l'irresponsabilità dei soggetti deputati a gestire il procedimento si traducesse in un vulnus per il cittadino, impossibilitato di fatto ad identificare i responsabili di carenze o inadempimenti procedimentali. Tale stato di cose, peraltro, si poneva in aperto contrasto con i principi di trasparenza, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa, impedendo, di fatto, l'esatta conoscibilità dell'attività delle p.a. e, pertanto, limitando notevolmente il controllo diffuso sulla legittimità dell'azione amministrativa. Per rispondere all'esigenza di evitare «zone franche» per l'amministrazione a scapito dei privati, il legislatore del 1990 ha provveduto, con l'art. 5 l. n. 241/1990, alla «personalizzazione» dell'attività amministrativa, mediante l'individuazione del responsabile del procedimento, principale referente per i privati, chiamato a svolgere «il suo ruolo di «snodo» in funzione dialogante con il cittadino, in modo da garantire un maggiore e immediato rapporto fra quest'ultimo e la p.a.» (Caringella, 1133). Con l'introduzione della figura in esame, dunque, si integra il precetto di cui all'articolo 4, l. n. 241/2990, non soltanto tramite la personalizzazione del procedimento mediante l'individuazione del responsabile, ma anche attraverso la relativa esternazione agli interessati. Si tratta, invero, di una novità di tutto rilievo, posto che, fino al 1990, le singole competenze individuali rilevavano solo nei rapporti interni tra i singoli uffici. La portata innovativa dell'art. 5 della legge sul procedimento è stata ancor più evidenziata dalla l. n. 15/2005, che ha accentuato ulteriormente la centralità della figura del responsabile, attribuendogli un ruolo più chiaro nell'elaborazione della decisione, nucleo fondante dell'emanando provvedimento. L'individuazione del responsabile del procedimento (comma 1)L'art. 5 l. n. 241/1990 impone l'obbligo, in capo al dirigente di ciascuna unità organizzativa (vedi art. 4) «di assegnare a sé o ad altro dipendente dell'unità la responsabilità dell'istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento, nonché, eventualmente, dell'adozione del provvedimento finale». Innanzitutto, si è posto l'interrogativo se possa assumere la veste di responsabile solo un soggetto dotato di qualifica dirigenziale ovvero se anche impiegati privi di tale qualifica possano assumere tale responsabilità. In realtà, il quesito trova risposta già nella lettera della norma laddove questa prevede che il dirigente dell'unità organizzativa può assegnare a sé o ad altro dipendente – di cui non si richiede la qualifica dirigenziale – la responsabilità del procedimento (Caringella, 1136). Molto si è discusso, inoltre, in ordine alla qualifica che debba rivestire il dirigente dell'unità deputata alla designazione del responsabile. In particolare, non appare chiaro il riferimento della norma al «dirigente»: il tenore letterale della norma implica che il responsabile dell'unità organizzativa debba essere di livello dirigenziale o prescinde dalla correlazione con uno specifico status professionale? Orbene, al riguardo appare preferibile ritenere che la norma faccia riferimento al «dirigente» in via atecnica ed estensiva: un'interpretazione letterale della disposizione, invero, implicherebbe, di fatto, l'impossibilità di attribuire in capo ad alcun funzionario pubblico la competenza ad individuare il responsabile del procedimento, soprattutto in relazione ai c.d. «comuni-polvere» (così definiti i comuni con un numero di abitanti esiguo, in cui facilmente non si rinvengono figure dirigenziali). Lo stesso art. 5 corrobora la soluzione accolta allorquando, al comma 2, prevede che, in mancanza di designazione del soggetto responsabile del procedimento, tale veste venga assunta, per presunzione legislativa, dal funzionario preposto all'unità organizzativa: il termine adoperato dalla norma nella previsione di cui al comma 2, diverge, infatti, da quello utilizzato nel comma 1, in quanto, non si parla più di dirigente responsabile del procedimento, bensì di funzionario preposto all'unità organizzativa. È evidente che la legge, non richiedendo espressamente la qualifica dirigenziale in capo al funzionario preposto all'unità organizzativa e ritenendo, pertanto, sufficiente la titolarità della gestione dell'ufficio, avalla quanto innanzi sostenuto (Caringella, 1136). Tale conclusione, peraltro, è confortata ulteriormente dal dettato di cui all'art. 19, comma 6, d.lgs. 165/2001, il quale consente che la qualifica dirigenziale possa essere attribuita anche a personale che ne è privo. L'individuazione del responsabile del singolo procedimento, da parte del dirigente, necessita di uno specifico atto di determinazione: esso può consistere in un atto puntuale, emesso volta per volta in modo da assegnare al singolo procedimento la persona fisica titolare della funzione gestoria, ovvero in un atto generale, che prevede dei criteri automatici per l'individuazione ex ante del responsabile dei singoli procedimenti. Al responsabile del procedimento, a mente della stessa norma, può essere attribuita anche la competenza ad emettere l'atto emanando, con coincidenza della persona fisica competente a seguire l'iter procedimentale e ad adottare il provvedimento finale, nel qual caso egli sarà anche responsabile del provvedimento. La natura giuridica dell'atto di designazione del responsabile del procedimento è stata oggetto di attente riflessioni. Per lo più deve escludersi che si tratti di delega di funzioni, poiché non vi è alcun trasferimento di funzioni dal dirigente delegante al responsabile delegato, essendo l'attribuzione del potere di provvedere sul provvedimento finale meramente eventuale. Invero, il responsabile procedimentale, indipendentemente dall'atto di designazione, non è di per sé competente ad emanare il provvedimento finale, essendo le sue competenze circoscritte all'attività istruttoria, al termine della quale sarà il responsabile del provvedimento, sulla base del quadro fornitogli dal responsabile del procedimento, ad adottare la decisione finale assumendosene la piena responsabilità. L'atto di designazione del responsabile del procedimento non comporta il trasferimento di funzioni amministrative da un organo ad un altro e dunque non crea «nuove competenze»; ciò non toglie che, nel momento in cui viene designato il responsabile del procedimento, possa essere trasferita a quest'ultimo la competenza ad emanare il provvedimento finale: si configura, in tal modo, un atto di delega contestuale all'atto di nomina del responsabile, ma differente da questo. Peraltro, sulla possibilità di una di delega di funzioni – che, in generale, può configurarsi esclusivamente nei casi previsti dalla legge – tra il dirigente dell'unità organizzativa ed un dipendente della stessa unità-organo, è intervenuta la legge n. 145/2002. L'art. 2 della legge 15 luglio 2002, n. 145 (rubricato «Delega di funzioni dei dirigenti») ha, infatti, inserito dopo il comma 1 dell'art. 17 del d.lgs. n. 165/2001 un nuovo comma 1-bis, la cui formulazione prevede che i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare, per un periodo di tempo determinato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lett. b), d) ed e) del comma 1 dell'art. 17, a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati (quindi all'interno degli uffici). Tale delega necessita di atto scritto e motivato, mentre nessuna precisazione viene offerta dalla legge riguardo la durata della delega, salvo il riferimento alle «specifiche e comprovate ragioni di servizio» che la giustificano. Il termine di durata dovrebbe, quindi, essere correlato, logicamente, alla permanenza delle ragioni medesime. La durata massima della delega non sembra, peraltro, poter eccedere quella dell'incarico dirigenziale del soggetto che la abbia conferita, con conseguente azzeramento, o decadenza, delle deleghe in caso di sostituzione del dirigente delegante. Quanto alla durata minima, si dovrebbe escludere che la delega possa venire attribuita in relazione ad un unico affare. Tale modalità rischierebbe di prestarsi ad un uso distorto, quale strumento di interposizione fittizia di persona, non consentendo al delegato una qualsivoglia attività di pianificazione e/o un effettivo esercizio delle attribuzioni (ridotto ad una dimensione episodica). I critici, peraltro, affermano che, sancendo la delegabilità delle competenze dirigenziali, si è dato il via ad un processo di progressiva frammentazione dei centri di responsabilità «che non sembra corrispondere a un esigenza di decentramento responsabilizzante – come avvenuto per l'individuazione, a latere dei dirigenti, dei responsabili del procedimento (sulla scorta di quanto previsto dalla legge n. 241/1990) –, quanto, piuttosto, almeno nel caso della delega di competenze alle figure cosiddette apicali, di una volontà di diminuire la referenzialità del centro principe (il dirigente) in favore di un processo di polverizzazione che difficilmente pare poter andare esente da rischi di deresponsabilizzazione» (Ales, 472 In mancanza di una delega di funzioni dirigenziali, l'atto di designazione del responsabile del procedimento può, secondo taluno, rientrare nell'ambito dell'istituto della c.d. delega di firma. Attraverso tale delega il responsabile dell'adozione del provvedimento amministrativo individua un dipendente del proprio ufficio il quale provvederà all'apposizione materiale della firma sul provvedimento finale, ferma restando la responsabilità dell'adozione di questo in capo al primo, ossia al delegante (che nel nostro caso è il dirigente dell'unità organizzativa) (Caringella, 1136). Quanto alla forma dell'atto di designazione, la legge nulla dice. Si ritiene, in ogni caso, necessaria la forma scritta ad substantiam a pena di nullità, stante la natura recettizia dell'atto di individuazione (Italia, Bassani, 122); né l'assenza di tale forma può essere sanata da documenti scritti, dai quali sia possibile desumere, a posteriori, l'esistenza dell'attribuzione della funzione di responsabile del procedimento (Cass. n. 1929/2004; Cass. n. 8023/2000; Cass. n. 2619/2000). Deve evidenziarsi, inoltre, la possibilità che il dirigente dell'unità organizzativa possa «autoassegnarsi» la responsabilità del procedimento. In tale ultimo caso, l'atto di autoassegnazione deve essere adeguatamente motivato, con l'indicazione circostanziata dall'esigenza di salvaguardare il buon andamento e l'imparzialità del procedimento, ex art. 97 Cost. Va soggiunto, da ultimo, che la più accorta dottrina ha evidenziato l'opportunità, come peraltro rilevato dalla circolare attuativa del Ministero della Funzione Pubblica del 5 dicembre 1990, di comunicare agli interessati, oltre all'identità del responsabile, anche quella del suo sostituto (Italia, Bassani, 121). Limite temporale entro cui effettuare l'assegnazione.La legge non fissa alcun termine entro il quale il dirigente dell'unità organizzativa debba esercitare il potere-onere di effettuare l'assegnazione di cui al comma 1 dell'art. 5. Si ritiene, tuttavia, che tale potere non possa essere esercitato liberamente fino alla trasmissione degli atti del procedimento all'organo competente all'adozione del provvedimento finale, dovendosi salvaguardare la posizione dei privati, che devono essere messi in condizione di conoscere il proprio interlocutore procedimentale. Si ritiene, pertanto (Cerulli Irelli), che la designazione non possa essere effettuata dopo la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7, l. n. 241/1990 (o, al massimo, al momento della effettiva partecipazione dei privati al procedimento), essendo la comunicazione di cui all'art. 7 funzionale all'esigenza di conoscenza effettiva e di partecipazione. Il rapporto del responsabile del procedimento con il dirigente dell'unità organizzativaUlteriore problema che ha interessato dottrina e giurisprudenza riguarda il rapporto tra il responsabile del procedimento ed i suoi superiori gerarchici. Per lo più, si ritiene che la legge sul procedimento abbia introdotto una sorta di status di immutabilità e di indipendenza del responsabile designato rispetto al dirigente dell'unità organizzativa. Il rapporto di subordinazione gerarchica, pertanto, viene sostituito da un rapporto di direzione (Sandulli in Franchini, Lucca, Tessaro, 398), per il quale il dirigente gode solo di limitati poteri di sostituzione e avocazione con i correttivi di cui alla lett. e) dell'artt 6. In tal modo vengono garantiti i principi di buon andamento, economicità ed efficacia dell'azione amministrativa. D'altro canto, il potere di direttiva, di indirizzo e di coordinamento non può influire in modo incisivo sull'esito del procedimento, in ragione del suo carattere generale. Attenta dottrina, per dare una risposta al quesito in esame, si avvale di alcune considerazioni in ordine alla responsabilità gravante sul responsabile del procedimento. Quest'ultimo risponde certamente dei danni causati da tutti i ritardi nello svolgimento del procedimento amministrativo nonché dall'inadempimento degli obblighi previsti dalla legge, ecc., di talché è responsabile non solo sul piano civile o amministrativo, bensì anche su quello penale. Sulla base di tali considerazioni si conclude riconoscendo un'ampia sfera di autonomia in capo al responsabile procedimentale, il quale nello svolgimento dell'azione amministrativa non può che rispondere egli stesso dei propri comportamenti. Quindi, se è pur vero che in linea teorica il dirigente dell'unità organizzativa può revocare la nomina con la quale ha attribuito la responsabilità procedimentale ed avocare a sé il procedimento, è altrettanto indubbio che egli non può invadere quella sfera di autonomia che deve caratterizzare l'azione del soggetto responsabile del procedimento. In definitiva, in correlazione con una generale tendenza all'affievolimento dei rapporti gerarchici nel diritto amministrativo, la diretta ascrizione della responsabilità in capo al funzionario designato non può non comportarne una relativa indipendenza rispetto ai superiori in sede di gestione dell'iter procedurale; ne consegue che gli ordini dei superiori, ove afferenti alla gestione dell'attività procedimentale, finiranno per degradare a meri consigli, come tali non vincolanti e legittimamente disattendibili ove non condivisi dal destinatario (Renna, 33). Parte della dottrina, tuttavia, propende per una soluzione opposta, che fa salve tutte le conseguenze che normalmente discendono da un rapporto di gerarchia: il responsabile procedimentale deve eseguire ordini ed istruzioni del dirigente dell'unità organizzativa il quale si assume la responsabilità del procedimento qualora questo si sia svolto in modo conforme a quanto da egli stesso stabilito. Il responsabile del procedimento risponderà solo qualora gli ordini del dirigente, cui egli ha dato esecuzione, avrebbero dovuto essere disattesi per via della loro macroscopica e palese illegittimità (Caringella, 1138). Per ciò che concerne il rapporto tra responsabile del procedimento e dipendenti appartenenti alla medesima unità organizzativa, fondamentale è la premessa secondo cui la norma legislativa, attraverso la figura del responsabile, lungi dal voler creare un nuovo rapporto di gerarchia che vede questi in posizione di sovraordinazione all'interno dell'ufficio competente, ha voluto introdurre un modulo procedimentale di «sovraordinazione funzionale», cosicché il responsabile della gestione amministrativa non assume un potere di ordine nei confronti degli altri dipendenti dell'unità organizzativa. È fuori di dubbio, però, che al fine di soddisfare i principi di buona amministrazione e di efficienza dell'azione amministrativa, il responsabile gode di un potere di sollecitazione e di impulso nei confronti dei dipendenti dell'unità organizzativa, nonché della possibilità di denunciare le eventuali inadempienze degli stessi (Caringella, 1133; Sandulli in Franchini, Lucca, Tessaro, 398; Corso, Teresi). Deroghe all'immutabilità del responsabile del procedimento.Non è escluso, tuttavia, che il principio di concentrazione della responsabilità procedurale in capo ad un solo dominus della sequenza avviata non possa conoscere delle deroghe. Una prima ipotesi si verifica quando viene meno il rapporto di servizio del responsabile del procedimento: è evidente che in tale ipotesi, cessato il rapporto del funzionario con l'amministrazione, egli perde anche la responsabilità relativa ai procedimenti assegnatigli, con la conseguente necessità che il dirigente preposto all'unità organizzativa provveda alla designazione di un nuovo responsabile. In tal caso, la scelta non deve necessariamente ricadere su chi è subentrato nell'organigramma del personale, posto che si tratta di attribuzione ad personam (Cons. St. VI, 16 giugno 2003, n. 3398). Naturalmente, a diverse conclusioni deve giungersi nell'ipotesi in cui ad essere sostituito sia il responsabile dell'unità organizzativa (T.A.R. Lazio, Latina, 23 aprile 2001, n. 452). Come ribadito dalla circolare 5 dicembre 1990 n. 58307/7-463, la preposizione all'unità organizzativa implica doveri di responsabilità che postulano la disponibilità concreta dell'ufficio: in caso di assenza, pertanto, deve considerarsi responsabile il supplente o il vicario. Ne consegue che in tali ipotesi la p.a. deve provvedere a fissarsi termini e modalità di nomina del nuovo responsabile senza soluzione di continuità non essendo ammissibile un'inerzia procedimentale. Ove invece l'assenza o l'impossibilità riguardi un responsabile designato, la responsabilità del procedimento torna al responsabile dell'unità. Una seconda ipotesi nella quale il responsabile può essere sostituto si verifica ogni qualvolta si realizzino condizioni che impongano al responsabile del procedimento di astenersi o che legittimino gli interessati a ricusare la nomina effettuata. Individuazione suppletiva del responsabile del procedimento (comma 2)Per evitare facili elusioni della norma, il comma 2 dell'articolo in commento prevede un meccanismo suppletivo di individuazione del responsabile del procedimento, ove non vi sia stata alcuna assegnazione o nelle more di essa. A tal fine, l'art. 5 afferma che, in tali ipotesi, debba considerarsi responsabile del procedimento il funzionario preposto all'unità organizzativa: «Le attività istruttorie possano anche essere espletate dallo stesso dirigente cui compete l'adozione del provvedimento finale, sempreché sussista una attenta motivazione che renda edotti di tale evenienza e del fatto che realmente il dirigente abbia proceduto agli ineludibili adempimenti istruttori» (T.A.R. Campania, Napoli IV, n. 3226/2001). Ne consegue che, ai sensi dell'art. 5, la mancata nomina del responsabile del procedimento non invalida il provvedimento emanato a seguito dello stesso procedimento, «posto che, a norma della l. 7 agosto 1990 n. 241, art. 5, in assenza di espressa designazione, la responsabilità del procedimento è attribuita ex lege al funzionario preposto all'ufficio od unità organizzativa competente per l'emanazione del provvedimento» (Cons. St. VI, n. 433/1999; conf. Cons. St. VI, n. 6654/2002; T.A.R. Lazio, Roma I, n. 6450/2009; T.A.R. Toscana, II, n. 1612/2018; T.A.R. Piemonte, I, n. 2289/2007). Anzi, si è osservato al riguardo che «La ratio sottesa all'individuazione del responsabile del procedimento non è in alcun modo compromessa ove la designazione effettuata dal dirigente dell'unità organizzativa riguardi non un determinato procedimento, ma tutti i procedimenti relativi ad una delle materie rientranti nella competenza dell'ufficio; deve anzi aggiungersi che una siffatta designazione generale – essendo ancorata al criterio obiettivo della materia – garantisce il rispetto del principio di imparzialità più e meglio delle designazioni effettuate caso per caso» (T.A.R. Liguria II, n. 979/2006). La comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento (comma 3)L'unità competente, il domicilio digitale (secondo quanto previsto dall'art. 12, comma 1, lett. c, d.l. n. 76/2020) ed il singolo responsabile del procedimento devono essere comunicati ai soggetti di cui all'art. 7 l. n. 241/1990 (ovvero ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, a chi per legge deve intervenire nel procedimento e ai soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai diretti destinatari dell'atto, ai quali possa derivare un pregiudizio dallo stesso) e, su richiesta, a chiunque ne abbia interesse. Viene, dunque, attribuita immediata rilevanza esterna alla individuazione operata, in ossequio ai principi di trasparenza, pubblicità, certezza e celerità dell'azione amministrativa, al fine di consentire la partecipazione dell'amministrato e rendere conoscibile il concreto svolgimento della funzione pubblica (Cons. St., Ad. plen., n. 5/1997). In particolare, grazie alla comunicazione in oggetto, i destinatari della stessa, indicati dall'art. 6, legge n. 241/1990, sono in grado di controllare l'operato del responsabile del procedimento, chiedergli informazioni sullo stato del procedimento, rivolgergli istanze, richieste, reclami ed agire nei sui confronti al fine di ottenere il risarcimento dei danni cagionati dalle violazioni di legge e dagli inadempimenti verificatisi nel corso della procedura (Caringella, 1138). In ogni caso, l'omessa indicazione, nell'avviso dell'avvio del procedimento, del soggetto responsabile non dà luogo a vizio di illegittimità, in quanto in tale ipotesi si applica la norma suppletiva di cui al secondo comma dell'art. 5, l. n. 241/1990, a mente della quale, come già ricordato, in caso di mancata designazione del responsabile del procedimento è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto all'unità organizzativa competente. Pertanto, l'omessa indicazione del responsabile del procedimento costituisce una semplice irregolarità, inidonea a determinare l'illegittimità del provvedimento finale. (Cons. St. III, n. 6755/2020). Profili di responsabilità del responsabile del procedimento.La nozione di responsabilità che emerge dagli artt. 4,5 e 6 della l. n. 241/1990 identifica un nuovo modello di svolgimento dell'azione amministrativa, sia sul piano esterno (uscita dall'anonimato e dalla irresponsabilità di fatto) che su quello interno (reingegnerizzazione dell'organizzazione e dei processi in ragione del coordinamento, dell'economicità, della concentrazione e della partecipazione degli interessati). Tuttavia, la l. n. 241/1990, pur disciplinando la figura del responsabile del procedimento ed elencando i compiti allo stesso affidati, nulla prevede, paradossalmente, per ciò che concerne la responsabilità gravante sul soggetto medesimo nel caso in cui questi, nel corso dell'attività amministrativa, incorra in omissioni, irregolarità, inadempienze e altro. Stante l'assenza di una disciplina specifica, devono, all'uopo, ritenersi applicabili le disposizioni generali ricavabili dal sistema giuridico vigente in tema di responsabilità civile, penale, amministrativa e disciplinare. La responsabilità è ora accentuata dalla centralità anche decisionale che assume la figura del responsabile dopo la legge 15 (Caringella, 1142). Il responsabile del procedimento è, dunque, direttamente responsabile, in sede civile, penale ed amministrativa, degli atti posti in essere in violazione delle posizioni giuridiche soggettive dei privati, ex art. 28 Cost. che dispone che «i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici». Ne consegue che l'attività del dipendente è riferibile all'ente pubblico e ne comporta la responsabilità diretta, ex art. 28 cost. e 22 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, in quanto sia e si manifesti come esplicazione dell'attività dell'ente stesso, cioè sia volta al perseguimento dei suoi fini istituzionali nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio al quale il dipendente è addetto; detto nesso di occasionalità necessaria non è escluso dal carattere doloso dell'illecito posto in essere dal pubblico funzionario (Cass. III, n. 15930/2002). Per quanto attiene alla responsabilità civile, essa è regolata dall'art. 22, d.P.R. 3/1957, in base al quale, ove l'attività del pubblico dipendente cagioni ad altri, con dolo o colpa grave, un danno ingiusto, egli è personalmente obbligato a risarcirlo. La previsione in esame assume oggi una connotazione particolarmente rilevante all'indomani della sentenza della Cass. S.U. , n. 500/1999, che ha sancito in modo esplicito la responsabilità dell'Amministrazione pubblica per la lesione dei c.d. interessi legittimi, secondo un modello oramai cristallizzato nel codice del processo amministrativo. Prima di tale storica pronuncia, la responsabilità verteva fondamentalmente sul ritardo nell'adozione del provvedimento finale. Ora, invece, il responsabile del procedimento potrà rispondere anche dell'ingiustizia sostanziale del provvedimento, sia nel caso in cui egli coincida con il soggetto deputato all'adozione del provvedimento, sia nel caso in cui egli, pur non adottando l'atto amministrativo finale, sia colpevole di ritardi ed omissioni verificatisi durante la fase istruttoria che, ripercuotendosi sul provvedimento finale, determinano l'illegittimità di quest'ultimo. Ciò sempre che sia ravvisabile la colpa non del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia) ma della Pubblica Amministrazione come apparato, che sarà configurabile nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza, di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice deve valutare in quanto limiti esterni della discrezionalità (Caringella, 1142). In attuazione del combinato disposto dell'art. 28 Cost. e dell'art. 22, del T.U. n. 3/1957 il danneggiato ha la facoltà di agire alternativamente nei confronti del dipendente pubblico direttamente responsabile o dell'amministrazione di appartenenza dello stesso. Il funzionario responsabile del danno può essere chiamato a rispondere tanto nei confronti del privato danneggiato, quanto, in via di rivalsa, nei confronti della stessa amministrazione. Laddove, infatti, nel comportamento del pubblico dipendente siano ravvisabili l'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave ed il nesso di causalità, la conseguenza di una condanna dell'amministrazione non può che determinare l'insorgenza di una responsabilità amministrativa – rientrante nella giurisdizione della Corte dei Conti – del dipendente nei confronti della P.A. che abbia subito una diminuzione patrimoniale a causa del risarcimento effettuato a favore del danneggiato vittorioso in giudizio (c.d. danno erariale indiretto). Il responsabile del procedimento, al pari di qualsivoglia funzionario pubblico, può, inoltre, essere chiamato dinanzi alla Corte dei Conti a rispondere, in via di rivalsa, dei danni eventualmente già risarciti allo stesso titolo dallo Stato (c.d. danno erariale indiretto), sempreché sussista il dolo o la colpa grave. Qualora la responsabilità del procedimento e la responsabilità del provvedimento non ricadano sulla stessa persona occorrerà distinguere i profili di colpa sulla base dei compiti ripartiti tra i due soggetti responsabili: pertanto se la lesione della sfera giuridica del privato discende, ad es., da un errore di valutazione del responsabile del provvedimento, sarà quest'ultimo a rispondere dei danni; viceversa, qualora la lesione dipenda da illegittimità procedimentali, sarà il responsabile del procedimento a rispondere dei danni, eventualmente con il concorso del responsabile del provvedimento per omesso controllo (là dove tale controllo poteva essere diligentemente esercitato) (Caringella, 1142). Riguardo ai vizi procedimentali, giova osservare che, a norma dell'art. 21- octies, comma 2, l. n. 241/1990, introdotto dall'art 14 l. n. 15/2005, non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Quanto alla responsabilità penale, il responsabile del procedimento, qualora non concluda l'iter procedurale nei termini previsti dalla legge o dai regolamenti e non giustifichi il motivo del ritardo, può rispondere, ex art. 328 c.p., per rifiuto od omissione di atti di ufficio. Ai sensi del comma 1 di tale articolo, integra il delitto di rifiuto di atti d'ufficio la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che «rifiuta un atto del suo ufficio che per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo»; il comma 2 prevede l'omissione in atti d'ufficio, qualora i soggetti sopra indicati, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 1, non compiono, entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse, l'atto di loro competenza e non rispondano per esporre le ragioni del ritardo. In merito alla portata applicativa del secondo comma dell'art. 328 c.p., deve evidenziarsi che la dottrina prevalente ritiene che la disposizione in esame sanzioni non solo l'ingiustificata omissione del provvedimento finale, ma anche l'ingiustificata omissione degli atti infraprocedimentali che il responsabile del procedimento sia tenuto a compiere in forza del disposto dell'art. 6 della l. n. 241/1990, visto il riferimento, in modo generico, all'omissione di un atto e non, in modo specifico, all'omissione di un provvedimento amministrativo. Il responsabile del procedimento risulta peraltro esente da responsabilità penale ove esponga le ragioni del ritardo, e cioè i motivi legittimi dello stesso. Tali possono essere, secondo l'indicazione offerta dalla Circolare del Ministro per la Funzione pubblica 4 dicembre 1990, n. 58245/7.464, «la particolare complessità dell'istruttoria, la necessità di acquisire pareri amministrativi o tecnici, l'effettuazione di accertamenti di fatti semplici o di natura tecnica, l'elevato numero delle pratiche da evadere e dei documenti da acquisire, i fattori di ordine strutturale, le carenze di organico, la necessità di rispettare i tempi tecnici irriducibili». Un'importanza fondamentale riveste il sindacato del giudice penale sulla congruità e sulla ragionevolezza delle dedotte ragioni del ritardo. Segnatamente, tale verifica dovrà incentrarsi sulla valutazione della pretestuosità eventuale delle spiegazioni fornite, che, senza estendersi ad una penetrazione nel merito dell'azione amministrativa, giocoforza comporterà l'accertamento delle vere ragioni dell'inerzia. È ovvio, inoltre, che il responsabile del procedimento risponderà penalmente per l'ingiustificata omissione del provvedimento finale solo qualora sia competente, ex art. 6, lett. e), legge n. 241/1990, all'adozione di quest'ultimo. Prima della riforma intervenuta con la legge 16 luglio 1997, n. 234, era indubbio che il comportamento omissivo del responsabile del procedimento, in assenza dei presupposti di cui all'art. 328 c.p., potesse integrare la fattispecie delittuosa residuale di cui all'art. 323 c.p. che prevede il reato di abuso d'ufficio. Sebbene parte della dottrina reputi che ciò sia ancora possibile, tale eventualità è da ritenersi quantomeno più remota a seguito della riformulazione della fattispecie, che prevede tra gli elementi costitutivi del reato il dolo specifico rappresentato dal fine dell'agente di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero un danno ingiusto. A proposito del dato temporale si è posto il problema del rapporto che sussiste tra il termine previsto dalla norma penale e quello di cui dall'art. 2, della l. n. 241/1990, che sancisce un termine generale identico a quello stabilito dalla norma penale ma consente alle amministrazioni la determinazione di un termine diverso (e più lungo). La dottrina prevalente sostiene che l'ampliamento del termine per concludere il procedimento comporta un'estensione anche del termine necessario al perfezionamento del reato in oggetto sulla base di un'interpretazione estensiva avallata dal principio del favor rei. Il termine più lungo costituirebbe comunque causa scriminante del comportamento sulla base dell'esercizio del diritto o dell'adempimento del dovere. La giurisprudenza di legittimità, sul tema riguardante i rapporti tra silenzio-inadempimento e silenzio penalmente rilevante, ha concluso sostenendo che, ai fini dell'integrazione della fattispecie delittuosa, non occorre un atto di diffida da parte del privato essendo sufficiente il trascorrere del termine previsto dalla legge o dal regolamento (vedi commento all'art. 328 c.p.). La responsabilità penale dei pubblici ufficiali per omissione di atti d'ufficio, inoltre, assume rilevanza anche ai fini dell'eventuale responsabilità contabile, amministrativa e disciplinare dei funzionari, costituendo elemento valutabile ai fini della responsabilità dirigenziale, in sede di verifica dei risultati della gestione (Corte conti, II, 20 luglio 2004, n. 256; Cons. St. VI, n. 939/2003). È configurabile il reato di omissione d'atti d'ufficio, previsto dall'art. 328, comma secondo, cod. pen., nei confronti del dirigente dell'unità amministrativa che, a seguito della ricezione di una diffida indirizzata impersonalmente al suo ufficio, ometta di fornire qualunque risposta oltre il termine di trenta giorni, quando non è stato individuato il responsabile del procedimento, posto che, a norma dell'art. 5, comma secondo, della l. n. 241 del 1990, il dirigente rimane responsabile dell'azione della P.A. nei confronti del privato finché non sia stata effettuata la nomina nei confronti del privato finché non sia stata effettuata la nomina del responsabile del procedimento (Cass. pen., VI, n. 38905/2015). In tema, infine, di responsabilità amministrativa, il responsabile del procedimento può incorrere nelle sanzioni disciplinari previste, dalla legge e dai contratti collettivi, in caso di inottemperanza agli obblighi su di lui gravanti, oltre che nella responsabilità contabile ogniqualvolta arrechi un danno erariale alla p.a.; quest'ultima è, in ogni caso, esclusa nelle ipotesi in cui detto danno sia imputabile, in tutto o in parte, all'inefficienza della struttura organizzativa nell'ambito della quale il responsabile è incardinato. In ogni caso, deve sottolinearsi come l'assegnazione della responsabilità del procedimento non può comportare tout court la responsabilità oggettiva e di posizione del responsabile, per inadempienze perpetrate da altri soggetti appartenenti ad altri uffici o p.a., deresponsabilizzando gli altri funzionari della p.a. in violazione dell'art. 97 Cost. I compiti del responsabile, invero, cessano e si esauriscono con l'esercizio del potere di impulso e sollecitazione, con il diritto-dovere di sollecitare gli organi e gli uffici coinvolti nel procedimento, exartt. 11,14,1516 e 17, l. n. 241/1990. Ne consegue che il responsabile sarà chiamato a rispondere solo ove abbia concorso dolosamente o colposamente o abbia posto l'ufficio nell'impossibilità di adempiere. Questioni applicative1) Che rapporti ci sono tra il responsabile del procedimento nella legge 241 e il responsabile unico nei contratti pubblici? Intanto, chiariamo che la figura del responsabile unico del procedimento nel settore degli appalti pubblici non ha particolarmente suscitato l'interesse della dottrina. Molte trattazioni che si occupano dell'istituto, pur enfatizzando l'importanza del r.u.p. come motore del procedimento, si limitano, tuttavia, nella maggior parte dei casi, a considerare tale figura come una semplice «declinazione» dell'istituto generale già disciplinato dagli artt. 4 e ss. della legge n. 241 del 1990. Va invece detto che, a fronte delle indiscutibili peculiarità della procedura di evidenza pubblica e alla disciplina degli appalti pubblici, rispetto a quella generale sul procedimento amministrativo, non è possibile concludere nel senso che la figura disciplinata dall'art. 31 del codice non sia altro che un mero «doppione» (con qualche limitata particolarità) del responsabile del procedimento disciplinato in via generale degli artt. 4,5 e 6 della legge n. 241 del 1990 (Rovelli). Il primo aspetto su cui focalizzare l'attenzione, già accennato nel corpo del commento, è la diversa portata del principio di «unicità del responsabile». Infatti, nella legge n. 241 del 1990, il principio della unicità viene riferito al singolo procedimento, nel senso che per ciascun procedimento è previsto l'obbligo dell'amministrazione di individuare un unico responsabile, da intendersi sia come unità organizzativa, sia come funzionario-persona fisica, al quale, all'interno dell'ufficio, sono poi concretamente attribuite le funzioni proprie del responsabile. L'art. 10 del «vecchio» codice dei contratti, riferiva, invece, il principio di unicità a ciascun «intervento da realizzarsi mediante contratto pubblico», precisando che il responsabile debba essere unico per le fasi di progettazione, affidamento ed esecuzione. L'art. 31 del «nuovo» Codice, sul punto non discostandosi significativamente dal precedente, riferisce l'unicità a «ogni singola procedura per l'affidamento di un appalto o di una concessione» per cui «le stazioni appaltanti individuano nell'atto di adozione o di aggiornamento dei programmi di cui all'articolo 21, comma 1, ovvero nell'atto di avvio relativo ad ogni singolo intervento, per le esigenze non incluse in programmazione, un responsabile unico del procedimento (RUP) per le fasi della programmazione, della progettazione, dell'affidamento, dell'esecuzione». Un primo punto fermo quindi. Nonostante si parli comunemente di responsabile unico del procedimento, a rigore, viene in rilievo un soggetto responsabile non di un singolo procedimento, ma di una pluralità di procedimenti: tutti quelli relativi, appunto, alle fasi di progettazione, affidamento ed esecuzione degli interventi da realizzarsi mediante contratti pubblici. Non v'è dubbio, infatti, che la complessa attività amministrativa attraverso cui si svolgono le fasi di progettazione, affidamento ed esecuzione degli interventi oggetto di contratti pubblici implichi lo svolgimento non di un solo procedimento, ma di una pluralità di procedimenti, e l'emanazione di altrettanti provvedimenti amministrativi. Quindi, gli operatori qui possono incorrere nel primo equivoco concettuale, dovuto ad una discutibile scelta del nome e poi dell'acronimo r.u.p. Non si tratta semplicemente di un procedimento unitario articolato in più sub-procedimenti, eventualmente di competenza di diversi uffici: ipotesi con riferimento alla quale, in sede di applicazione della disciplina dettata dalla legge n. 241/1990 ci si era chiesti se il responsabile dovesse essere, comunque, unico o se fosse, invece, possibile, individuare un responsabile nell'ambito di ciascuna unità organizzativa competente in relazione alle fasi sub-procedimentali (problema poi risolto, non senza iniziali incertezze interpretative). Nel caso dei contratti pubblici, si tratta di procedimenti diversi, ciascuno dei quali destinato a sfociare nell'adozione di un provvedimento autonomo. L'art. 31 del nuovo Codice, così come l'art. 10 del precedente, sembra sancire l'obbligo di individuare un unico responsabile per tutti questi procedimenti, accomunati solo dal fatto di essere comunque connessi alla realizzazione dell'intervento oggetto del contratto. Già sotto questo profilo si coglie, dunque, l'importanza della disciplina di cui all'art. 31 del codice. Non si hanno, infatti, tanti responsabili quanti sono i procedimenti (come avverrebbe in base alla legge n. 241 del 1990), ma un solo responsabile di tutti i procedimenti funzionali all'intervento da realizzare tramite contratto (anche il nuovo Codice, pur discostandosi dal precedente nella formulazione, contiene il termine «intervento»). Non solo, mentre nella legge n. 241 del 1990, il responsabile è una figura che riguarda esclusivamente i procedimenti amministrativi strettamente intesi (quelli cioè diretti all'adozione di atti propriamente amministrativi), nel codice dei contratti pubblici l'ampiezza della formulazione normativa (che fa genericamente riferimento alle fasi di progettazione, affidamento ed esecuzione degli interventi da realizzarsi mediante contratti) porta a ritenere che la figura del responsabile rilevi anche per quelle attività che non sono propriamente procedimentali o amministrative, in quanto dirette ad esplicarsi mediante l'adozione di atti aventi natura privatistica (Rovelli). Si pensi, ad esempio, alle competenze del responsabile del procedimento nella fase di esecuzione del contratto, quali, ad esempio l'irrogazione delle penali per il ritardato adempimento degli obblighi contrattuali, la risoluzione del contratto ogni qualvolta se ne realizzino i presupposti, la transazione e la definizione bonaria delle controversie che insorgono nella fase di realizzazione dei lavori: in questo caso non sembra discutibile che i relativi atti abbiano natura privatistica e non amministrativa e che, quindi, sotto questo profilo, la figura del responsabile del procedimento sia estesa ad aspetti dell'attività contrattuale della pubblica amministrazione che non sono inquadrabili nel classico paradigma dell'attività procedimentalizzata di stampo autoritativo. Altra questione decisiva da rilevare. Il codice dei contratti pubblici fa riferimento al responsabile unico del procedimento come persona fisica e non come un ufficio. Quindi, ulteriore elemento di differenziazione sta nel fatto che mentre la L. n. 241 del 1990 disciplina il responsabile del procedimento nella duplice accezione di unità organizzativa (disciplinata dall'art. 4) e di persona fisica che nell'ambito dell'unità organizzativa è poi individuato come responsabile del procedimento (art. 5), il Codice disciplina il responsabile del procedimento inteso come persona fisica e non come ufficio. Il comma 1 dell'art. 10 del precedente Codice si riferiva, infatti, alla «nomina» del responsabile (e la «nomina», appunto, riguarda la persona fisica, non l'ufficio); i commi 2, 3 e 4 individuavano i poteri del funzionario, non dell'ufficio; i commi 5, 6 e 7 disciplinavano i requisiti di professionalità e competenza richiesti al funzionario affinché possa essere nominato responsabile del procedimento (requisiti di professionalità ulteriormente specificati dall'art. 9, comma 4, d.P.R. n. 207 del 2010); il comma 8 prevedeva l'obbligatoria pubblicazione del «nominativo» del responsabile del procedimento nel bando o avviso con cui si indice la gara ovvero, per le procedure senza bando o avviso, nell'invito a presente l'offerta; il comma 9 per le stazioni appaltanti che non sono pubbliche amministrazioni o enti pubblici prevedeva l'obbligo di individuare uno o più soggetti (e non uffici) cui affidare i compiti propri del responsabile del procedimento. La situazione non muta, nella sostanza, con il nuovo Codice. Il comma 1 dell'art. 31 si riferisce alla «individuazione» del responsabile, il secondo capoverso del comma 1 recita «Le stazioni appaltanti che ricorrono ai sistemi di acquisto e di negoziazione delle centrali di committenza nominano (...)». Il comma 2 dell'art. 31 recita: «Il nominativo del RUP è indicato nel bando o avviso con cui si indice la gara (...)». Il comma 5 dell'art. 31 recita: «L'ANAC con proprie linee guida, da adottare entro novanta giorni dall'entrata in vigore del presente codice, definisce una disciplina di maggiore dettaglio sui compiti specifici del RUP, sui presupposti e sulle modalità di nomina (...)». Anche in questo caso, tutti riferimenti che riguardano la persona fisica. Il responsabile unico del procedimento, nel codice dei contratti, è quindi un funzionario e non un ufficio. Abbiamo, quindi, la persona fisica responsabile unico del procedimento. Tale differenza si può spiegare in considerazione del fatto che, come sopra evidenziato, questo soggetto è chiamato a svolgere i suoi compiti nell'ambito di una pluralità di procedimenti (alcuni dei quali anche di natura non propriamente amministrativa) accomunati esclusivamente dal fatto di essere collegati ad un intervento da realizzarsi mediante contratto pubblico. Il legislatore vuole che il delicato compito di coordinamento e di impulso di tali procedimenti sia svolto più che da una determinata unità organizzativa, da una persona fisica dotata di adeguati titoli di studio e competenze professionali. Non interessa, quindi, tanto l'ufficio, quanto la persona, quale che sia l'ufficio di appartenenza. La conclusione, secondo cui il responsabile del procedimento nel codice dei contratti non è mai un ufficio, ma sempre e solo una persona, sembrava nel precedente Codice trovare ulteriore conferma nella previsione del comma 7 dell'art. 10, in base al quale, nel caso in cui l'organico delle amministrazioni aggiudicatrici presenti carenze accertate o in esso non sia compreso nessun soggetto in possesso della specifica professionalità necessaria per lo svolgimento dei compiti propri del responsabile, questo viene comunque individuato, ma i compiti di supporto alla sua attività possono in tal caso essere affidati, con le procedure previste per l'affidamento di incarichi di servizi, a soggetti esterni aventi le specifiche competenze di carattere tecnico, economico, finanziario, organizzativo e legale. La stessa situazione è prevista nel sistema del nuovo Codice (comma 7 art. 31 per esempio). In questo caso, si crea qualcosa che assomiglia ad una entità organizzativa: si crea, intatti, una struttura organizzativa composta dal responsabile del procedimento e dal suo apparato di supporto fatto di «esperti» reclutati all'esterno. Si tratta, tuttavia, di un'entità organizzativa profondamente diversa rispetto a quella cui fa riferimento l'art. 4 della legge n. 241 del 1990 quando disciplina l'unità organizzativa responsabile del procedimento. In quest'ultimo caso, infatti, l'art. 4 della legge n. 241/1990 richiede l'individuazione di un ufficio che esiste già all'interno dell'Amministrazione; il codice, al contrario, prevede l'istituzione di una struttura, creata ad hoc, per supportare, in situazioni di accertata carenza, le funzioni della persona fisica responsabile del procedimento. Del resto, l'insistenza del codice (e delle Linee Guida) sui requisiti di professionalità che il responsabile del procedimento deve necessariamente avere è incompatibile con l'esistenza di un'unità organizzativa responsabile del procedimento così come prevista dalla legge n. 241 del 1990. La legge n. 241 del 1990 prevede, infatti, che, una volta individuata l'unità organizzativa, la persona fisica responsabile del procedimento debba essere individuata all'interno della stessa e che, se manchi tale designazione, si considera responsabile del procedimento il funzionario preposto all'unità organizzativa medesima. Questa modalità di designazione automatica del responsabile del procedimento risulta incompatibile con la disciplina del codice, in base al quale, la nomina della persona fisica responsabile del procedimento non può prescindere dalla previa verifica e valutazione dell'esistenza di una professionalità adeguata in capo alla persona che si intende nominare. È utile riportare le indicazioni fornite dal paragrafo 2 delle Linee Guida Anac n. 3. Riportiamo integralmente il citato Paragrafo 2: «2. Nomina del responsabile del procedimento 2.1. Per ogni singola procedura di affidamento di un appalto o di una concessione, le stazioni appaltanti, con atto formale del dirigente o di altro soggetto responsabile dell'unità organizzativa, individuano un RUP per le fasi della programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione. Il RUP svolge i propri compiti con il supporto dei dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice. 2.2. Il RUP è individuato, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 31, comma 1, del codice, tra i dipendenti di ruolo addetti all'unità organizzativa inquadrati come dirigenti o dipendenti con funzioni direttive o, in caso di carenza in organico della suddetta unità organizzativa, tra i dipendenti in servizio con analoghe caratteristiche. 2.3. Il RUP, nell'esercizio delle sue funzioni, è qualificabile come pubblico ufficiale. Le funzioni di RUP non possono essere assunte dal personale che versa nelle ipotesi di cui al comma 2 dell'art. 42 del Codice, né dai soggetti che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, ai sensi dell'art. 35-bis del d.lgs. 165/2001, stante l'espresso divieto che la norma contiene in ordine all'assegnazione di tali soggetti agli uffici preposti, tra l'altro, all'acquisizione di beni, servizi e forniture, anche con funzioni direttive, tenuto conto che le funzioni di RUP sono assegnate ex lege (art. 5, comma 2, legge 7 agosto 1990, n. 241) al dirigente preposto all'unita organizzativa responsabile ovvero assegnate ai dipendenti di ruolo addetti all'unità medesima (art. 31, comma 1, terzo periodo del Codice). Le funzioni di RUP devono essere svolte nel rispetto di quanto previsto dal d.P.R. n. 62/2013 e dal Codice di comportamento adottato da ciascuna amministrazione aggiudicatrice, nonché in osservanza delle specifiche disposizioni contenute nel Piano triennale di prevenzione della corruzione adottato dall'amministrazione. 2.4. Il RUP deve essere dotato di competenze professionali adeguate all'incarico da svolgere. Qualora l'organico della stazione appaltante presenti carenze accertate o in esso non sia compreso nessun soggetto in possesso della professionalità necessaria, nel caso di affidamento di servizi di ingegneria e architettura, si applica l'art. 31, comma 6, del codice; negli altri casi, la stazione appaltante può individuare quale RUP un dipendente anche non in possesso dei requisiti richiesti. Nel caso in cui sia individuato un RUP carente dei requisiti richiesti, la stazione appaltante affida lo svolgimento delle attività di supporto al RUP ad altri dipendenti in possesso dei requisiti carenti in capo al RUP o, in mancanza, a soggetti esterni aventi le specifiche competenze richieste dal codice e dalle Linee guida, individuati secondo le procedure e con le modalità previste dalla parte II, titolo I e titolo III, sez. II, capo III del Codice. Gli affidatari delle attività di supporto devono essere muniti di assicurazione di responsabilità civile professionale per i rischi derivanti dallo svolgimento delle attività di propria competenza. Gli affidatari dei servizi di supporto non possono partecipare agli incarichi di progettazione ovvero ad appalti e concessioni di lavori pubblici nonché a subappalti e cottimi dei lavori pubblici con riferimento ai quali abbiano espletato i propri compiti direttamente o per il tramite di altro soggetto che risulti controllato, controllante o collegato a questi ai sensi dell'articolo 24, comma 7, del Codice. Alla stazione appaltante è data la possibilità di istituire una struttura stabile a supporto dei RUP e di conferire, su proposta di quest'ultimo, incarichi a sostegno dell'intera procedura o di parte di essa, nel caso di appalti di particolare complessità che richiedano necessariamente valutazioni e competenze altamente specialistiche». 2) Qual è la natura giuridica degli atti di indicazione dell'unità organizzativa e di designazione del responsabile del procedimento? La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell'affermare il carattere sostanzialmente normativo degli atti con cui le Amministrazioni provvedono alla identificazione delle unità organizzative responsabili dell'iter procedimentale delle diverse tipologie di atti; pertanto, tali determinazioni devono essere adottate in forma di regolamenti. L'individuazione del responsabile del singolo procedimento da parte del dirigente può, avvenire attraverso un atto puntuale, volta per volta, ovvero per mezzo di criteri automatici; nel secondo caso, sarà noto ex ante il soggetto che, al verificarsi di determinate presupposti, dovrà assumere la veste di responsabile del particolare procedimento. La nomina del responsabile rientra, secondo la maggior parte degli interpreti, nei poteri (privatistici) di gestione del rapporto di lavoro. L'atto di designazione non comporta il trasferimento di funzioni amministrative da un organo a un altro e non crea «nuove competenze». Esso identifica, piuttosto, un nuovo modo di organizzare e svolgere mansioni ordinarie. 3) Quali sono le conseguenze dell'omessa designazione o comunicazione del responsabile? Quanto alle conseguenze derivanti dall'omessa designazione/comunicazione del responsabile, la giurisprudenza reputa, pacificamente, che essa non determina ex se l'illegittimità del provvedimento finale ma soccorre, al riguardo, il criterio legale secondo cui, in mancanza di specifica assegnazione, è considerato responsabile del singolo procedimento il dirigente dell'unità organizzativa procedente. L'eventuale omissione non determina, così, un vuoto procedimentale, ma dà luogo a una situazione di mera irregolarità dell'atto, non invalidante; ciò, peraltro, può comunque rilevare in termini di responsabilità disciplinare dell'agente che ha omesso la relativa comunicazione. 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