Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 7 - Comunicazione di avvio del procedimento 1

Luigi Tarantino

Comunicazione di avvio del procedimento  1

 

1. Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall'articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento.

2. Nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la facoltà dell'amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari 2.

[2] A norma dell'articolo 15, comma 5, della legge 1 agosto 2002, n. 166, per i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria sulla rete stradale di importo non superiore a 200.000 euro, di cui al disposto del presente articolo, si intende adempiuto mediante pubblicazione per estratto dell'avvio del procedimento su un quotidiano a diffusione locale.

Inquadramento

Si tratta di una norma nevralgica che introduce il principio del contraddittorio in seno al procedimento amministrativo conformandolo in senso processuale. L'istituto della partecipazione procedimentale, così come codificato dall'attuale legge sul procedimento, è frutto, come l'intero procedimento amministrativo, del recepimento delle esperienze giuridiche d'oltrefrontiera, e segnatamente dell'esperienza tedesca. Secondo l'ordinamento teutonico, invero, la posizione di parte nel procedimento amministrativo è strettamente collegata con il diritto sostanziale, nel senso che i soggetti interessati vantano una pretesa giuridicamente tutelata da una statuizione amministrativa, con la conseguenza che la partecipazione è fondamentalmente ritenuta come una funzione delle posizioni giuridiche soggettive cui si rivolge a vario titolo l'attività amministrativa. Per tale ragione, il § 22 della legge sul procedimento tedesco stabilisce che l'amministrazione gode della più ampia discrezionalità nel determinare an e quomodo del procedimento, salvo il caso in cui esso venga avviato su istanza di parte: in tale ipotesi, infatti, la domanda del privato pone in capo all'amministrazione un vero e proprio obbligo di provvedere, facendo contestualmente sorgere in capo all'istante un vero e proprio diritto alla partecipazione.

Il nostro ordinamento ha mutuato tali principi affermati dall'ordinamento tedesco, consacrando all'art. 7 l. n. 241/1990, il generale principio di partecipazione al procedimento (deve evidenziarsi, peraltro, che l'esigenza di partecipazione quale connotato essenziale del procedimento amministrativo risultava già codificata dall'art. 3 della Legge Abolitrice del Contenzioso, che prevede che sugli affari non devoluti alla giurisdizione ordinaria, le autorità «provvederanno con decreti motivati, ammesse le deduzioni e le osservazioni per iscritto delle parti interessate»).

A tal fine, la norma in commento impone un generalizzato obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento è destinato a produrre effetti diretti, nonché a coloro i quali devono intervenire per legge nel relativo procedimento. La comunicazione di avvio del procedimento rappresenta, dunque, un obbligo per la p.a. ogni qualvolta venga attivata una procedura amministrativa nell'esercizio di un potere discrezionale o vincolato, consentendo al destinatario ed a tutti coloro che presentano un interesse alla partecipazione al procedimento una «gestione concordata dei pubblici poteri» (C. Franchini, M. Lucca, T. Tessaro (4), 490) (T.A.R. Sicilia, II, n. 1810/2021), mediante l'esercizio dei diritti specificati al successivo art. 10 (diritto di prendere visione degli atti del procedimento nonché di presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento).

L'art. 7 l. n. 241/1990, dunque, esprime «un principio generale dell'ordinamento giuridico», individuando la finalità della regola procedimentale «nell'esigenza di assicurare piena visibilità all'azione amministrativa nel momento della sua formazione e di garantire al contempo la partecipazione del destinatario dell'atto finale alla fase istruttoria preordinata alla sua adozione» (Cons. St. V, n. 36/2007).

Ne consegue che la disposizione in commento è suscettibile di deroga solo nei casi espressamente previsti dalla legge: «All'art. 7, l. n. 241/1990, che impone alle pubbliche amministrazioni l'obbligo della comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ai soggetti nei cui confronti il provvedimento è destinato a produrre l'effetto finale, deve riconoscersi la dignità giuridica di principio generale dell'ordinamento, con conseguente natura eccezionale di ogni disposizione derogatoria che escluda o limiti tale diritto» (T.A.R. Molise, I, n. 230/2013; T.A.R. Sardegna, Cagliari I, n. 870/2008); deve soggiungersi, peraltro, che deroghe espresse alla disposizione in esame sono contenute nello stesso art. 7, il quale esclude espressamente l'obbligo di comunicazione per i provvedimenti cautelari, nonché ove sussistano particolari esigenze di celerità ed urgenza.

Alla luce di quanto precede, emerge chiaramente come l'istituto partecipativo consacrato dall'art. 7 risponde ad una duplice esigenza.

Sotto un primo profilo, invero, il privato ha la facoltà, in chiave difensiva e deflattiva del contenzioso, di rappresentare nell'ambito del procedimento gli stessi interessi che potrebbe allegare in un eventuale processo amministrativo, di guisa daanticipare in sede procedimentale il contraddittorio che altrimenti avverrebbe solo in sede processuale (T.A.R. Campania, Salerno II, n. 1372/2020; Cons. St. n. 2253/2006; Cons. St., Ad. plen., n. 14/1999). Ne consegue che l'avviso di avvio del procedimento va effettuato nei confronti dei soli privati che vantino una «aspettativa qualificata» (T.A.R. Piemonte, I, n. 2900/2008; T.A.R. Marche, I, n. 961/2008), dovendosi invece escludere l'obbligo di comunicazione nei confronti di chi vanta «una mera aspettativa alla conclusione del procedimento» (Cons. St. IV, n. 3245/2008).

Inoltre, le informazioni apportate nel procedimento dal privato possono rivelarsi utili anche in chiave collaborativa per l'istruttoria amministrativa, la quale così appare più completa e può pervenire ad un risultato migliore: «la partecipazione procedimentale è finalizzata alla effettiva e concreta realizzazione dei principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa, predicati dall'articolo 97 della Costituzione e quindi, in ultima analisi, alla corretta (e giusta) formazione della volontà di provvedere da parte della pubblica Amministrazione» (Cons. St. IV, n. 4480/2004). In tal modo, dunque, il privato ha la possibilità di interloquire con l'amministrazione orientandone le scelte, attraverso la valutazione di tutti gli interessi (pubblici e privati) in gioco per il raggiungimento della miglior soddisfazione possibile dell'interesse pubblico (P. Piruccio) (T.A.R. Campania, Napoli III, n. 7560/2006; Cons. St. VI, n. 7592/2005). L'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, di cui all'art. 7 della l. n. 241/1990 è volto non solo ad assolvere ad una funzione difensiva a favore del destinatario dell'atto conclusivo, ma anche a consentire all'amministrazione di avere elementi di giudizio adeguati per la formazione di una volontà completa e meditata (T.A.R. Sardegna, I, n. 171/2020; Cons. St. VI, n. 1583/2015).

Deve sottolinearsi, peraltro, come alla comunicazione di avvio del procedimento deve ascriversivalenza sostanziale e non meramente formale (T.A.R. Campania, Salerno I, n. 2004/2007), di guisa che i cittadini siano effettivamente e concretamente messi in grado di esporre le loro ragioni, sia a tutela dei propri interessi sia a titolo di collaborazione nell'interesse pubblico, prima che sia assunta la determinazione da parte dell'amministrazione (Cass. S.U., n. 10367/2007).

Le eccezioni all'obbligo di comunicazione individuate dalla legge.

Come anticipato, l'art. 7 dispone il generale obbligo in capo alla p.a. procedente, di comunicare l'avvio del procedimento ai soggetti individuati dalla stessa norma. Lo stesso art. 7, tuttavia, in deroga a tale principio generale, individua specificatamente fattispecie per le quali l'amministrazione è espressamente esonerata dalla comunicazione di avvio procedimentale.

Segue: Impedimento dettato da particolari ragioni d'urgenza (comma 1)

La prima ipotesi di esclusione dell'obbligo di comunicazione di cui all'art. 7 si concretizza ove sussistano ragioni ostative alla comunicazione derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento.

Trattandosi di deroga al generale principio posto dallo stesso art. 7, la dottrina ha sottolineato come non sia sufficiente un generico richiamo ad esigenze di celerità o a mere difficoltà operative, essendo invece necessario un oggettivo impedimento, capace di compromettere l'interesse pubblico di volta in volta perseguito (Franchini, Lucca, Tessaro, 590). Si impone, pertanto, la necessità di un'interpretazione restrittiva della norma, alla stregua della quale il requisito in questione si sostanzia in un'urgenza qualificata, tale da non consentire l'adempimento dell'obbligo di comunicazione senza la compromissione del soddisfacimento dell'interesse pubblico cui il provvedimento finale è diretto.

Sulla p.a., peraltro, incombe l'obbligo di dare adeguato conto dei presupposti d'urgenza in discorso mediante idonea motivazione: «Ai sensi dell'art. 7, l. n. 241/1990, è consentito di derogare all'obbligo della previa comunicazione di avvio del procedimento nell'ipotesi in cui sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento stesso, nel qual caso, tuttavia, è necessario che sia dato espressamente atto dell'omissione della comunicazione e siano specificamente indicate le ragioni delle particolari esigenze di celerità, che non devono essere imputabili a precedenti comportamenti della stessa amministrazione e, pertanto, a questa direttamente imputabili» (T.A.R. Campania, VI, n. 4812/2021).

La casistica degli atti sottratti all'obbligo di cui all'art. 7 per ragioni di celerità e urgenza è assai ampia, e ricomprende l'adozione del provvedimento di revoca di un'aggiudicazione, la sospensione della licenza per la conduzione di un esercizio pubblico (T.A.R. Lombardia, Milano, n. 1387/2007), la determinazione della conferenza di servizi su un progetto pubblico o di pubblica utilità di cui all'art. 34 T.U. n. 267 del 2000 (T.A.R. Campania, Napoli V, n. 1057/2007), l'adozione di misure interdittive dell'accesso agli impianti sportivi (T.A.R. Marche, n. 240/2005), l'esercizio dei poteri prefettizi in materia di sicurezza pubblica (T.A.R. Sicilia, Palermo I, n. 537/2009).

La giurisprudenza, peraltro, ha individuato dei procedimenti in cui il requisito dell'urgenza è in re ipsa : si pensi ai provvedimenti contingibili e urgenti emessi dal Sindaco, sempre che sia esplicitata la situazione di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente (T.A.R. Toscana, II, n. 399/2009), o ai casi di occupazione d'urgenza nell'ambito delle procedure espropriative: «In linea di principio, l'omessa comunicazione di avvio del procedimento non costituisce causa di illegittimità delle ordinanze contingibili ed urgenti, giacché le particolari esigenze di celerità del procedimento previste dall'art. 7, l. n. 241/1990 costituiscono uno dei presupposti che legittimano l'adozione di tali provvedimenti» (Cons. St. V, n. 4448/2007; T.A.R. Valle d'Aosta, Aosta, n. 48/2007; T.A.R. Campania, Napoli I, n. 10387/2005).

Analogamente «non sussiste l'obbligo di preventiva comunicazione di avvio del procedimentoexart. 7 l. n. 241/1990 nel caso in cui l'urgenza, che consenta tale omissione, è rinvenibile «ex se» nel pericolo di compromissione dell'ordine pubblico, rappresentato dalle circostanze prese a presupposto per l'emanazione della misura di pubblica sicurezza (nella specie il divieto di porto d'armi ex art. 39 T.U.L.P.S.)» (T.A.R. Campania, V, n. 4812/2021; T.A.R. Sicilia, III, n. 2082/2021; T.A.R. Piemonte, II, n. 470/2021).

Alle stesse conclusioni l'elaborazione pretoria giunge in materia di misura cautelare preventiva adottata ai sensi dell'art. 100 r.d. n. 773/1931, «qualora disposta al fine di prevenire possibili fonti di pericolo per i beni di valore primario, quali l'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini, la quale è ex se assistita da ragioni d'urgenza che giustificano l'omessa comunicazione dell'avvio del procedimento prevista dall'art. 7 l. n. 241/1990 (nella specie trattavasi di sospensione della licenza di conduzione di un esercizio pubblico nel quale era stata rilevata più volte la presenza di persone pregiudicate e pericolose)» (Cons. St. VI, n. 505/2007).

Per le stesse ragioni, l'amministrazione è esonerata dall'onere di comunicazione di cui all'art. 7, l. n. 241/1990 relativamente all'informativa antimafia e ai conseguenti provvedimenti, atteso che si tratta di procedimento in materia di tutela antimafia, come tale caratterizzato di per sé da riservatezza ed urgenza (T.A.R. Campania, I, n. 2748/2021; T.A.R. Piemonte, I, n. 268/2021; Cons. St. III, n. 1576/2020).

Ancora, non vi è obbligo di comunicazione di avvio del procedimento per l'adozione del provvedimento di sospensione dell'efficacia di un titolo di riconoscimento, quale il tesserino per l'accesso alle aree doganali dell'aeroporto (Cons. St. VI, n. 2531/2008), per l'emanazione del provvedimento del Questore di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, ove ricorra la necessità di provvedere all'immediato allontanamento del soggetto giudicato pericoloso (Cons. St. VI, n. 1841/2008; Cass. pen., I, n. 21916/2006), per l'ordinanza introduttiva della limitazione alla circolazione veicolare di un tratto di strada, emanata in relazione all'esigenza di tutelare la salvaguardia della circolazione (T.A.R. Toscana, III, n. 263/2008).

Segue: Adozione di provvedimenti cautelari (comma 2)

L'art. 7, comma 2 fa salva la possibilità, per l'amministrazione, di adottare provvedimenti cautelari senza provvedere alla comunicazione di avvio del procedimento, contemperando in tal modo l'esigenza di garanzia del contraddittorio con la salvaguardia dell'efficienza dell'azione amministrativa.

Si è posto, peraltro, il problema relativo all'identificazione dei provvedimenti in discorso: dalla norma in commento, invero, v'è chi ha desunto la consacrazione di un potere cautelare generale e atipico in capo alla p.a., esercitabile anche in mancanza di una previsione esplicita (Franchini, Lucca, Tessaro, 562).

Parte della dottrina, tuttavia, è di contrario avviso, posto che diversamente opinando verrebbe meno la tipicità dei provvedimenti amministrativi e la stessa legalità dell'azione amministrativa. Ne consegue, pertanto, secondo i fautori della tesi in commento, che l'art. 7 comma 2, ha natura meramente dispositiva, operando un mero rinvio alle espresse previsioni di legge che disciplinano i poteri cautelari della p.a.

Il Consiglio di Stato, tuttavia, si attesta sulla posizione opposta, ritenendo che dopo l'entrata in vigore della l. n. 241/1990, il cui art. 7 comma 2, prevede che l'amministrazione ha la facoltà di adottare un provvedimento cautelare anche prima della comunicazione dell'avviso di inizio del procedimento, può ritenersi affermata la sussistenza di un potere generale dell'amministrazione di sospensione dei propri atti (Cons. St. VI, n. 4474/2021; Cons. St. IV, n. 350/1995).

Tale conclusione, peraltro, implica l'implementazione del catalogo dei provvedimenti cautelari, i quali si concretizzano, secondo la dottrina (Casetta, 411), in tutti i provvedimenti posti a garanzia della futura determinazione di cui anticipano il contenuto.

Ne consegue, alla luce di tale ampia definizione, che l'art. 7 comma 2, l. n. 241/1990, che fa salva la facoltà di adottare i provvedimenti cautelari anche prima dell'effettuazione della comunicazione di avvio, trova applicazione con riguardo alle misure interinali prodromiche all'adozione di un provvedimento definitivo, cui è riferibile il disposto della norma anzidetta (Cons. St. VI, n. 2616/2008).

Il problema interpretativo in esame implica ricadute applicative di rilievo: considerare l'art. 7 comma 2 limitato ai soli provvedimenti cautelari tipici, invero, significherebbe manlevare l'amministrazione dall'obbligo di motivare in riferimento all'omessa comunicazione di avvio, posto che l'urgenza di adottare il provvedimento sarebbe individuabile in re ipsa; a conclusioni opposte, invece, deve giungersi nel caso in cui si ritenga di estendere l'ambito di applicazione anche ai provvedimenti cautelari atipici.

Deve soggiungersi, infine, che la disposizione in esame è applicabile anche in caso di provvedimento cautelare adottato dalle Autorità Indipendenti, in modo da garantire a tutti i soggetti coinvolti il proprio diritto di difesa (in tal senso T.A.R. Lazio, Roma I, n. 8952/2007, con specifico riferimento all'Autorità Garante della concorrenza e del mercato).

Segue: Atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione

Il dettato di cui all'art. 7, poi, è corredato dalla previsione di cui al successivo art. 13, il quale esclude l'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento – e, più in generale, la soggezione alle regole sulla partecipazione – per i procedimenti volti alla produzione di atti normativi (T.A.R. Veneto, II, n. 10/2019; T.A.R. Sardegna, Cagliari II, n. 163/2008; T.A.R. Calabria, Catanzaro II, n. 801/2006; T.A.R. Campania, Salerno II, n. 897/2006), per l'emanazione di atti amministrativi generali (Cons. St. IV, n. 1668/2007; T.A.R. Campania, Napoli III, n. 3200/2007), nonché di pianificazione e di programmazione (T.A.R. Molise, I, n. 239/2021; Cons. St. IV, n. 919/2009, in materia di approvazione del piano particolareggiato, attuativo del P.R.G.). Secondo Cons. St. IV, n. 1118/2014, però, che le varianti localizzative al P.U.C. sono provvedimenti puntuali soggetti all'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento di cui all'art. 7 della l. n. 241/1990 e non all'art. 13 della stessa legge relativo agli atti di pianificazione. Non rileva in senso contrario un diverso principio ricavabile dalla legislazione locale, poiché l'obbligo di comunicazione d'avvio discendente dalla l. n. 241/1990 attiene ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione (in proposito, v. art. 29 comma 2-bis della l. n. 241/90), e obbliga le regioni, anche a Statuto speciale, ad adeguarvisi. L'art. 1, comma 2, della l.r. Sardegna n. 32/1996 deve interpretarsi in modo costituzionalmente orientato, nel senso che il riferimento allo schema procedimentale ”ordinario” non è comprensivo degli obblighi di comunicazione di avvio, che rimangono invece disciplinati dalla l. n. 241/1990.

Tale previsione si giustifica in ragione delle peculiarità dei procedimenti in parola, che hanno indotto il legislatore a prevedere autonome forme di partecipazione degli interessati ai procedimenti in questione: «I procedimenti normativi devono reputarsi unicamente sottoposti alle regole proprie, né queste sono suscettibili di eterointegrazione attraverso il richiamo alla l. n. 241/1990: ciò per l'evidente ragione che il potere normativo attinge sempre il livello dell'esercizio della sovranità, che non tollera l'interferenza di interessi non precedentemente immessi nel circuito democratico» (Cons. St. V, n. 2723/2009; T.A.R. Calabria, Catanzaro, I, n. 625/2008).

Questa scelta, però, è stata oggetto di numerose critiche da parte della dottrina, perché spesso le forme partecipative esistenti non sono sufficienti a garantire il contraddittorio. Proprio al fine di evitare gli inconvenienti di cui trattasi, la giurisprudenza ha patrocinato una lettura innovativa dell'art. 13 della l. n. 241/1990, alla stregua di norma che vuole evitare duplicazioni di forme partecipative già previste da disposizioni speciali. Secondo tale costruzione, quindi, l'eccezione non opererebbe ove non sussistano norme speciali che dettino apposite regole partecipative e pubblicitarie. In una prospettiva diversa, ma ugualmente originata dalla volontà di evitare vuoti partecipativi, si è reputato anche che la deroga di cui all'art. 13 deve ritenersi limitata ai soli atti di pianificazione primaria del territorio (piano regolatore generale, piani territoriali di coordinamento), e non ai piani di secondo grado (piani particolareggiati di attuazione), aventi carattere sostanzialmente attuativo di scelte discrezionali realizzate a monte, e per i quali, di conseguenza, non sussiste la lata discrezionalità che è alla base della deroga di legge.

I problemi applicativi in relazione alla fattispecie in commento risiedono per lo più nella sussunzione dei singoli atti nel catalogo degli atti di cui all'art. 13, ai fini di escludere la sussistenza dell'obbligo partecipativo di cui all'art. 7. Le fattispecie applicative di maggiore frequenza applicativa riguardano il procedimento di apposizione del vincolo a tutela dei beni culturali e dei beni paesaggistici (d.lgs. n. 42/2004), nonché in materia farmaceutica.

Segue: Procedimenti segreti e riservati (art. 24 l. n. 241/1990)

Pur nel silenzio dell'art. 7, che non ne contiene una menzione espressa, deve comunque ritenersi che i procedimenti riservati e segreti, ontologicamente caratterizzati dalla segretezza dell'istruttoria procedimentale, ex art. 24 l. n. 241 (si pensi, ad esempio, ai procedimenti volti a tutelare la difesa nazionale), non tollerino alcuna forma di partecipazione procedimentale e di correlato obbligo di comunicazione (V. Cerulli Irelli).

Nello stesso senso si è orientata la giurisprudenza, soprattutto in relazione ai segreti militari, penalmente tutelati (T.A.R. Toscana, 27 gennaio n. 16/1994; T.A.R. Lazio, Roma II, n. 60/1994).

I procedimenti tributari.

Tra i procedimenti esclusi dall'ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione il legislatore ha incluso anche i procedimenti tributari «per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano» (l. n. 212/2000; c.d. Statuto del contribuente).

Con la previsione in parola il legislatore ha mostrato di condividere l'orientamento prevalente, secondo cui nel procedimento tributario la tutela della sfera giuridica individuale va necessariamente contemperata con il preminente interesse all'esercizio della potestà tributaria dello Stato. Ne consegue che, nel contemperamento degli opposti interessi del contribuente ad essere informato del procedimento ed all'acquisizione delle informazioni necessarie per l'esercizio della potestà tributaria, deve prevalere quest'ultima (Garofoli, Ferrari, 498). Al fine di garantire il concreto successo dell'attività impositiva, dunque, il legislatore avrebbe posticipato le istanze partecipative del privato dalla fase iniziale del procedimento alla fase successiva alla conclusione delle ispezioni, ovvero a quella, ancora posteriore, dell'applicazione del tributo. In tal senso, è significativo che l'art. 12 dello Statuto del Contribuente imponga che l'ufficio impositore, prima di adottare l'avviso di accertamento, deve attendere il decorso di sessanta giorni dalla chiusura della fase istruttoria in modo da permettere al contribuente – al quale va inviata copia dell'atto conclusivo dell'istruttoria – di produrre memorie e documenti. In definitiva, la ratio dell'esclusione non è quella di limitare del tutto le garanzie partecipative del cittadino, quanto quella di prevederne una peculiare declinazione in ragione degli interessi in gioco.

In questo senso Cass. civ., V, n. 27123/2019, ha chiarito che l'Amministrazione finanziaria prima di iscrivere l'ipoteca su beni immobili ai sensi dell'art. 77, d.P.R. n. 602/1973, deve comunicare al contribuente che procederà alla suddetta iscrizione, concedendo al medesimo un termine per effettuare osservazioni o effettuare il pagamento. L'iscrizione ipotecaria, invero, rientra indubbiamente tra gli atti che limita fortemente la sfera giuridica del contribuente, per i quali l'art. 21 della l. n. 241/1990 prevede un obbligo generalizzato di comunicazione dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari. Né rileva in senso contrario la disposizione di cui all'art. 13, comma 2, della l. n. 241 citata, nella parte in cui esclude i procedimenti tributari dall'applicazione degli istituti partecipativi di cui all'art. 7 della medesima legge, in quanto non si tratta di una esclusione tout court dei predetti istituti, ma solo di un rinvio per la concreta regolamentazione dei medesimi alle norme speciali che disciplinano il procedimento tributario.

Le cause di esclusione dell'obbligo ex art. 7 individuate dalla giurisprudenza

Accanto alle deroghe esplicitamente positivizzate dall'art. 7, la giurisprudenza ha poi individuato una serie di situazioni in cui la mancanza della comunicazione di inizio del procedimento non conduce all'annullabilità del provvedimento finale. Deve osservarsi, in ogni caso, come il catalogo pretorio delle fattispecie sia positivizzato dalla Novella del 2005: tali ipotesi, invero, rientrano oggi nella previsione di cui all'art. 21-octies della l. n. 241/1990 in materia di vizi non invalidanti.

Segue: I procedimenti ad istanza di parte

Nella giurisprudenza si è venuta affermando un'applicazione in senso sostanzialistico dell'istituto di cui all'art. 7, in ossequio ai principi di ragionevolezza proporzionalità, logicità e adeguatezza, con la conseguenza che il rigore applicativo della norma ne viene attenuato.

Sulla base di tali presupposti, pertanto, parte della giurisprudenza ha escluso che l'obbligo di comunicazione trovi applicazione in riferimento ai procedimenti ad istanza di parte, posto che il destinatario dell'atto ha avuto in ogni caso conoscenza del procedimento, essendo stato lui stesso a sollecitarne l'attivazione (ex multis cfr. T.A.R. Toscana, I, n. 60/2009, T.A.R. Lombardia, Milano III, 14 gennaio n. 80/2009).

Per l'esame esaustivo della questione vedi infra.

Segue: I provvedimenti che non avrebbero potuto avere contenuto diverso e la conoscenza aliunde del procedimento

La giurisprudenza dell'ultimo decennio, inoltre, ha escluso la sussistenza dell'obbligo di comunicazione di cui all'art. 7 ove il coinvolgimento del privato di fatto non si traduca in un apporto collaborativo di qualche utilità per l'azione amministrativa.

Sul punto, si afferma che l'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo sussiste solo quando la comunicazione stessa apporti una qualche utilità all'azione amministrativa, in quanto l'obbligo è sancito in funzione dell'arricchimento che deriva all'azione amministrativa, sul piano del merito e della legittimità, dalla partecipazione del destinatario del provvedimento, sicché, in mancanza di tale utilità, viene meno la doverosità della comunicazione; e, soprattutto, la comunicazione di avvio del procedimento è comunque da ritenersi superflua quando, tra l'altro, l'eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione, non priverebbe l'amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (Cons. St. IV, n. 1207/2009; T.A.R. Sicilia, Palermo III, n. 783/2008).

È quanto accade, ad esempio, ove il procedimento consegua con un preciso nesso di derivazione necessaria da una precedente attività amministrativa, già conosciuta dall'interessato (T.A.R. Lazio, Roma I, n. 12840/2005), ovvero qualora l'interessato abbia avuto comunque conoscenza aliunde dell'avvio del procedimento (T.A.R. Lazio, Roma II, n. 5317/2008; T.A.R. Campania, Napoli VII, n. 3522/2008).

Ne consegue che, in tali ipotesi, l'eventuale mancanza della comunicazione o la sua invalidità non è in grado di inficiare la validità del provvedimento (T.A.R. Lazio, Roma III, 13 giugno n. 5396/2007; Cons. St. V, n. 6990/2005).

Deve soggiungersi, peraltro, che tale orientamento ha trovato vieppiù conferma nelle modifiche introdotte dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, che, nel ribadire la necessità di assicurare effettività alle garanzie di partecipazione procedimentale, già evincibile dall'originario impianto normativo, ha introdotto nel nostro ordinamento i c.d. «vizi non invalidanti», inibendo la pronuncia di decisioni a contenuto demolitorio qualora il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Tra dette particolari forme patologiche, l'art. 21-octies ricomprende esplicitamente l'ipotesi di «mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato», manifestando con assoluta evidenza la chiara intenzione del legislatore di estendere in via ordinaria l'applicazione del regime procedimentale definito agli artt. 7 ss., l. n. 241/1990 anche agli atti a contenuto vincolato, rimanendo ininfluente un'eventuale violazione delle garanzie di partecipazione nei soli casi di evidente superfluità, da un punto di vista fattuale e/o giuridico, di ogni apporto collaborativo rispetto al contenuto precettivo delle norme. Sul tema si rinvia al commento sub art. 21-octies per la trattazione completa dell'istituto dei vizi non invalidanti in relazione alla specifica ipotesi di omissione della comunicazione di cui all'art. 7.

La scansione temporale della comunicazione di avvio del procedimento.

L'applicazione dei principi di ragionevolezza proporzionalità, logicità ed adeguatezza all'istituto in esame richiede la necessaria attenzione ai tempi nei quali viene effettuata la comunicazione, posto che tra la comunicazione e l'adozione del provvedimento finale deve necessariamente decorrere un lasso di tempo utile allo svolgimento dell'attività partecipativa.

Ne consegue, pertanto, la necessità che l'avviso di avvio del procedimento debba precedere l'adozione del provvedimento finale e non essere contestuale allo stesso, venendo meno, in tale ultima ipotesi, la sua stessa ratio. La partecipazione al procedimento, di cui il previo avviso costituisce il necessario presupposto, infatti, svolge una «funzione conoscitiva a vantaggio di ambedue le parti – pubblica e privata – atteso che consente all'interessato un'anticipata tutela delle proprie ragioni e permette all'amministrazione di ridurre i margini di errori, nei quali potrebbe eventualmente incorrere adottando un provvedimento illegittimamente lesivo della sfera giuridica del suo destinatario» (T.A.R. Lazio, Roma III, n. 13598/2006).

Per tali ragioni, peraltro, la comunicazione di cui all'art. 7 non può essere emessa in tempi troppo ravvicinati all'emanazione del provvedimento, posto che anche in questa ipotesi viene di fatto sostanzialmente vanificata la facoltà partecipativa del privato; la comunicazione tardiva, infatti, rischia di risolversi in un adempimento formale privo di qualsiasi utilità, pertanto equiparabile, sul piano della legittimità dell'atto, al difetto di comunicazione (T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, n. 4474/2008; T.A.R. Sardegna, Cagliari II, n. 1809/2008).

Di contrario avviso è Cons. St. V, n. 25/2009 , che ha ritenuto congruo il termine di cinque giorni intercorrenti tra la comunicazione di avvio del procedimento e l'adozione del provvedimento finale, atteso che la vicenda si era svolta in un ambito territoriale circoscritto e quindi, secondo il Collegio, da ritenersi ben nota all'interessato.

In ogni caso, qualora intercorra un lungo lasso di tempo tra la comunicazione di avviso di avvio del procedimento e il provvedimento conclusivo, si ritiene che non sia necessaria l'adozione di un ulteriore avviso, specie ove l'attività dell'amministrazione abbia carattere vincolato. In questo senso, da ultimo, T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 4 maggio 2020, n. 321, secondo cui: «Il lungo lasso di tempo intercorso tra la comunicazione di avvio del procedimento e l'adozione del provvedimento di ripristino non impone all'amministrazione di inviare una nuova comunicazione a termini dell'art. 7 della l. n. 241/1990. Stante il contenuto vincolato degli atti che sanzionano gli abusi edilizi non è configurabile infatti alcuna violazione del principio del giusto procedimento, atteso che trova inoltre applicazione il disposto dell'art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della l. n. 241/1990».

I destinatari della comunicazione: i destinatari diretti dell'atto.

L'art. 7 determina puntualmente i destinatari della comunicazione di avvio del procedimento. La prima categoria è costituita dai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti. Il mancato adempimento di tale obbligo costituisce, come si dirà un vizio del procedimento, che determina l'illegittimità del provvedimento finale per violazione di legge.

Molti dubbi interpretativi, peraltro, hanno riguardato l'identificazione del provvedimento destinato a produrre effetti nei confronti dei destinatari, e segnatamente, l'esatta demarcazione degli effetti sfavorevoli al destinatario, che costituisce indefettibile presupposto per l'invio della comunicazione. Dottrina e giurisprudenza, nello specifico, hanno ritenuto che lo svantaggio a carico del privato debba essere di carattere giuridico e non meramente economico o finanziario: «La comunicazione di avvio del procedimento va effettuata nei confronti dei soli destinatari diretti del provvedimento finale, ovvero di coloro che da quest'ultimo subiscono un pregiudizio giuridicamente apprezzabile, da non confondere con i riflessi indiretti sul piano degli interessi meramente economici» (T.A.R. Liguria II, n. 655/2006).

Ne consegue che «ove l'istituzione di una struttura commerciale non violi le distanze di legge, l'Amministrazione non è tenuta a comunicare ai sensi dell'art. 7, l. n. 241/1990 l'avvio del procedimento ai soggetti titolari di identiche strutture preesistenti, in quanto questi ultimi non vengono a subire un pregiudizio rilevante sotto il profilo giuridico, tale da generare l'obbligo della predetta comunicazione, ma soltanto un eventuale pregiudizio di carattere economico, che non riceve alcuna tutela dalla menzionata disposizione» (T.A.R. Lazio, Roma II, n. 3001/2007).

Per le stesse ragioni, la giurisprudenza ha escluso dal novero dei destinatari del provvedimento, i proprietari di immobili confinanti con quello oggetto di concessione edilizia, i quali subiscono dal provvedimento unicamente riflessi in via di mero fatto (T.A.R. Liguria II, n. 1046/2007).

Segue: I soggetti che devono intervenire per legge nel procedimento

L'art. 7, poi, specifica che la comunicazione in esame debba essere eseguita anche in favore dei soggetti che per legge devono intervenire nel procedimento (T.A.R. Liguria I, n. 1/2008; T.A.R. Piemonte, II, n. 2831/2005).

Segue: I soggetti che possono subire pregiudizi dall'atto

Infine, destinatari della comunicazione di cui all'art. 7 sono i potenziali controinteressati, ovvero coloro che, diversi dal destinatario dell'atto, possano ricevere pregiudizio dall'adozione dello stesso (T.A.R. Campania, Salerno II, n. 853/2021; T.A.R. Campania, VIII, n. 6907/2018).

Deve peraltro soggiungersi che l'art. 7 subordina esplicitamente la comunicazione in esame alla individuazione o facile individuabilità dei soggetti in questione: ne consegue che «quando gli interessi coinvolti dal procedimento sono molteplici e complessi, non sussiste l'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento, giacché risultano difficilmente individuabili i soggetti che dall'emanazione dell'atto potrebbero ricevere nocumento» (T.A.R. Lazio, Roma II, n. 3484/2006; conf. Cons. St. VI, n. 2626/2008).

La giurisprudenza, inoltre, ha sottolineato come dal novero dei soggetti che possono subire pregiudizi dall'atto devono escludersi gli aventi causa a titolo contrattuale dell'operatore economico, «nell'ipotesi in cui la attività svolta da questi nei loro confronti sia stata interessata da provvedimenti dell'Autorità Garante della concorrenza e del mercato (nella specie trattavasi di provvedimenti sanzionatori per abuso di posizione dominante interessanti una società di servizi di telecomunicazione)» (Cons. St. VI, n. 1271/2006).

Contenuto e modalità della comunicazione (rinvio)

Il contenuto della comunicazione e le modalità della stessa sono puntualmente disciplinate dall'art. 8 l. n. 241/1990, al cui commento di rinvia.

Casistica.

Le fattispecie applicative dell'art. 7 sono assai numerose e riguardano la totalità dei procedimenti amministrativi, stante la generalità delle disposizioni di cui alla norma in commento. Di seguito si riporta la casistica maggiormente significativa, la quale, in virtù di determinate peculiarità inerenti alle singole fattispecie, ha maggiormente interessato l'elaborazione dottrinaria e pretoria.

Comunicazione ex art. 7 e procedimenti di secondo grado

Pur nel silenzio della legge, deve ritenersi che incomba sulla p.a. l'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento anche in relazione ai c.d. «procedimenti di secondo grado», mediante i quali la p.a. riesamina propri atti precedentemente emanati.

Tale principio è affermato anche dal Giudice delle Leggi, il quale ha sancito che «Alla stregua dei sopravvenuti principi introdotti dalla l. n. 241/1990 in materia di trasparenza dell'azione amministrativa, l'amministrazione è tenuta a predisporre un meccanismo procedurale che assicuri il raggiungimento dello scopo di consentire all'interessato la chiara percezione dell'avvio della nuova fase, in modo da porlo nella effettiva possibilità di interloquire nella anzidetta ulteriore fase procedimentale» (Corte cost. n. 383/1996).

Si tratta, invero, di un principio reiteratamente ribadito dalla successiva giurisprudenza, la quale è concorde nel ritenere che gravi in capo alla p.a. l'obbligo di comunicazione di cui all'art. 7 l. n. 241/1990 in riferimento ai procedimenti per ritiro in autotutela di propri provvedimenti (T.A.R. Campania, Salerno II, n. 1372/2020; T.A.R. Sicilia, Palermo II, n. 1810/2021).

Si tratta di un principio ribadito anche in caso di autotutela su titoli edilizi, come dimostrano, tra le tante, T.A.R. Campania, Salerno, II, n. 1060/2021,: «Ai fini della legittima emissione del provvedimento di autotutela annullare la SCIA inerente ai lavori di realizzazione di serre, muri e recinzioni metalliche relative alla sistemazione esterna dei viali di accesso e alla realizzazione di opere minori di interesse di un fondo agricolo, trattandosi di un atto discrezionale, l'amministrazione deve dare previamente avviso dell'avvio del procedimento al soggetto interessato a pena di annullabilità del provvedimento emesso» e Cons. St. VI, n. 6975/2019,: «L'annullamento del provvedimento formatosi sulla d.i.a. edilizia, oltre a dover essere preceduto dall'avviso di avvio del procedimento al fine di garantire l'effettiva partecipazione al procedimento del soggetto passivo titolare della posizione giuridica attiva incisa, va accompagnato dal rispetto di tutte le forme sostanziali e procedimentali previste per gli atti in autotutela».

Tale conclusione, peraltro, risponde anche al principio del contrarius actus, a mente del quale l'annullamento di un precedente atto deve seguire lo stesso iter procedimentale e formale di cui al primo provvedimento (T.A.R. Lombardia, III, n. 321/2020; Cons. St. V, n. 3431/2007).

Ne consegue, in materia di appalti, che «l'amministrazione che intenda procedere al riesame in autotutela del provvedimento di aggiudicazione definitiva, con il quale si sia concluso il procedimento di affidamento di un pubblico appalto, deve adempiere alla prescrizione imposta dall'art. 7 l. n. 241/1990, provvedendo alla comunicazione dell'avvio del procedimento (quantomeno) nei confronti dell'aggiudicatario la cui sfera giuridica potrebbe essere incisa dagli effetti sfavorevoli derivanti dall'eventuale adozione dell'atto di revoca» (C.G.A., 18 febbraio n. 113/2008).

La giurisprudenza, peraltro, ha sottolineato come tale principio valga solo nell'ipotesi di aggiudicazione definitiva, stante la natura endoprocedimentale dell'aggiudicazione provvisoria (oggi sostituita dalla proposta di aggiudicazione: art. 32 del codice dei contratti pubblici), la quale non costituisce l'atto conclusivo del procedimento (Cons. St. V, n. 526/2009;Cons. St. VI, n. 1885/2005).

Analogamente, in materia di concorso pubblico, si è osservato che l'adempimento garantistico di partecipazione di conoscenza di cui all'art. 7, l. n. 241/1990, è atto dovuto per tutti i procedimenti di autotutela e di secondo grado, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai pacifico. Né potrebbe opinarsi che l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento non sia necessario a cospetto di un provvedimento finale, quale l'annullamento di un'intera sequenza procedimentale, che dispieghi effetti preclusivi che incidono su posizioni giuridiche soggettive differenziate e qualificate, quali sono indubbiamente quelle dei candidati di un pubblico concorso che abbiano, per giunta, come nella specie, già superato le prove scritte ed orali. Ne consegue che, se la semplice posizione di candidato a concorso pubblico fonda una posizione qualificata e differenziata, tale da abilitare all'impugnativa di atti di ritiro in via di autotutela, «a fortiori», non può disconoscersi, oltre alla legittimazione all'impugnazione, il «diritto» alla comunicazione d'avvio del procedimento di autotutela al candidato che, avendo già sostenuto tutte le prove concorsuali ed essendo in attesa di conoscere la graduatoria finale, ha di sicuro un interesse differenziato e qualificato in ordine agli esiti della procedura concorsuale in vista del conseguimento delle utilitates connesse (T.A.R. Campania, Napoli V, n. 406/2009; Cons. St. V, 4 marzo n. 904/2008).

Diversa conclusione viene raggiunta nel caso di esclusione dalla procedura concorsuale, si è osservato, infatti, che «L'amministrazione può adottare l'atto di esclusione da un concorso pubblico quando ravvisi l'insussistenza di un requisito necessario alla partecipazione senza previamente contestare al candidato la riscontrata assenza del requisito, atteso che nei procedimenti concorsuali non è invocabile l'art. 7 l. n. 241/1990, sulla comunicazione di avvio del procedimento, la cui «ratio» è quella di consentire all'interessato di rappresentare le proprie ragioni ed i propri interessi in relazione ad un procedimento che l'amministrazione intenda attivare d'ufficio» (T.A.R. Lazio, III-quater, n. 756/2020; T.A.R. Puglia, Lecce II, n. 445/2018).

Deve sottolinearsi, peraltro, come l'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento sussista per la p.a. nella sola ipotesi di revoca del provvedimento: nella diversa ipotesi di mero ritiro, invero, la comunicazione di cui all'art. 7 non è dovuta, in quanto il ritiro non richiede la verifica della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale, considerato che incida su di un atto che non è ancora divenuto efficace, quindi non è uscito dalla sfera di disponibilità dell'amministrazione (Cons. St. VI, n. 4620/2006).

Comunicazione di avvio del procedimento e provvedimenti senza procedimento.

L'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento riguarda anche le ipotesi in cui l'azione amministrativa si esaurisca con l'emanazione di un unico provvedimento, senza lo snodarsi della stessa in una sequenza complessa di atti che conduce all'adozione del provvedimento finale.

In realtà, la giurisprudenza più risalente aveva escluso l'applicabilità dell'art. 7 a fattispecie di tal fatta, posto che in tale ipotesi verrebbe meno la funzione collaborativa finalizzata alla determinazione consensuale del contenuto del provvedimento (T.A.R. Toscana, I, n. 207/1993).

L'elaborazione pretoria più recente, invece, giunge ad opposte conclusioni, ritenendo che la generalizzazione dell'istituto partecipativo di cui all'art. 7 implichi la necessaria comunicazione anche per i procedimenti che si esauriscono nell'adozione di un unico atto, ovvero «per i procedimenti semplici che si esauriscono direttamente con l'adozione dell'atto finale, i quali comunque comportano una fase istruttoria da parte della stessa autorità emanante» (Cons. St. IV, 2013, n. 5705/2013).

Comunicazione procedimentale ex art. 7 e procedimenti già «normati»

Un problema particolarmente spinoso, che ha in passato diviso dottrina e giurisprudenza, riguarda l'ipotesi di coordinamento delle disposizioni di cui all'art. 7 l. n. 241/1990 e le specifiche discipline di settore che prevedono e disciplinano particolari ipotesi partecipative per determinati procedimenti.

A tutt'oggi, in ogni caso, dottrina e giurisprudenza sono concordi nell'affermare non un rapporto di esclusione della legge generale del procedimento rispetto alla previgente normativa di settore, né di sussidiarietà (applicando, cioè, la l. n. 241/1990 solo nei casi precedentemente non disciplinati), bensì di integrazione, considerando sempre vigente la specifica disciplina di settore, ma integrandola con l'applicazione della normativa generale posta dalla l. n. 241/1990, ove le specifiche norme di settore non prevedano sufficienti meccanismi di partecipazione e di contraddittorio procedimentale.

Non va dimenticato, infatti, che il comma 2-bis del novellato art. 29, l. n. 241/1990, prevede che «Attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell'interessato al procedimento...».

I procedimenti espropriativi.

Inmateria espropriativa la giurisprudenza ha ritenuto che la comunicazione di avvio di cui all'art. 7, l. n. 241/1990, non può essere omessa nei procedimenti in esame, poiché «la sopravvenienza della l. n. 241/1990 impone una rilettura della disciplina dell'occupazione d'urgenza e dell'espropriazione che ne valorizzi gli aspetti partecipativi con il ripristino dell'effettiva portata dei relativi istituti, anticipando alla fase di approvazione del progetto le formalità garantistiche già previste dall'ordinamento di settore e rinviate, nell'interpretazione giurisprudenziale, al momento dell'esproprio» (T.A.R. Campania, V, n. 5643/2019; T.A.R. Lombardia, Milano III, 21 luglio n. 524/1994), tanto più in considerazione dello svolgimento di funzioni caratterizzate da alto tasso di discrezionalità, quale quella relativa all'acquisizione del bene al patrimonio indisponibile del comune, ai sensi dell'art. 42-bis d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Cass. S.U., n. 3517/2019; T.A.R. Calabria, Catanzaro I, n. 84/2006; conf. ex multis Cons. St. IV, 15 maggio 2008, n. 2249).

Tale orientamento, peraltro, è stato confermato dallaAdunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che ha ribadito che la normativa in materia di partecipazione, di cui al capo III della l. n. 241/1990, è di carattere generale e deve essere applicata anche nel caso di procedimenti che si concludono con una dichiarazione di pubblica utilità, compreso quindi l'art. 7 sull'obbligo di comunicare agli interessati l'avviso di avvio del procedimento (Cons. St. IV, n. 1671/2015). Ne consegue, pertanto, che l'obbligo di inviare l'avviso di cui all'art. 7 deve escludersi solo in materia di procedimenti di occupazione di urgenza non tanto perché vi osti il presupposto dell'urgenza, ma piuttosto perché il giusto procedimento ha ragion d'essere nell'ambito della dichiarazione di pubblica utilità che conserva momenti di scelta discrezionali, ma non più nell'ambito dell'occupazione d'urgenza, meramente attuativa dei provvedimenti presupposti (Cons. St., Ad. plen., n. 14/1999; conf. Cons. St. IV, n. 2999/2007; Cass. S.U., n. 15894/2006).

Il citato orientamento pretorio, inoltre, è pienamente conforme alle conclusioni rassegnate dalla giurisprudenza in materia di sub procedimenti: la dichiarazione di pubblica utilità, invero, non costituisce una fase sub-procedimentale dell'iter espropriativo, sostanziandosi invece in un procedimento autonomo, che si conclude con un atto di natura provvedimentale, immediatamente impugnabile (Cass. S.U., n. 5080/2008 ; Cons. St. IV, n. 1578/2001; Cons. St. Ad. plen., n. 2/2000).

In ogni caso la comunicazione di avvio del procedimento deve essere notificata al solo proprietario catastale dell'area interessata non essendo tenuta la Pubblica Amministrazione a svolgere indagini al fine di identificare l'eventuale diverso proprietario effettivo (CGA, n. 473/2018).

I procedimenti contenziosi.

Il problema di coordinamento della disciplina generale di cui all'art. 7 con le singole discipline di settore si pone anche per i procedimenti contenziosi, le cui discipline settoriali prevedono forme di contraddittorio con i diretti interessati prima della fase dispositiva.

È il caso, ad esempio, del procedimento disciplinare per i pubblici impiegati, ove non può irrogarsi una sanzione senza la previa contestazione degli addebiti. A tale riguardo la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la contestazione degli addebiti assolve alla stessa funzione sostanziale della comunicazione di cui all'art. 7, l. n. 241/1990, contenendo normalmente gli stessi elementi di tale comunicazione (Cons. St. IV, 25 marzo 1999, n. 408; Cons. St. IV, 23 ottobre 1998, n. 1382; T.A.R. Liguria, I, 20 marzo 1997, n. 116). Ne consegue, pertanto, l'insussistenza dell'obbligo di comunicare gli atti antecedenti la contestazione degli addebiti «giacché scopo della norma, e di ogni altra avente funzione partecipativa, è quello di consentire la partecipazione dell'interessato all'istruttoria del procedimento in funzione collaborativa, cosicché nel corso stesso della formazione della volontà dell'amministrazione siano acquisiti il punto di vista e le conoscenze di cui è portatore il destinatario del provvedimento finale» (T.A.R. Sicilia, Catania I, n. 1449/1998; T.A.R. Campania, Napoli II, n. 353/1995).

L'orientamento della giurisprudenza, invece, non è univoco nel caso di procedimento di sospensione facoltativa del servizio.

Talvolta, si è ritenuto che la comunicazione di cui all'art. 7, l. n. 241/1990 sia obbligatoria anche in questo caso, a meno che non vi sia un adeguato e specifico motivo di urgenza (Cons. St. IV, n. 6349/2000).

In altre ipotesi, invece, si è ritenuto non applicabile l'obbligo della comunicazione di avvio della procedura al provvedimento di sospensione cautelare, perché esso, per la sua stessa natura, deve essere adottato tempestivamente (Cons. St. III, n. 3581/2013; T.A.R. Campania, Napoli, VI, n. 1735/2008). È evidente, quindi, la prevalente tendenza ad applicare in linea generale la l. n. 241/1990, fermo restando che in particolari casi di urgenza si può derogare all'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi del comma 1 dell'art. 7.

Si può pertanto concludere che per ogni provvedimento di tipo sanzionatorio la comunicazione di avvio di cui all'art. 7, l. n. 241/1990 non è necessaria «nei casi in cui la norma regolatrice del procedimento preveda come consequenziale ed automatica, a un comportamento già formalmente vietato, con diffide o altri atti monitori, l'adozione di determinate misure sanzionatorie: la previsione di tenere un determinato comportamento, con la comminatoria di sanzioni per l'eventualità che detto comportamento non venga osservato, è già di per sé idonea a partecipare all'interessato il consequenziale provvedimento sanzionatorio» (T.A.R. Campania, Napoli III, 27 marzo n. 309/1996, n. 309; conf. Cons. St. VI, n. 999/1996).

Non è invece applicabile la l. n. 241/1990 ai procedimenti finalizzati all'irrogazione di sanzioni pecuniarie disciplinati dalla l. 24 novembre 1981, n. 689, ove è previsto anche il contraddittorio con gli interessati e, quindi, la partecipazione al procedimento è garantita sostanzialmente ed in maniera equipollente a quella prevista dalla stessa l. n. 241/1990 (Cass. n. 12473/1999); in caso contrario anche per i provvedimenti sanzionatori occorre la notizia di avvio di procedimento, perché «L'applicazione dell'art. 7, l. n. 241/1990, relativo all'obbligo di comunicare all'interessato l'avvio del procedimento amministrativo, stante il carattere procedimentale della disposizione, prescinde dal tipo di procedimento avviato, fatti salvi i limiti dettati da esigenze di celerità o di carattere cautelare; pertanto, l'amministrazione che deve perseguire gli interessi pubblici sempre nell'osservanza delle regole sul procedimento amministrativo illegittimamente adotta provvedimenti sanzionatori senza l'osservanza del citato art. 7» (T.A.R. Piemonte, I, n. 105/1999; Trib. Sup. acque, n. 38/1998).

Violazione dell'obbligo partecipativo.

L'omissione della comunicazione di cui all'art. 7 importa l'invalidità dell'intero procedimento e, di conseguenza, l'illegittimità del provvedimento lesivo della posizione giuridica dell'interessato (Cass. civ., V, n. 26444/2020; Cons. St. IV, n. 7134/2006), salvo quanto previsto dall'art. 21-octies e in applicazione del principio di raggiungimento dello scopo (Cons. St. VI, n. 4319/2021).

In ogni caso, deve escludersi in radice la sussistenza di alcuna patologia nel caso in cui lo scopo della partecipazione del privato sia stato in ogni caso raggiunto, anche in difetto della comunicazione di cui all'art. 7, in presenza di un atto equipollente alla formale comunicazione. In tal caso va esclusa l'esistenza stessa, sul piano sostanziale, del vizio procedimentale, in applicazione del criterio del raggiungimento dello scopo: tale fattispecie, pertanto, si atteggia come ontologicamente diversa da quelle ricadenti nel dettato dell'art. 21-octies, comma 2, che concerne la non annullabilità di atti, che comunque rimangono viziati, ove sia fornita la prova che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato (T.A.R. Veneto, III, n. 326/2021; CGA 11 agosto n. 717/2020).

Deve inoltre soggiungersi che l'illegittima omissione della comunicazione dell'avvio del procedimento, se si esclude che rientri tra le mere irregolarità, è in grado di determinare una lesione dell'interesse legittimo del ricorrente, in quanto tale risarcibile, in presenza dei relativi presupposti di cui all'art. 2043 c.c., Pertanto, il rispetto delle regole partecipative di cui agli artt. 7 ss. l. n. 241/1990, anche alla luce del principio comunitario di tutela del legittimo affidamento (cd. legittimate ex pectation), consente di concludere che la violazione del contraddittorio nell'esercizio del potere di autotutela integra gli estremi dell'errore qualificato e caratterizzato, e, in definitiva, sostanzia la nozione normativa di «colpa» che viene in rilievo per l'illecito della pubblica amministrazione.

Comunicazione di avvio del procedimento e obbligo di provvedere.

In ogni caso, la sussistenza dell'obbligo a carico della p.a. di dare comunicazione dell'avvio del procedimento ai soggetti di cui all'art. 7, non fa venir meno l'obbligo per la p.a., ex art. 2 l. n. 241, di concludere il procedimento nei termini di legge mediante l'adozione di un provvedimento espresso, posto che la comunicazione d'avvio del procedimento non è di per sé satisfattiva dell'interesse alla conclusione del procedimento e all'emanazione del provvedimento finale. Infatti, soltanto l'adozione di un provvedimento, anche non satisfattivo dell'interesse fatto valere dal privato, fa venir meno i presupposti per la condanna dell'amministrazione a provvedere sull'istanza (Cons. St. VI, n. 543/2007).

Contorni processuali del fair trial procedimentale in tema di sanzioni amministrative sostanzialmente penali.

Rinviando per approfondimenti agli articoli 1 e 12 della legge 68/1981, si osserva in questa sede che la qualificazione della sanzione nazionale formalmente amministrativa in termini di sanzione sostanzialmente penale implica, innanzitutto, la necessità che il procedimento volto alla sua irrogazione sia improntato alle garanzie dell'equo processo di cui all'art. 6, par. 1-3 CEDU.

Sul punto si impongono due considerazioni.

Per un verso, molte delle garanzie in questione – ci si riferisce, ad esempio, ai principi del contraddittorio, della completezza e della pubblicità dell'istruttoria, dell'obbligo di motivazione del provvedimento conclusivo, della ragionevole durata del procedimento – sono già previste a livello nazionale dalla l. n. 689/1981 e dalla legge generale sul procedimento amministrativo n. 241/1990.

Per altro verso, risulta evidente come, se intesa in senso radicale, la compiuta conformità del procedimento amministrativo ai canoni dell'equo processo avrebbe effetti dirompenti: a rigore, infatti, sarebbe pienamente conforme alle prescrizioni convenzionali solo un procedimento amministrativo paragiurisdizionale, nel quale le parti si trovino in condizione di totale parità di fronte a un'autorità decidente terza rispetto a esse e, al contempo, indipendente dall'esecutivo e da ogni influenza esterna (Allena).

Tale modello è, tuttavia, estraneo al nostro ordinamento amministrativo. Si pensi, emblematicamente, alla garanzia – tipica dell'equo processo ex art. 6 CEDU – che l'autorità decidente sia «indipendente [e imparziale]»: in disparte il modello delle Autorità amministrative indipendenti, si tratta di una prerogativa del tutto estranea al nostro sistema amministrativo nel quale le connessioni fra P.A. e potere esecutivo sono, non solo fisiologiche ma, invero, indispensabili ai fini dell'esercizio del potere di indirizzo politico-amministrativo che l'art. 95 Cost. attribuisce al Governo. Consapevole che il modello del procedimento amministrativo quasi judicial non è in linea di principio accolto nei tradizionali sistemi di diritto amministrativo continentale, la Corte di Strasburgo ha assunto un approccio elastico affermando che, ai fini convenzionali, le garanzie dell'equo e giusto procedimento non vanno tutte necessariamente soddisfatte nella fase amministrativa, potendo essere recuperate nella successiva fase giurisdizionale davanti a un giudice che sia investito del potere di riesaminare in fatto e in diritto la fattispecie con un sindacato pieno equivalente a quello dell'autorità amministrativa. In altri termini, la Corte EDU ha fatto propria una soluzione flessibile basata sulla concezione unitaria di procedimento e processo amministrativo: tutte le volte in cui non viene data concreta attuazione alle garanzie dell'art. 6 CEDU nel corso del procedimento amministrativo, assume rilevanza la successiva fase processuale come luogo di possibile correzione, sia pure ex post e in via eventuale, dei deficit di tutela che si siano verificati in sede procedimentale.

Tanto premesso, occorre rilevare che,per avere tale capacità correttiva, il processo dovrebbe costituire luogo di compiuto riesame della scelta amministrativa: la giurisdizione amministrativa, per poter effettivamente compensare le garanzie mancate in sede procedimentale, dovrebbe, cioè, necessariamente avere carattere pieno e sostitutivo (così Cons. St. VI, n. 4990/2019, che rivendica un sindacato sostitutivo del giudice amministrativo sulle sanzioni antitrust, in ragione della necessità di un accesso pieno e diretto del giudice al fatto ai fini dell'autonoma verifica dei presupposti dell'illecito sanzionato; la sentenza del Consiglio di Stato è stata confermata da Cass. S.U., 26920/2021, in Foro it. 1/2021, con commento di A. Caringella).

Al riguardo, dette caratteristiche sono rinvenibili nel giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative ai sensi della l. n. 689/1981, posto che tale giudizio si configura come rivolto all'accertamento del fondamento della pretesa sanzionatoria, investendo la legittimità formale e sostanziale di detto provvedimento attraverso i mezzi istruttori propri del processo civile. Con riferimento, invece, alle sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione del G.A., ivi comprese quelle irrogate dalle Autorità amministrative indipendenti, l'art. 134 c.p.a. riconduce tali fattispecie alla giurisdizione di merito, sì che in tali casi – dando piena attuazione al parametro convenzionale della full jurisdiction – il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica di cui tali sanzioni sono espressione dovrebbe ritenersi forte, pieno e interamente sostituivo, attribuendosi al giudice non solo il potere di rideterminare il quantum della sanzione irrogata, ma anche, più a monte, il potere di sostituirsi all'amministrazione nelle valutazioni compiute in ordine all'accertamento del fatto illecito sanzionato.

Sul punto, deve, tuttavia, rilevarsi che, con peculiare riferimento alle sanzioni pecuniarie irrogate dalle Autorità amministrative indipendenti (sulle quali si è maggiormente incentrato il dibattito giurisprudenziale interno in tema di sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica), parte della giurisprudenza amministrativa, nonostante, come detto, disponga di una giurisdizione estesa al merito ex art. 134 c.p.a., sembra (inspiegabilmente) opporre una certa resistenza a esercitare pienamente tutti i poteri decisori e sindacatori che il legislatore gli ha messo a disposizione (Cimini), limitando, anche in tali casi, il proprio sindacato – sia pur intrinseco – a un sindacato di tipo «debole». Da un filone della giurisprudenza amministrativa emerge cioè che l'intensità dello scrutinio sulle valutazioni tecniche sottostanti i provvedimenti sanzionatori adottati dalle A.A.I. non potrebbe in ogni caso superare il limite delle valutazioni tecniche «opinabili»: «il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità dell'Autorità si svolge non soltanto riguardo ai vizi dell'eccesso di potere (logicità, congruità, ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza del provvedimento sanzionatorio e del relativo impianto motivazionale), ma anche attraverso la verifica dell'attendibilità delle operazioni tecniche compiute, quanto a correttezza dei criteri utilizzati e applicati, con la precisazione che resta comunque fermo il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché al giudice amministrativo è consentito censurare la sola violazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, di modo che il relativo giudizio non divenga sostitutivo con l'introduzione di una valutazione parimenti opinabile (Cons. St. VI, 6 maggio 2014, n. 2302 e n. 13211/2019). Ne consegue, pertanto, che, secondo questo orientamento, nonostante la previsione legislativa di una giurisdizione di merito, il giudice amministrativo potrebbe esercitare un sindacato pieno solamente per il profilo della quantificazione della sanzione pecuniaria, senza possibilità di sostituire la propria valutazione tecnica a quella della P.A. per quanto attiene all'an della sanzione e, dunque, all'accertamento, di fatto e di diritto, dell'illecito.

L'impostazione giurisprudenziale descritta è stata oggetto di plurime critiche in dottrina. Per un verso si sostiene che il giudice amministrativo, nei confronti di provvedimenti amministrativi di sua spettanza, non potrebbe non avere gli stessi poteri riconosciuti al giudice ordinario; per altro verso, sul piano logico, ci si domanda come il sindacato pieno e sostitutivo sul quantum sanzionatorio possa andare disgiunto da un sindacato altrettanto pieno e sostitutivo sull'an dell'illecito, che della sanzione e del suo ammontare è il presupposto logico (Cimini). Pare, insomma, che almeno là dove la legge espressamente lo consente prevedendo una giurisdizione estesa al merito, non ci siano ragioni per escludere un sindacato integralmente sostitutivo esteso non solo alla quantificazione della sanzione, ma anche ai presupposti dell'illecito e, dunque, a ogni valutazione di fatto e di diritto rilevante per il suo accertamento.

In materia vedi sulle sanzioni inflitte dalle Autorità indipendenti, ove si approfondisce la ricostruzione delle Sezioni Unite della Cassazione ( Cass. S.U., n. 11929/2019 ) dei principi espressi dalla giurisprudenza in ordine ai limiti sul controllo giurisdizionale relativo ai provvedimenti resi dalle Autorità indipendenti.

Vedi poi Cons. St. IV n. 3809/2021: in tema di sindacato del giudice amministrativo sull'attività di regolazione, è ammessa una piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito del regolatore; l'unico limite in cui si sostanzia l'intangibilità della valutazione amministrativa complessa è quella per cui, quando ad un certo problema tecnico ed opinabile (in particolare, la fase di c.d. «contestualizzazione» dei parametri giuridici indeterminati ed il loro raffronto con i fatti accertati) l'Autorità ha dato una determinata risposta, il giudice (sia pure all'esito di un controllo «intrinseco», che si avvale cioè delle medesime conoscenze tecniche appartenenti alla scienza specialistica applicata dall'Amministrazione) non è chiamato, sempre e comunque, a sostituire la sua decisione a quella dell'Autorità, dovendosi piuttosto limitare a verificare se siffatta risposta rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate (sul piano tecnico), che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto.

Ha affermato la Sezione che nel caso della regolazione economica, il controllo giurisdizionale «non sostitutivo» trova giustificazione in ragione di una specifica scelta di diritto sostanziale; quella per cui il legislatore, non essendo in grado di governare tutte le possibili reciproche interazioni tra i soggetti interessati e di graduare il valore reciproco dei vari interessi in conflitto, si limita a predisporre soltanto i congegni per il loro confronto dialettico, senza prefigurare un esito giuridicamente predeterminato. In tali casi, l'attività integrativa del precetto corrisponde ad una tecnica di governo attraverso la quale viene rimesso ai pubblici poteri di delineare in itinere l'interesse pubblico concreto che l'atto mira a soddisfare.»

Questioni applicative.

1) L'art. 7 si applica ai procedimenti avviati a istanza di parte?

Una prima questione, sulla quale dottrina e giurisprudenza non sono ancora attestate su posizioni univoche, riguarda l'applicabilità dell'art. 7 l. n. 241/1990 ai procedimenti avviati su istanza di parte.

Secondo un primo orientamento, a tutt'oggi maggioritario, l'applicazione in senso sostanzialistico dell'istituto della comunicazione di avvio del procedimento deve essere ispirato ai principi di ragionevolezza proporzionalità, logicità ed adeguatezza: sulla base di tali presupposti, pertanto, dovrebbe escludersi che l'obbligo di comunicazione trovi applicazione in riferimento ai procedimenti ad istanza di parte, posto che il destinatario dell'atto ha avuto in ogni caso conoscenza del procedimento, essendo stato lui stesso a sollecitarne l'attivazione (T.A.R. Lazio, II ter, 17 luglio n. 8251/2020; T.A.R. Campania, IV, n. 3111/2020; CGA n. 492/2020; T.A.R. Veneto II, n. 66/2020). D'altro canto, si è anche osservato che richiedere che la p.a. provveda ad una comunicazione di fatto già in possesso del privato, significherebbe un inutile aggravio del procedimento, accollando alla p.a. oneri ingiustificati (Trib. sup. acque, 4 settembre 2007, n. 144).

Questa tesi, tuttavia, si scontra con il dettato di cui al successivo art. 8 l. n. 241/1990, che annovera, tra gli elementi che devono essere comunicati ai soggetti di cui all'art. 7, la data di presentazione dell'istanza per i procedimenti ad iniziativa di parte, dalla quale, peraltro, decorrono i termini per la conclusione del procedimento. Deve, pertanto, ritenersi che la comunicazione di avvio è comunque indispensabile perché contiene una serie di elementi decisivi al fine di un corretto intervento nel corso del procedimento: l'oggetto, l'unità organizzativa, il soggetto che riveste la qualifica di responsabile procedimentale, l'ufficio presso cui prendere visione degli atti, con evidenti riflessi sul piano di un'agevole ed efficace partecipazione.

2) L'art. 7 si applica in caso di provvedimenti vincolati?

Alla luce dei principi di ragionevolezza proporzionalità, logicità ed adeguatezza, nonché del dettato normativo di cui all'art. 21-octies in materia di vizi non invalidanti, taluno ha ritenuto che la comunicazione di cui all'avvio del procedimento fosse superflua anche nell'ipotesi di attività vincolata, stante la mancanza di discrezionalità della p.a. nell'adozione del provvedimento finale e, pertanto, l'ininfluenza di qualsivoglia osservazione da parte del privato.

Si è affermato, infatti, che se è pur vero che l'amministrazione è tenuta ad acquisire nell'iter procedimentale la conoscenza di tutti gli interessi coinvolti mediante la previa comunicazione dell'avvio dello stesso procedimento ai diretti interessati ed a coloro che possono ricevere un pregiudizio indiretto, l'applicazione del menzionato principio incontra, in ogni caso, un chiaro limite in presenza dei provvedimenti vincolati, nei quali manchi un margine di potere discrezionale che possa costituire oggetto di negoziazione e nei quali, quindi, non sarebbe stata comunque utile la partecipazione del soggetto privato.

A tale conclusione, dunque, si giunge in ragione della sostanziale superfluità dell'apporto partecipativo del privato, in quanto l'attività dell'amministrazione è sostanzialmente sottratta a valutazioni comparative e discrezionali della p.a., essendo la stessa legge a prescrivere an e contenuto del provvedimento (Cons. St. VI, n. 4899/2009; T.A.R. Toscana-Firenze, II, n. 4452/2008; Cons. St. IV, n. 4659/2008).

Deve tuttavia ritenersi che tale tesi non sia condivisibile, posto che l'art. 21-octies rileva, nella determinazione dei c.d. vizi non invalidanti, incidendo sull'attitudine dell'atto a spiegare ugualmente i suoi effetti, e non già sulla disciplina sostanziale dettata dalle norme sul procedimento, incidendo direttamente sul loro ambito di applicazione.

In questo senso, è stato affermato che, ai sensi dell'art. 21-octies comma 2 l. n. 241/1990, non sono esentati dall'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento gli atti vincolati, ma sono semplicemente non annullabili i provvedimenti vincolati, che nonostante la partecipazione del privato, non avrebbero potuto avere diverso contenuto dispositivo rispetto a quello dell'atto in concreto adottato» (Cons. St. IV, n. 2874/2007; Cons. St. V, n. 36/2007).

Va evidenziato, inoltre, che non è condivisibile l'affermazione relativa all'ininfluenza della partecipazione del privato a fronte di un'attività amministrativa vincolata. L'apporto collaborativo del privato, invero, lungi dal sostanziarsi nella sola possibilità di influenzare la decisione della p.a. mediante la ponderazione degli interessi in questione, svolge un ruolo fondamentale anche nella verifica dei presupposti richiesti dalla legge per l'emissione del provvedimento vincolato: «La natura vincolata degli atti impugnati non costituisce valido motivo per omettere il rispetto delle garanzie partecipative – prima tra tutte, la comunicazione dell'avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 della l. n. 241/90 – in situazioni peculiari e giuridicamente complesse. Non è infatti, rinvenibile alcun principio di ordine logico o giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto vincolato, di rappresentare all'amministrazione l'inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma, esercitando preventivamente sul piano amministrativo quella difesa delle proprie ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede giudiziaria (Cons. St. III, n. 6288/2021).

Dunque, non è possibile prescindere dalla comunicazione di avvio quando il contraddittorio procedimentale con il privato interessato del procedimento avrebbe potuto fornire all'Amministrazione elementi utili ai fini della decisione, ad esempio in ordine alla ricostruzione dei fatti o all'esatta interpretazione della norma da applicare (Cons. St. VI, n. 1476/2010).

Deve darsi conto, infine, di una posizione intermedia rispetto a quelle sopra richiamate, la quale, ripudiando definitivamente la distinzione tra provvedimenti discrezionali e vincolati, afferma che il giudice debba verificare se in concreto e nel singolo caso di specie l'omissione della comunicazione di avvio abbia inciso in maniera determinante sull'assetto finale degli interessi fissati nel procedimento.

Così, Cons. St. V, 22 maggio 2001, n. 2823, che ha osservato come l'avviso d'avvio del procedimento amministrativo ex art. 7 comma 1 l. n. 241/1990, come tutte le altre regole sulla partecipazione stabilite dalla stessa legge, non può essere applicato in modo acritico o formalistico, ma va letto alla luce dei criteri generali che governano tale azione ed individuano i contenuti essenziali del rapporto tra esercizio del pubblico potere e tutela della posizione del privato (ragionevolezza, proporzionalità, logicità ed adeguatezza), di talché da esso si può prescindere quando: a) il soggetto interessato ha comunque acquisito «aliunde» la conoscenza del procedimento, in tempo utile per realizzare l'eventuale partecipazione all'«iter» istruttorio, ossia in una fase idonea a consentirgli la prospettazione di fatti, documenti, memorie ed interpretazioni di cui la p.a. procedente deve tener conto in sede d'emanazione; b) il procedimento consegue con un preciso nesso di derivazione necessaria, da una precedente attività amministrativa già conosciuta dall'interessato (per esempio, nel caso di ordine di demolizione di opere edilizie abusive, che sia emanato dopo l'ordine di sospensione dei relativi lavori, perché esso esprime l'intenzione di procedere alla verifica definitiva della compatibilità dell'opera allo strumento urbanistico); c) il procedimento sia iniziato su istanza di parte, nel qual caso l'avviso d'avvio sarebbe una mera duplicazione di formalità.

Si segnala da ultimo; Cons. St. III, n. 6288/2021, secondo cui è illegittima la mancata comunicazione di avvio del procedimento che porta all'adozione di un atto di natura vincolata ove la situazione sottesa si dimostri particolarmente complessa.

Ha chiarito il Consiglio di Sato che la natura vincolata degli atti impugnati non costituisce valido motivo per omettere il rispetto delle garanzie partecipative in situazioni peculiari e giuridicamente complesse; la giurisprudenza più avveduta afferma la sussistenza dell'obbligo di avviso dell'avvio anche nella ipotesi di provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, sulla scorta della condivisibile considerazione che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l'accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa (Cons. St. VI, n. 2443/2000; Cons. St. VI, n. 2953/2004; Cons. St. VI, n. 2307/2004 e Cons. St. VI, n. 396/2004).

Invero, non è rinvenibile alcun principio di ordine logico o giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto vincolato, di rappresentare all'amministrazione l'inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma, esercitando preventivamente sul piano amministrativo quella difesa delle proprie ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede giudiziaria (T.A.R. Napoli II, n. 8683/2006).

Tale principio è stato riaffermato di recente dalla giurisprudenza sostenendo che «È illegittimo il provvedimento vincolato emesso senza che sia stata offerta al destinatario dello stesso provvedimento la preventiva «comunicazione di avvio del procedimento» ex art. 7, l. n. 241/1990, ove dal giudizio emerga che l'omessa comunicazione del procedimento avrebbe consentito al privato di dedurre le proprie argomentazioni, idonee a determinare l'emanazione di un provvedimento con contenuto diverso» (C.g.a. 26 agosto 2020, n. 750).

3) L'art. 7 si applica in materia edilizia?

La questione inerente la verifica circa la necessità o meno della comunicazione di avvio del procedimento nelle fattispecie vincolate, assume una particolare rilevanza nelle ipotesi di accertamento degli abusi edilizi e di repressione dell'attività edilizia illegittima in materia di industrie insalubri, nonché in tema di imposizione di vincoli.

Al riguardo deve evidenziarsi come la giurisprudenza in materia di abusi edilizi non assuma posizioni univoche.

Secondo un primo filone maggioritario, deve escludersi l'applicabilità dell'art. 7 ai provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, in quanto «atti dovuti e vincolati per i quali nessuno spazio può essere utilmente lasciato a strumenti di partecipazione» (CGA, n. 355/2021; T.A.R. Marche, I, n. 340/2021; T.A.R. Campania, VI, n. 1680/2021; T.A.R. Sicilia, Catania, III, n. 566/2021; Cons. St. II, n. 94/2021; Cons. St. IV, n. 3330/2020).

A tale orientamento si contrappone chi ritiene che, in tal modo, si consentirebbe all'amministrazione di disapplicare di fatto la previsione di cui all'art. 7, in una materia che incide particolarmente sulle posizioni giuridico-soggettive dei cittadini. Deve pertanto affermarsi, secondo l'orientamento in parola, che, però, risulta oramai sostanzialmente abbandonato, l'illegittimità dei provvedimenti in materia di abusi edilizi adottati senza la previa comunicazione all'interessato dell'avvio del procedimento (ex pluris T.A.R. Marche, I, n. 1551/2008; Cons. St. IV, n. 399/2006).

Anche con riferimento ai procedimenti di sospensione della concessione edilizia, la giurisprudenza ha affermato che essi devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, posto che la comunicazione di cui all'art. 7 deve necessariamente precedere ogni provvedimento idoneo ad incidere sulle posizioni dei privati (T.A.R. Veneto, II, 19 maggio 1998, n. 695; Cons. St. V, 5 giugno 1997, n. 603; T.A.R. Piemonte, I, 16 ottobre 1996, n. 760).

La giurisprudenza prevalente ritiene, altresì, illegittimi i provvedimenti di decadenza di concessione edilizia per mancato inizio dei lavori entro il termine prefissato, qualora non sia stata comunicata agli interessati la notizia dell'avvio del relativo procedimento (T.A.R. Piemonte, I, n. 95/1999; Cons. St. V, n. 1562/1995; in senso contrario, Cons. St. V, n. 1615/1998).

Ad analoghe conclusioni, deve poi giungersi in merito al procedimento volto all'annullamento di una concessione edilizia (T.A.R. Campania, Salerno II, n. 1755/2018; T.A.R. Sicilia, I, n. 1641/2018; Cons. St. V, n. 474/1998; Cons. St. V, n. 606/1997).

L'obbligo della previa comunicazione di cui all'art. 7 si applica, inoltre, anche al provvedimento sanzionatorio previsto dall'art. 18, comma 7 della l. n. 47/1985, per le ipotesi di lottizzazioni abusive, poiché l'accertamento in punto di fatto ad opera della pubblica amministrazione delle fattispecie di lottizzazioni abusive sia materiale, sia formale o cartolare o negoziale si compone di una pluralità di elementi: la complessità e l'obiettiva difficoltà di tali indagini impongono la necessaria partecipazione dei soggetti interessati al relativo procedimento amministrativo, per consentire loro la proposizione delle opportune osservazioni e deduzioni volte alla corretta individuazione e interpretazione dei fatti, secondo quanto previsto in generale dall'art. 7, 1. 7 agosto 1990, n. 241 (Cons. St. IV, n. 6060/2006).

4) L'art. 7 si applica in materia di vincoli paesaggistici e storico-urbanistici?

Gli stessi problemi applicativi delle disposizioni sulla partecipazione al procedimento amministrativo, in tema di atti vincolati o caratterizzati da discrezionalità tecnica, si pongono per i procedimenti impositivi del vincolo storico-urbanistico.

Secondo alcuni, in tali ipotesi l'art. 7 l. n. 241/1990 non può trovare applicazione, poiché la partecipazione del privato non sarebbe utile alla difesa delle posizioni giuridiche soggettive incise, né alla coadiuvazione della p.a. nel perseguimento dell'interesse pubblico, trattandosi di valutazione tecnico-scientifica, che non comprende in sé il momento della composizione di interessi.

Questa tesi dottrinaria, tuttavia, non ha trovato seguito in giurisprudenza, la quale si è pronunciata in senso nettamente contrario, ribadendo che la comunicazione di inizio del procedimento è obbligatoria per permettere al privato «la possibilità di far constatare circostanze ed elementi idonei ad un'esatta valutazione sulla rilevanza del bene da sottoporre al vincolo ed eventualmente, ricorrendone i presupposti, a far recedere l'amministrazione da un'erronea decisione» (Cons. St. VI, n. 4923/2006; in termini Cons. St. VI, n. 4649/2000). I provvedimenti di imposizione di tali vincoli non possono farsi rientrare negli atti generali e pianificatori di cui all'art. 13, l. n. 241/1990, avendo essi incontestabilmente «un carattere singolare, perché attuano il passaggio dall'astratto al concreto nel bene sottoposto a vincolo» (T.A.R. Marche, I, 7 febbraio n. 19/2006; Cons. St. VI, n. 57/1997).

In materia di sospensione dei lavori, ai sensi dell'art. 20, l. n. 1089/1939 (ora art. 28, d.lgs. 42/2004), la giurisprudenza non è ancora univoca.

Secondo una prima tesi «non è dovuta la comunicazione di avviso del procedimento, prevista dall'art. 7, l. n. 241/1990, dal momento che la funzione propria di tale istituto, che consiste nel consentire all'interessato la partecipazione al procedimento, sotto forma di collaborazione e di contraddittorio, risulta in concreto già assolta e soddisfatta dall'avvenuta notifica del provvedimento di sospensione, giacché questo deve essere seguito dalla notifica del vincolo nel termine di 60 giorni, secondo il disposto del comma 3, art. 20, l. n. 1089/1939» (T.A.R. Sardegna, n. 36/1996; T.A.R. Sicilia, Palermo I, n. 155/1995).

Secondo un altro orientamento, invece, alla fattispecie non è applicabile l'art. 7 della l. n. 241/1990, perché l'imposizione di un vincolo storico-artistico alla proprietà privata si basa su valutazioni tecnico-discrezionali. Infatti «anche nel procedimento amministrativo caratterizzato da determinazioni amministrative frutto di discrezionalità tecnica può assumere valore importante l'apporto partecipativo del destinatario dell'atto finale, in quanto tali determinazioni costituiscono la risultante dell'applicazione di tecniche a conoscenza di tutti gli operatori del settore o della qualificazione di fatti dei quali l'amministrazione può avere una conoscenza solo parziale o erronea; pertanto, anche in tali casi il contributo istruttorio dei diretti interessati può essere particolarmente utile ed a essi va data comunicazione di avvio del procedimento» (Cons. giust. reg. Sic., n. 400/1988).

Gli stessi problemi esegetici sussistono in relazione ai vincoli per la tutela delle bellezze naturali, di cui all'art. 136 ss. d.lgs. 42/2004.

Anche in merito a tale procedimento, la giurisprudenza in un primo tempo ha ritenuto che i decreti ministeriali, che dichiarano di notevole interesse pubblico una zona ad integrazione degli elenchi delle bellezze naturali, hanno natura di atti generali, essendo rivolti ad una pluralità di soggetti indeterminati, e, quindi, ai sensi dell'art. 13, l. n. 241/1990, non sono soggetti all'applicazione della norma sulla partecipazione posta dagli artt. 7 e ss. della stessa legge (T.A.R. Campania, Napoli I, n. 1546/1999; T.A.R. Lombardia, Milano I, n. 165/1995).

Successivamente, però, è prevalso l'indirizzo opposto (Cons. St. VI, n. 7592/2005), nell'assunto che la regola generale di cui all'art. 7, l. n. 241/1990 è applicabile «anche nei casi di adozione di provvedimenti vincolati o espressione di discrezionalità tecnica» (T.A.R. Lazio, Roma II, n. 1428/1998).

Dubbi applicativi in relazione all'art. 7 hanno, infine, animato la giurisprudenza in relazione ai provvedimenti ministeriali di annullamento del nulla osta a costruzione edilizia in zona paesaggistica, di cui all'art. 146, d.lgs. 42/2004 (in precedenza art. 82, comma 9, d.P.R. n. 616/1977 e poi art. 151 d.lgs. 490/1999).

Un primo orientamento riteneva inapplicabile l'art. 7, perché il procedimento in commento ha inizio su istanza del privato, che perciò è già a conoscenza dell'avvio del procedimento (Cons. St. VI, n. 963/1995; Cons. St. VI, n. 771/1994).

La giurisprudenza più recente, invece, ritiene prevalentemente che il provvedimento di annullamento ministeriale del nulla osta a costruire in zona paesaggistica deve essere preceduto dall'avviso dell'inizio di procedimento previsto dall'art. 7, in quanto all'avvio del procedimento su istanza di parte agli enti locali, segue una fase eventuale di competenza del ministro o dei soprintendenti delegati e non è dovuta all'iniziativa dell'interessato, che è solo a conoscenza della sua eventualità. Di qui la necessità che il privato, ancorché istante, riceva comunicazione dell'avvio di tale seconda fase procedimentale, il cui avvio è meramente eventuale, in quanto il potere di annullamento attribuito al Ministero ex art. 82 cit. è esercitato nell'ambito di una successiva fase endoprocedimentale, che ha natura diversa (di secondo grado) ed è di competenza di un diverso organo rispetto a quello che ha rilasciato l'autorizzazione paesaggistica (ex pluris Cons. St. VI, n. 6662/2007). L'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento, previsto in relazione alla generalità degli atti amministrativi dall'art. 7 della l. n. 241/1990 ed espressamente ribadito per i procedimenti di annullamento ministeriale dei nulla osta paesaggistici rilasciati dai soggetti delegati (o subdelegati) dall'art. 4, comma 1, del d. m. 13 giugno 1994 n. 495, è stato eliminato dal successivo d. m. 19 giugno 2002 n. 165, per essere ripristinato dal d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali), agli artt. 146 e 159, anche se attraverso la speciale forma della comunicazione agli interessati della trasmissione dell'autorizzazione rilasciata da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo con l'avviso dell'avvio della fase del controllo ministeriale (T.A.R. Campania, Salerno II, n. 334/2013).

È evidente, peraltro, che «la forma partecipativa introdotta dal d.lgs. n. 42 del 2004 è anomala rispetto a quanto previsto dalla l. n. 241/1990, discostandosi dal modello generale sotto vari profili: in ogni caso l'onere di rendere edotto l'interessato si ritiene compiutamente assolto con la mera comunicazione dell'avvenuta trasmissione degli atti alla Soprintendenza da parte del Comune» (T.A.R. Lombardia, Brescia I, n. 50/2008).

5) L'art. 7. l. n. 241/1990 si applica anche in caso di subprocedimenti?

Alla luce dell'importanza strategica che la legge sul procedimento assegna all'avviso di avvio del procedimento, ci si è chiesti se gravi in capo all'amministrazione procedente l'obbligo di effettuare la comunicazione in questione anche per tutte le fasi in cui il procedimento può eventualmente articolarsi (c.d. sub-procedimento).

Secondo la dottrina (Casetta, 411) ela giurisprudenza, deve escludersi l'applicazione dell'art. 7 per l'avvio di subprocedimenti, in ragione dell'unitarietà del procedimento nel quale si inseriscono e del quale i soggetti interessati hanno già avuto comunicazione (T.A.R. Campania, Napoli III, n. 10356/2008; Cons. St. VI, n. 5929/2000; T.A.R. Umbria, n. 385/2000; Trib. Sup. acque, n. 27/2002; contra, Cass. S.U., n. 5080/2008).

L'obbligo imposto alle pubbliche amministrazioni dall'art. 7, invero, riguarda l'inizio del procedimento stesso, e non le singole fasi nella quali l'azione amministrativa eventualmente si articola (Cons. St. IV, n. 148/2006): ne consegue che «Il potere di riesame inerente a tutti i procedimenti di evidenza pubblica in vista dell'approvazione degli atti di gara, qualora venga esercitato – come nel caso di specie – prima dell'aggiudicazione definitiva, non è soggetto al preventivo obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, giacché si inserisce nell'unica serie procedimentale in corso, che ha carattere unitario e si conclude soltanto con l'aggiudicazione definitiva» (T.A.R. Liguria II, n. 1049/2007).

A tale impostazione, peraltro,si contrappone la posizione della Corte costituzionale, la quale ha evidenziato che l'amministrazione è tenuta a predisporre un meccanismo procedurale che assicuri il raggiungimento dello scopo di consentire all'interessato la chiara percezione dell'avvio della nuova fase, in modo da porlo nell'effettiva possibilità di interloquire nell'anzidetta ulteriore fase procedimentale (Corte cost., n. 383/1996). Ne consegue, dunque, che la comunicazione dell'avvio del procedimento non può arrestarsi alla prima delle fasi in cui lo stesso si articola, imponendo invece alla p.a. l'obbligo di attivarsi onde consentire, a mezzo di una nuova comunicazione, la partecipazione dell'interessato nelle successive fasi procedimentali, soprattutto ove queste possano risolversi in un pregiudizio per lo stesso (Corte cost., n. 437/2000).

Questa soluzione, peraltro, appare ancor più condivisibile ove le singole fasi sub-procedimentali si svolgano innanzi ad autorità diverse da quella competente (Cons. St. VI, n. 7285/2004).

Da ultimo, deve rimarcarsi come la posizione in commento è stata fatta propria dal legislatore nazionale in materia di provvedimenti in materia paesaggistica ed ambientale, per i quali il problema si era tradizionalmente posto in termini particolarmente pregnanti.

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), invero, all'art. 159, stabilisce che l'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione dà immediata comunicazione alla soprintendenza delle autorizzazioni rilasciate, trasmettendo la documentazione prodotta dall'interessato nonché le risultanze degli accertamenti eventualmente esperiti. La comunicazione è inviata contestualmente agli interessati, per i quali costituisce avviso di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti della l. n. 241/1990.

È previsto a carico dell'Amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica l'immediata comunicazione alla Soprintendenza delle autorizzazioni rilasciate, con contestuale invio di tale comunicazione agli interessati, quale avviso di inizio del procedimento, ai sensi e per gli effetti della l. n. 241/1990, non incombendo più sulla Soprintendenza alcun onere di distinta e specifica comunicazione di avvio del procedimento, spettando ad essa la conduzione di una fase non autonoma del procedimento ed essendo stata data tale comunicazione dall'Ente locale subdelegato al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica (T.A.R. Campania, Salerno II, n. 1630/2020).

6) L'art. 7 si applica in materia di scioglimento di organi collegiali: in particolare Consiglio Comunale e organi di amministrazione e controllo di una banca?

In materia di rimozione degli amministratori locali la giurisprudenza ha dato a volte risposte contrastanti. Il problema si è posto per lo più in materia di scioglimento dei Consigli Comunali e di rimozione del sindaco per fenomeni di infiltrazione e condizionamento mafioso.

Secondo un primo orientamento, a tali fattispecie non si applica l'art. 7 l. n. 241 in ragione della prevalenza della segretezza di cui alla l. 22 luglio 1991, n. 221, art. 1 (T.A.R. Lombardia, Milano I, n. 1144/2009; Cons. St. V, n. 209/2007). In tal senso, T.A.R. Lazio, I, 2 marzo 2015, n. 3428, secondo il quale: La partecipazione al procedimento preordinato allo scioglimento del consiglio comunale non solo non è prevista dall'art. 143, t.u.e.l. n. 267 del 2000, ma la sua mancanza è ampiamente giustificata dalla circostanza che si tratta di misura che, caratterizzandosi per il fatto di costituire la reazione dell'ordinamento alle ipotesi di attentato all'ordine e alla sicurezza pubblica, esige interventi rapidi e decisivi. Nel caso di specie, ricorrono quelle particolari esigenze di celerità che, come stabilito dallo stesso art. 7, l. n. 241/1990, giustificano l'esenzione dalle forme partecipative del soggetto privato. Inoltre, la non necessarietà della comunicazione dell'avvio del procedimento trova giustificazione anche nella circostanza che lo scioglimento del Consiglio comunale comporta un'attività di natura preventiva e cautelare, per la quale è escluso il momento partecipativo, anche per il tipo di interessi coinvolti, che non concernono, se non indirettamente, persone, ma gli interessi dell'intera collettività comunale.

Opposte pronunce concludono per l'applicabilità dell'art. 7 anche nell'ipotesi in commento, stante il pregiudizio, che ad essi deriverebbe, della perdita della carica e relativo status di consigliere comunale (T.A.R. Liguria II, n. 1168/2008; Cons. St. V, n. 713/1999; Cons. St. V, n. 1346/1991).

Con riferimento al procedimento di scioglimento degli organi di amministrazione e controllo di una banca, l'art. 7 della l. n. 241/1990 è specificamente derogato dall'art. 70, comma 3, d.lgs. n. 385/1993 (TUB), il quale, ispirandosi ad evidenti ragioni di riservatezza a tutela del pubblico risparmio, sottrae alla regola della partecipazione procedimentale sia il decreto di scioglimento del Ministero dell'Economia e delle Finanze sia la proposta formulata dalla Banca d'Italia; di conseguenza, né l'uno né l'altra possono essere comunicati agli interessati prima della consegna dell'azienda ai commissari straordinari (Cons. St. IV, n. 835/2015).

7) L'art. 7 è applicabile in materia farmaceutica?

Una diffusa applicazione dei principi di cui all'art. 7 è stata poi fatta in materia farmaceutica.

La giurisprudenza, invero, ha più volte ribadito che deve essere data comunicazione ex art. 7 dell'avvio del procedimento che si conclude con l'istituzione di una nuova sede farmaceutica nel territorio comunale, al titolare di altra sede già esistente nel medesimo Comune, giacché l'istituzione di una nuova farmacia è destinata a produrre effetti diretti e pregiudizievoli nei confronti dello stesso soggetto, peraltro facilmente individuabile in base alla stessa pianta organica (T.A.R. Veneto, Venezia III, n. 1800/2008).

All'opposto, il prevalente orientamento del Consiglio di Stato ha escluso l'obbligo di comunicazione procedimentale in ragione della natura generale di pianificazione del provvedimento di revisione della pianta organica delle sedi farmaceutiche, in quanto tale sottratto alla disciplina degli art. 7 ss. l. n. 241/1990 (Cons. St. III, 24 maggio 2018, n. 3136; Cons. St. III, 30 maggio 2017, n. 2557; Cons. St. V, 28 settembre 2007, n. 5014), tanto più che la partecipazione degli interessati è garantita attraverso la previa acquisizione del parere dell'ordine professionale (T.A.R. Puglia, Lecce II, 25 gennaio 2008, n. 209; T.A.R. Puglia, Bari I, 10 gennaio 2007, n. 41; Cons. St. V, 15 marzo 2006, n. 1386).

8) Ci sono spazi per un'applicazione sostanzialistica del principio della comunicazione obbligataria?

La giurisprudenza ha elaborato talune ulteriori eccezioni all'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, privilegiando una lettura sostanziale, e non meramente formale, dell'art. 7 della l. n. 241/90. Ebbene, poiché il fine della comunicazione di avvio è quello di rendere edotti determinati soggetti dell'esistenza di un procedimento amministrativo affinché possano prendervi parte ed incidere, tramite memorie e documenti, sull'esito finale dello stesso, ove tale scopo sia comunque raggiunto, l'omissione della comunicazione stessa non incide sulla legittimità del provvedimento. Ciò si verifica tutte le volte in cui il soggetto destinatario della comunicazione di avvio abbia avuto altrimenti notizia del procedimento amministrativo. Ciò accade soprattutto nelle ipotesi di atti vincolati, relativamente ai quali il quadro conoscitivo non può essere arricchito dal contributo del soggetto partecipante. A fronte di tale posizione si registrano peraltro, opinioni e pronunce di segno contrario che, ricollegandosi alla lettura più formale delle disposizioni, ritengono che questa, fatti salvi i limiti adottati allorché sussistano esigenze di celerità o di carattere cautelare, sia sempre necessaria a prescindere dal tipo di procedimento. In tali ipotesi, infatti, il soggetto destinatario dell'atto, pur non contestando i fatti, può collaborare con l'Amministrazione circa l'esatta interpretazione della norma da applicare o, correggere, eventuali errori materiali in cui l'Amministrazione stessa sia incorsa.

Un orientamento intermedio reputa che la comunicazione ha ragion d'essere solo ove risulti necessario analizzare i presupposti di fatto su cui dovrà fondarsi il provvedimento vincolato, mentre non se ne ravvisa l'utilità nel caso in cui tali presupposti siano pacifici e incontestati.

Cons. St. III, n. 27983/2021 ha ritenuto che, per la sua intrinseca e speciale urgenza, lo scioglimento di un consiglio comunale per infiltrazione mafiosa non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.

Per converso, T.A.R. Bologna, I, n. 498/2020 ha reputato «illegittima, per omessa comunicazione di avvio del procedimento, l'espulsione di un carabiniere da un Centro sportivo Carabinieri e il successivo trasferimento d'autorità, disposto dal Comando Generale dell'Arma per una presunta commissione di atti persecutori nei confronti di altra atleta con cui aveva trattenuto relazione sentimentale, con grave nocumento per l'immagine del Centro sportivo oltre che per l'intera Arma dei Carabinieri». Ha chiarito il Tribunale, che il Codice dell'ordinamento militare, pur sottraendo all'applicazione della legge generale sul procedimento amministrativo i Capi I (Principi) III (Partecipazione) e IV (Semplificazione) sulla base di opzione reputata conforme a Costituzione (Cons. St. IV, 22 ottobre 2014, n. 4816), non esclude la soggezione ai principi in materia di partecipazione, fonte di diritti di rilevanza comunitaria.

Bibliografia

Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007; Cerulli Irelli, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/1990, in giustamm.it, 2005; Chieppa–Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2021; Franchini, Lucca, Tessaro, Il nuovo procedimento amministrativo. Commentario coordinato della l. n. 2 41/1990 riformata dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15 e dalla legge 14 maggio 2005n. 80, Padova, 2008; Garofoli, Ferrari, Manuale superiore di diritto amministrativo, Roma, 2021; Piruccio, Comunicazione di avvio del procedimento ex l. n. 15/2005: profili interpretativi ed applicativi, in altalex.it, 2006.

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