Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 10 bis - Comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza 1

Luigi Tarantino
aggiornato da Francesco Caringella

Comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza1

 

1. Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo sospende i termini di conclusione dei procedimenti, che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Qualora gli istanti abbiano presentato osservazioni, del loro eventuale mancato accoglimento il responsabile del procedimento o l'autorita' competente sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni. In caso di annullamento in giudizio del provvedimento cosi' adottato, nell'esercitare nuovamente il suo potere l'amministrazione non puo' addurre per la prima volta motivi ostativi gia' emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all'accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all'amministrazione2. (A)

(A) In riferimento al presente articolo vedi: Circolare AGEA 30 novembre 2009, N. 51.

Inquadramento

L'istituto della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, o preavviso di diniego, è stato introdotto nel nostro ordinamento solo con la l. n. 15/2005, per poi essere affinato con la l. n. 180/2011 e con il d.l. n. 76/2020, con una finalità marcatamente deflattiva del contenzioso amministrativo. L'istituto in parola, invero, impone che nei procedimenti avviati ad istanza di parte, prima della formale adozione del provvedimento di rigetto, vengano comunicati all'istante i motivi ostativi all'accoglimento della domanda, invitando lo stesso a produrre le proprie osservazioni.

In tal modo il legislatore ha anticipato il contraddittorio, mediante la comunicazione all'esponente di un atto endoprocedimentale, che consente, oltre all'arricchimento ed all'implementazione dell'istruttoria, di anticipare in sede non contenziosa le richieste che potrebbero essere addotte in un successivo giudizio, con una potenziale deflazione del contenzioso. La ratio dell'art. 10-bis, comune a quella dell'art. 7 della medesima legge, va, dunque, individuata nelle esigenze, da un lato, di assicurare piena visibilità all'azione amministrativa al momento della sua formazione e, dall'altro, di garantire la partecipazione dei destinatari dell'atto finale alla fase istruttoria preordinata alla sua adozione, in modo che, anche grazie all'acquisizione delle ragioni prospettate dagli interessati, l'Amministrazione sia posta in condizione di esercitare il proprio potere con la piena cognizione dei tutti gli elementi di fatto e di diritto. Così l'istituto in questione è volto ad attivare – nella fase non iniziale ma costitutiva del procedimento – un contraddittorio con il destinatario del provvedimento negativo, non ancora emanato ma ormai definito nelle intenzioni dell'autorità, al fine di raccoglierne il contenuto istruttorio indispensabile per addivenire ad una compiuta disamina di quegli elementi di fatto e di diritto che risulteranno decisivi per la determinazione da assumere. (Cons. St. V, n. 5266/2021; Cons. St. VI, n. 1001/2020). Un'applicazione corretta dell'art. 10-bis della l. n. 241/1990 esige, non solo che l'Amministrazione enunci compiutamente nel preavviso di provvedimento negativo le ragioni che intende assumere a fondamento del diniego, ma anche che le integri, nella determinazione conclusiva (ovviamente, se ancora negativa), con le argomentazioni finalizzate a confutare la fondatezza delle osservazioni formulate dall'interessato nell'ambito del contraddittorio predecisorio attivato dall'adempimento procedurale in questione (T.A.R. Veneto, II, n. 416/2021).

Per tale ragione l'istituto risponde alla sola esigenza «anticipare un contraddittorio procedimentale tra amministrazione e destinatari del provvedimento, all'esito del quale ben è possibile che l'amministrazione, anche alla luce delle osservazioni pervenute, arricchisca la motivazione del provvedimento finale rispetto a quella contenuta nell'atto endoprocedimentale» (Cons. St. VI, n. 7576/2009); al contrario, al preavviso di rigetto non può ascriversi alcuna capacità di esprimere la definitiva volontà dell'amministrazione (T.A.R. Lombardia, Milano III, n. 4718/2008).

L'art. 10-bis della l. n. 241/1990, sulla comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, si applica ai procedimenti che l'Amministrazione intenda concludere con un provvedimento che “per la prima volta” rappresenta al richiedente una o più ragioni impeditive dell'accoglimento della sua istanza. La sua ratio è quella di evitare “provvedimenti a sorpresa”, cioè che prospettino questioni di fatto o di diritto prima ignote al richiedente, o comunque da lui non percepibili. Quando l'istanza di riesame è respinta con un atto meramente confermativo o solo di conferma del precedente, sulla base di una motivazione incentrata sulla immodificabilità della precedente valutazione, non occorre una ulteriore interlocuzione procedimentale con l'interessato. Tale regola trova applicazione nel caso in cui, nonostante le sopravvenienze rappresentate con l'istanza di riesame, i provvedimenti di cui si chiede la riforma sono già divenuti definitivi e l'autotutela non rappresenta un obbligo per l'Amministrazione, bensì una facoltà, che legittimamente potrebbe non dar luogo ad alcun esito per l'interessato (Cons. St. III, n. 4751/2021).

L'istituto della comunicazione dei motivi ostativi è ispirato da una funzione principale di garanzia, ovvero di difesa del privato nei confronti dell'amministrazione, attuativa del principio del giusto procedimento, desumibile dalla circostanza che il preavviso è previsto solo per i procedimenti che possono essere conclusi con provvedimenti sfavorevoli ed è diretto solo al destinatario degli stessi (Caringella, 1156).

L'art. 10-bis assolve, altresì, ad una funzione oggettiva di tipo collaborativo, atteso che il destinatario della comunicazione, attraverso l'apporto di materiale informativo, coopera alla migliore – siccome più attenta, completa e ponderata – esplicazione della funzione amministrativa, determinando l'amministrazione all'adozione di decisioni maggiormente corrette (Tarullo).

I destinatari del preavviso di diniego.

I destinatari dell'avviso di cui all'art. 10-bis sono i soli soggetti istanti, a nulla rilevando la presenza di controinteressati eventualmente intervenuti nel procedimento (Mele).

Tuttavia, tale scelta è stata avversata da parte di chi ritiene che al procedimento possono partecipare più soggetti, ognuno dei quali potrebbe domandare l'emanazione di un provvedimento accoglitivo della propria specifica richiesta, di guisa che un provvedimento favorevole per taluni potrebbe non esserlo per gli altri, con una applicazione solo parziale della ratio difensiva della norma, con la esclusione di fatto di tutti i soggetti diversi dall'istante dal contraddittorio anticipato. Si potrebbe ipotizzare per ragioni di equità di applicare l'art. 10-bis a tutti i soggetti che hanno partecipato al procedimento, mediante un'interpretazione estensiva della norma in commento.

Di contro, tuttavia, si osserva come la scelta legislativa di limitare il preavviso di diniego al solo istante è giustificata da ragioni di non aggravio del procedimento, per assicurare un contraddittorio più ampio all'istante, maggiormente interessato all'adozione del provvedimento (T.A.R. Umbria, n. 502/2009). Una simile conclusione è avvalorata dalla ratio ispiratrice dell'istituto che è quella di creare il contraddittorio con i destinatari degli effetti dei provvedimenti sia al fine di consentire il diritto di difesa, sia per acquisire ogni utile elemento in modo da ridurre il rischio di motivazioni inadeguate (T.A.R. Piemonte, I, n. 781/2015).

L'ambito di applicazione della norma.

L'istituto della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza trova applicazione solo in riferimento ai procedimenti ad istanza di parte (Cons. St. VI, n. 4958/2009), sia nell'ipotesi di rigetto sic et simpliciter delle istanze del privato, sia in caso di accoglimento solo parziale delle stesse allorquando il rigetto parziale si concretizzi in un'apprezzabile lesione delle aspettative o della sfera giuridica dell'interessato (M. Passoni; T.A.R. Sicilia, Palermo I, n. 1015/2009).

A titolo esemplificativo, la norma è stata applicata in materia di permesso di costruire, posto che il provvedimento di diniego di detto permesso ha consistenza di atto reiettivo di un'istanza di parte, (T.A.R. Piemonte, I, n. 1164/2006; T.A.R. Lazio, Roma II, n. 3921/2005).

Analogamente, l'art. 10-bis trova applicazione in riferimento all'istanza di condono edilizio (CGA n. 466/2021), a meno che non si tratti di dinieghi di condono fondati esclusivamente sui provvedimenti con i quali la Soprintendenza ha annullato le precedenti autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dall'amministrazione comunale, essendo atti di natura vincolata e come tali non richiedenti apporti collaborativi della parte (T.A.R. Campania, Napoli IV, n. 1611/2009).

Secondo la giurisprudenza la norma, imponendo di fatto un aggravio dei tempi e degli incombenti procedurali, non è suscettibile di applicazione analogica o estensiva (T.A.R. Lazio, Roma III, n. 7202/2005).

Al contrario, non si ritiene il preavviso di diniego applicabile ai procedimenti d'ufficio. Le garanzie del contraddittorio, infatti, non costituiscono un insieme predefinito e costante di poteri, doveri e facoltà attribuiti alle parti all'interno del procedimento amministrativo, essendo invece suscettibili di variazioni e adattamenti, in funzione del tipo di procedimento e degli interessi in gioco. Pertanto, non si rinvengono ragioni per predicare l'applicazione della previsione in tema di comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza (art. 10-bis, l. n. 241/1990) nell'ambito dei procedimenti sanzionatori, i quali restano assoggettati ad una disciplina di specie anche per ciò che concerne il (pur necessario) rispetto delle garanzie procedimentali e partecipative dell'incolpato (Cons. St. IV, n. 5342/2018).

Gli atti esclusi.

Sono espressamente esclusi dall'ambito di applicazione della norma in commento le procedure concorsuali (T.A.R. Umbria, n. 18/2020) nonché i procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali.

In riferimento alle procedure concorsuali, la giurisprudenza ritiene che l'eccezione non riguardi solo i concorsi per l'accesso ad un pubblico impiego, dovendo invece essere intesa in senso lato, in riferimento a tutti i procedimenti aperti ad una pluralità di soggetti e caratterizzati dalla selezione effettuata da un organo collegiale all'uopo costituito. Si tratta, in effetti, di escludere dall'ambito di applicazione dell'art. 10-bis tutti quei procedimenti nei quali l'instaurazione del contraddittorio con l'amministrazione risulta incompatibile con le esigenze di celerità della procedura (Cons. St. comm. sp., n. 2518/2008; T.A.R. Campania, Napoli, IV, n. 2641/2006). La giurisprudenza ha negato l'applicabilità dell'art. 10-bis alle procedure per il conseguimento dell'abilitazione professionale (T.A.R. Napoli, Campania IV, n. 2641/2006) e alle gare per l'affidamento di contratti (T.A.R. Veneto, I, n. 3663/2005, T.A.R. Lazio, Roma II-ter, n. 2258/2006). In particolare «il provvedimento di esclusione da una gara ad evidenza pubblica non deve essere necessariamente preceduto da un contraddittorio con il concorrente da escludere» atteso che «l'art. 10-bis nel prevedere la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento delle istanze dei privati ha escluso dall'ambito di applicazione della norma le procedure concorsuali» (Cons. St. VI, n. 1348/2009).

Per le procedure di concessione di contributi economici, se una parte della giurisprudenza ha ritenuto non operante l'obbligo di comunicazione dei motivi ostativi in forza dell'interpretazione estensiva data alla nozione di procedura concorsuale (T.A.R. Sicilia, Palermo I, n. 1957/2007, T.A.R. Liguria, II, n. 1678/2006) altra parte – conformemente all'insegnamento del Cons. di Stato (Cons. St. VI, n. 4519/2006) – ha riconosciuto l'applicabilità dell'art. 10-bis al provvedimento di diniego di ammissione a finanziamento pubblico atteso che «la deroga stabilita dall'art. 10-bis l. n. 241/1990 per i procedimenti concorsuali, necessita di interpretazione restrittiva vista la sua natura eccezionale e non è estensibile ad un procedimento caratterizzato da una valutazione specifica delle singole istanze che sfocia nell'adozione di un provvedimento individuale. Dunque, la norma in parte qua è di stretta interpretazione e non può essere applicata se non alle fattispecie espressamente previste». (T.A.R. Lazio, Roma III, n. 6503/2007; T.A.R. Sicilia, Palermo III, n. 1528/2005. Da ultimo, la giurisprudenza ha ritenuto applicabile il preavviso di rigetto al procedimento ad istanza di parte avente ad oggetto la concessione di agevolazione finanziaria «in cui la platea degli aspiranti è aperta a tutti gli interessati i quali sono chiamati a presentare una domanda di contributo a fondo perduto, diversamente dal caso di procedura concorsuale, cioè di gara fra più soggetti aspiranti ad una posizione limitata nel numero» (T.A.R. Liguria, II, n. 1990/2008).

Deve evidenziarsi, da ultimo, che la giurisprudenza più recente ritiene che rientrino nei procedimenti previdenziali e assistenziali anche quelli «per la concessione della integrazione salariale di cui alla l. 20 maggio 1975 n. 164» (T.A.R. Lazio, Latina I, n. 362/2009).

Oltre ai casi in cui l'applicazione dell'art. 10 -bis è espressamente esclusa dalla norma, vi sono le ipotesi individuate dalla stessa giurisprudenza, per la quale sarà necessario verificare, case by case , la compatibilità della previsione normativa con i singoli tipi provvedimentali (Cons. St., n. 2518/2008). In generale si ritiene che l'esclusione fondi sul carattere di specialità della normativa di settore rispetto a quella contenuta nella legge generale sul procedimento amministrativo.

Così, ad esempio, la giurisprudenza maggioritaria ha ritenuto che anche l'istituto della denuncia di inizio di attività, disciplinato dagli artt. 22 e 23 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, evidenzia profili di incompatibilità con l'art. 10-bisl. n. 241/1990. Nello specifico, la giurisprudenza sottolinea che il procedimento in questione si sostanzia nella formazione di un titolo ex lege: ne consegue, pertanto, che l'adozione del provvedimento con il quale l'amministrazione comunale ordina al privato di non effettuare l'intervento da lui denunciato non deve essere preceduta dal preavviso di rigetto, ostando in tal senso non solo la circostanza che la denuncia di inizio di attività non può letteralmente considerarsi una «istanza di parte», ma anche e soprattutto la speciale disciplina della notifica all'interessato dell'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento, contenuta dal comma 6 dell'art. 23 del d.P.R. 380/2001, dove già è prevista la motivazione dell'ordine inibitorio e dove viene assicurata una forma di confronto e di tutela del privato, al quale è comunque riservata la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia (Cons. St. II, n. 1951/2020; T.A.R. Liguria I, n. 358/2021; T.A.R. Umbria, I, n. 537/2021. In senso contrario, T.A.R. Sardegna, II, n. 1423/2009; T.A.R. Piemonte I, n. 2728/2006).

Si sostiene l'inapplicabilità dell'art. 10-bis atteso che «le norme contenute nel capo III della l. n. 241/90 fissano garanzie minime ed inderogabili, tuttavia recessive rispetto a quelle contenute in altre leggi regolanti specifici settori, che prevedono per i destinatari del provvedimento una tutela specifica maggiore in chiave partecipativa, come appunto nel caso della denuncia di inizio attività edilizia» (T.A.R. Campania, Napoli IV, n. 68/2009; T.A.R. Campania, Napoli VI, n. 5874/2006; T.A.R. Campania, Napoli VI, n. 776/2007).

Si evidenzia, altresì, l'incompatibilità del preavviso di diniego con il termine ristretto di cui all'art. 23 del d.P.R. 380/2001 entro il quale l'amministrazione deve provvedere «non essendo tra l'altro previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine stesso» (Cons. St. IV, n. 4828/2007).

La dottrina sostiene l'inapplicabilità del preavviso di rigetto alla denuncia di inizio attività evidenziando l'incompatibilità dell'interruzione procedimentale prevista dall'art. 10-bis con la ratio acceleratoria sottesa all'istituto della denuncia e con la fissazione di un termine al potere di verifica dell'amministrazione che non può protrarsi oltre quanto espressamente previsto dal legislatore (Vacca, 1572; Amovilli).

Parte della giurisprudenza, tuttavia, ricostruendo la denuncia di inizio di attività in termini di istituto di semplificazione procedimentale, ovvero di titolo abilitativo tacito che si forma per effetto del silenzio dell'amministrazione, qualifica la fattispecie di cui all'art. 19 l. n. 241/90 quale istanza di parte volta ad ottenere un provvedimento favorevole, con conseguente applicazione dell'art. 10-bis (T.A.R. Sardegna, II, n. 1423/2009; T.A.R. Piemonte I, n. 2728/2006; T.A.R. Toscana, ord. n. 15/2006 con riferimento a una denuncia di inizio attività relativa all'installazione di una stazione radio base per la telefonia mobile).

Si nega, peraltro, l'incompatibilità dell'art. 10 -bis con le finalità acceleratorie sottese all'istituto della denuncia di inizio attività, atteso che il preavviso di rigetto comporta «un'interruzione per il solo periodo di tempo utilizzato dal richiedente per formulare le sue osservazioni, ovvero determina un'interruzione di soli dieci giorni, con un allungamento dei tempi procedimentali controbilanciato dalla funzione di garanzia per il cittadino che aspira ad una determinata utilità» (T.A.R. Veneto, III, n. 1256/2008).

Parimenti, in tema di pratiche commerciali scorrette, la giurisprudenza ha rilevato che qualora l'Autorità Garante della concorrenza e del mercato consideri manifestamente grave e scorretta una pratica commerciale e rigetti gli impegni proposti dal professionista per porre fine all'infrazione, non è tenuta a comunicare preventivamente tale rigetto ex art. 10-bis della l. n. 241/90, in quanto «l'art. 27, comma 7, d.lgs. n. 206/2005, nell'attribuire al professionista responsabile la facoltà di presentare impegni e nel disciplinare il relativo subprocedimento, non impone all'amministrazione procedente alcun onere di comunicazione preventiva di rigetto e quest'ultima, in quanto norma speciale, prevale sulla norma di cui al richiamato art. 10-bis, espressione di un principio di carattere generale» (T.A.R. Lazio, Roma I, n. 4490/2009).

Altresì, la giurisprudenza ha ritenuto, in tema di pareri resi dalla Regione che, «essendo i pareri regionali espressione di attività meramente consultiva e non provvedimentale in senso stretto, non è neppure configurabile un onere di comunicare il preavviso di rigetto in capo all'organo consultivo; l'assimilazione a taluni specifici fini (ad esempio l'immediata lesività ai fini dell'impugnazione) del parere vincolante al provvedimento non può portare ad una generalizzata estensione della disciplina dell'attività provvedimentale a quella, sostanzialmente diversa, di tipo consultivo» (T.A.R. Piemonte I, n. 2817/2009).

Ad avviso della giurisprudenza, l'art. 10-bis non si applica al condono edilizio straordinario ex art. 32, d.l. 269/2003, all'autorizzazione paesaggistica (Cons. St. V, n. 5321/2007), alla realizzazione di impianti radioelettrici (Cons. St. VI, n. 32/2008; T.A.R. Piemonte n. 338/2009), nonché al diniego di mutamento di destinazione d'uso di un immobile (T.A.R. Piemonte n. 2837/2005; T.A.R. Veneto, II, n. 2358/2005).

La disposizione di cui all'art. 10-bis, l. n. 241/1990, in tema di cd. preavviso di rigetto, non trova applicazione quando vi sono specifiche regole procedimentali sulla durata massima di una fase di riesame” di un precedente atto favorevole. In particolare, l'annullamento dell'autorizzazione paesaggistica, pur se disposto ai sensi dell'art. 159, del d.lgs. n. 42/2004, non è soggetto all'obbligo di comunicazione preventiva del preavviso di rigetto di cui all'art. 10-bis cit., in quanto costituisce esercizio, entro un termine decadenziale, di un potere che intercorre nell'ambito di un rapporto tra autorità pubbliche, integrando piuttosto una fase ulteriore, di secondo grado, la quale determina la caducazione del precedente atto abilitativo (T.A.R. Veneto, I, n. 1047/2020).

Stesse considerazioni sono poi state sostenute dalla giurisprudenza in materia di agenzia dei segretari comunali («Il provvedimento con il quale la competente sezione regionale dell'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali stabilisce di non prendere in esame una convenzione per lo svolgimento in forma associata delle funzioni di segreteria, in quanto asseritamente contrastante con specifica deliberazione dell'Agenzia con la quale si era provveduto a disciplinare la costituzione delle convenzioni di segreteria fra comuni, ponendo specifici limiti alla facoltà di convenzionamento degli enti in rapporto alla loro consistenza demografica, deve essere preceduta dalla comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento, dal momento che l'obbligo di comunicare il cosiddetto «preavviso di rigetto», sancito dall'art. 10-bis l. n. 241/1990, ha portata generale e trova applicazione in tutti i procedimenti ad istanza di parte»: T.A.R. Piemonte, I, 5 luglio 2006, n. 2739) ed in tema di procedimento di rilascio del permesso di soggiorno (T.A.R. Liguria II, n. 130/2008,), benché si ritiene che l'omissione di traduzione della comunicazione di motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza costituisce mera irregolarità, insuscettibile di determinare l'annullamento del provvedimento (T.A.R. Liguria, n. 823/2007; T.A.R. Campania, Napoli IV, n. 3548/2007. Deve segnalarsi, tuttavia, il contrario orientamento del Cons. St. VI, n. 552/2009, il quale ha invece stabilito che «Al procedimento per il rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto procedimento ad istanza di parte, si applica la norma di cui all'art. 10-bis della l. n. 241/1990. Ne consegue l'illegittimità del decreto di diniego del permesso di soggiorno emanato dal questore in mancanza del preavviso di rigetto»).

Similmente, la giurisprudenza ha ritenuto applicabile l'art. 10-bis della l. n. 241/90 a fronte di istanza per la conferma dell'interessato nelle funzioni di Giudice di Pace, statuendo che «non si scorge alcuna ragione per cui gli istituti di partecipazione disciplinati dalla l. n. 241/1990 siano suscettibili di «deroga» in relazione alla particolare posizione di autonomia di cui gode l'Organo di autogoverno della magistratura: con la quale, invero, essi non possono in alcun modo interferire» (T.A.R. Lazio, Roma I, n. 11657/2009).

Nell'ambito del procedimento finalizzato al riconoscimento di infermità o lesione dipendente da causa di servizio non trova applicazione la normativa di cui all'art. 10-bis della l. n. 241/1990, essendo detto procedimento normato analiticamente dal d.P.R. n. n. 461/2001, con prevalenza della disciplina speciale su quella generale contenuta nella legge sul procedimento amministrativo (T.A.R. Sicilia-Catania, III, n. 2464/2020).

L'art. 10-bis della l. n. 241/1990 non trova applicazione nell'ambito del procedimento per ottenere il nulla osta alla proiezione in pubblico di film, in quanto descritto la l. n. 161/1962 garantisce già ampiamente le pretese partecipative dell'interessato, consentendogli di impugnare le decisioni della Commissione di primo grado davanti a quella di secondo grado ai sensi dell'art. 7 della stessa l. n. 161/1962 (Cons. St. VI, n. 8403/2019).

La norma in oggetto, poi, non è applicabile ai ricorsi amministrativi, che costituiscono un ambito di attività sottratta all'applicazione della legge generale sul procedimento amministrativo, in virtù della sua funzione sostanzialmente giustiziale, che la avvicina maggiormente ai principi propri dei rimedi giurisdizionali piuttosto che a quelli dei procedimenti amministrativi.

In particolare, si è affermato che «in sede di ricorso gerarchico non sussiste alcun obbligo di comunicazione dei motivi ostativi trattandosi di procedimento giustiziale sottoposto a regole procedurali proprie, le quali garantiscono adeguatamente il contraddittorio e la partecipazione del ricorrente». (T.A.R. Lombardia, Milano III, n. 81/2009; Cons. St., cons., n. 2518/2008).

La ratio dell'art. 10-bis, invero, si sostanzia nell'anticipazione del contraddittorio ad una fase «pre-contenziosa»: ne consegue, evidentemente, che la norma in questione non può trovare applicazione per i procedimenti di amministrazione contenziosa, ancorché sprovvisti di natura giudiziale. In tal senso depone innanzitutto la lettera della norma, che fa espresso riferimento ai soli procedimenti ad istanza di parte, ovvero per i quali viene fatta valere dal privato la pretesa ad un bene della vita, conseguibile tramite un provvedimento amministrativo. Il ricorso amministrativo, invece, non può essere considerato un'istanza procedimentale, sostanziandosi invece in una contestazione di un provvedimento già emanato e per il quale il procedimento di secondo grado è istituzionalmente preordinato a realizzare un contraddittorio interno all'amministrazione sul provvedimento, prima di arrivare alla sede giurisdizionale (Cons. St., comm. spec., n. 2518/2008; T.A.R. Umbria, n. 5/2006).

La dottrina, poi, ha sottolineato come il ricorso gerarchico si snodi secondo una tempistica prestabilita, atteso che, a mente dell'art. 6 d.P.R. n. 1199/1971, decorsi novanta giorni dalla data della sua presentazione, si apre la strada per il ricorso giurisdizionale o straordinario. Ammettere l'operatività del meccanismo procedurale di cui all'art. 10-bis, che comporta la sospensione dei termini per provvedere, con il decorso ex novo dalla scadenza del termine di dieci giorni assegnato all'interessato per le sue osservazioni e documenti, significherebbe raddoppiare i termini della decisione in spregio ai principi di efficienza e semplificazione amministrativa, a fronte di una sostanziale duplicazione del contraddittorio.

La dottrina più accorta osserva che i ricorsi amministrativi sono decisi da un soggetto che, ancorché interno all'amministrazione, ha un dovere di imparzialità: ne consegue il necessario rispetto del principio di segretezza fino alla pubblicazione della decisione affinché l'organo decidente non sia influenzato dalle parti.

L'art. 10 -bis , infine, non è applicabile in materia di accesso, assoggettata ad una specifica disciplina (T.A.R. Lombardia, III, n. 1917/2013; T.A.R. Lazio, III, n. 33/2012), anche se giurisprudenza successiva (Cons. St. IV, n. 2330/2018; T.A.R. Campania, Napoli III, n. 95/2020) è di avviso contrario, ravvisando la possibilità di interrompere il termine di 30 giorni previsto per la conclusione del procedimento di accesso per effetto della comunicazione di cui all'art. 10-bis, da intendersi quale norma generale applicabile a tutti i procedimenti ad istanza di parte, ivi compresi quelli de quibus.

La giurisprudenza ha poi escluso l'applicabilità del preavviso di rigetto alla conferenza di servizi, siccome disciplinata da un procedimento ad hoc, nel quale «la partecipazione è garantita dalla presenza dell'interessato che ha ampia possibilità di interloquire con i soggetti pubblici, in funzione sia collaborativa che difensiva» (T.A.R. Lombardia, Milano II, n. 6161/2008). Ad avviso del T.A.R. Veneto, III, n. 1819/2007, «La commissione regionale v.i.a. è assimilabile, per la sua articolata composizione ad una conferenza di servizi istruttoria anche quando non operi nella forma integrata: le disposizioni comuni in materia, di cui agli artt. 14 ss., l. n. 241/1990 non prevedono in termini generali l'applicazione alle conferenze di servizi dell'art. 10-bis, della predetta l. n. 241; anche ad ammettere che, nel procedimento de quo, possa trovare applicazione lo stesso art. 10-bis, ciò non può avvenire all'interno del subprocedimento relativo alla formazione del parere: in questo, invero, il ruolo del proponente è puntualmente definito, e la sua partecipazione è prevista nel corso dell'indagine pubblica che la commissione può disporre e che, per la sua specialità, esclude ulteriori forme di partecipazione sino al momento in cui l'organo ha definito il suo giudizio, esercitando la sua funzione e consumando così il suo potere».

Modalità e contenuto del preavviso di diniego e osservazioni tardive.

La legge non descrive particolari modalità o contenuti per il preavviso di rigetto, limitandosi a stabilire che di detto avviso si occupa il responsabile del procedimento ovvero il responsabile del provvedimento finale, senza peraltro individuare le ipotesi in cui esso competa all'uno piuttosto che all'altro.

Nel silenzio normativo, la lettura preferibile è quella che fa dipendere il mittente della comunicazione dalla fase in cui si è giunti all'elaborazione del potenziale provvedimento negativo. Generalmente, essa avviene a seguito della compilazione della relazione conclusiva dell'istruttoria di cui all'art. 6 lett. e), l. n. 241/1990, la quale deve essere corredata da una proposta di provvedimento finale: ne consegue che il preavviso di diniego è di competenza del responsabile del procedimento. Ove invece il dirigente preposto alla decisione decida di discostarsi dalla proposta di provvedimento – favorevole – emessa dal responsabile del procedimento, graverà su di lui l'obbligo di provvedere alla comunicazione di cui all'art. 10-bis (Passoni).

La norma tace anche in merito alla forma che la comunicazione in commento deve rivestire. Per tale ragione deve ritenersi che la comunicazione di preavviso di rigetto debba essere assoggettata al generale principio di libertà di forma, anche se è verosimile ritenere che la prassi privilegerà sicuramente la forma scritta, anche per la maggiore facilità di prova nella eventuale fase contenziosa, salvo che l'amministrazione non preferisca convocare personalmente gli interessati per comunicare le sue valutazioni in ordine alle risultanze istruttorie (T.A.R. Campania, I, n. 5019/2020).

Trattandosi di procedimenti a istanza di parte, il preavviso di rigetto deve essere personale, escludendosi la possibilità di comunicazioni in forme impersonali anche laddove l'istanza risulti sottoscritta da un numero elevato di soggetti. Deve negarsi, inoltre, che al preavviso sia applicabile l'art. 3, comma 4, l. n. 241, che prescrive l'indicazione del termine e dell'autorità cui è possibile ricorrere, trattandosi di atto improduttivo di effetti costitutivi e, quindi, non immediatamente impugnabile.

Per quanto attiene al contenuto della dichiarazione, esso non può consistere nella generica affermazione dell'emanazione di un prossimo provvedimento sfavorevole, dovendo invece indicare tutte le ragioni in base alle quali l'istanza presentata dal privato debba essere rigettata, in modo da permettere al privato di presentare le proprie osservazioni.

Inoltre, particolare rilievo in termini di responsabilizzazione dell'azione amministrativa e di celerità procedimentale assume la novità introdotta dalla l. 180/2011, che inserendo un ultimo periodo, ha stabilito che: «Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all'accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all'amministrazione». In questo modo si scongiura l'eventualità che fenomeni di cattiva amministrazione si riverberino sulla possibilità per l'istante di ottenere un provvedimento favorevole.

Pertanto, se ne inferisce che il contenuto del provvedimento conclusivo di diniego si inscriva nello schema delineato dal preavviso di rigetto, «il quale deve contenere la motivazione della decisione in nuce dell'Amministrazione, dovendosi ritenere precluso all'Amministrazione fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, non enucleabili dalla motivazione dell'atto endoprocedimentale» (T.A.R. Lazio, Roma II-bis, n. 11946/2009). Ne consegue che l'adozione di un provvedimento negativo «a sorpresa» in base a motivi differenti da quelli comunicati all'istante, costituisce violazione dell'art. 10-bis e pertanto comporta l'illegittimità del provvedimento emanato (T.A.R. Puglia, Bari II, n. 2965/2006).

Si impone, infatti, un vincolo di corrispondenza tra quanto comunicato in preavviso e quanto determinato in via definitiva, residuando all'amministrazione, in sede decisoria, la facoltà di qualificare giuridicamente in modo differente la fattispecie concreta o motivare il provvedimento finale con argomentazioni nuove che siano conseguenza delle difese del privato, ma non certo motivare ex novo la determinazione amministrativa negativa (T.A.R. Lazio, Roma I, n. 2553/2006).

La giurisprudenza in senso parzialmente differente ha affermato che «non deve sussistere necessariamente corrispondenza totale, tale da assurgere a condizione di legittimità del provvedimento finale, in ogni dettaglio tra il contenuto del preavviso di rigetto ed il successivo diniego, ben potendo l'amministrazione, sulla base delle osservazioni del privato, ma anche in via autonoma, precisare meglio le proprie posizioni giuridiche nell'atto di diniego, che assume, esso solo, natura di atto lesivo») (T.A.R. Veneto I, n. 742/2020; Cons. St. IV, n. 6325/2007).

Conseguentemente, sebbene difetti un obbligo puntuale di corrispondenza tra contenuto del preavviso di rigetto e quello del provvedimento conclusivo del procedimento, la giurisprudenza esclude che il provvedimento finale possa essere fondato su ragioni del tutto nuove rispetto a quelle dedotte nella comunicazione dei motivi ostativi (T.A.R. Campania, Salerno I, n. 1236/2021; T.A.R. Piemonte, I, n. 503/2007).

Inoltre, il vincolo della corrispondenza non può essere sacrificato per il solo fatto che l'assunzione del provvedimento competa a soggetto diverso da quello responsabile dell'istruttoria, con la conseguenza che tale vincolo deve ritenersi sussistente anche nei procedimenti caratterizzati dalla scissione tra fase istruttoria e fase decisoria.

L'elisione di tale vincolo può essere censurata in sede giurisdizionale mediante impugnazione del provvedimento finale unitamente al preavviso di rigetto (T.A.R. Campania, Napoli VII, n. 1614/2006).

Anche se non deve sussistere un rapporto di identità, tra il preavviso di rigetto e la determinazione conclusiva del procedimento, né una corrispondenza puntuale e di dettaglio tra il contenuto dei due atti, ben potendo la pubblica amministrazione ritenere, nel provvedimento finale, di dover meglio precisare le proprie posizioni giuridiche, occorre però che il contenuto sostanziale del provvedimento conclusivo di diniego si inscriva nello schema delineato dalla comunicazione ex art. 10-bis della l. n. 241/1990, esclusa ogni possibilità di fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, non enucleabili dalla motivazione dell'atto endoprocedimentale, dato che altrimenti l'interessato non potrebbe interloquire con l'amministrazione anche su detti profili differenziali né presentare le proprie controdeduzioni prima della determinazione conclusiva dell'ufficio (T.A.R. Veneto II, n. 785/2021).

Con la comunicazione di cui all'art. 10-bis si avvia una specifica fase procedimentale e pre-decisionale, a contraddittorio pieno, nella quale si innestano le controdeduzioni del soggetto destinatario del provvedimento, con le quali questi può far valere eventuali profili di illegittimità dell'atto finale, rinvenibili dall'atto prodromico, profili che dovranno poi essere valutati dall'amministrazione con il provvedimento conclusivo del procedimento (T.A.R. Liguria II, 24 maggio 2007, n. 823/2007; T.A.R. Campania, Napoli III, n. 295/2007).

Il termine per presentare osservazioni.

Ai sensi dell'art. 10-bis, il diritto del privato di presentare osservazioni unitamente a eventuali documenti deve essere esercitato entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione. Secondo parte della dottrina, si tratterebbe di termine perentorio, come tale determinante la decadenza dal diritto nell'ipotesi di inutile decorso atteso che, opinando diversamente, si rischierebbe di pregiudicare la valutazione delle stesse osservazioni presentate dai privati, nonché la conclusione del procedimento, nell'ipotesi in cui tali apporti difensivi dovessero pervenire in prossimità della scadenza del termine di conclusione del procedimento.

In considerazione di ciò, l'amministrazione non sarebbe obbligata a valutare le osservazioni tardive, residuando in capo alla stessa la mera facoltà di considerarle ai fini dell'assunzione della determinazione conclusiva qualora consentito dai tempi dell'istruttoria (T.A.R. Sicilia, Catania IV, n. 208/2020).

Tuttavia, la giurisprudenza maggioritaria, contrariamente al richiamato orientamento, ha ritenuto che «il termine di dieci giorni è perentorio solo nel senso che esonera l'amministrazione dal tener conto dei documenti tardivamente inviati e pervenuti dopo che il provvedimento negativo sia stato adottato, ma nell'ipotesi in cui i documenti siano comunque pervenuti prima dell'adozione del provvedimento negativo sussiste l'obbligo dell'amministrazione di esaminarli» (TRGA, n. 120/2021; T.A.R. Campania, Salerno, II, n. 1632/2020; T.A.R. Molise I, n. 144/2019. Conseguentemente, il termine di conclusione del procedimento decorre ex novo dalla presentazione tardiva delle osservazioni, T.A.R. Lazio-Roma, II- bis, n. 2690/2009).

Preavviso di diniego e termini procedimentali.

Al secondo periodo del comma 1 dell'art. 10-bis, il legislatore della novella ha provveduto a coordinare la fase endoprocedimentale pre-decisionale, instauratasi a seguito del preavviso di rigetto, con la generale previsione del termine di conclusione del procedimento di cui all'art. 2 l. n. 241/1990. Nello specifico, la norma prevede che la comunicazione ex art. 10-bis interrompe i termini per concludere il procedimento, che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del suddetto termine.

Dottrina e giurisprudenza si sono interrogati sulla effettiva portata della norma in questione e segnatamente sul tipo di interazione tra preavviso di diniego e termini procedimentali.

Taluni Autori ritengono che la norma faccia riferimento all'interruzione dei termini procedimentali, debba ritenersi secondo un'interpretazione restrittiva che la comunicazione di cui all'art 10 -bis implicherebbe la mera sospensione dei termini procedimentali, i quali ricomincerebbero a decorrere dal punto in cui erano all'atto della presentazione delle osservazioni ovvero alla scadenza del termine di dieci giorni per produrle. Diversamente opinando, infatti, si otterrebbe un allargamento indiscriminato dei termini procedimentali, in spregio al dettato di cui all'art. 2 l. n. 241/1990.

Tale orientamento, tuttavia, non è stato accolto dalla giurisprudenza (T.A.R. Lazio, Roma, II- bis, n. 2690/2009; T.A.R. Veneto, III, n. 2257/2006): si è osservato, infatti, che contrasta con il predetto orientamento il tenore letterale della norma, la quale parla di interruzione dei termini procedimentali e non già di mera sospensione. Ne consegue, pertanto, che, presentate le osservazioni del privato ovvero scaduti i termini per produrle, i termini procedimentali ricominciano a decorrere ex novo. D'altro canto, si osserva che la presentazione delle osservazioni da parte del privato ha senso solo se la p.a. può continuare l'istruttoria per una maggior ponderatezza delle scelte da parte dell'amministrazione procedente, con la conseguente valorizzazione del contraddittorio procedimentale.

In origine il preavviso produceva come primo effetto l'interruzione del termine di conclusione del procedimento. Esso iniziava nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine per la loro presentazione. Il legislatore con il d.l. n. 76/2020 ha fatto chiarezza, sposando la tesi che comporta una maggiore accelerazione procedimentale, prevedendo ora espressamente che il termine di conclusione del procedimento è sospeso e non interrotto.

L'appesantimento temporale e procedurale prodotto da tale effetto interruttivo ha portato alla riforma attuata dal D.L. Semplificazioni n. 76/2020.

L'articolo 12 di tale normativa ha modificato l'articolo 10-bis nel senso di sostituire l'interruzione dei termini del procedimento con la sospensione degli stessi. In particolare, si prevede che, in caso di preavviso di diniego, i termini del procedimento sono sospesi e ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni da parte dell'interessato. La disposizione inoltre è finalizzata a evitare che l'annullamento del diniego conseguente al mancato accoglimento delle osservazioni del privato a seguito della predetta comunicazione dia luogo a plurime reiterazioni dello stesso esito sfavorevole con motivazioni sempre diverse, tutte ostative, parcellizzando anche il processo amministrativo; in sostanza si riconduce a un'unica impugnazione giurisdizionale l'intera vicenda sostanziale evitando che la parte sia costretta a proporre tanti ricorsi quante sono le ragioni del diniego, perché non comunicate tutte nel medesimo atto.

Attraverso il recepimento del criterio dell'one shot procedimentale, si obbliga inoltre la PA all'immediata esternazione delle ragioni di diniego. Salvo le sopravvenienze, l'accoglimento del ricorso giurisdizionale sancirà la consumazione del potere di diniego e l'attribuzione del bene della vita con un giudizio sul rapporto.

Preavviso di diniego e motivazione: il d.l. Semplificazioni n. 76/2020, convertito dalla l. n. 120/2020

L'istituto del preavviso di diniego del provvedimento ha ancor più irrobustito l'istituto motivazionale di cui all'art 3. l. n. 241/1990.

Sotto un primo profilo, infatti, si è già anticipato che il provvedimento finale di rigetto non può essere adottato sulla base di motivazioni diverse da quelle comunicate al privato con il preavviso di diniego: ne consegue che ove la p.a. ritenga di dover rigettare l'istanza del privato sulla base di una diversa, ulteriore motivazione, essa dovrà inviare un nuovo avviso ex art. 10-bis, consentendo in tal modo il contraddittorio procedimentale sui nuovi rilievi, pena l'illegittimità dell'atto. Lo ius variandi deve quindi considerarsi limitato ed essere giustificato con riferimento alle motivazioni addotte dall'istante od alla riapertura della fase istruttoria o a fatti sopravvenuti (T.A.R. Campania, Napoli II, 23 maggio 2008, n. 4969). Anche una decisione favorevole dovrà essere motivata con riferimento alle ragioni per cui le motivazioni precedenti, che conducevano ad un risultato diverso, sono state ritirate (T.A.R. Lombardia, Milano III, n. 1931/2009).

Inoltre, l'elemento motivazionale del provvedimento finale rileva vieppiù in relazione a quanto stabilito dall'art. 10 -bis in riferimento alla facoltà del privato di presentare osservazioni e memorie in dieci giorni dalla comunicazione. Sulla p.a., infatti, grava l'obbligo di prendere in considerazione il nuovo materiale prodotto: ove ritenga di procedere comunque all'adozione del provvedimento sfavorevole, deve dar conto delle ragioni in base alle quali dette osservazioni debbano essere disattese, ancorché in via sintetica, in modo comunque da rendere sufficientemente percepibile la ragione del mancato adeguamento dell'azione della p.a. alle deduzioni difensive del privato pena, ancora una volta, l'annullamento dell'atto per violazione di legge (T.A.R. Toscana II, n. 1168/2009, ha riconosciuto che «La regola procedimentale dell'art. 10-bis della l. n. 241/90 – che valorizza il momento del contraddittorio fra privato e amministrazione ed incide sul contenuto dell'atto finale indicando un contenuto necessario della motivazione – risulta violata quando non vengano illustrate, nella motivazione del provvedimento finale, le ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni rese dalla parte interessata, non potendosi in tale evenienza porre rimedio alla violazione con integrazione in via postuma in sede processuale»).

Autorevole dottrina poi, ha sottolineato la necessità della motivazione anche nel caso in cui, pur nell'assenza dell'intervento del privato a seguito della comunicazione ex art. 10-bis, l'amministrazione ritenga di disattendere il precedente preavviso e adottare un provvedimento favorevole. Una diversa soluzione, invero, sarebbe contraria al principio di ragionevolezza, che impone alla p.a. di operare in maniera coerente e rendere sempre conoscibile l'iter logico-giuridico sotteso alle proprie scelte a tutti i soggetti coinvolti nel procedimento.

Il d.l. n. 76/2020 è intervenuto sul tema, modificando la norma in esame, con l'intento di chiarire più compiutamente l'onere motivazionale che grava sull'amministrazione nel caso in cui l'istante abbia presentato osservazioni a valle del preavviso di diniego e con l'intendo di chiarire i rapporti tra il giudicato di annullamento e il riesercizio del potere da parte dell'amministrazione.

Quanto al primo profilo la novella ha chiarito che l'amministrazione deve dare conto in modo compiuto, qualora l'istante presenti osservazioni, di quali siano le ragioni che il privato non sia riuscito a superare con il suo contributo di osservazioni. Pertanto, il contenuto del provvedimento di diniego dovrà esporre quei motivi che l'amministrazione ha ritenuto insuperabili nonostante i rilievi mossi dall'istante. In questo modo la motivazione provvedimentale si concentra sui soli elementi che a giudizio dell'amministrazione non consentono l'accoglimento dell'istanza a valle del contraddittorio con il cittadino.

Quanto al secondo profilo la disposizione introdotta, la cui sedes materiae appare dubbia, considerato i risvolti processuali che la caratterizzano, limita il riesercizio del potere da parte dell'amministrazione. Quest'ultima, infatti, è onerata di utilizzare tutti i motivi contrari all'accoglimento dell'istanza a partire dal momento in cui gli stessi emergono a valle dell'istruttoria svolta, senza che possa recuperarli una volta investita nuovamente a seguito della caducazione del provvedimento di diniego. Si tratta di una disposizione che va nel senso di responsabilizzare l'amministrazione e di radicare il potere al tempo in cui lo stesso deve essere esercitato, secondo le risultanze che emergono quando l'istruttoria è svolta. L'adozione del provvedimento consuma, quindi, in parte qua il potere, nel senso che l'amministrazione non potrà che accogliere l'istanza del privato, all'indomani della caducazione giudiziale del diniego, anche se ragioni non espresse in prima battuta imporrebbero di respingere ulteriormente l'istanza ogni qual volta le stesse fossero evincibili già al tempo del primo diniego. Deve notarsi, peraltro, che il detto limite vale espressamente solo per l'ipotesi di annullamento giurisdizionale e non per le altre ipotesi di caducazione dell'atto da parte della stessa o di altra amministrazione.

Omissione del preavviso di diniego e vizi del provvedimento finale.

La comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10-bis, l. n. 241/1990, instaura un contraddittorio predecisorio con il privato al quale, attraverso la presentazione di osservazioni e documenti, è attribuita la possibilità di dimostrare l'infondatezza delle argomentazioni a supporto del giudizio negativo formulato dall'amministrazione (T.A.R. Lazio, Roma III, 19 gennaio 2009, n. 279; T.A.R. Campania, Napoli III, 30 aprile 2009, n. 2246; T.A.R. Toscana, II, 17 giugno 2009, n. 1058). Conseguentemente, il preavviso di rigetto, in quanto atto endoprocedimentale, è privo di immediata lesività (ex multis, T.A.R. Lazio, Roma II, 20 luglio 2009, n. 7147) e pertantola sua autonoma impugnazione rende inammissibile il ricorso per difetto di interesse: «La finalità perseguita dall'art. 10-bis, l. n. 241/1990 è quella di assicurare all'interessato la possibilità di partecipare concretamente al procedimento amministrativo attivato nei suoi confronti, dovendosi consentire al privato di interloquire con la P.A. in ordine agli elementi di giudizio coinvolti nella gestione del procedimento stesso: ne consegue che se nella specie le garanzie di partecipazione procedimentale siano state sufficientemente assicurate al ricorrente con varie richieste di integrazione documentale volte ad acquisire elementi di cognizione e di giudizio per la definizione della pratica, l'omessa comunicazione del preavviso di rigetto non invalida l'atto finale» (T.A.R. Puglia-Bari, III, n. 2100/2010).

Difatti, la giurisprudenza ha precisato che l'obbligo di dare comunicazione dell'avvio del procedimento (d'ufficio) di cui all'art. 7 della l. n. 241/1990, ovvero del preavviso di un provvedimento negativo ai sensi dell'art. 10-bis della stessa legge (nell'ipotesi di procedimenti ad iniziativa di parte, quale quello di specie), non rileva ex se, in quanto non può essere applicato meccanicamente o formalisticamente, nel senso, cioè, che l'omissione delle menzionate attività partecipative costituisca sempre e comunque un vizio di illegittimità del provvedimento conclusivo. Ciò, in applicazione del principio di dequotazione dei vizi formali del procedimento amministrativo non incidenti sul contenuto sostanziale del provvedimento, recepito dall'art. 21-octies della l. n. 241/1990 (introdotto dall'art. 14 della l. n. 15/2005) (T.A.R. Lazio, Roma II-quater, n. 11779/2009).

Deve tuttavia evidenziarsi che non si tratta di orientamento pacifico: non manca, infatti, chi ritiene che il preavviso di rigetto o preavviso di diniego di cui all'art. 10-bis l. n. 241/90, anche se non è di per sé un atto autonomamente lesivo, può essere ugualmente impugnato dal destinatario, specie quando è suscettibile di determinare un arresto procedimentale, fermo in ogni caso restando l'onere di tempestiva impugnativa del diniego definitivo eventualmente adottato nelle more del giudizio, a pena di inammissibilità del ricorso iniziale (T.A.R. Lazio, Latina I, n. 19/2009).

L'omissione della comunicazione dei motivi ostativi al procedimento, ovvero la decisione in difformità rispetto a quanto comunicato ex art. 10-bis, invece, si riverberano sul provvedimento conclusivo del procedimento, illegittimo per violazione di legge senza possibilità di sanatoria: «ai sensi dell'art. 10-bis, l. n. 241/1990, la mancata comunicazione, a fronte di attività discrezionale della p.a., dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda (nel caso di specie: mancanza del nulla osta idrogeologico) costituisce vera e propria violazione di legge e rende illegittimo il provvedimento, dato che tale disposizione consente l'instaurazione di un contraddittorio con gli interessati finalizzato alla rappresentazione della posizione all'interno del procedimento» (T.A.R. Calabria, Catanzaro II, n. 336/2007). Deve evidenziarsi, comunque, che «Il riconoscimento della sussistenza dell'anzidetto vizio procedimentale non postula la «necessità» di riassumere in servizio l'istante, essendo rimesso all'Autorità competente soltanto il compito di riavviare il procedimento con l'adozione dell'atto, di cui al citato art. 10-bis della l. n. 241/90» (Cons. St. n. 1052/2008).

Ne consegue pertanto che avendo il preavviso di diniego lo scopo di consentire al privato di venire a conoscenza delle ragioni che impediscono l'accoglimento della sua istanza prima che il provvedimento negativo divenga definitivo e, quindi, di rappresentare all'Amministrazione tutte le circostanze di fatto e di diritto che egli dovesse valutare utili per l'adozione di un atto finale a lui favorevole; segue da ciò che si può prescindere dalla comunicazione ex art. 10-bis l. n. 241/1990 solo allorché la parte interessata ha comunque acquisito preventiva conoscenza dei motivi ostativi all'esito positivo del procedimento attivato su sua istanza, nonché nel caso in cui risulta che l'interessato ha comunque esercitato le proprie facoltà partecipative e ogni qualvolta emerga che l'Amministrazione già poteva disporre di una rappresentazione completa di tutte le circostanze di fatto e di diritto venute in rilievo nel procedimento (T.A.R. Emilia Romagna-Parma, n. 3/2009; T.A.R. Lazio, Roma III-ter, n. 11651/2009).

Così opinando, e accogliendo una lettura non formalistica dell'art. 10-bis in omaggio al principio del raggiungimento dello scopo, la giurisprudenza ha escluso l'annullabilità del provvedimento negativo non preceduto dal preavviso di rigetto ogni qualvolta tale omissione non ha determinato una concreta ed effettiva lesione dei diritti partecipativi del privato.

Non sussiste alcuna lesione nell'ipotesi in cui il destinatario del provvedimento negativo ha comunque avuto modo di conoscere aliunde le ragioni ostative al rilascio del provvedimento e di confutarle efficacemente, sicché la riproposizione delle stesse risulterebbe non solo inutile ma anche dispendiosa e, come tale, contraria ai principi di efficacia e buon andamento dell'azione amministrativa (T.A.R. Puglia, Lecce II, 24 agosto 2006, n. 4281).

Parimenti, si è ritenuto non idoneo a determinare la caducazione del provvedimento finale il concentrare in un unico documento sia il preavviso di rigetto che la determinazione finale subordinandone l'efficacia alla mancata produzione di osservazioni e memorie nel termine prescritto atteso che «siffatto modo di procedere, pur non strettamente aderente alla disciplina dell'art. 10-bis non si è tradotto in una sostanziale deminutio delle prerogative partecipative, essendo stata l'interessata posta in condizione di presentare memorie ed osservazioni, sicché risulta raggiunto lo scopo, cui tende la norma in questione, di permettere una effettivo confronto fra amministrazione e privati anteriormente all'adozione di un provvedimento negativo» (T.A.R. Lombardia, Milano III, n. 1931/2009).

La questione merita oggi una differente lettura in ragione della modifica operata dal d.l. n. 76/2020 all'art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990, che esclude espressamente per i provvedimenti a contenuto discrezionale che l'omessa adozione del preavviso di diniego possa essere superata in via giurisdizionale, dovendosi pertanto concludere che ciò comporta in ogni caso la caducazione del provvedimento finale. Al contrario, in ipotesi di provvedimento di contenuto vincolato si rafforza la tesi che la mancata adozione del preavviso di diniego non debba tradursi in via automatica nel travolgimento in sede giurisdizionale del provvedimento impugnato alle condizioni previste dal primo periodo dell'art. 21-octies. Sul tema si rinvia al commento dell'art. 21-octies.

Questioni applicative

1) L'omissione del preavviso di diniego costituisce vizio non invalidante di cui all'art. 21-octies?

Una parte della dottrina e della giurisprudenza, sottolineando l'analogia funzionale tra l'istituto del preavviso di rigetto e quello della comunicazione di avvio del procedimento, è propensa a concludere per l'applicabilità dell'art. 21- octies , comma 2, seconda parte, anche all'ipotesi di omessa comunicazione dei motivi ostativi. L'omissione del preavviso di rigetto, pertanto, non comporta l'annullabilità dei provvedimenti vincolati, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, quando sia palese che il contenuto dispositivo degli stessi non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, nonché dei provvedimenti discrezionali qualora l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Ciò si verifica quando si accerti che, nonostante la mancanza di comunicazione, l'istante è stato avvertito della probabile reiezione della domanda ed il contraddittorio si è egualmente sviluppato in modo adeguato. Alle stesse conclusioni, inoltre, deve giungersi, seguendo questa linea interpretativa, nell'ipotesi in cui, mancando il contraddittorio di fatto, comunque il provvedimento finale non avrebbe potuto avere un contenuto diverso.

Diversamente orientata è altra parte della giurisprudenza, secondo cui la sanatoria di cui all'art. 21- octies , comma 2, seconda parte, è riferibile alle sole violazioni procedimentali concernenti la mancata comunicazione di avvio del procedimento, e non anche alla mancata comunicazione di cui all'art. 10-bis (v., sull'articolo 21-octies, comma 2, il Capitolo 6).

Tale opzione è stata avallata dall'art. 12 del d.l. n. 76/2020, che ha in questo senso modificato l'art. 21-octies cit.

2) È applicabile l'art. 10-bis alle ipotesi di silenzio significativo?

La questione va trattata in modo distinto a seconda che si faccia riferimento ad un'ipotesi di silenzio diniego ovvero ad un'ipotesi di silenzio assenso.

Nel primo caso la soluzione preferibile è senz'altro quella negativa, posto che in tali ipotesi manca ontologicamente la formale adozione di un provvedimento espresso, presupposto imprescindibile di applicabilità dell'istituto e l'amministrazione non è tenuta a giustificare le ragioni alla base del rigetto dell'istanza del privato. Non è tuttavia mancato chi (Vacca) ritenga applicabile in via esegetica l'art. 10-bis, ritenendo che l'adozione del provvedimento alla quale fa riferimento la norma debba intendersi quale indicazione temporale del momento di conclusione del procedimento, e non già quale atto provvedimentale formalisticamente inteso.

In tal senso sembra orientata la giurisprudenza più recente, la quale assimila la violazione dell'obbligo di comunicare il preavviso di diniego alla diversa ipotesi di violazione del precetto di cui all'art. 7 l. n. 241/1990, che, per orientamento ormai prevalente, resta ininfluente in caso di violazioni solo formali (T.A.R. Campania, Salerno I, n. 2320/2016).

Tale teoria, seppur suggestiva, in quanto evita facili elusioni ad opera della p.a. dell'art 10-bis mediante il ricorso al meccanismo del silenzio significativo, sembra però snaturare completamente la ratio del silenzio, ponendo un onere endoprocedimentale a carico della p.a. che non trova alcun fondamento normativo.

Diversa conclusione deve, invece, raggiungersi per il caso del silenzio assenso, trattandosi di un'ipotesi in cui il provvedimento negativo è sempre espresso e quindi deve essere preceduto dal preavviso di diniego (Cons. St. VI, n. 7930/2019; TRGA, n. 140/2017).

Secondo una prima tesi (Di Mario, 463; Morbidelli, 268), il preavviso di diniego non è idoneo ad impedire la formazione del silenzio-assenso che opera ex lege.

Secondo la tesi contrapposta, invece, l'inserimento nell'iter procedimentale del preavviso di diniego comporta che il successivo silenzio tenuto dall'amministrazione perda i caratteri di univocità ed omogeneità indispensabili per la produzione dell'effetto provvedimentale positivo previsto dalla legge, poiché tale silenzio «è sostanzialmente disomogeneo e strutturalmente contraddittorio, con la conseguenza che una sua interpretazione come silenzio – significativo costituirebbe una palese violazione dei principi dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa». Conseguentemente, a seguito della comunicazione dei motivi ostativi, sorge in capo alla p.a. l'obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso la cui violazione può essere sindacata ex art. 21-bis, L. T.A.R. (Vacca).

Da ultimo, la giurisprudenza, con riferimento all'ipotesi di cui all'art. 32, comma 37 del d.l. 269/2003, ha ritenuto che per «provvedimento negativo» che esclude il formarsi del silenzio – assenso va inteso ogni atto con cui l'amministrazione si orienta nel senso della reiezione dell'istanza, non solo quello di diniego, ma anche quello interlocutorio da emanare doverosamente ex art. 10-bis, ove siano emerse ragioni ostative nel corso del procedimento (Cons. St. IV, n. 6237/2008).

Non pare accoglibile la tesi secondo la quale il preavviso di diniego fa venire meno i presupposti per la formazione del silenzio rifiuto da parte della p.a. con la conseguente improcedibilità del ricorso per l'accertamento del silenzio della p.a. ai sensi dell'art. 21-bis, l. 6 dicembre 1971, n. 1034, anche se la p.a. non emette in termini il provvedimento finale (T.A.R. Sardegna II, n. 402/2006).

Tale tesi è stata avversata, posto che il preavviso di diniego ha carattere meramente interlocutorio ed endoprocedimentale, e non ha l'attitudine ad assumere veste provvedimentale in mancanza dell'adozione di un provvedimento esplicito (Vacca; Amovilli).

Tuttavia la comunicazione dei motivi ostativi, sebbene non idonea ad evitare la formazione del silenzio rifiuto, può rilevare sotto il profilo processuale, consentendo al privato, in sede di giudizio avverso il silenzio, di allegare tutti gli elementi che emergono dal preavviso e dal successivo eventuale contraddittorio procedimentale al fine di ottenere una tutela piena ed effettiva che non si limiti al mero accertamento dell'obbligo di provvedere (Vacca).

3) ... e alla scia?

Controversa è l'applicazione dell'art. 10- bis in caso d'adozione di atto che inibisca un'attività soggetta a SCIA.

Riconosciuta all'atto di denuncia la natura di atto di iniziativa procedimentale ne consegue che il preavviso di provvedimento sfavorevole è astrattamente applicabile a tale istituto. E tanto specie se si qualifica la DIA/SCIA come vero e proprio silenzio assenso. Anche in caso di adesione all'opposta tesi della mera dichiarazione privatistica volta a consentire lo svolgimento di un'attività liberalizzata ai sensi di legge, soccorre l'identità di ratio a suggerire l'estensione analogica della prescrizione in parola. Siffatta interpretazione non convince quanti rilevano che l'applicazione dell'art. 10-bis si scontrerebbe con l'esigenza acceleratoria perseguita dalle disposizioni della denunzia o della segnalazione. Per quanto riguarda, invece, l'applicazione dell'art. 10-bis ai casi di silenzio assenso, soccorre l'espressa previsione in senso favorevole dell'art. 20, comma 5, della l. n. 241/1990.

4) ...e ai ricorsi amministrativi?

La norma in commento, inoltre, non è applicabile ai ricorsi amministrativi (Parte XII, Capitolo 1), che costituiscono un ambito di attività sottratta all'applicazione della legge generale sul procedimento amministrativo, in virtù delle peculiarità che ne fanno un sistema autonomo. I procedimenti su ricorso, infatti, costituiscono rimedi giuridici che svolgono una funzione giustiziale e, di conseguenza, si ispirano ai principi propri dei rimedi giurisdizionali e non a quelli dei procedimenti amministrativi.

5) Occorre il preavviso di rigetto nel caso in cui sull'istanza che la P.A. ha intenzione di respingere si debba pronunciare un organo collegiale?

Un tema di recente dibattuto in sede interpretativa riguarda la necessità, o meno, di notificare agli interessati il preavviso di diniego nel caso in cui sull'istanza si debba pronunciare un organo collegiale.

Sul punto si confrontano due diverse impostazioni.

Secondo una prima tesi, la particolarità del caso non muterebbe alcunché in relazione agli obblighi posti in capo alla P.A. Di conseguenza, dal momento che l'istituto della comunicazione dei motivi ostativi è ispirato da una funzione principale di garanzia, ovvero di difesa del privato nei confronti dell'amministrazione, attuativa del principio del giusto procedimento, anche nell'ipotesi in cui debba essere un organo collegiale a pronunciarsi (negativamente) sull'istanza presentata da un privato, a quest'ultimo deve essere comunque comunicati tempestivamente i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Del resto, non si comprenderebbe, perché provare il destinatario di un presidio di garanzia proprio dinanzi agli organi collegiali, anche ni considerazione delle problematiche legate al rispetto da parte di quest'ultimi dell'obbligo di motivare il provvedimento (sul tema si rinvia al commento dell'art. 3).

Secondo un diverso orientamento, invece, in questo caso non sussiste in capo all'Amministrazione l'obbligo di comunicare i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza.

Questa tesi è stata avallata dal T.A.R. Calabria, Catanzaro, I, n. 261/2010, il quale ha ritenuto che siano sostanzialmente due le ragioni per le quali l'art. 10-bisdella l. n. 241/1990 non sia applicabile in caso di provvedimenti adottati da un organo collegiale.

La prima, è legata proprio alla natura collegiale dell'organo deputato ad adottare l'atto amministrativo: la collegialità implica che la determinazione assunta non rappresenti la sintesi delle risultanze degli accertamenti e delle valutazioni effettuate in sede istruttoria, ma derivi dall'attuazione dei meccanismi decisionali tipici di un organo collegiale. Ne consegue che, prima dell'adozione del provvedimento, non è maturata alcuna decisione in ordine all'oggetto dello stesso, e dunque non è possibile rappresentare all'interessato i motivi che ostano all'accoglimento della domanda.

La seconda, invece, è strettamente connessa alla complessità del procedimento amministrativo che, di regola, viene svolto dall'organo amministrativo collegiale. Nello specifico, il Consesso ha osservato che non può configurarsi un obbligo di preavviso di rigetto per ognuna delle determinazioni in cui si articola un procedimento di tal fatta, per quanto le stesse possano essere determinanti per l'adozione del provvedimento conclusivo; tanto, proprio in ragione della complessità del procedimento in questione e, di conseguenza, dell'esigenza logica ed evidente di non determinare un aggravamento contrario ai principi posti dalla stessa l. n. 241/1990.

6) Quali sono gli effetti del decorso del termine per la formulazione delle osservazioni?

Come osservato nel comento, entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. L'istante raggiunto dal preavviso ha, quindi, la possibilità di rispondere o meno.

Nel caso in cui l'istante non risponda, l'Amministrazione deve concludere il procedimento, entro il nuovo termine di conclusione dello stesso, con un provvedimento espresso e conforme alla proposta di provvedimento comunicata al cittadino, salvo che si siano verificati fatti sopravvenuti. Il cittadino può scegliere, di partecipare al procedimento in questa seconda fase, presentando per iscritto le sue osservazioni, eventualmente corredate da documenti, sempre entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione.

La mancanza della comminatoria di sanzioni per l'inosservanza del suddetto termine comporta che esso, secondo la prevalente giurisprudenza, debba considerarsi ordinatorio; conseguentemente, deve ritenersi che sia suscettibile di essere ampliato, in ambito regionale o locale, onde consentire ai privati di difendersi in sede procedimentale con maggiore agio. Tale termine potrà, però, essere sindacato dal giudice amministrativo qualora sia irragionevolmente dilatorio, in ossequio al divieto di aggravamento del procedimento.

In secondo luogo, poiché il termine è posto nell'interesse del privato e non dell'Amministrazione, questa dovrà accettare e valutare anche le osservazioni pervenute in ritardo, purché antecedenti la decisione. La funzione delle osservazioni è sia di tipo oppositivo che di tipo collaborativo. Esse possono riguardare sia la legittimità sia il merito del provvedimento. La valutazione comporta tre possibili esiti:

a) l'integrazione della motivazione e la conclusione del procedimento con un provvedimento sfavorevole;

b) il ritiro della proposta di provvedimento sfavorevole e l'adozione di uno favorevole;

c) la riapertura dell'istruttoria.

7) Il fascino del one shot: quali sono gli effetti dell'omessa valorizzazione motivazionale dei dati acquisiti al fascicolo procedimentale?

Un chiaro effetto prodotto dall'esternazione della proposta di provvedimento negativo e dei motivi che la sorreggono è costituito dal divieto di fondare la decisione finale negativa su motivi diversi da quelli comunicati, pena la violazione dell'obbligo di comunicazione.

Inoltre, al fine di rendere più stringente e ficcante il contraddittorio innescato dalla comunicazione dei motivi ostativi ed evitare una libertà indiscriminata e arbitraria di riesercizio del potere amministrativo, l'articolo 12 del d.l. n. 76/2020 ha stabilito che qualora gli istanti abbiano presentato osservazioni, del loro eventuale mancato accoglimento il responsabile del procedimento o l'autorità competente sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni. In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell'esercitare nuovamente il suo potere, l'amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato.

Si tratta, per quest'ultimo aspetto, di un'innovazione significativa che limita il riesercizio del potere dopo l'annullamento giurisdizionale. Al dibattito dottrinale e pretorio è affidata la valutazione del carattere eccezionale della norma o della sua idoneità a fondare un principio generale volto alla limitazione del potere a seguito dell'intervento del giudice (cd. one shot procedimentale secco).

La diposizione va inserita nella tendenza, confermata dal nuovo comma 8- bis dell'articolo 2 della l. n. 241/1990 (dopo la l. n. 120/2020, di conversione del decreto Semplificazioni n. 76) ha incrementato i casi di consumazione del potere tardivamente esercitato, abbracciando una soluzione innovativa che può sortire ripercussioni negative per l'interesse legittimo oppositivo del terzo nei rapporti trilaterali incisi dai cd. «provvedimenti a doppio effetto». In effetti, l'articolo 10- bis ha poi trasformato il cd «one shot temperato» in un «one shot procedimentale secco», che, per evitare la frammentazione del potere e del processo, apre la strada a un giudizio amministrativo di attribuzione, ma senza spettanza, con intuibili riflessi pregiudizievoli sull'intensità della cognizione giurisdizionale e sulla protezione dei terzi controinteressati portatori di un interesse oppositivo,

L'affermazione del dovere di riesame al dovere di esame nella sua interezza dell'affare impone alla pubblica amministrazione l'originaria esternazione di tutte le ragioni di diniego risultanti «ex actis»; le acquisizioni procedimentali diventano quindi un vincolo stringente in quanto devono essere dedotte immediatamente visto che la consumazione si produce all'esito del procedimento, non già del processo; la soluzione, coniata dal legislatore, per evitare la frammentazione del potere e del processo, apre la strada aun giudizio amministrativo di attribuzione, ma senza spettanza (attribuzione del bene per via della combinazione dell'illegittimità del provvedimento e della consumazione del potere), con una discutibile iper-protezione dell'interesse legittimo; un giudizio non sul rapporto, ma avulso dal rapporto; intuibili i riflessi pregiudizievoli sull'intensità della cognizione giurisdizionale e sulla protezione dei terzi controinteressati portatori di un interesse oppositivo; costoro potranno ottenere tutela solo con la tutela risarcitoria e il ricorso incidentale ex articolo 41 c.p.a. nei confronti del primo provvedimento, condizionatamente illegittimo nella parte in cui non valorizza illico et immediate tutte le ragioni di diniego risultanti dalle acquisizioni procedimentali; appare ancora, svilito il senso della comunicazione dei motivi ostativi e del corrispondente contraddittorio, visato che si consente alla p.a. di fare volere, dopo il giudicato, motivi nuovi, ma non motivi già emersi nel contraddittorio procedurale.

8) Quali sono gli effetti sostanziali e le ricadute processuali della nuova regola di preclusione amministrativa?

Secondo Cons. St. VI, 21 aprile 2021, n. 6288 , in tema di convalida nei procedimenti a istanza di parte, la definizione positiva (e non parentetica) del conflitto sarà peraltro agevolata dalla nuova regola di preclusione procedimentale di cui all'art. 10-bis, l. n. 241/1990 (come novellato dall'art. 12, comma 1, lettera e, d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120), secondo cui «In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell'esercitare nuovamente il suo potere l'amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato».

Tale precetto che impone alla pubblica amministrazione di esaminare l'affare nella sua interezza già nella fase del procedimento (e non solo nel processo, come la giurisprudenza già riteneva in alcune ipotesi: cfr. Cons. St. VI 1321/2019), sollevando, una volta per tutte la questioni ritenute rilevanti, dopo di ciò non potendo tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione ai profili non ancora esaminati – dovrà trovare attuazione, per evidenti ragioni sistematiche (e per evitare facili aggiramenti), anche nel caso di convalida per difetto di motivazione.

Ha ancora chiarito la Sezione che l'ammissibilità, nei limiti anzidetti, di una motivazione successiva non comporta una ‘dequotazione' dell'obbligo motivazionale, sussistendo adeguati disincentivi alla sua inosservanza: sul piano individuale, perché restano ferme le ricadute negative sulla valutazione della performance del funzionario; sul piano processuale, in quanto il giudice potrà accollare (in tutto o in parte) le spese di lite all'Amministrazione che (pur non soccombente, cionondimeno) abbia con il suo comportamento dato scaturigine alla controversia.

Che rapporto c'è tra divieto di integrazione postuma della motivazione e one shot provvedimentale

  T.a.r. per la Campania, sezione IV, 19 febbraio 2024, n. 1176 osserva, al riguardo che  l'amministrazione, investita dell'esercizio di attività rinnovatoria dal giudice in conseguenza dell'annullamento di un provvedimento caratterizzato da discrezionalità tecnica, deve rispettare  il vincolo conformativo derivante della decisione ed esercitare  una volta per tutte la funzione amministrativa discrezionale (c.d. one shot provvedimentale). È comunque preclusa all'Amministrazione la possibilità di sollevare profili non ancora esaminati.

La delineata teorica del one shot provvedimentale, aggiunge il Tribunale,  è innervata dal perseguimento delle istanze, di rilievo costituzionale, di certezza del diritto e di speditezza dell'azione amministrativa nonché di dovuta considerazione delle pronunce giurisdizionali, scongiurando il “rimpallo” della medesima vicenda provvedimentale tra giudice e p.a.

Espressivo del principio generale, che permea la teorica del “one shot”, è l'art. 10-bis l. n. 241 del 1990, il quale, dettato relativamente al provvedimento di diniego assunto dall'amministrazione per effetto del mancato accoglimento delle osservazioni presentate dall'interessato a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della sua istanza, disciplina la fattispecie successiva all'annullamento giurisdizionale del provvedimento “così adottato” (ossia emesso per mancato accoglimento delle osservazioni) e poi annullato dal giudice amministrativo.

Bibliografia

Amovilli, La comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza (art. 10-bis l. 241/90) tra partecipazione, deflazione del contenzioso e nuovi modelli di contraddittorio ad armi pari, in giustizia-amministrativa.it, 2009; Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2021; Chieppa, Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2021; Di Mario, La nuova partecipazione al procedimento: potenziamento o dequotazione, in Le nuove regole dell'azione amministrativa dopo le l. 15 del 2005 e n. 80 del 2005, Milano, 2005; Mele, Preavviso di diniego e garanzie partecipative. Nota a T.A.R. Puglia, Lecce, sez I, 8 giugno 2006, n. 3336, in altalex.it, 2006; Morbidelli, Il silenzio-assenso, in La disciplina generale dell'azione amministrativa, a cura di Cerulli Irelli, Napoli, 2006; Passoni, Quale tutela per le situazioni giuridiche partecipative? in altalex.it, 2005; Tarullo, L'art. 10-bis della l. n. 2 41/90: il preavviso di rigetto tra garanzia partecipativa e collaborazione istruttoria, in giustamm.it, 2005; Vacca, Comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza ex art. 10-bis l. 241/1990 e modalità di esercizio del potere amministrativo: prima ricostruzione di un complesso fenomeno di alterazioni procedimentali, in altalex.it, 2006; Vacca, Denuncia di inizio attività in materia edilizia e preavviso di diniego ex art. 10-bis l. 241/90, in Riv. giur. edilizia, 2007.

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