Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 12 - Provvedimenti attributivi di vantaggi economici 1 2 (A)

Luigi Tarantino

Provvedimenti attributivi di vantaggi economici 12(A)

 

1. La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione [ed alla pubblicazione] da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi  3.

2. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1.

 

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(A) In riferimento al presente articolo vedi: Circolare dell'Agenzia delle Entrate 11 maggio 2015, n. 20/E.

Inquadramento

L'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere e, più in generale, l'erogazione di risorse pubbliche a persone ed enti pubblici e privati richiede una particolare trasparenza, al fine di garantire la legittimità dell'azione amministrativa e di rispettare, nell'assegnazione dei detti vantaggi, i principi di imparzialità della p.a. e di uguaglianza formale e sostanziale dell'art. 3 Cost. (T.A.R. Lazio, Latina, n. 1380/2006; Cons. St. V, n. 2345/2005; T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 1077/2000; R. Galli, D. Galli (1), 918).

Per tale ragione il legislatore ha previsto, all'art. 12 l. n. 241/1990 che, ai fini dell'adozione di provvedimenti tesi a concedere sovvenzioni, contributi, sussidi, ecc., le amministrazioni devono attenersi ai criteri ed alle modalità dalle stesse predeterminate e adeguatamente pubblicizzate. La tematica è talmente importante che il legislatore ha concentrato la disciplina degli obblighi di pubblicità in capo all'amministrazione nel d.lgs. 33/2013, che ha introdotto il cd. accesso civico. In questi termini si spiega la soppressione della locuzione: «ed alla pubblicazione», da parte dell'art. 52, d.lgs. n. 33/2013. La disciplina generale sul tema è, pertanto, oggi contenuta nell'art. 26, d.lgs. n. 33/2013, secondo il quale: «1. Le pubbliche amministrazioni pubblicano gli atti con i quali sono determinati, ai sensi dell'articolo 12 della l. n. 241/1990, i criteri e le modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi per la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e per l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati.

2. Le pubbliche amministrazioni pubblicano gli atti di concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese, e comunque di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati ai sensi del citato articolo 12 della l. n. 241/1990, di importo superiore a mille euro. Ove i soggetti beneficiari siano controllati di diritto o di fatto dalla stessa persona fisica o giuridica ovvero dagli stessi gruppi di persone fisiche o giuridiche, vengono altresì pubblicati i dati consolidati di gruppo.

3. La pubblicazione ai sensi del presente articolo costituisce condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongano concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell'anno solare al medesimo beneficiario. La mancata, incompleta o ritardata pubblicazione rilevata d'ufficio dagli organi di controllo è altresì rilevabile dal destinatario della prevista concessione o attribuzione e da chiunque altro abbia interesse, anche ai fini del risarcimento del danno da ritardo da parte dell'amministrazione, ai sensi dell'articolo 30 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

4. È esclusa la pubblicazione dei dati identificativi delle persone fisiche destinatarie dei provvedimenti di cui al presente articolo, qualora da tali dati sia possibile ricavare informazioni relative allo stato di salute ovvero alla situazione di disagio economico-sociale degli interessati».

Il dettato di cui alla norma in commento, peraltro, è da considerarsi principio generale, in forza del quale l'attività di erogazione della p.a. deve in ogni caso rispondere a referenti oggettivi (e quindi definiti prima della adozione di ogni singolo provvedimento) (T.A.R. Lazio, Latina, n. 1380/2006), nonché pubblici (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 1077/2000).

L'ambito di applicazione della norma.

Il comma 1 dell'art. 12 fa espresso riferimento a sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari ed all'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati. È tuttavia pacifico, in dottrina e giurisprudenza, che la norma debba essere interpretata estensivamente, dovendosi ricomprendere nel dettato normativo tutte le erogazioni che comportino un vantaggio economico, indipendentemente dalle modalità di stanziamento e dalla natura strettamente pecuniaria delle stesse.

Devono, infatti, ritenersi erogazioni di cui all'art. 12, tutte le attribuzioni economicamente valutabili, che non comportino per il destinatario alcun onere di restituzione o di reintegrazione verso l'amministrazione erogante (T.A.R. Lazio, Latina I, n. 987/2008; T.A.R. Puglia, Bari I, n. 2689/2007).

La determinazione dei criteri e le modalità di pubblicazione.

Al fine di garantire la pubblicità e la trasparenza delle procedure di affidamento dei vantaggi economici, la p.a., a mente del comma 1 dell'articolo in commento, deve provvedere alla predeterminazione ed alla pubblicazione dei criteri e delle modalità cui la stessa deve attenersi (Cons. St. III, n. 3769/2020).

Al fine di non vanificare la funzione di garanzia della previsione normativa in parola, la giurisprudenza ha sottolineato come i criteri di cui al 1 comma dell'art. 12 devono essere effettivi, non potendo limitarsi a determinare specifiche modalità procedurali, quali, ad esempio, le procedure di presentazione e/o valutazione delle istanze, senza predeterminare, in alcun modo, i criteri sostanziali per l'individuazione dei soggetti concretamente destinatari delle agevolazioni (Corte Conti, Emilia-Romagna contr. Delib. n. 130/2021; Cons. St. V, n. 7845/2019; Cons. St. V, n. 5319/2019).

Quanto alle modalità di pubblicazione, esse sono determinate da ciascuna amministrazione, fermo restando in ogni caso la loro idoneità ad assicurarne la conoscenza, con una valutazione che non può prescindere dalle peculiarità dei singoli casi di specie: «il principio della «pubblicità adeguata» può dirsi legittimamente assicurato anche dall'uso del sito Internet, dato che il rinvio ad atti, liberamente consultabili sulla rete informatica, di per sé, non costituisce una fattore di diminuzione delle garanzie procedimentali. Pertanto, l'onere di pubblicità del procedimento di cui all'art. 12 l. n. 241/1990 è legittimamente assolto con la pubblicazione sulla G.U. di un avviso diretto a rendere nota l'esistenza di un procedimento per la concessione di benefici di carattere finanziario, se tale avviso è accompagnato dalla messa in libera consultazione sul sito elettronico del bando integrale, delle istruzioni applicative e dei modelli da compilare» (T.A.R. Lazio, Roma III, n. 2159/2004).

Le attività di soggetti terzi possono essere sostenute da un ente locale, laddove rappresentino una modalità alternativa e mediata di erogazione del servizio pubblico, siano svolte nell'interesse della comunità e siano ritenute utili per la stessa – in attuazione, quindi, dell'art. 118 Cost. – fermo restando lo scrupoloso rispetto delle forme di trasparenza e d'imparzialità, queste ultime presidiate dalla disciplina ex art. 12, l. n. 241/1990 e all'art. 26, d.lgs. n. 33 del 2013. La concessione di contributi/sovvenzioni/altri vantaggi economici, pertanto, nei limiti funzionali predetti, dovrà essere sempre preceduta da idonee forme di pubblicità e avvenire a valle di procedure competitive, non potendosi mai tradurre in un soccorso finanziario tout court ad un ente terzo. Un'elargizione di denaro può essere erogata tenendo conto delle modalità d'utilizzo delle risorse pubbliche spese, non solo attraverso l'apprezzamento dei processi decisionali ed operativi adottati in concreto, ma anche attraverso un'idonea documentazione giustificativa a supporto, fermo restando che mai vi potrà essere una discrasia tra entrate e spese (Corte conti, Lombardia, n. 146/2019).

La giurisdizione.

La posizione giuridica del soggetto beneficiario nella fase successiva al provvedimento attributivo del beneficio assume la natura di diritto soggettivo. Ne consegue, pertanto, l'attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario «quando la p.a. contrasti la pretesa all'erogazione con atti che vengono adottati a causa dell'inadempimento da parte del destinatario delle condizioni alle quali era stata subordinata la concessione del beneficio» (TRGA, Bolzano, n. 334/2017; T.A.R. Piemonte, II, 16 settembre 2002, n. 1522/2002).

In particolare, la giurisprudenza ha evidenziato che in questa materia ilriparto di giurisdizione tra g.o. e g.a. deve essere attuato distinguendo le ipotesi in cui l'erogazione è riconosciuta direttamente dalla legge ed alla p.a. è demandato esclusivamente il controllo in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti puntualmente indicati dalla legge stessa, dalle ipotesi in cui la legge riconosce alla p.a. il potere di stabilire l'ausilio ex art. 12, previa valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati in relazione all'interesse pubblico primario, apprezzando discrezionalmente l'an, il quid ed il quomodo dell'erogazione. Solo in questo secondo caso l'ausilio in questione non trae origine direttamente dalla legge, ma nasce da un provvedimento di natura concessoria e di carattere discrezionale dell'amministrazione, sicché la posizione del beneficiario assume la consistenza dell'interesse legittimo (Cons. St., Ad. plen., n. 6/2014; Cass. S.U., n. 10689/2002).

Ne consegue, pertanto, che ildiscrimine fondamentale per la individuazione del giudice fornito di giurisdizione va rapportato alle posizioni giuridiche del privato interessato, il quale può vantare nei confronti della p.a. una posizione sia di interesse legittimo (se la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento attuativo del beneficio o rispetto al potere della p.a. di ritirare in via di autotutela il provvedimento concessorio – o anche solo di sospendere l'erogazione delle provvidenze concesse – per vizi di illegittimità o per contrasto sin dall'origine con il pubblico interesse), sia di diritto soggettivo (nei riguardi tanto della concreta erogazione del beneficio oggetto del finanziamento o della sovvenzione quanto della susseguente conservazione della disponibilità delle somme erogate di fronte alla posizione assunta dalla p.a. con provvedimenti variamente definiti – revoca, decadenza, risoluzione – emanati in funzione dell'asserito inadempimento da parte del beneficiario per l'inosservanza della disciplina che regola il rapporto) (Cass. S.U., n. 225/2001; T.A.R. Molise I, n. 442/2017).

Quesitoni applicative.

1) L'erogazione di un finanziamento pubblico è una concessione di beni pubblici?

La tesi positiva è stata sostenuta, con il corollario del radicarsi della giurisdizione esclusiva del G.A.ex art. 133, comma 1, lett. b), c.p.a., in sede di rimessione alal Plenaria da Cons. St. VI, Ord. 3789/2013.

Ecco gli argomenti sostenuti in sede di rimessione

a) il potere di autotutela dell'Amministrazione, esercitato con un atto di revoca (o di decadenza), in base ai principi del contrarius actus, incide di per sé sempre su posizioni d'interesse legittimo (come si evince dalla pacifica giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato attinente ai casi in cui una concessione di un bene pubblico o di un servizio pubblico sia ritirata per qualsiasi ragione, anche nell'ipotesi d'inadempimento del concessionario);

b) l'art. 7 del codice del processo amministrativo dispone che il giudice amministrativo ha giurisdizione nelle controversie «riguardanti provvedimenti, atti [...] riconducibili anche mediatamente all'esercizio» del potere pubblico, fra i quali rientrerebbe anche il provvedimento di ritiro di un precedente atto a sua volta di natura autoritativa;

c) la configurabilità di un potere autoritativo e di un correlativo interesse legittimo, in presenza dell'esercizio del potere di autotutela, risulta più rispondente alle esigenze di certezza del diritto pubblico (divenendo l'atto di revoca inoppugnabile, nel caso di mancata tempestiva impugnazione) ed a quelle di corretta gestione del denaro pubblico, poiché l'esercizio del medesimo potere autoritativo agevola non solo il rapido recupero della somma in ipotesi non dovuta, ma anche la conseguente erogazione dei relativi importi ad altri soggetti, con ulteriori atti aventi natura autoritativa (onde neppure si giustificherebbe sul piano della logica giuridica l'attribuzione alla giurisdizione civile della controversia riguardante la legittimità dell'atto di ritiro, mentre indubbiamente sussiste quella amministrativa per le controversie riguardanti la fase di ulteriore attribuzione delle risorse recuperate a seguito dell'atto di ritiro);

d) la sussistenza della giurisdizione amministrativa potrebbe anche essere affermata, in via esclusiva, in considerazione dell'art. 12 della l. n. 241/1990, riguardante i «provvedimenti attributivi di vantaggi economici», che disciplina la «concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari», attribuendo il nomen iuris di concessione a qualsiasi provvedimento che disponga l'erogazione del denaro pubblico. Sotto tale profilo, potrebbe, allora, risultare rilevante l'art. 133, comma 1, lettera b), cod. proc. amm. sulla sussistenza della giurisdizione esclusiva per le «controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici».

e) la portata applicativa delle disposizioni di legge sopra richiamate non sarebbe riducibile in via interpretativa, per il rilievo da attribuire all'art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha condotto all'approvazione del codice del processo amministrativo, disponendo che il riassetto del medesimo dovesse avvenire «al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di princìpi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele»). Infatti, la finalità di adeguamento alla giurisprudenza della Corte costituzionale ha consentito l'elaborazione dell'art. 7 del codice, ripetitivo di espressioni contenute nelle sentenze della Corte stessa 6 luglio 2004, n. 204 e 11 maggio 2006, n. 191.

Inoltre, la distinta, e parimenti rilevante, finalità di «assicurare la concentrazione delle tutele» può aver giustificato l'attribuzione alla giurisdizione amministrativa delle controversie riguardanti – per il tramite dell'esercizio del potere di autotutela – il ritiro dei provvedimenti «attributivi di vantaggi economici», aventi ex lege natura concessoria, e dunque delle controversie che peraltro già di per sé potevano essere riferite ai rapporti inerenti alla concessione di un bene pubblico (il denaro), prima ancora delle modificazioni disposte dal codice del processo amministrativo.

Con la sentenza n. 6/14 (seguita da un indirizzo del tutto conforme fino ai giorni nostri), l'Adunanza Plenaria ha ritenuto di dover confermare il tradizionale e consolidato indirizzo giurisprudenziale, condiviso sia dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (vedi anche Ad. plen. 29 luglio 2013, n. 13), secondo cui il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere attuato sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che:

- sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l'effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l'an, il quid, il quomodo dell'erogazione (cfr. Cass.S.U., 7 gennaio 2013, n. 150);

- qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall'acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull'inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione (cfr. Cass. S.U., ord. 25 gennaio 2013, n. 1776);

- viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d'interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (Cass. S.U., 24 gennaio 2013, n. 1710; Cons. St., Ad. plen. 29 luglio 2013, n. 17).

Le pur suggestive ed articolate argomentazioni invocate nell'ordinanza di rimessione al fine di superare tale indirizzo giurisprudenziale non possono essere condivise.

Anzitutto, deve essere disatteso l'argomento chemuovendo dalla qualificazione del denaro come bene pubblico e, di conseguenza, dell'atto di erogazione come provvedimento di natura concessoria – sostiene che le controversie in materia di attribuzione (e, quindi, di revoca) di contributi o agevolazioni finanziarie rientrerebbero nella giurisdizione esclusiva di cui il giudice amministrativo dispone in materia di concessioni di beni pubblici ai sensi dell'art. 133, lett. b) cod. proc. amm. (tesi sostenuta, oltre che dall'ordinanza di remissione, anche da una parte minoritaria della giurisprudenza amministrativa: cfr. Cons. St. IV, 19 luglio 1993, n. 727; Cons. St. IV, 2 agosto 2000, n. 4255; Cons. St. VI, 16 febbraio 2005, n. 516).

Come hanno bene evidenziato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza Cass. S.U., n. 12641/2008, deve essere esclusa l'equiparabilità tra concessione di beni ed erogazione del denaro, in quanto, anche se il denaro è annoverabile nella categoria dei beni, non va confusa la figura della concessione a privati di benefici pubblici, che presuppone l'uso temporaneo da parte dei privati di detti bene per una finalità di pubblico interesse, con quella del finanziamento, che implica un tipo di rapporto giuridico del tutto diverso, in forza del quale il finanziato acquisisce la piena proprietà del denaro erogatogli ed eventualmente assume l'obbligo di restituirlo in tutto o in parte ad una determinata scadenza. Ben altrimenti, infatti, nell'uno e nell'altro caso, le finalità pubbliche s'intrecciano con l'interesse del concessionario o del finanziato, e le ragioni di non agevole distinguibilità tra posizioni di diritto soggettivo e d'interesse legittimo, che sottostanno alla scelta legislativa di attribuire alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in tema di concessione di beni o servizi pubblici, non necessariamente ricorrono nei rapporti di finanziamento. Né, d'altronde, il carattere eccezionale della giurisdizione esclusiva ne consente l'applicazione al di là dei casi indicati dalla legge (in questi termini Cass. S.U., n. 12641/2008, par. 3 della motivazione).

Inoltre, anche a prescindere dalla possibilità di riconoscere natura concessoria all'atto di erogazione del contributo, va ulteriormente evidenziato che alla sussistenza della giurisdizione amministrativa osterebbe, comunque, la riserva, prevista dallo stesso art. 133, lett.b) cod. proc. amm., a favore della giurisdizione ordinaria di tutte le questioni patrimoniali inerenti a compensi vantati dal concessionario, qualunque sia il nomen in concreto utilizzato («canoni, indennità ed altri corrispettivi») (in tal senso cfr., fra le altre, Cons. St. IV n. 1989/2002,; Cass.S.U., n. 215/1994,; Cass.S.U., n. 12164/1993).

L'insussistenza di una giurisdizione esclusiva afferente, in generale, alla materia di contributi pubblici risulta, inoltre, confermata, argomentando a contrario, dalla recente introduzione, ad opera della l. n. 234/2012 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea), nel testo dell'art. 133 del codice del processo amministrativo della lettera z-sexies. La disposizione in esame ha espressamente devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «le controversie relative agli atti ed ai provvedimenti che concedono aiuti di Stato in violazione dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di recupero di cui all'articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999, a prescindere dalla forma dell'aiuto e dal soggetto che l'ha concesso».

In questo modo, la «concessione» di aiuti non notificati e il «recupero» di aiuti incompatibili diventano, per tabulas , materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Nell'ambito della variegata categoria dei contributi pubblici, il legislatore ha, dunque, selezionato una species, (quella dei contributi che costituiscono aiuti di Stato), attribuendoli espressamente alla giurisdizione esclusiva, realizzando così una reductio ad unitatem, con l'effetto di escludere le altre giurisdizioni nazionali (ordinaria e tributaria) e di superare le diversità delle molteplici discipline sostanziali. Appare evidente come una tale previsione, interferendo con la questione oggetto del presente giudizio, si giustifichi proprio sul presupposto che, in assenza di norme speciali, la giurisdizione in materia di contributi e agevolazioni finanziarie è soggetta agli ordinari criteri di riparto, con il conseguente possibile concorso, a seconda del tipo di controversia e di situazione soggettiva dedotta, delle giurisdizioni ordinaria, amministrativa e tributaria.

L'esclusione della sussistenza di una giurisdizione esclusiva consente di superare anche l'argomento fondato sull'art. 7 c.p.a., laddove tale disposizione richiama, attraverso la formula «atti [...] rincoducibili anche mediatamente all'esercizio del potere amministrativo» le espressioni contenute nelle note sentenze della Corte cost. n. 204/2004 e Corte cost. n. 191/2006.

Nella citata giurisprudenza costituzionale, invero, il riferimento alla riconducibilità della controversia, anche in via mediata o indiretta, all'esercizio del potere viene utilizzato non come criterio generale di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, ma come criterio legittimante, sotto il profilo della compatibilità con il vincolo costituzionale delle «particolari materie» di cui all'art. 103 Cost., la stessa giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

In altri termini, dalla richiamata giurisprudenza costituzionale non può ricavarsi che ogni controversia comunque riconducibile, sia pure in via indiretta o mediata, all'esercizio del potere pubblico possa essere ricondotta alla giurisdizione amministrativa di legittimità, involgendo, per ciò solo, posizioni di interesse legittimo. La Corte costituzionale, al contrario, ha individuato nella riconducibilità all'esercizio, pure se in via indiretta o mediata, del potere pubblico, il criterio che legittima la scelta legislativa di introdurre una ipotesi di giurisdizione esclusiva, escludendo, per converso, tale possibilità ove detto collegamento sia assente.

Ne deriva che il criterio della riconducibilità all'esercizio del potere opera all'interno della giurisdizione esclusiva, come condizione in assenza della quale la controversia avente ad oggetto diritti soggettivi, nonostante l'afferenza degli stessi alla materia oggetto della giurisdizione esclusiva, deve comunque essere devoluta al giudice ordinario.

L'art. 7 cod. proc. amm. che tale espressione ha recepito deve, quindi, essere interpretato nel senso che, ferma la vigenza del generale criterio di riparto della giurisdizione fondato sulla dicotomia tra diritti soggettivi e interessi legittimi, nelle materie di giurisdizione esclusiva è comunque necessario che il diritto soggettivo sia stato leso da atti, accordi o comportamenti riconducibili, sia pure in via diretta o mediata, all'esercizio del potere.

Non può essere enfatizzata, per derogare a detto assetto, neanche la finalità «di assicurare la concentrazione delle tutele», pur richiamata dall'art. 44 l. n. 69/2009.

Quello della concentrazione delle tutele è, infatti, in primo luogo, un criterio direttivo che la legge delega ha posto all'esercizio del potere legislativo delegato da parte del Governo e che ha legittimato, fra l'altro, la scelta (già avallata dalla sopra citata giurisprudenza costituzionale) di concentrare in campo al giudice amministrativo ogni forma di tutela dell'interesse legittimo, ivi compresa quella risarcitoria. Esso, tuttavia, non consente di attrarre, in via meramente interpretativa e senza base normativa, nell'ambito della giurisdizione amministrativa controversie relative a diritti soggettivi, pure a prescindere dall'individuazione di una disposizione legislativa fondante un'ipotesi di giurisdizione esclusiva.

Ciò a maggior ragione se si considera che nel caso di specie la domanda proposta ha ad oggetto esclusivamente diritti soggettivi (il diritto soggettivo al mantenimento del finanziamento già erogato) e non vi è alcuna connessione con domande contestualmente proposte relative ad interessi legittimi.

Non può, peraltro, non ricordarsi come le Sezioni Unite, nella loro veste di giudice del riparto, hanno in più occasioni disatteso la tesi dello spostamento della giurisdizione per motivi di connessione (anche in presenza di connessione tra domande contestualmente proposte di fronte ad un unico giudice, ma devolute a diverse giurisdizioni), affermando l'opposto principio secondo cui «salvo deroghe normative espresse, vige nell'ordinamento processuale il principio generale dell'inderogabilità della giurisdizione per motivi di connessione, potendosi risolvere i problemi di coordinamento posti dalla concomitante operatività della giurisdizione ordinaria e di quella amministrativa su rapporti diversi, ma interdipendenti, secondo le regole della sospensione del procedimento pregiudicato» (cfr., da ultimo, Cass. S.U., n. 9534/2013,; Cass.S.U., n. 9185/2012).

È vero che alcune sentenze delle Sezioni Unite, in presenza di controversie rimesse alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ed interessate parallelamente da domande consequenzialmente nascenti da pretese di diritto privato, di fronte all'esigenza di decisione unitaria, hanno ritenuto che le norme costituzionali sul giusto processo e sulla sua ragionevole durata di esso (art. 111 Cost.) e sul diritto di difesa (art. 24 Cost.), coordinate con l'art. 103 Cost., hanno escluso la possibilità di scindere il processo in tronconi affidati a giurisdizioni diverse ed hanno imposto il giudizio unitario, di modo che è stata ritenuta prevalente la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e si è rimessa allo stesso anche la decisione sulle domande accessorie su cui avrebbe dovuto pronunziarsi il giudice ordinario (Cass. S.U., n. 4636/2007 e Cass.S.U., n. 15660/2005).

La giurisprudenza successiva ha, tuttavia, definitivamente chiarito che la prevalenza del potere cognitivo del giudice amministrativo presuppone, oltre che la contestuale proposizione delle domande, che egli sia titolare di giurisdizione esclusiva, a fronte della giurisdizione sui soli diritti propria del giudice ordinario. In questo caso, infatti, il giudice amministrativo è titolare di poteri maggiori che non quelli riconosciuti al giudice ordinario (cfr. Cass. S.U., n. 14805/2009; Cass.S.U., n. 9185/2012).

Nel caso di specie, oltre alla già rilevata circostanza dell'assenza di domande propriamente «connesse», è assorbente la considerazione che il giudice amministrativo non è titolare di giurisdizione esclusiva, il che esclude ulteriormente la possibilità di invocare la concentrazione delle tutele per giustificare deroghe all'assetto del riparto della giurisdizione normativamente delineato.

A favore della tesi secondo cui il codice del processo amministrativo non abbia inteso, né direttamente, né indirettamente, innovare il criterio di riparto della giurisdizione previgente (quale desumibile dal «diritto vivente» delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione) deve ancora richiamarsi quanto affermato dalla Corte cost. n. 162/2012, che ha dichiarato incostituzionali, per eccesso di delega, gli articoli 133, comma 1, lett. l); 134., comma 1, lett. c) e 135, comma 1, lett. c) del codice del processo amministrativo, nella parte in cui attribuiscono al giudice amministrativo, con cognizione estesa al merito, con competenza funzionale del T.a.r. Lazio, le controversie in materia di sanzioni amministrative applicate dalla Consob.

La Corte costituzionale ha ravvisato la violazione dell'art. 76 Cost. nella circostanza che il legislatore delegato, disattendendo l'obbligo previsto dalla legge delega (art. 44 l. n. 69 del 2009) di «tenere conto della giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori», ha attribuito le sanzioni irrogate dalla Consob alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, discostandosi dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione formatasi sul tema (che, invece, avrebbe dovuto orientare l'intervento del legislatore delegato, secondo quanto previsto dalla legge delega).

È evidente, quindi, che, anche alla luce dei principi affermati nella sentenza costituzionale n. 162 del 2012, deve escludersi una interpretazione delle norme del codice del processo amministrativo volta a riconoscere al giudice amministrativo spazi di giurisdizione innovativi rispetto a quelli già a esso attribuiti in base all'assetto normativo previgente come risultante dall'interpretazione univocamente fornitane dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Non risulta, del resto, condivisibile neanche l'argomento secondo cui gli atti di ritiro di cui si discute, in quanto espressione di «autotutela», sarebbero per ciò solo atti di esercizio di un potere autoritativo, a fronte del quale non potrebbe che configurarsi una posizione di interesse legittimo del privato. Nel caso di specie, al contrario, non viene in rilievo il generale potere di autotutela pubblicistica (fondato sul riesame della legittimità o dell'opportunità dell'iniziale provvedimento di attribuzione del contributo e sulla valutazione dell'interesse pubblico), ma lo speciale potere di autotutela privatistica dell'Amministrazione (di cui peraltro l'ordinamento conosce altre tassative ipotesi, le più importanti delle quali si riscontrano nell'esecuzione dei contratti pubblici: cfr. le ipotesi di recesso e risoluzione di cui agli artt. 134-136 d.lgs. 12 aprile 2006 recante Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), con il quale, nell'ambito di un rapporto ormai paritetico, l'Amministrazione fa valere le conseguenze derivanti dall'inadempimento del privato alle obbligazioni assunte per ottenere la sovvenzione. L'atto in questione si configura come declaratoria della sopravvenienza di un fatto cui la legge ricollega l'effetto di determinare la decadenza dal diritto di godere del beneficio e trova ragione non già in una rinnovata ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato, ma nell'asserito inadempimento degli obblighi imposti al beneficiario e nella verifica dei presupposti di esigibilità del credito. Ne deriva che le contestazioni che investono l'esercizio di tale forma di autotutela, sono sottratte alla giurisdizione del giudice amministrativo e sono devolute a quella del giudice ordinario.

Alla luce delle considerazioni che precedono, l'appello deve essere respinto, in quanto nel caso di specie la revoca del contributo finanziario è stato disposto assumendo l'inadempimento da parte del beneficiario delle obbligazioni assunte, per avere realizzato un programma di investimento (servizi di manutenzione) diverso da quello approvato per l'ottenimento delle agevolazioni (produzione di mobili metallici).

Ed invero, l'erogazione del contributo – anche se avvenuto, come nella specie, in via provvisoria – crea un credito dell'impresa all'agevolazione, che viene adempiuto, senza margini di discrezionalità, dall'Amministrazione erogante, sussistendo già, per effetto di una siffatta concessione, un diritto soggettivo (relativamente alla concreta erogazione delle somme di denaro oggetto del finanziamento e alla conservazione degli importi a tale titolo già riscossi o da riscuotere), con la conseguenza che il giudice ordinario è competente a conoscere le controversie instaurate per ottenere gli importi dovuti o per contrastare l'Amministrazione che, servendosi degli istituti della revoca, della decadenza o della risoluzione, abbia ritirato il finanziamento o la sovvenzione concessi, adducendo l'inadempimento, da parte del beneficiario, degli obblighi impostigli dalla legge o dagli atti concessivi del contributo.

Bibliografia

Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2021; Chieppa, Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2021; R. Galli, D. Galli, Corso di diritto amministrativo, Padova, 2001.

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