Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 18 - Autocertificazione 1Autocertificazione1
1. Le amministrazioni adottano le misure organizzative idonee a garantire l'applicazione delle disposizioni in materia di autocertificazione e di presentazione di atti e documenti da parte di cittadini a pubbliche amministrazioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. [ Delle misure adottate le amministrazioni danno comunicazione alla Commissione di cui all'articolo 27. ]2 2. I documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento, sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L'amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti3. 3. Parimenti sono accertati d'ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare. 3-bis. Nei procedimenti avviati su istanza di parte, che hanno ad oggetto l'erogazione di benefici economici comunque denominati, indennita', prestazioni previdenziali e assistenziali, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni, da parte di pubbliche amministrazioni ovvero il rilascio di autorizzazioni e nulla osta comunque denominati, le dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ovvero l'acquisizione di dati e documenti di cui ai commi 2 e 3, sostituiscono ogni tipo di documentazione comprovante tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla normativa di riferimento, fatto comunque salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 1594. [1] Rubrica inserita dall’articolo 21, comma 1, lettera z), della legge 11 febbraio 2005, n. 15. [2] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, del D.P.R. 2 agosto 2007 n. 157, e successivamente dall'articolo 12, comma 1, lettera h), n. 1), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120. [3] Comma sostituito dall’articolo 3, comma 6-octies, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35. [4] Comma inserito dall'articolo 12, comma 1, lettera h), n. 2), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120. InquadramentoL'art. 18 l. n. 241/1990 disciplina gli istituti dell'autocertificazione e dell'accertamento d'ufficio con la finalità di evitare un sovraccarico di lavoro degli uffici pubblici e di sollevare il privato dall'onere di certificare, per ottenere il rilascio di un certo atto, determinati requisiti e dati, presentando in loro vece una dichiarazione (la c.d. dichiarazione sostitutiva), ossia un'autodichiarazione resa ai sensi del d.P.R. n. 445/2000, attestante determinati fatti, atti, stati e qualità personali. Il sistema della semplificazione della documentazione amministrativa, imperniato sulla sostituzione di un certificato o di un atto di notorietà con altrettante dichiarazioni rese dall'interessato, si fonda sui fondamentali principi dell'autoresponsabilità del dichiarante e dell'equivalenza funzionale delle dichiarazioni rispetto ai certificati o agli atti sostituiti. In tal senso, le dichiarazioni sostitutive di documenti, ivi incluse quelle complesse (ossia risultanti dalla combinazione in vario modo di un'autocertificazione e di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà), possono sostituire la certificazione o l'atto pubblico, sempre producibili in via alternativa, solo quando siano in grado di veicolare tutti i dati contenuti nei documenti pubblici sostituiti e soprattutto quando risultino idonee, da sole, a soddisfare – al pari degli atti e dei certificati sostituiti – le medesime esigenze informative manifestate dalle Amministrazioni richiedenti (Cons. giust. amm., n. 730/2012). L'art. 18 comma 2 impone, poi, alle Amministrazioni procedenti di acquisire d'ufficio i documenti, necessari all'istruttoria, già in loro possesso, in coerenza con le esigenze di semplificazione amministrativa e in ossequio al divieto di aggravamento del procedimento. L'art. 18, quindi, allinea la disciplina della legge sul procedimento a quella sulla documentazione amministrativa, nel richiedere agli interessati indicazioni relative alla ricerca dei documenti. La norma è coerente con l'art. 1, comma 2 che vieta l'aggravamento del procedimento, in ossequio ad un'amministrazione informata a criteri di operato ragionevole, non eccessivamente oneroso in termini di adempimenti formali per gli istanti (T.A.R. Valle d'Aosta, I, n. 88/2008). È evidente, quindi, la ratio di semplificazione del procedimento, avente lo scopo di realizzare l'accelerazione dei tempi procedurali nell'ambito dell'attività istruttoria di carattere documentale, in ossequio ai criteri di buona amministrazione, efficacia ed efficienza ex art. 97 Cost. (T.A.R. Abruzzo, Pescara I, n. 903/2008; Cons. St. IV, n. 3801/2003), nonché finalizzata a semplificare i rapporti tra utenti e pubblica amministrazione e ad indicare le modalità attraverso cui realizzare una più rapida e certa istruttoria di tipo documentale all'interno del procedimento amministrativo. La giurisprudenza, infatti, ha affermato che l'art. 18 l. n. 241/1990 costituisce proiezione applicativa del principio di non aggravamento del procedimento (T.A.R. Lombardia, Brescia II, n. 529/2021). Ne consegue, una completa ridefinizione dell'istruttoria procedimentale, la quale si fonda su dichiarazioni che provengono dal privato e sono, poi, verificate ex post, in base al divieto che fa capo al dipendente addetto di richiedere al privato certificati (Cons. St. V, n. 104/1996). La semplificazione della documentazione amministrativa.Il legislatore ha sempre tentato di snellire il procedimento amministrativo. Un coordinamento definitivo di tali interventi è stato raggiunto con l'emanazione del d.P.R. n. 445/2000 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), che dedica il capo terzo alla semplificazione della documentazione amministrativa, al cui interno si dedicano fondamentali disposizioni alle dichiarazioni sostitutive. La relativa disciplina è il risultato di una lunga evoluzione normativa, che affonda le sue origini nell'introduzione dell'istituto dell'autocertificazione. L'autocertificazione.L'istituto dell'autocertificazione consente al privato di presentare, in luogo della certificazione, una dichiarazione sostitutiva in cui si attesta di possedere i requisiti richiesti ex lege per il rilascio del provvedimento favorevole richiesto (Caringella, Tarantino, 2009). Occorre precisare che con il termine «autocertificazione» si suole indicare, in realtà, i due distinti istituti delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e delle dichiarazioni di atti di notorietà, entrambi disciplinati dal d.P.R. n. 445/2000. a ) Le dichiarazioni sostitutive di certificazioni. Le dichiarazioni sostitutive di certificazioni sostituiscono un certificato, per atti che vengono repertati da un pubblico registro di un'amministrazione italiana, e sono riproduttive di certificazioni da cui consegue la coincidenza del loro contenuto con l'atto sostituito (art. 46 d.P.R. n. 445/2000). Si tratta di dichiarazioni prodotte e sottoscritte dall'interessato in sostituzione della normale certificazione, nelle ipotesi previste dalla legge e di seguito indicate: a) data e il luogo di nascita; b) residenza; c) cittadinanza; d) godimento dei diritti civili e politici; e) stato di celibe, coniugato, vedovo o stato libero; f) stato di famiglia; g) esistenza in vita; h) nascita del figlio, decesso del coniuge, dell'ascendente o discendente; i) iscrizione in albi, registri o elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni; l) appartenenza a ordini professionali; m) titolo di studio, esami sostenuti; n) qualifica professionale posseduta, titolo di specializzazione, di abilitazione, di formazione, di aggiornamento e di qualificazione tecnica; o) situazione reddituale o economica anche ai fini della concessione dei benefici di qualsiasi tipo previsti da leggi speciali; p) assolvimento di specifici obblighi contributivi con l'indicazione dell'ammontare corrisposto; q) possesso e numero del codice fiscale, della partita IVA e di qualsiasi dato presente nell'archivio dell'anagrafe tributaria; r) stato di disoccupazione; s) qualità di pensionato e categoria di pensione; t) qualità di studente; u) qualità di legale rappresentante di persone fisiche o giuridiche, di tutore, di curatore e simili; v) iscrizione presso associazioni o formazioni sociali di qualsiasi tipo; z) tutte le situazioni relative all'adempimento degli obblighi militari, ivi comprese quelle attestate nel foglio matricolare dello stato di servizio; aa) di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l'applicazione di misure di sicurezza e di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale ai sensi della vigente normativa; bb) di non essere a conoscenza di essere sottoposto a procedimenti penali; bb –bis) di non essere l'ente destinatario di provvedimenti giudiziari che applicano le sanzioni amministrative di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231; cc) qualità di vivenza a carico; dd) tutti i dati a diretta conoscenza dell'interessato contenuti nei registri dello stato civile; ee) di non trovarsi in stato di liquidazione o di fallimento e di non aver presentato domanda di concordato. Si tratta, dunque, di dichiarazioni surrogatorie di certificati che attestano condizioni, status e qualità personali, tipicamente previsti dalla legge. b ) Le dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà. Le dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà, invece, si riferiscono a fatti, stati e qualità personali che l'interessato dichiara e riguardano tutti quei casi nei quali non si ha il supporto di un certificato (art. 48 d.P.R. n. 445/2000), (Cons. St. V, n. 519/1997). Si tratta di atti, con cui il privato comprova, nel suo interesse ed a titolo definitivo, i dati appena menzionati non compresi in pubblici registri o elenchi, nonché stati, fatti e qualità personali relativi ad altri soggetti di cui il medesimo abbia diretta conoscenza (art. 47, d.P.R. n. 445/2000). Tali dichiarazioni sono raccolte da un pubblico ufficiale legittimato a riceverle e, come per le dichiarazioni sostitutive di certificazioni, non devono essere autenticate, essendo sufficiente la sottoscrizione in presenza di un dipendente addetto. c ) Differenze. Con riguardo alle differenze intercorrenti tra le dichiarazioni sostitutive di certificazioni ed i relativi certificati, si è soliti ritenere che i certificati sono sottoposti a verifica solo previa attivazione dei procedimenti di rettificazione e che, per contro, le dichiarazioni sostitutive dei privati devono obbligatoriamente ottenere un riscontro di veridicità da parte dell'amministrazione procedente; donde la conclusione secondo cui la certificazione ha un'efficacia probatoria più ampia della corrispondente dichiarazione, rispetto alla quale crea una maggior certezza, costituendone anzi un parametro di verifica (Caringella, Tarantino). In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza (Cons. St. V, n. 2352/2008), precisando che la dichiarazione sostitutiva di certificazioni ha una funzione non certificatoria, ma solo di allegazione infraprocedimentale di affermazioni circa fatti o stati di cui si domanda la dimostrazione. L'amministrazione, al di là dei controlli a campione, è tenuta a verificarla ogniqualvolta sorgono fondati dubbi sulla veridicità del dichiarato (art. 71 (L-R) d.P.R. n. 445/2000) e una volta che sia comunque, anche aliunde, entrata nella certezza della non veridicità, ha il dovere di trarne senz'altro le conseguenze. L'autocertificazione, infatti, non costituisce certezze pubbliche, ma solo attenua, e precariamente, all'interno del singolo procedimento, l'onere delle dimostrazioni che il privato sarebbe tenuto ad offrire tramite documenti pubblici. In ragione di questa stretta finalità semplificatoria, il suo contenuto resta sempre necessariamente esposto alla prova contraria. In questo quadro, il patrimonio conoscitivo dell'amministrazione, anche altrove formato, non soffre restrizioni o preclusioni nell'utilizzazione per effetto dell'autonomia dei procedimenti amministrativi: la sua utilizzazione anche in procedimenti diversi è resa anzi doverosa dal principio generale di buona amministrazione. Del fatto che questo patrimonio, comunque formato, resti dominante sulle allegazioni private è indice, prima ancora del dovere di controllo, la regola espressa nell'art. 18, comma 2, l. n. 241/1990, secondo cui, quando l'amministrazione già è in possesso di documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, li acquisisce d'ufficio al procedimento che sta trattando, senza che ciò debba esserle domandato dall'interessato (v. anche art. 43 (L-R) d.P.R. n. 445/2000). Quel principio di autonomia del singolo procedimento, in effetti, non può non essere rapportato alla considerazione dell'identità del soggetto procedente, e dunque dalla non frazionabilità delle sue conoscenze comunque acquisite e documentate, specie quando sia identità di oggetto e palese connessione tra due procedimenti di gara. L'autocertificazione, pertanto, costituisce non un mezzo di garanzia del dichiarante (tale per cui quanto egli attesa non può essere superato se non nei casi stabiliti), ma un semplice mezzo di speditezza dell'attività amministrativa, cioè di semplificazione procedimentale inerente alle formalità del rapporto, per cui il suo contenuto resta sempre e comunque esposto alla verifica ad opera della destinataria amministrazione: verifica che avviene indifferentemente o con i metodi previsti del sorteggio, o per altra causa, senza che sia coperta, seppure solo in parte, da una qualche riserva metodologica di acclaramento. Ciò è altresì confermato dal fatto che l'attitudine certificativa e probatoria, della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà e delle autocertificazioni o autodichiarazioni, sia limitata a specifici status o situazioni, rilevanti in determinate attività o procedure amministrative. Tale attitudine non vale, quindi, a superare quanto attestato dall'Amministrazione, dall'esame obiettivo delle risultanze documentali, sino a querela di falso (Cons. St. V, n. 2352/2008). La valenza di principio generale dell'art. 18 comma 2, l. n. 241/1990L'art. 18 comma 2 l. n. 241/1990 impone alle Amministrazioni procedenti di acquisire d'ufficio i documenti, necessari all'istruttoria, già in loro possesso, in coerenza con le esigenze di semplificazione amministrativa e in ossequio al divieto di aggravamento del procedimento ed al principio di autoresponsabilità della P.A. La portata del principio è tale da superare i limiti di applicazione della l. n. 241/1990. La Corte di Cassazione, infatti, ha chiarito che, allorquando si tratta di selezioni per progressioni orizzontali, non vengono in evidenza atti amministrativi di ambito concorsuale, ma atti di gestione dei rapporti di lavoro e dunque paritetici, per quanto caratterizzati anche da valutazioni datoriali (Cass. civ. n. 26295/2008), non essendo dunque in sé corretto il richiamo alle norme sul procedimento amministrativo, cui restano estranee le attività che il datore di lavoro pubblico svolge in esercizio di poteri di mero diritto privato. Tuttavia, il datore di lavoro privato è pur sempre soggetto all'osservanza degli obblighi di buona fede e correttezza, il cui contenuto, rispetto alla valutazione di documenti già in suo possesso è da ritenere analogo a quanto stabilito dall'art. 18 comma 2 l. n. 241/1990, i cui fondamenti logici si radicano nel medesimo principio giuridico per cui la parte deve prestarsi ad oneri di collaborazione che siano finalizzati a salvaguardare l'interesse della controparte. L'art. 18, comma 2, infatti, afferma, nella sua prima parte, che i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento, sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente, aggiungendo, dopo, che l'amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti. Il che, tradotto in termini privatistici, sta a significare che il datore di lavoro non può chiedere al lavoratore la produzione di documenti che siano già in suo possesso, ma ciò resta subordinato all'indicazione specifica dei documenti (come è nell'art. 18, comma 2, prima parte) e di elementi utili al loro reperimento (come è nell'art. 18, comma 2, u.p.), con assetto la cui razionalità intrinseca rispetto ad un normale andamento dei rapporti giuridici (Cass. Sez. lavoro, Ord., n. 23827/2021). L'art. 18 comma 2 e gli oneri a carico dell'interessato.La norma di cui all'art. 18, comma 2, della l. n. 241/1990 impone all'amministrazione l'acquisizione d'ufficio dei documenti quando siano in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero siano detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni purché vengano forniti dagli interessati gli elementi necessari per la ricerca dei documenti. Tale disposizione, ispirata ad esigenze di semplificazione amministrativa e di non aggravamento del procedimento, non può, infatti, tradursi in defatiganti oneri di ricerca ed istruttori a carico dell'Amministrazione, che finirebbe addirittura col porsi in contrasto con lo spirito dei precetti di cui sopra e con le esigenze di trasparenza dell'azione amministrativa, determinando altresì possibili ed inammissibili situazioni di privilegio per taluni soggetti (per i quali la ricerca lasciata alla discrezionalità dell'Amministrazione si riveli fruttuosa) e di disfavore per altri (per il caso contrario), dovendo tale onere dell'Amministrazione ragionevolmente coniugarsi con quello di diligenza dei partecipanti, i quali sono tenuti a comprovare il possesso dei propri titoli, anche a fini di celerità del procedimento (T.A.R. Lazio, Roma II Stralcio, n. 8897/2020). Ricade, quindi, esclusivamente sull'istante l'onere di formulare domande in modo completo, indicando chiaramente i presupposti di fatto per l'esercizio del potere (e dando dimostrazione dell'esistenza di fatti che sono nella sua disponibilità), da cui dipende l'attivazione del potere di controllo dell'autorità tutoria, non potendo, in caso contrario, questi pretendere di addossare alla PA l'onere di supplire alle carenze documentali dallo stesso causate, pretendendo l'applicazione dell'art. 18 comma 2 l. n. 241/1990 in circostanze in cui la stessa norma implicitamente ne afferma l'inesigibilità (T.A.R. Lazio, Roma II-quater, n. 3402/2019). L'applicazione dell'art. 18 comma 2, l. n. 241/1990 nell'ambito dei pubblici concorsi.Molto complessa è l'applicazione dell'art. 18 comma 2 l. n. 241/1990 nell'ambito dei pubblici concorsi. Secondo, infatti, un primo orientamento, l'Amministrazione non può valutare titoli che, seppure sussistenti, non siano stati dichiarati nella domanda di partecipazione ad un pubblico concorso (Cons. St., sez IV, n. 6935/2019). Infatti, la prescrizione del bando di concorso che prevede la valutabilità dei soli titoli dichiarati nella domanda di concorso e depositati dai partecipanti alle prove scritte prevale rispetto al (generico) dovere di ricerca e di acquisizione che preclude (ex art. 18, l. n. 241/1990) alle pubbliche amministrazioni di aggravare il procedimento con la richiesta di allegazione di documentazione già in proprio possesso, stante l'autonomia e la rigida autosufficienza che connota l'acquisizione dei titoli valutabili nelle procedure concorsuali (Cons. St. V, 16/08/2018, n. 4942). Pertanto, il titolo deve essere dichiarato dall'interessato, non potendo la P.A. egualmente considerarlo se abbia, con un'apposita disposizione del bando di concorso, escluso siffatta possibilità in caso di mancata indicazione ad opera del candidato. In materia concorsuale, infatti, la possibilità, per l'Amministrazione, a fini di semplificazione, di attingere ad altri documenti in proprio possesso per la valutazione dei titoli di un candidato, presuppone che sia lo stesso candidato ad esercitare la relativa facoltà di segnalarne l'esistenza, come prevede, in via generale, l'art. 18, comma 2, l. 241/1990. In caso di mancata preventiva, espressa e precisa dichiarazione, da parte dell'interessato, degli atti già in possesso dell'Amministrazione, ai quali intenda fare rinvio, non può configurarsi un onere di ricerca “al buio” della documentazione di volta in volta utile all'interessato, che finirebbe col porsi in contrasto con i principi di buona amministrazione ed efficace andamento dei pubblici uffici (Cons. St. III, n. 2939/2013). Una volta, dunque, indicato il titolo, la relativa prova è a carico della P.A. se in possesso del relativo documento. Ed invero, in forza dell'art. 18 della l. n. 241/1990, anche in tema di concorsi pubblici l'amministrazione deve acquisire di ufficio le notizie di cui sia già in possesso e, comunque, non può far derivare conseguenze pregiudizievoli dalla mancata certificazione di notizie siffatte in capo ai partecipanti a una procedura concorsuale (T.A.R. Campania, Napoli IV, n. 1617/2016), posto che ai sensi dell'art. 43 d.P.R. n. 445/2000 le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d'ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell'interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti (Cons. St. IV, n. 1489/2015; T.A.R. Sicilia, Palermo II, n. 2385/2014). Per questa tipologia di titoli, quindi, la mera indicazione nella fase di presentazione della domanda può essere ritenuta sufficiente, dovendo la P.A. attivarsi anche di ufficio per verificare l'effettivo possesso dei titoli vantati (T.A.R. Campania, Napoli IV, n. 1617/2016; T.A.R. Campania, Napoli IV, n. 1589/2016; Cons. St. n. 1489/2015). Di conseguenza, è l'illegittima la clausola del bando, che imponga, a pena di esclusione, al candidato la consegna all'Amministrazione della documentazione di servizio rilasciata dalla stessa Amministrazione (T.A.R. Lazio, Roma I-bis, n. 11204/2020). Se, dunque, il bando nulla prevede, opera la regola dell'art. 18 comma 2 l. n. 241/1990. Diversamente, è possibile imporre al candidato un onere di produzione documentale, poiché nelle procedure selettive è consentito all'amministrazione richiedere espressamente nel bando, in deroga al disposto dell'art. 18, l. n. 241/1990, la produzione, in allegato alla domanda, di valida certificazione comprovante i titoli per esigenze di speditezza nello svolgimento delle procedure selettive (T.A.R. Lazio, Roma I II, n. 10347/2007; T.A.R. Sicilia, Palermo I, n. 1223/2020). L'art. 18, comma 2, primo periodo della l. n. 241/1990, infatti, non vieta, né esclude, specie nei procedimenti di massa quali le procedure concorsuali a partecipazione libera, minime forme collaborative col privato per una più rapida ed efficace definizione del procedimento, specie quando a questi si chiede soltanto una dichiarazione sostitutiva contestuale alla domanda di partecipazione al concorso stesso (Cons. St. VI, n. 4894/2018). L'applicazione dell'art. 18, comma 2, l. n. 241/1990 nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici.La giurisprudenza ha chiarito che nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici la norma si applica. Ed invero, ai sensi dell'art. 18, comma 2, della l. n. 241/1990, le Amministrazioni che bandiscono una gara pubblica devono acquisire d'ufficio i documenti necessari all'istruttoria già in loro possesso, in coerenza con le esigenze di semplificazione amministrativa ed in ossequio al divieto di aggravamento del procedimento (Cons. St. V, n. 6947/2011; Cons. St. IV, n. 4011/2007). Né può fondatamente sostenersi che l'esigenza del rispetto della par condicio che informa il procedimento di gara sia incompatibile con l'applicazione del menzionato art. 18 (Cons. St. V, n. 3698/2017). È, quindi, illegittima l'esclusione di una ditta da una gara di appalto, che sia motivata con riferimento alla carenza della documentazione comprovante la carica e i poteri del sottoscrittore dell'offerta, nel caso in cui i dati relativi all'identità e ai poteri del sottoscrittore siano con certezza evincibili dalla duplice circostanza dell'inserimento della ditta interessata nell'elenco delle imprese fornitrici della stazione appaltante e dalla stipulazione, in precedenza, di un altro contratto di appalto di lavori tra la stazione appaltante e la medesima ditta; in tal caso, infatti, l'esclusione e la presupposta clausola della legge di gara devono ritenersi in contrasto sia con gli obblighi di non aggravamento procedimentale sanciti dall'art. 18 della l. n. 241/1990, sia con il principio della tassatività delle cause di esclusione (Cons. St. V, n. 3945/2015). L'omessa allegazione del documento d'identitàCi si chiede quali conseguenze scaturiscano nel caso in cui il privato produca nel corso dell'istruttoria procedimentale una dichiarazione sostitutiva di atto notorio senza l'allegazione del documento di identità richiesto dall'art. 47 d.P.R. n. 445/2000 e se sia possibile una successiva regolarizzazione della documentazione. Un primo orientamento riteneva che l'omissione in discorso costituisce una mera irregolarità formale, sanabile su invito del responsabile del procedimento, entro il congruo termine all'uopo fissato dallo stesso (T.A.R. Piemonte, Torino I, 7 giugno 2000, n. 653). Di contrario avviso la giurisprudenza maggioritaria, la quale, nell'osservare che la ratio dell'art. 47 d.P.R. n. 445/2000 è quella di asseverare, anche ai fini dell'assunzione di responsabilità, la provenienza delle affermazioni rese con la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà. Ed invero, l'allegazione della copia fotostatica del documento del sottoscrittore della dichiarazione sostitutiva, prescritta dal comma 3 dell'art. 38 d.P.R. n. 445/2000, è adempimento inderogabile, atto a conferire – in considerazione della sua introduzione come forma di semplificazione – legale autenticità alla sottoscrizione apposta in calce alla dichiarazione e giuridica esistenza ed efficacia all'autocertificazione. Si tratta, pertanto, di un elemento integrante della fattispecie normativa, teso a stabilire, data l'unità della fotocopia sostitutiva del documento di identità e della dichiarazione sostitutiva, un collegamento tra la dichiarazione ed il documento ed a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l'imputabilità soggettiva della dichiarazione al soggetto che la presta (ex multis, Cons. St. VI, 2 maggio 2011, n. 2579; VI, 4 giugno 2009, n. 3442; V, 7 novembre 2007, n. 5761; 11 maggio 2007, n. 2333). L'allegazione della fotocopia della carta di identità assume la funzione (sostanziale) di prova della provenienza della dichiarazione e ne forma parte integrante, con la conseguenza che non può essere considerata l'omissione alla stregua di una mera irregolarità formale, per sanare la quale varrebbe la facoltà dell'amministrazione di consentire l'integrazione o la regolarizzazione successiva di documenti. Tale facoltà attiene, infatti, a mere irregolarità formali e non si attaglia ad ipotesi in cui manchi del tutto un elemento sostanziale della domanda (T.A.R. Umbria, Perugia, 3 maggio 2004, n. 212; T.A.R. Valle d'Aosta, Aosta, 17 marzo 2004, n. 29; Cons. St. V, 1 ottobre 2003, n. 5677). In tal senso si è pronunciato anche il Consiglio di Stato, escludendo la possibilità per la stazione di appaltante di fare ricorso al soccorso istruttorio in caso di omessa allegazione della fotocopia del documento di identità, con un principio parimenti applicabile anche al caso di incompleta allegazione della stessa. È stato, infatti, affermato che l'assenza della copia fotostatica del documento di identità non determina una mera incompletezza del documento, idonea a far scattare il potere di soccorso della stazione appaltante tramite la richiesta di integrazioni o chiarimenti sul suo contenuto, bensì la sua giuridica inesistenza, con la conseguenza che, in ossequio al principio della par condicio e della parità di trattamento tra le imprese partecipanti, l'impresa deve essere esclusa per mancanza della prescritta dichiarazione. Tale omissione, per espressa disposizione di legge (art. 83, comma 9, d.lgs. n. 50/2016), non può essere sanata con il soccorso istruttorio, (Cons. St. V, n. 4959/2018), essendo, infatti, espressamente sancita l'insanabilità delle carenze documentali pregiudicanti l'individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della documentazione. L'art. 18 comma 2 nel diritto tributario.L'art. 18 della l. n. 241/1990 è espressamente richiamato in ambito tributario dall'art. 6 comma 4 l. n. 212/2000, secondo cui al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, essendo tali documenti ed informazioni acquisiti ai sensi dell'art. 18, commi 2 e 3, della l. n. 241/1990, relativi ai casi di accertamento d'ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa. La Corte di Cassazione, al riguardo, ha chiarito che il divieto (“non possono, in ogni caso”) posto dalla l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 4, di richiedere “al contribuente... documenti ed informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente”, tenuto conto della necessità (evidenziata dalle sezioni unite nella decisione n. 26635/2009) di esperire il preventivo contraddittorio per adeguare l'elaborazione statistica degli standard considerati dai dd.mm. del 1992 alla concreta realtà economica del singolo contribuente, di per sé solo, non esclude il potere dell'Amministrazione Finanziaria di chiedere, oltre che documenti ed informazioni non in suo possesso (o in possesso “di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente”), soprattutto specificazioni su “informazioni” da esso già conosciute onde dare concretezza ed effettività a quel contraddittorio (Cass. V, n. 13289/2011). Sul punto va evidenziato che (Cass., sez. trib., n. 22775/2009, la quale richiama “Cass. n. 21209/2004”) le disposizioni della l. n. 241/1990, art. 18, e della l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, secondo le quali il responsabile del procedimento deve acquisire d'ufficio quei documenti che, già in possesso dell'amministrazione, contengano la prova di fatti, stati o qualità rilevanti per la definizione della pratica, costituiscono l'espressione di un più generale principio valevole anche in campo processuale (Cass., sez. trib., n. 4239/2004), considerato che il collegamento del principio dell'onere della prova con il principio secondo cui al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'amministrazione (l. n. 212/2000, art. 6, comma 4, ed l. n. 241/1990, art. 18, comma 2) determina l'obbligo (e l'onere) per la Amministrazione di produrre in giudizio ogni documento, anche favorevole al contribuente, che sia in suo possesso (Cass. n. 1930/2001; Cass. civ. V, Ord., n. 16548/2018). La questione assume peculiare rilevanza, quindi, anche in ambito processuale, considerato che, nel processo tributario, l'obbligo dell'amministrazione di prendere posizione sui fatti dedotti dal contribuente è ancora più forte di quello che grava sul convenuto nel rito ordinario, in quanto le disposizioni della l. n. 241/1990, art. 18 e della l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, secondo le quali il responsabile del procedimento deve acquisire d'ufficio quei documenti che, già in possesso dell'amministrazione, contengano la prova di fatti, stati o qualità rilevanti per la definizione della pratica, costituiscono l'espressione di un più generale principio valevole anche in campo processuale (Cass. n. 21209/2004; Cass. civ. V, n. 22775/2009). BibliografiaCaringella, Tarantino, Codice Amministrativo, Roma, 2009. |