Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 21 ter - Esecutorietà 1

Maurizio Francola

Esecutorietà  1

 

1. Nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l'interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all'esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge.

2. Ai fini dell'esecuzione delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si applicano le disposizioni per l'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato.

Inquadramento

Con l'articolo 21-ter viene introdotto nella l. n. 241/1990 il fondamentale principio di esecutorietà del provvedimento, che consiste essenzialmente nel potere dell'Amministrazione di «procedere all'esecuzione coattiva del provvedimento ove l'amministrato non ottemperi ad un obbligo posto a suo carico, ostacolando la realizzazione del risultato effettivo dell'attività amministrativa» (D'Alberti).

In base al principio dell'esecutorietà degli atti amministrativi, dunque, le pretese della Pubblica Amministrazione possono essere portate ad esecuzione immediatamente e direttamente dalla stessa, anche «contro il volere di chi sarebbe tenuto a prestare il proprio consenso all'esecuzione e senza previa pronuncia dell'autorità giudiziaria. I provvedimenti dotati di tale carattere, pertanto, debbono essere eseguiti da chiunque vi sia tenuto e possono ricevere senz'altro esecuzione attraverso la procedura della c.d. esecuzione d'ufficio, per conto e a spese dell'interessato, delle prestazioni di fare a carattere fungibile ordinate a quest'ultimo» (Cass. civ., I, n. 5009/2000).

Tale principio, se pur formulato in maniera molto ampia dal legislatore, conosce importanti limiti applicativi. Il primo, connaturato al principio di legalità, comporta che l'esecutorietà possa operare solo «nei casi e con le modalità stabilite dalla legge»; inoltre, il provvedimento costitutivo di obblighi deve necessariamente indicare il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Infine, qualora il soggetto obbligato non ottemperi, grava sull'Amministrazione l'obbligo di adottare una «previa diffida» prima di procedere, appunto, all'effettiva esecuzione coattiva.

Dalla lettura dell'articolo, si desume che, la nozione di esecutorietà, in quanto espressione del potere della p.a. di portare ad esecuzione coattiva determinati provvedimenti (senza che la stessa p.a. richieda l'intervento autorizzatorio dell'autorità giurisdizionale) è, inevitabilmente, collegata a quella di efficacia e di esecutività.

Difatti, solo un provvedimento idoneo ad esplicare immediatamente gli effetti attribuiti dalla legge, cioè efficace ed esecutivo, può essere portato ad esecuzione coattiva dall'amministrazione a fronte del comportamento inottemperante del destinatario.

Dal punto di vista sistematico, dunque, sarebbe stato più opportuno anteporre alla disposizione in esame l'art. 21-quater (perché disciplina l'efficacia e l'esecutività del provvedimento).

Inoltre, risulta evidente che la caratteristica in esame non può appartenere a tutti i provvedimenti amministrativi, ma soltanto a quelli che, per spiegare i propri effetti (volti a soddisfare l'interesse pubblico), richiedono un'attività di concreta attuazione, per l'appunto quelli costitutivi di obblighi (dare, facere, non facere, pati) a carico dei destinatari.

Al riguardo, la dottrina distingue gli atti ad efficacia finale, poiché immediatamente satisfattivi dell'interesse pubblico ad essi sotteso (si pensi all'autorizzazione), dagli atti ad efficacia strumentale, che invece richiedono necessariamente l'esecuzione materiale dell'atto, ossia un'attività collaborativa da parte del destinatario, per soddisfare l'interesse pubblico predeterminato (si pensi all'ordine di demolizione dell'immobile abusivo).

È chiaro che questa distinzione attiene non agli atti amministrativi intesi in generale, ma ai provvedimenti in particolare, che si contraddistinguono fra la generalità degli atti proprio perché sono espressione del potere autoritativo di disporre dell'altrui sfera giuridica.

Invero, la ratio di questa speciale forza giuridica riconosciuta ai provvedimenti amministrativi, a differenza degli atti privati (cioè di quelli che in modo analogo stigmatizzano una situazione giuridica di potere), risiede nella natura degli interessi perseguiti dalla p.a., proprio attraverso l'adozione del provvedimento. Si tratta di interessi pubblici, ontologicamente superindividuali, che, pertanto, godono di una tutela particolarmente forte.

E allora, può dirsi che, l'esecutorietà del provvedimento amministrativo, costituisce la manifestazione di una particolare forma di efficacia dell'atto (Liberati, 97), sostanziandosi nel potere dell'amministrazione di attuare coattivamente le statuizioni contenute nell'atto, anche contro la volontà del destinatario e senza la necessità di ricorrere preventivamente all'autorità giurisdizionale: «per il principio della esecutorietà degli atti amministrativi le pretese della p.a. possono essere portate ad esecuzione immediatamente e direttamente dall'amministrazione stessa, anche contro il volere di chi sarebbe tenuto a prestare il proprio consenso all'esecuzione e senza previa pronunzia dell'autorità giudiziaria. I provvedimenti dotati di tale carattere, pertanto, debbono essere eseguiti da chiunque vi sia tenuto e possono ricevere senz'altro esecuzione attraverso la procedura della c.d. «esecuzione di ufficio», per conto e a spese dell'interessato, delle prestazioni di fare a carattere fungibile ordinate a quest'ultimo» (Cass. civ., I, n. 5009/2000).

In dottrina, tradizionalmente, si ritiene che l'esecutorietà sia espressione dell'autotutela amministrativa, cioè della possibilità riconosciuta alla p.a. «di farsi ragione da sé», e che il suo fondamento risieda nella necessaria continuità delle funzioni di cui i provvedimenti sono espressione. Se la p.a. non disponesse del potere di attuare coattivamente alcune determinazioni provvedimentali, l'azione pubblica risulterebbe indebolita e inefficace.

In altri termini, secondo questa impostazione, è proprio l'esecutorietà del provvedimento che garantisce l'effettiva realizzazione dell'interesse pubblico, cui l'azione amministrativa è funzionale. Per questo, l'esecutorietà rappresenta l'aspetto dinamico dell'imperatività, ossia (come già riferito) la forza del provvedimento di imporre una modifica nella sfera giuridica altrui.

Occorre, quindi, rilevare che l'esecutorietà, in quanto manifestazione di un potere della p.a. ulteriore rispetto a quello primario, costituisce predicato del principio di legalità. Ne consegue che, come esplicitamente stabilito dall'art. 21-ter, l'esecutorietà rappresenta un carattere eccezionale del provvedimento amministrativo, posto che essa è limitata ai soli casi e nei modi stabiliti dalla legge, in omaggio ai principi di legalità e tipicità dei provvedimenti amministrativi e conformemente alla riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. (Paolantonio).

E ancora, poiché è espressamente previsto che la riserva legislativa attiene sia al momento costitutivo dell'obbligo a carico del destinatario, sia al momento successivo dell'attuazione coattiva dell'obbligo stesso, deve reputarsi esclusa una qualunque discrezionalità amministrativa.

Cosicché, la disposizione in analisi sancisce il principio secondo cui, in uno Stato di diritto il potere di interferire coattivamente nella sfera giuridica altrui, senza una preventiva mediazione giurisdizionale, può essere attribuito caso per caso (e non in via generale) soltanto dalla legge per conseguire un interesse pubblico, allorquando l'azione autoritativa della p.a. risulti necessaria (considerato che la p.a. può agire, in alternativa alle tradizionali modalità autoritative, con moduli consensuali, cioè mediante accordi e contratti).

Le diverse tipologie di esecuzione previste dalle leggi di settore.

Occorre da subito evidenziare che, in base al dato letterale secondo cui «le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente obblighi [...] possono provvedere all'esecuzione coattiva», la suddetta potestà esecutoria risulta una facoltà e non un obbligo per la p.a.

Dunque, si può affermare che, in coerenza con il principio di proporzionalità, la p.a. può esercitare una potestà così incisiva (da assumere i connotati di una misura estrema), quando è risultata vana ogni altra forma di coercizione indiretta.

In caso di ricorso alla potestà esecutoria, però, la norma non prevede in generale il tipo di procedimento che deve essere seguito per portare ad esecuzione la determinazione provvedimentale. Difatti, nel secondo periodo del comma 1 dell'articolo è solo prescritta, come condizione procedimentale, la diffida ad adempiere rivolta al soggetto tenuto all'esecuzione e fino ad allora inottemperante.

Pertanto, fatta eccezione per gli obblighi pecuniari, ai quali si applica, secondo quanto espressamente previsto dal comma 3, la disciplina in materia di esecuzione coattiva dei crediti dello Stato, per gli altri obblighi si devono osservare le discipline di settore.

Sul punto, occorre richiamare la distinzione di carattere generale, introdotta da una parte della dottrina (in tema di obblighi di fare), tra esecuzione diretta ed esecuzione in danno.

L'esecuzione diretta è realizzata dalla stessa p.a., quando è adeguatamente dotata di mezzi e competenze, con l'addebito dei costi a carico dell'obbligato inadempiente solo se espressamente previsto dalla legge.

L'esecuzione in danno, invece, è affidata dalla p.a. ad un soggetto terzo, ed il recupero delle spese, poste sempre a carico dell'inadempiente, avviene secondo la disciplina in materia di esecuzione coattiva dei crediti dello Stato.

E ancora, secondo un'altra tesi la distinzione fra le modalità di esecuzione risiede nel contenuto dell'obbligo, che può essere fungibile (quando non rileva la persona dell'adempiente) e quindi adempiuto d'ufficio da parte della p.a., oppure infungibile e pertanto adempiuto attraverso forme di coercizione indiretta.

Ad ogni buon conto, può ragionevolmente affermarsi che il tipo di esecuzione concretamente necessario per i singoli provvedimenti è strettamente connesso all'obbligo esecutivo violato: per l'obbligo di consegna di una cosa determinata può esser prevista l'apprensione coattiva del bene (si pensi, ad esempio, all'art. art. 47 r.d. 1741/1940 in materia di requisizioni); per l'obbligo di fare infungibile, di non fare e sopportare, la legge può prevedere l'uso della forza pubblica e la coazione sulla persona (è il caso degli artt. 5 e 20 ss. T.U.L.P.S. relativi ai provvedimenti dell'autorità di pubblica sicurezza in generale ed allo scioglimento di riunioni e assembramenti; dell'art. 136 comma 3 d.P.R. 237/1964 relativo all'arruolamento dei renitenti; dell'art. 212 comma 4 d.lgs. 285/1992 relativo all'obbligo di sospendere una determinata attività; degli artt. 11,13 e 14 d.lgs. 286/1998 relativo al respingimento alla frontiera e all'espulsione dello straniero); per gli obblighi di fare fungibili l'esecuzione a spese dell'obbligato (vedi, ad esempio, l'art. 21 d.lgs. 285/1992 in ordine alla sanzione amministrativa accessoria di ripristino dello stato dei luoghi o di rimozione delle opere abusive su strade pubbliche).

Un altro strumento forte posto a presidio dell'esecutorietà (concepita tradizionalmente dalla dottrina come espressione dell'autotutela esecutiva della p.a.) è rappresentato dall'art. 7 della l. 2248/1865 (abrogato ed ora confluito nell'art. 31 del t.u. edil.), secondo il quale l'amministrazione, per grave necessità, può disporre della proprietà privata ordinandone la requisizione. In questa sede, ci si limita a ricordare che costituiscono presupposti per l'adozione del provvedimento in esame, la necessità ed urgenza, nonché l'imprevedibilità dell'evento, inteso come impossibilità di ricorrere ai rimedi ordinari previsti dall'ordinamento, sempre che tale impossibilità derivi da motivi estranei alla volontà della p.a. e non sia, invece, imputabile a negligenza della stessa.

E poi, in tema di obblighi di fare derivanti da provvedimenti amministrativi deve menzionarsi l'art. 40 d.P.R. 380/2001 (T.U. edilizia), il quale attribuisce alla Regione il potere di ordinare la demolizione delle opere abusive, assegnando un termine entro il quale il responsabile dell'abuso è tenuto a procedere, a proprie spese e senza pregiudizio delle sanzioni penali, alla esecuzione del provvedimento stesso. Scaduto inutilmente tale termine, l'amministrazione competente dispone l'esecuzione in danno dei lavori.

Infine, l'art. 54, commi 1 e 2 d.lgs. 267/2000 (T.U.E.L.), in materia di enti locali, disciplina il potere extra ordinem del Sindaco, nelle vesti di ufficiale del Governo, di adottare ordinanze contingibili e urgenti per prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini. L'esecuzione degli atti in questione può avvenire per il tramite della forza pubblica o d'ufficio a spese degli interessati, qualora gli stessi non adempiano (per l'esame dell'articolo in esame si veda subart. 54 d.lgs. 267/2000).

Va sottolineato, peraltro, che esistono norme speciali che consentono direttamente l'esecuzione forzata, al fine di tutelare specifiche esigenze di celere esecuzione. Si pensi ad esempio, agli artt. 32 e 33 del d.lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), in ordine ai provvedimenti conservativi su beni di valore storico e artistico.

L'art. 823 c.c.

Deve poi richiamarsi, sia pur brevemente, l'art. 823 comma 2 c.c., ai sensi del quale la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico spetta all'Autorità Amministrativa, la quale ha facoltà sia di procedere attraverso l'uso dello strumento pubblicistico (ovvero in via amministrativa), sia di valersi dei mezzi ordinari posti a difesa della proprietà e del possesso regolati dal Codice Civile. La norma, dunque, offre alla p.a. due differenti strumenti per la tutela dei beni demaniali, tra i quali l'amministrazione ha una facoltà di scelta alternativa.

Ne consegue che, una volta azionata una tipologia di mezzi di tutela, non potranno in alcun modo attivarsi anche gli strumenti dell'altro tipo: «il potere di autotutela amministrativa previsto dall'art. 823 comma 2 c.c. ha carattere alternativo rispetto ai mezzo ordinari a difesa della proprietà o del possesso; di conseguenza, in pendenza di controversia avanti al giudice ordinario, deve negarsi all'amministrazione il potere di emettere atti in autotutela per il conseguimento della disponibilità di un bene immobile, già dato in locazione e, pertanto, ove tali atti vengano adottati, deve affermarsi la giurisdizione del medesimo giudice ordinario sul contenzioso inerente la legittimità degli atti di rivendica dell'immobile» (Cons. St. IV, n. 628/2004).

Pertanto, in base al principio di alternatività, decorso un anno dall'alterazione o dalla turbativa del possesso, la p.a. non può rivolgersi né al g.o., né potrà utilizzare il proprio potere in autotutela, secondo gli ordinari termini prescrizionali previsti dal Codice Civile (T.A.R. Toscana III, n. 2507/2006). La scelta del mezzo di tutela da utilizzare da parte della p.a., peraltro, ha importanti conseguenze in punto di giurisdizione: ricorrere allo strumento privatistico in luogo di quello pubblicistico, invero, comporta la devoluzione della controversia alla giurisdizione del g.o. (Cass. S.U., n. 15290/2006).

Quanto all'ambito oggettivo di applicazione, il T.A.R. Campania, Napoli VII, 5 gennaio 2007 n. 67, ha sottolineato come i beni tutelabili con gli strumenti di cui all'art. 823, comma 2, c.c., sono solo quelli facenti parte del demanio pubblico, dovendosi pertanto escludere che possano ricomprendersi anche i beni ricadenti nel patrimonio disponibile (in tal senso anche T.A.R. Valle d'Aosta, Aosta, n. 34/2005,).

Invece, riguardo all'ambito soggettivo di applicazione, occorre specificare che l'art. 823, comma 2, c.c., trova applicazione unicamente nei confronti dei soggetti privati, in quanto l'autotutela della p.a. è espressione della sua posizione autoritativa di supremazia: ciò comporta, evidentemente, che essa non possa essere esercitata nei confronti di soggetti che fanno parte anch'essi dell'amministrazione pubblica e che, in quanto tali, sono nella medesima posizione giuridica. Pertanto, un Comune non può esercitare i poteri di autotutela a difesa della proprietà demaniale, in base all'art. 823, comma 2, c.c., nei confronti di una Regione (Cass. S.U., n. 1864/2005,; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, n. 1462/2006,).

In ogni caso, deve poi sottolinearsi come l'attività prevista dall'art. 823, comma 2, si presenta a carattere vincolato, in quanto l'esercizio del potere di ordinare il rilascio di un bene demaniale posseduto sine titulo da terzi è condizionato dalla salvaguardia dei beni ricadenti nel demanio pubblico (Cons. St. IV, n. 2398/2006,). E dal suddetto carattere vincolato dell'attività svolta deriva l'applicabilità dell'art. 21-octies, comma 2, prima parte, l. n. 241/1990, in tema di limite all'annullabilità dei provvedimenti adottati.

L'esecuzione dei crediti pecuniari dello Stato (comma 2)

La disposizione richiama una disciplina specifica in tema di crediti dello Stato poiché il comma 2 prevede che, «ai fini dell'esecuzione delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si applicano le disposizioni per l'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato».

La forma di esecuzione pubblica più diffusa è l'esecuzione forzata esattoriale mediante ruolo o tramite ingiunzione.

Tuttavia, per completezza va ricordato che lo Stato realizza coattivamente i propri crediti seguendo anche altre modalità, non tutte riconducibili all'esecuzione mediante ruolo od ingiunzione. Si pensi alla compensazione, alla ritenuta alla fonte ed anche al fermo amministrativo che, ex art. 69, r.d. n. 2440/1923, esprime il potere della p.a. di provvedere autonomamente alla salvaguardia dell'interesse pubblico connesso alle esigenze finanziarie dello Stato, senza la necessità di alcun intervento da parte dell'autorità giudiziaria.

E allora, deve opinarsi che il legislatore abbia inteso operare il richiamo non solo ad un'unica disciplina dell'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato, ma al complesso di tutte le norme che prevedono l'esecuzione pubblica, lasciando così all'amministrazione la possibilità di scegliere (sempre motivando) quale disciplina applicare al singolo caso.

Secondo una prima tesi l'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato ha natura amministrativa. Così, accolta la natura amministrativa, il Consiglio di St. V, 10 gennaio 2005, n. 19, ha affermato che la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria sia ravvisabile soltanto ove la controversia attenga ai vizi formali dell'ingiunzione e del relativo procedimento o al diritto dell'ente pubblico di procedere all'esecuzione forzata.

Secondo l'opposta tesi, invece, l'ingiunzione ha natura di titolo esecutivo stragiudiziale o di efficacia giurisdizionale (T.A.R. Sicilia, Palermo III, n. 1476/2006,).

Poi, occorre riflettere sul termine «obbligazioni» utilizzato dal legislatore: si tratta di obbligazioni aventi ad oggetto somme di danaro, tipici obblighi fungibili di dare. Però, deve ritenersi che il termine è utilizzato, in modo atecnico, per fare riferimento a tutti i provvedimenti della p.a. (costitutivi di obblighi), posto che altrimenti verrebbe sovvertito il principio generale della par condicio dei contraenti in materia di diritto privato (al quale soggiace anche la p.a. ove utilizzi strumenti di diritto privato).

In ultimo, va rilevato che l'attestazione del proprio credito da parte di un ente pubblico non è assistita da una presunzione di legittimità e veridicità, ma fruisce solo, così come in genere tutti gli atti amministrativi, di una particolare efficacia, detta esecutorietà, che, nel caso, si esaurisce nel legittimare il ricorso alla procedura monitoria, con la conseguenza che, se si instaura il contraddittorio e l'efficacia probatoria della attestazione viene contestata, ricade sull'ingiungente l'onere di provare la fondatezza della propria pretesa e della quantificazione del danno (Cass. I, n. 5009/2000).

Bibliografia

Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2008; Caringella, Tarantino, Codice Amministrativo, Roma, 2009; Liberati, Il procedimento amministrativo, I, Padova, 2008; Paolantonio, Considerazioni su esecutorietà ed esecutività del provvedimento amministrativo nella riformata della l. 241/1990, in giustamm.it, 2005.

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