Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 21 octies - Annullabilità del provvedimento 1

Maurizio Francola
aggiornato da Francesco Caringella

Annullabilità del provvedimento1

 

1. E' annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.

2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10-bis2.

[2] Comma modificato dall'articolo 12, comma 1, lettera i), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120.

Inquadramento

L'articolo 21-octies della l. n. 241/1990 individua, al primo comma, le ipotesi tassative di annullabilità del provvedimento: violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza. Si tratta delle medesime ipotesi già disciplinate dalla c.d. legge Crispi n. 5992/1889, istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato, la cui reale portata è stata, nel tempo, chiarita dalla giurisprudenza.

In estrema sintesi, il vizio della violazione di legge si verifica nei casi di non conformità del provvedimento rispetto ad una disposizione normativa specifica; l'eccesso di potere, in conformità ai primi orientamenti della giurisprudenza sul tema del c.d. «sviamento» del potere, si configura qualora l'Amministrazione persegua un fine diverso da quello imposto dalla legge. Tanto avviene in tutte le ipotesi in cui si verifica una delle c.d. «figure sintomatiche» quali, ad esempio, il travisamento di fatto, l'insufficiente istruttoria, l'insufficiente motivazione, l'irragionevolezza, il difetto di proporzionalità. L'incompetenza, infine, costituisce una specifica fattispecie di violazione di legge e si verifica nelle ipotesi nelle quali il potere amministrativo venga esercitato in difetto della previa attribuzione del potere da parte della legge all'organo che ha adottato l'atto.

La norma in esame, tuttavia, lungi dal limitarsi all'elencazione dei tre tipici vizi invalidanti il provvedimento, circoscrive anche il proprio ambito applicativo, individuando delle specifiche ipotesi nelle quali il mancato rispetto di alcune norme della l. n. 241/1990 non comporta necessariamente l'annullabilità del provvedimento.

In particolare, la disposizione in esame tipizza due tipologie di vizi «non invalidanti». Innanzitutto, si prevede che la violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti non comporta annullabilità del provvedimento qualora, per la natura vincolata del provvedimento stesso, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento, inoltre, non è in ogni caso annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto dello stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

È evidente che l'articolo 21-octies rende irrilevante la violazione delle norme sul procedimento o sulla forma dell'atto per una ragione che non attiene al sostanziale rispetto della specifica disposizione sul procedimento o sulla forma, focalizzandosi invece sull'esito concreto dell'attività procedimentale, all'uopo verificando se il contenuto dispositivo dell'atto «non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato»: viene, così, introdotta la c.d. «logica del raggiungimento del risultato».

L'articolo in commento, invero, non ha «inciso sulle categorie dell'irregolarità o dell'illegittimità dell'atto amministrativo, né può aver determinato un affievolimento delle regole dell'azione amministrativa, che sono intimamente collegate alla tutela del cittadino. La novella legislativa si è limitata a codificare quelle tendenze già emerse in giurisprudenza mirate a valutare l'interesse a ricorrere, che viene negato ove il ricorrente non possa attendersi, dalla rinnovazione del procedimento, una decisione diversa da quella già adottata» (T.A.R. Lazio, Roma, I, n. 5460/2009).

Da questo punto di vista, la disposizione non determina alcuna degradazione di un vizio di legittimità a mera irregolarità, né integra una «fattispecie esimente» che affranca ab initio il provvedimento amministrativo dalle violazioni vizianti contemplate dall'art. 21-octies; mentre l'irregolarità opera ex ante e in astratto, per cui il provvedimento amministrativo affetto da vizio formale minore è un atto ab origine meramente irregolare, nel caso dell'art. 21-octies, comma II, la violazione continua ad integrare un vizio di legittimità, che non comporta l'annullabilità dell'atto a causa di valutazioni attinenti al contenuto del provvedimento ed effettuate ex post dal giudice, che accerta che il provvedimento non poteva essere diverso (Cons. St. VI, n. 4614/2007).

Passando all'esame specifico delle singole tipologie di vizi «non invalidanti» va evidenziato che, quanto alla prima ipotesi (ovvero ove sia palese che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso), l'applicabilità della disposizione deve ritenersi legittima non soltanto nei casi in cui il provvedimento sia totalmente vincolato, ma, in particolari circostanze, anche quando «il provvedimento presenti, congiuntamente ad ambiti vincolati, margini di discrezionalità, purché il giudice sia in concreto chiamato a compiere un mero riscontro circa la ricorrenza delle condizioni richieste dalla legge per l'adozione di un determinato provvedimento» (T.A.R. Campania, Napoli VII, n. 2312/2011). Sul punto, la Corte Costituzionale con ordinanza del 17 marzo 2017, n. 58 si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 21-octies, sollevata dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, nella parte in cui esclude l'annullabilità di un provvedimento qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La Corte Cost. ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione per difetto di motivazione sulla rilevanza, in quanto la rimettente non spiega se e come ritiene superabile l'impostazione giurisprudenziale che esclude l'incidenza delle violazioni procedimentali sul rapporto obbligatorio di fonte legale, avente ad oggetto prestazioni pensionistiche; per mancato esperimento del tentativo d'interpretazione conforme a Costituzione, dal momento che, secondo un diffuso orientamento della giurisprudenza amministrativa, «il difetto di motivazione nel provvedimento non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma, costituendo la motivazione del provvedimento il presupposto, il fondamento, il baricentro e l'essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della l. n. 241/1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti» (Cons. St. III, n. 1629/2014); nonché per l'uso improprio dello strumento del vaglio di costituzionalità per avallare una certa interpretazione della norma censurata.

Per quanto, invece, attiene all'illegittimità non invalidante nei casi di mancata comunicazione di avvio del procedimento, va osservato che la norma riguarda «i provvedimenti di carattere discrezionale e pone un preciso onere probatorio a carico dell'amministrazione, che deve dimostrare che il provvedimento, nonostante la mancata partecipazione, non avrebbe potuto avere diverso contenuto; qualora tale onere probatorio, quindi, non sia stato assolto, deve essere dichiarata l'annullabilità del provvedimento amministrativo» (T.A.R. Calabria, Catanzaro I, n. 1016/2009).

Peraltro, se è vero che si pone in capo all'Amministrazione (e non al privato) l'onere di dimostrare, in caso di mancata comunicazione dell'avvio, che l'esito del procedimento non sarebbe stato in ogni caso diverso, onde evitare, però, di gravare l'Amministrazione stessa di una probatio diabolica, risulta preferibile interpretare la disposizione in commento «nel senso che il privato non possa limitarsi a dolersi della mancata comunicazione di avvio, ma debba anche quantomeno indicare o allegare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione. Solo dopo che il ricorrente ha adempiuto questo onere di allegazione (che la norma implicitamente pone a suo carico), la P.A. sarà gravata del ben più consistente onere di dimostrare che anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato» (T.A.R. Lazio, Roma, I, n. 6451/2009).

Sono stati elaborati diversi orientamenti nell'ipotesi in cui sia stato dedotto il vizio di incompetenza relativa. Secondo una parte della giurisprudenza amministrativa, l'art. 21 octies, comma 1 ha confermato la classica tripartizione dei vizi di legittimità dell'atto amministrativo, per cui la violazione delle norme sulla competenza configura il vizio di incompetenza, mentre la violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti dà esito a violazione di legge. A tale proposito, il T.A.R. Lecce con sentenza 13 ottobre 2016 n. 1536 ha affermato che «dalla lettura combinata dei commi 1 e del 2 dell'art. 21-octies l. n. 241/1990, infatti, si desume che, quando viene accertata l'incompetenza relativa dell'organo adottante, il provvedimento deve essere necessariamente annullato, non potendo trovare applicazione la disposizione che ne preclude l'annullamento laddove sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Detta disposizione, infatti, si riferisce ai soli casi in cui il provvedimento sia stato adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma. Né è possibile includere le norme sulla competenza tra quelle sul procedimento amministrativo o sulla forma degli atti. Infatti, nel comma 1 dell'art. 21-octies l. n. 241/1990 il legislatore ha inteso ribadire la classica tripartizione dei vizi di legittimità dell'atto amministrativo, in base alla quale la violazione delle norme sulla competenza configura il vizio di incompetenza, mentre la violazione delle norme sul procedimento o sulla forma rientra nell'ambito più generale della violazione di legge».

Diversamente si pronuncia il Cons. St. V, 24 febbraio 2017 n. 507, secondo cui il vizio di incompetenza relativa va considerato un vizio procedimentale, infatti «il denunciato vizio di incompetenza relativa può dirsi sanato ex articolo 21-octies, comma 2, l. 241 del 1990». Tale orientamento (prevalente) viene ripreso anche dal T.A.R. Napoli, sez. III, n. 1710/2017, e dal T.A.R.Trento n. 136/2017, secondo cui il sindacato del giudice amministrativo – qualora si tratti di attività vincolata – non si limita all'accertamento dei vizi di legittimità dedotti con il ricorso, ma accerta anche l'effettiva spettanza del bene della vita. Nei casi di attività discrezionale, invece «il giudice amministrativo, se chiamato ad operare un sindacato di legittimità sulla discrezionalità (pura o tecnica) dell'amministrazione, non può sostituirsi ad essa, ma deve limitarsi a svolgere il sindacato dall'esterno, ossia verificando se il potere sia stato correttamente esercitato o meno». Tuttavia, laddove si tratti di attività vincolata in concreto, l'art. 31, comma 3, c.p.a., «consente al giudice di pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio non solo quando si tratta di attività vincolata in astratto (ossia vincolata già a livello normativo), ma anche quando (per effetto di vincoli esterni di carattere non normativo o di autovincoli) «risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità». Dunque, anche in quest'ultima ipotesi «deve, ritenersi che il giudice amministrativo, qualora sia stato dedotto il vizio di incompetenza relativa e sia stata accertata la fondatezza di tale censura, sia tenuto a verificare se il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato avrebbe potuto essere diverso se a provvedere fosse stato l'organo competente» (in tal senso anche Cons. St. III, 5355/2020; Cons. St. V, n. 971/2020; Cons. St. II, n. 253/2019; Cons. St. III, n. 3791/2015; Cons. St. V, n. 2602/2013).

La nuova invalidità amministrativa.

a) il principio di legalità sostanziale forte, infarcendo di vincoli giuridici puntuali l'azione amministrativa, dilata notevolmente la sfera dell'invalidità amministrativa rispetto a quella privatistica, in ragione della presenza di regole imperative, positive, funzionali, comportamentali, formali, organizzative e sovranazionali;

b) la pervasività della categoria dell'invalidità trova una prima compensazione nel carattere eccezionale e residuale della figura della nullità a fronte dell'annullabilità virtuale che si staglia quale ipotesi generale;

c) una seconda compensazione deriva dall'avvento, in virtù dell'art. 21 -octies , comma 2, della l. n. 241, di una nozione sostanziale di invalidità, che recide l'identificazione tra illegittimità e annullabilità, riconoscendo effetto invalidante ai soli vizi influenti sul risultato effettivo e, quindi, sulla giustizia concreta dell'azione amministrativa;

d) detta regola, frutto della nozione sostanziale di interesse legittimo come pretesa al bene della vita e dalla conseguente tensione del giudizio amministrativo verso il rapporto, esprime un principio generale estensibile anche agli altri vizi e alle altre patologie;

e) la centralità del bene della vita nella struttura dell'interesse legittimo, dell'invalidità e del processo, implica anche l'elasticità degli effetti temporali dell'annullamento che, sia in sede giurisdizionale che in ambito amministrativo, devono essere distillati nella misura capace di conciliare la piena tutela dell'interesse del ricorrente con la necessità di evitare inutili sacrifici degli interessi antagonisti.

I vizi non invalidanti dell'art. 21-octies comma 2

La giurisprudenza amministrativa già da tempo aveva riconosciuto la categoria delle « violazioni formali», animata dal lodevole proposito di non ostacolare l'azione della P.A. con interpretazioni troppo rigorose delle norme che ne disciplinano lo svolgimento: numerosi esempi di decisioni manifestamente ispirate alla finalità di privilegiare il risultato più che la forma dell'attività amministrativa hanno riguardato proprio l'applicazione di taluni istituti regolati dalla legge sul procedimento.

Le violazioni la cui natura «formale» era ravvisata nel carattere minimale dell'anomalia, inidonea ad alterare lo scopo cui è preordinata in astratto la norma, rientrano nell'area delle mere irregolarità, costituite da quelle imperfezioni di forma o di procedura non contrastanti con elementi normativi essenziali: è il caso, ad esempio, delle ipotesi di omessa indicazione del responsabile del procedimento. Altra norma la cui inosservanza è stata ritenuta irrilevante ai fini dell'invalidità dell'atto è quella dell'art. 3, comma 4, l. n. 241/1990, che prescrive l'indicazione, nel provvedimento da comunicare ai destinatari, «del termine e dell'autorità cui è possibile ricorrere».

Con riferimento alla valutazione del vizio di omessa comunicazione di avvio del procedimento, poi, i giudici amministrativi erano pervenuti a conclusioni improntate a un approccio ermeneutico di tipo sostanzialistico, considerando irrilevante la relativa violazione qualora l'ipotetica partecipazione procedimentale del destinatario della comunicazione ex art. 7, l. n. 241/1990 fosse risultata priva in concreto di qualunque utilità per la tutela delle situazioni giuridiche soggettive e degli interessi poi dedotti in giudizio dal ricorrente. Ugualmente, l'omesso invio della comunicazione è stato ritenuto non censurabile laddove l'interessato abbia avuto aliunde piena conoscenza della pendenza del procedimento e vi abbia potuto partecipare, o il procedimento sia stato avviato su istanza di parte, o ancora l'adozione del provvedimento sia doverosa, oltre che vincolata, per la P.A., sicché l'eventuale annullamento del provvedimento non priverebbe comunque l'Amministrazione del potere di emanare un atto dal contenuto identico.

In ordine al provvedimento nel quale si riscontri un difetto o una mancanza di motivazione , in violazione dell'art. 3, l. n. 241/90, la giurisprudenza è da sempre orientata nel senso di considerare ininfluente tale vizio, qualora si verta in tema di atti vincolati, e di ammetterne la convalida in corso di giudizio. Il difetto di motivazione sarebbe dunque di per sé inidoneo a determinare l'annullamento del provvedimento, laddove questo, integrato successivamente, sia rimasto sostanzialmente inalterato quanto alle ragioni di infondatezza della originaria pretesa del ricorrente.

L'art. 21 -octies , comma 2, introdotto nella l. n. 241/1990 dall'art. 14, comma 1, l. n. 15/05, ha proceduto al totale recepimento della precedente elaborazione giurisprudenziale, dando a essa uno statuto legislativo.

La norma, peraltro, si inserisce in una ormai consolidata tendenza di tutti gli ordinamenti eurounitari ad espungere dal novero delle cause di annullamento dell'atto i vizi solo formali: si pensi, ad esempio, alla legge tedesca sul procedimento amministrativo ( Verwaltungsverfahrengesetz) , del 25 maggio 1976.

Il comma 2 dell'art. 21-octies: ratio, ambito applicativo e natura giuridica

La norma si articola in due proposizioni:

– nella prima sono indicate, in termini generali, le violazioni che non danno luogo ad annullabilità: vale a dire quelle relative alle norme sul procedimento o sulla forma degli atti, laddove si tratti di provvedimenti a carattere vincolato, per i quali sia «palese» che il «contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato»;

– nella seconda è prevista una specifica disciplina per il caso della mancata comunicazione di avvio del procedimento: ove la P.A. «dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato», la violazione predetta non produce l'annullabilità dell'atto. In tale ipotesi, dunque, non opera il limite dell'attività vincolata, riferendosi la norma anche al caso di attività discrezionale; quanto all'onere della prova, esso è espressamente a carico della P.A.

Quindi, dal comma 2 della norma in esame si ricava che:

– il provvedimento non è annullabile per vizi formali o procedimentali quando il contenuto dispositivo (ossia il precetto) non avrebbe potuto essere diverso;

– il provvedimento, in ogni altro caso, non è annullabile per il vizio di omessa comunicazione di avvio del procedimento quando l'amministrazione dimostri che il contenuto non avrebbe potuto essere diverso.

La disposizione in parola sancisce un principio che si inserisce nell'ambito del diritto amministrativo contemporaneo.

La regola secondo cui non può essere annullato il provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti è espressione del generalissimo principio di conservazione dell'atto giuridico, finalizzato alla riduzione degli elevati costi dell'invalidità, al quale si ispirano molte altre norme dell'ordinamento: ne è esempio emblematico l'art. 156 c.p.c., che, fra gli altri, sancisce il canone della strumentalità delle forme degli atti processuali rispetto al raggiungimento dello scopo cui esse sono preordinate.

Le conseguenze sul piano della teoria generale del diritto amministrativo sono dirompenti. In effetti, si abbatte un dogma che resisteva da decenni: ovvero l'idea della natura intrinsecamente imperativa di tutte le disposizioni, sostanziali e procedimentali, destinate a regolare l'attività della P.A., la cui violazione dava luogo automaticamente all'annullabilità del provvedimento, anche in presenza di un minimo scarto tra l'atto e il corrispondente modello legale, tale da non compromettere la sostanziale correttezza dispositiva della determinazione amministrativa di volta in volta emanata.

L'annullabilità, pertanto, non costituisce più l'unica sanzione per il comportamento illegittimo della P.A.: essa si atteggia a sanzione eccessiva, inutile, persino dannosa nel caso di provvedimento che non sia stato inciso (nel merito e nella sostanza) dalla violazione della regola procedimentale. Ne consegue che tanto la P.A. quanto l'autorità giudiziaria sono private di qualunque potestà eliminatoria dei provvedimenti che presentino le caratteristiche descritte dall'art. 21-octies, con una radicale asimmetria fra il piano sostanziale e quello processuale e procedimentale. È evidente, infatti, che a un provvedimento contrastante con le norme che lo disciplinano non sempre si contrappone alcun potere demolitorio, profilandosi ipotesi d'illegittimità attizie, obiettivamente sussistenti ma insuscettibili di condurre all'annullamento dell'atto.

Oltre a rappresentare una deroga alla relazione biunivoca tra illegittimità ed annullabilità, inoltre, la norma – traendo i necessari corollari dalla considerazione dell'interesse legittimo non come interesse alla mera legittimità ma come pretesa al bene della vita e dalla costruzione di un giudizio amministrativo spinto verso il rapporto riduce sensibilmente l'area in precedenza riservata a quest'ultima. Infatti, secondo la novellata impostazione legislativa possono ora rimanere efficaci tutti quei provvedimenti che, sebbene non perfettamente venuti ad esistenza, non si discostino (o almeno non in misura apprezzabile) dall'ipotetico atto alternativo legittimo che la P.A. avrebbe dovuto adottare. In definitiva si rompe l'automatismo per cui ogni vizio produce l'annullabilità e si delinea un concetto di invalidità basato sulla effettiva influenza dell'illegittimità sull'esito della procedura.

Sulla legittimità costituzionale dell'art. 21 -octies comma 2 l. n. 241/1990 si è espressa la Corte Costituzionale 17 marzo 2017, n. 58 , secondo cui il difetto di motivazione nel provvedimento non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma, costituendo la motivazione del provvedimento il presupposto, il fondamento, il baricentro e l'essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della l. n. 241/1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti; nonché per l'uso improprio dello strumento del vaglio di costituzionalità per avallare una certa interpretazione della norma censurata.

Cons. Stato,  IV, 16 marzo 2023, n. 2757 ha, da ultimo, rimarcato che la dequotazione dei vizi formali, cristallizzata nell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, consente, in un’ottica di efficienza dell’azione amministrativa, la non annullabilità del provvedimento per vizi formali ininfluenti sulla sua legittimità sostanziale, laddove il riesercizio del potere non avrebbe comunque condotto all’attribuzione del bene della vita richiesto dall’interessato.

 

Ambito applicativo della norma .

Ciò detto, è necessario soffermarsi sull'ambito applicativo della norma.

a) Il primo aspetto su cui dottrina e giurisprudenza si sono interrogate riguarda la possibilità di ricondurre tra i vizi di cui al comma 2, primo periodo, dell'art. 21-octies, l. n. 241/1990 anche il vizio di difetto di motivazione.

In senso negativo, parte della giurisprudenza ha ritenuto che l'art. 21-octies, comma 2, non possa trovare applicazione in fattispecie di tal fatta, posto che l'omissione della motivazione non integra un vizio meramente formale, in quanto la motivazione costituisce elemento essenziale dell'atto. Di contrario avviso è, invece, altra parte della giurisprudenza, la quale ritiene che il difetto di motivazione costituisce vizio formale dell'atto amministrativo con conseguente applicabilità della sanatoria processuale.

Il Consiglio di Stato (Cons. St. VI, n. 8449/2021) propende per la prima tesi, affermando che la motivazione del provvedimento amministrativo rappresenta il presupposto, il fondamento, il baricentro e l'essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della l. 241/1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della l. 241/1990, il provvedimento affetto dai c.d. vizi non invalidanti (Cons. St. III, n. 1629/2014), non potendo perciò il suo difetto o la sua inadeguatezza essere in alcun modo assimilati alla mera violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma (Cons. St. V, n. 5291/2018). Non può, dunque, ritenersi che una decisione assunta in assenza di un'adeguata motivazione, in violazione dei criteri di autovincolo, sulla base di un erroneo apprezzamento di fatti oggettivi facilmente riscontrabili e con l'utilizzo di formule tali da non permettere di comprendere e di verificare i criteri di valutazione effettivamente utilizzati, possa essere considerata frutto di un errore scusabile, tale da escludere il coefficiente psicologico di colpevolezza dell'illecito civile (Cons. St. VI, n. 6110/2021).

b) Deve segnalarsi, inoltre, come uno dei problemi che maggiormente ha occupato l'elaborazione dottrinaria e pretoria concerne la possibilità di ricondurre tra i vizi di cui al comma 2, primo periodo, dell'art. 21-octies, l. n. 241/1990 anche il vizio di incompetenza relativa (da non confondersi con quello di incompetenza assoluta, rientrante ora nell'ambito dei vizi che comportano la nullità del provvedimento ai sensi dell'art. 21-septies).

Sul punto si rinvia alle considerazioni prima svolte (par. 1).

I giudici amministrativi hanno per lo più dichiarato inapplicabile l'art. 21 -octies , comma 2, al vizio di incompetenza, nell'assunto che trattasi di vizio, peraltro assorbente, che non riguarda la forma del provvedimento ma l'investitura sostanziale del potere (Cons. St., Ad. plen. n. 5/2015). In particolare, la giurisprudenza ha evidenziato che in nessun caso il vizio di incompetenza può essere ricondotto ai vizi del procedimento o della forma, essendo questi ultimi dei casi di violazione di legge e avendo il Legislatore del 2005 deciso di conservare l'originaria tripartizione dei vizi del provvedimento.

Tale conclusione suscita, tuttavia, alcune perplessità che la dottrina e una parte della giurisprudenza non ha mancato di manifestare, ponendosi in contrasto, in primo luogo, con la logica del diritto europeo, la quale comprende nel concetto di forma ogni violazione che non incida sulla sostanza della decisione e che non sia indice di un cattivo uso del potere sostanziale. Nella prospettiva comunitaria, dunque, la competenza, non incidendo sulla valutazione di merito della determinazione amministrativa e non rilevando ai fini della risoluzione sostanziale del rapporto, appare assumere veste di vizio formale.

Decisiva, in tal senso, è la stessa ratio della norma, volta a evitare inutili annullamenti giurisdizionali quante volte il provvedimento, pur se adottato da un organo non perfettamente competente, sia un provvedimento perfettamente giusto e anzi assolutamente vincolato nella logica legislativa e corrispondente all'interesse pubblico (Cons. St. n. 5955/2020; Cons. St. V, n. 971/2020; Cons. St. II, n. 253/2019; Cons. St. III, n. 3791/2015; Cons. St. V, n. 2602/2013).

c) Analogo interrogativo ha poi riguardato la possibilità di estendere il dettato dell'art. 21-octies, comma 2 anche al difetto di preavviso di diniego.

La giurisprudenza consolidata in senso affermativo (Cons. St. V, n. 2963/2021; Cons. St. IV, 1144/2020; Cons. St. III, n. 1156/2019; Cons. St. IV, n. 2052/2019; Cons. St. V, 3882/2019; Cons. St. II, 4089/2019) è stata smentita dalla nuova formulazione dell'art. 21-octies, dopo le modifiche apportate dal d.l. Semplificazioni n. 76/2020 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120), secondo cui «la disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'art. 10- bis ».

Cass. sez. un. n. 34961/2023 ha ribadito che,  a norma dell'art. 21-octies della l. n. 241 del 1990, l'annullabilità di un provvedimento amministrativo per violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento, prescritto dall'art. 7 della medesima legge, è esclusa, quanto ai provvedimenti di natura vincolata, nel caso in cui il loro contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, siccome rigidamente predisposto da una norma o da altro provvedimento sovraordinato, mentre, per i provvedimenti di natura non vincolata, subordinatamente alla prova, da parte della P.A., che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso anche in caso di intervento dei soggetti interessati. (Nella specie, la S.C. ha affermato la natura vincolata del provvedimento con il quale il Consiglio dell'Ordine degli avvocati aveva respinto l'iscrizione all'albo ordinario, previa dispensa dalla prova attitudinale, in quanto l'istante non aveva dimostrato il possesso dei requisiti all'uopo richiesti dalla legge per ottenere l'esonero dalla suindicata prova).

Natura processuale o sostanziale della norma, irregolarità, raggiungimento dello scopo o sanatoria?

Ultimo aspetto da analizzare attiene alla natura giuridica della norma. Diverse sono le tesi in campo.

Una prima tesi rinvia al concetto di atto irregolare. Si obietta, tuttavia, che l'atto è irregolare quando ex ante è inidoneo a precluderne la correttezza sostanziale mentre, in questo caso, il giudizio è ex post.

Una seconda tesi richiama il principio processual-civilistico del raggiungimento dello scopo (art. 156, comma 3, c.p.c.). Si rileva, però, che quella di cui all'art. 156 c.p.c. è norma eccezionale che riguarda solo gli atti processuali. In questo caso, peraltro, non si pone un problema di raggiungimento dello scopo (ossia la partecipazione del privato al procedimento, nonostante la mancata comunicazione di avvio del procedimento), ma si pone un problema diverso, cioè di correttezza della decisione.

Una terza tesi richiama il concetto di sanatoria, nel senso che la verifica del giudice produrrebbe una sanatoria. Anche questa è, però, una posizione non pienamente condivisibile perché la sanatoria è una sopravvenienza che supera il vizio, mentre qui c'è un controllo del giudice sulla originaria inidoneità del vizio ad incidere sulla correttezza della decisione.

La questione va, allora, riformulata in diversi termini, dovendosi chiarire se si tratta di norma sostanziale o processuale.

Secondo una impostazione (sostenuta da Cons. St., n. 4218/2014), il provvedimento è illegittimo, invalido, annullabile (ad es. da parte della P.A. in autotutela), ma non da parte del giudice, perché il privato non ha interesse a ricorrere sapendo che il provvedimento, dopo l'annullamento da parte del giudice, sarebbe ripetuto dall'Amministrazione nel suo medesimo contenuto.

Questa impostazione è per certi versi avvalorata, illo tempore, dalla circostanza che la norma operava solo nel processo, mentre, ai fini dell'annullamento d'ufficio non vi era alcuna previsione normativa.

Tuttavia, almeno due sono le debolezze della tesi (che dovrebbe implicare una pronuncia in rito di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse):

1) in primo luogo, va rilevato che la riforma del 2014 (art. 25, comma 1, lettera b-quater, numeri 1 e 2 del d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164) ha esteso questa regola anche all'annullamento d'ufficio, evidenziando così che il problema è sostanziale (vedi l'articolo 21-nonies, comma 1). Non si pone, in altri termini, il problema di annullabilità del provvedimento nel processo, ma la questione è un'altra e cioè che il provvedimento non è più qualificabile come invalido;

2) ancora, se fosse una norma processuale, questa sarebbe incostituzionale, perché la legge non può presumere iuris et de iure che il privato non ha interesse ad impugnare (evidente essendo il contrasto con gli artt. 24,103 e 113 Cost.).

Secondo altra, preferibile, impostazione (sostenuta da Cons. St., n. 1307/2007), il provvedimento è illegittimo, ma non annullabile.

Invero, se il provvedimento per essere invalido ha bisogno di due caratteristiche: la difformità rispetto alla legge e l'inefficacia come conseguenza. Pertanto, quando la legge esclude l'inefficacia perché l'illegittimità è ininfluente, è evidente che il provvedimento non è più invalido. Si tratta, pertanto, di una norma che ha introdotto una nuova forma di invalidità che è strettamente connessa ad una nuova nozione di interesse legittimo e ad un nuovo concetto di giudizio amministrativo sul rapporto e non più sull'atto. Per essere invalido non è sufficiente un vizio di legittimità, ma è necessario che il vizio abbia inficiato in modo influente la soluzione e abbia determinato un esito sostanzialmente ingiusto per il privato.

Per tale via, si riconosce all'art. 21-octies natura di norma sostanziale, muovendo dalla considerazione che il linguaggio utilizzato dal comma 2 è perfettamente omogeneo a quello presente nel comma 1, il quale elenca i vizi del provvedimento rientranti nella categoria dell'annullabilità, pacificamente situata nell'ambito delle nozioni sostanziali di disciplina dell'atto. In questo senso il comma 2 avrebbe, dunque, come unica funzione quella di delimitare l'operatività della nozione – sostanziale – di annullabilità di cui al comma 1.

Si tratta di una nuova regola generale, che vale non solo per i vizi formali e procedimentali, ma per tutti i vizi anche diversi. Il giudice non deve pronunciare l'annullabilità quando è certo, per gli atti vincolati, che il provvedimento sia corretto.

Le due tesi ricordate producono esiti diversi anche sulla formula della sentenza che definisce il giudizio. Infatti, seguendo la tesi processuale, l'esito è l'inammissibilità per difetto di interesse; seguendo quella sostanziale, il provvedimento non è annullabile perché non è invalido, con conseguente reiezione o pronunciaexart. 34 comma 3 c.p.a. del ricorso se il privato è interessato a una pronuncia di mero accertamento.

Comunque, occorre precisare che la giurisprudenza prevalente ritiene che l'art. 21 -octies co. 2 sia una norma di carattere processuale (Cons. St. II, n. 1800/2020; Cons. St. II, n. 165/2020; Cons. St. V, n. 4964/2019; Cons. St. VI, n. 359/2022).

Profili probatori

In ordine al profilo probatorio, la norma è chiara nell'inciso finale del comma 2.

In caso di omessa comunicazione dell'avvio del procedimento nei provvedimenti discrezionali, infatti, l'onere probatorio è a carico della P.A., dovendo quest'ultima dimostrare (sulla base di un'allegazione del privato volta a spiegare il contributo procedimentale che avrebbe potuto apportare se fosse stato avvisato) che quelle deduzioni non avrebbero potuto cambiare l'esito della decisione. La ragione è chiara: visto che si fa questione di assenza di alternative di fatto, solo la p.a., titolare del potere discrezionale, può dimostrare l'assenza di altre soluzioni possibili.

Nella prima parte della norma, invece, la mancanza di una regola probatoria dovrebbe condurre all'applicazione dell'art. 2697 c.c. e, quindi, il ricorrente dovrebbe dimostrare che il vizio è influente per ottenere l'annullamento. Tale assunto va però coordinato sia con la circostanza che nel processo amministrativo opera il metodo acquisitivo, sia con la circostanza che nel caso di specie parliamo di una quaestio iuris piuttosto che di una quaestio facti: circostanze che depongono a favore della tesi di un potere accertativo e valutativo ufficioso del giudice, sganciato dalla prova di parte ad opera dell'Amministrazione resistente.

I vizi di merito del provvedimento amministrativo

Accanto alle figure dei vizi di legittimità si colloca l'invalidità per vizi di merito, ovvero la non conformità del provvedimento alle regole di opportunità, convenienza e buona amministrazione che devono essere poste a presidio dell'esercizio dei pubblici poteri. Il merito amministrativo è definibile come l'insieme delle soluzioni potenzialmente compatibili con i principi di congruità e di logicità che disciplinano e regolano l'azione amministrativa discrezionale. Alla luce di tale assunto il campo di operatività dei vizi di merito è circoscritto ai provvedimenti connotati da discrezionalità, posto che solo per essi è concesso alla P.A. di vagliare l'opportunità e la convenienza dell'agire.

Gli orientamenti della dottrina non sono univoci in ordine all'individuazione dei parametri in base ai quali valutare l'inopportunità di un atto amministrativo. Alcuni fanno riferimento al «funzionario medio», ritenendo che la scelta della P.A. sarebbe viziata nel merito ove non collimante con quella che si potrebbe ragionevolmente pretendere avendo riguardo ai comportamenti esigibili da un siffatto funzionario. Altri invece ritengono che si debba considerare la soluzione ottimale, ossia quella che realizza il massimo grado di soddisfazione dell'interesse pubblico.

Dalla prima impostazione discende il necessario richiamo a regole non giuridiche; nella seconda sembra piuttosto prevalere il profilo della creazione di una regola individuale. A tal proposito si è osservato che per sostenere la configurabilità dei vizi di merito occorrerebbe postulare la preesistenza di regole alla cui stregua valutare la scelta, mentre nella realtà si avrebbe sempre e soltanto la semplice sostituzione della valutazione operata da un organo con quella ritenuta migliore da un organo diverso. In contrario, però, si rileva che anche la regola individuale può essere controllata dal punto di vista della coerenza logica e della plausibilità delle previsioni.

Va da sé che i vizi di merito, concernendo l'intrinseca convenienza della scelta operata dalla P.A., si distinguono nettamente dall'eccesso di potere; del resto, una pur corretta e legittima ponderazione comparativa degli interessi non si traduce automaticamente nella scelta migliore.

Di regola l'inopportunità del provvedimento è irrilevante, nel senso che la legge si limita a richiedere che la scelta discrezionale non risulti viziata da eccesso di potere, e ciò è coerente con l'esigenza di rispettare la sfera di azione della P.A.

Tuttavia, l'ordinamento, nelle materie di giurisdizione di merito (v. artt. 7, comma 6, e 134 del Codice del processo amministrativo), prevede la sindacabilità dell'inopportunità e, dunque, la sostituzione della valutazione di un terzo a quella compiuta dall'Amministrazione (si pensi al giudizio di ottemperanza). Del pari, i vizi di merito possono portare all'annullamento c.d. di merito in sede di ricorso gerarchico.

Quanto all'annullamento d'ufficio, l'art. 21-nonies, l. n. 241/1990, esclude la possibilità di annullare atti viziati nel merito; tuttavia, nell'ottica dell'art. 21 -quinquies della medesima legge, il provvedimento viziato nel merito potrà comunque essere revocato di diritto a seguito di una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario.

Dopo l'entrata in vigore della l. n. 241/1990, qualche voce isolata ha, infine, ritenuto che l'invalidità per vizi di merito fosse stata generalizzata, poiché la predetta legge ha positivizzato il dovere della P.A. di osservare i principi di efficienza ed economicità. Tuttavia, se l'efficienza e l'economicità sono nuovi parametri legislativamente posti per un giudizio sulla validità dei provvedimenti amministrativi, evidentemente ne risulta ampliata l'area dell'illegittimità e non dell'inopportunità, rientrando la violazione dei precetti normativi sanciti dalla l. n. 241/1990 nel vizio di violazione di legge, secondo quanto previsto dall'art. 21-octies, comma 1.

Questioni applicative.

1) L'art. 10-bis e l'art. 21-octies: la strana coppia.

Secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato (Cons. St. II, n. 1790/2022), «L'art. 21-octies, l. n. 241/1990, a seguito della modifica operata con l'art. 12, comma 1, lett.i), d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, comporta che l'omissione del preavviso di rigetto, in caso di provvedimenti discrezionali, non è superabile con una valutazione ex post del possibile apporto del privato; la modifica legislativa, incidendo su una norma ritenuta di carattere processuale, si applica anche ai provvedimenti già emanati».

Ha ricordato il Supremo Consesso che la norma del comma 2 dell'art. 21 octies prevede altresì che «il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato».

Tale disposizione, in base alla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, è stata ritenuta applicabile anche al difetto del preavviso di rigetto (Cons. St. IV, n. 3948/2016; Cons. St. IV, n. 3667/2015), condividendo con la comunicazione di avvio procedimentale del procedimento la stessa funzione di garantire il contraddittorio endoprocedimentale. Il c.d. preavviso di rigetto ha lo scopo di far conoscere all'amministrazione procedente le ragioni fattuali e giuridiche dell'interessato che potrebbero contribuire a far assumere una diversa determinazione finale, derivante dalla ponderazione di tutti gli interessi in gioco; sicché tale scopo viene meno ed è di per sé inidoneo a giustificare l'annullamento del provvedimento nei casi in cui il contenuto di quest'ultimo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, sia in quanto vincolato, sia in quanto, sebbene discrezionale, sia raggiunta la prova della sua concreta e sostanziale non modificabilità. L'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, così come le altre norme in materia di partecipazione procedimentale, va infatti interpretato ed applicato non in senso formalistico, ma avendo riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione, sicché il mancato o l'incompleto preavviso di rigetto, al pari della non esplicita confutazione delle argomentazioni addotte dal privato in risposta al ricevuto avviso, non comporta l'automatica illegittimità del provvedimento finale, quando possa trovare applicazione l'art. 21-octies della stessa l. n. 241 del 1990, secondo cui il giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali, che non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale di un provvedimento, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; poiché l'art. 21-octies, secondo comma, attraverso la dequotazione dei vizi formali dell'atto, mira a garantire una maggiore efficienza all'azione amministrativa, risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe comunque portare all'attribuzione del bene della vita richiesto dall'interessato, l'atto amministrativo non può essere annullato (Cons. St. II, n. 6209/2019; Cons. St. II, n. 3675/2020; Cons. St. III, n. 1156/2019; Cons. St. V, n. 1126/2021). Il fondamento giustificativo del riportato orientamento viene ravvisato nella evidente ratio della disposizione del secondo comma seconda parte dell'art. 21 octies, volta a far prevalere gli aspetti sostanziali su quelli formali, nelle ipotesi in cui le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio a causa della mancanza di un potere concreto di scelta da parte dell'Amministrazione (Cons. St. VI, n. 1040/2011; Cons. St. II, n. 1800/2020).

Si deve però considerare che tale orientamento si è formato prima della modifica della seconda parte dell'art. 21 octies intervenuta con l'art. 12, comma 1, lett. i), d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, con l'aggiunta della previsione, per cui “La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10-bis”.

Con tale aggiunta è stata realizzata una distinzione tra il regime della comunicazione di avvio del procedimento e quello del preavviso di rigetto per i procedimenti ad istanza di parte, la cui omissione non è superabile nel caso di provvedimento discrezionale, tramite l'intervento dell'effetto “processuale” della seconda parte del secondo comma dell'art. 21-octies, con la conseguenza che per i provvedimenti discrezionali rimane rilevante anche la sola omissione formale della mancata comunicazione del preavviso di rigetto.

L'attuale formulazione della norma sottrae, infatti, il modello procedimentale correlato all'esercizio di un potere discrezionale, ai meccanismi di possibile “sanatoria processuale” previsti in via generale per la violazione di norme sul procedimento, in caso di omissione del preavviso di rigetto (Cons. St. III, n. 6378/2020).

Ritiene il Consiglio di Stato (Cons. St. II, n. 1790/2022) che la nuova disposizione sia applicabile anche ai procedimenti in corso, in quanto la consolidata giurisprudenza ha attribuito all'art. 21-octies comma 2 seconda parte la natura di norma di carattere processuale, come tale applicabile anche ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della legge di riferimento (Cons. St. II, n. 1800/2020; Cons. St. II, n. 165/2020; Cons. St. V, n. 4964/2019; Cons. St. VI, n. 359/2022), con la conseguenza che si deve ritenere immediatamente applicabile alle fattispecie oggetto di giudizi pendenti, per i quali in caso di omissione del preavviso di rigetto resta inibita all'Amministrazione la possibilità di dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (Cons. St. III, n. 6378/2020).

Pertanto, la norma si deve applicare nel testo vigente al momento del giudizio e non può dunque, allo stato, farsi alcun riferimento alla circostanza che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato.

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