Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 23 - Ambito di applicazione del diritto di accesso 1 2
1. Il diritto di accesso di cui all'articolo 22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi. Il diritto di accesso nei confronti delle Autorità di garanzia e di vigilanza si esercita nell'ambito dei rispettivi ordinamenti, secondo quanto previsto dall'articolo 24. [1] Articolo sostituito dall'articolo 4, comma 2, della legge 3 agosto 1999, n. 265. [2] Rubrica inserita dall'articolo 21, comma 1, lettera dd), della legge 11 febbraio 2005, n. 15. InquadramentoL'articolo 23 della l. n. 241/1990 stabilisce l'ambito di applicazione della disciplina del diritto di accesso e, in particolare, circoscrive la platea dei soggetti legittimati dal lato passivo, non limitandola unicamente alle pubbliche amministrazioni intese in senso tradizionale. La norma, invero, va letta in combinato disposto con la definizione di pubblica amministrazione di cui all'articolo 22, comma 1, lett. e), della l. n. 241/1990, secondo la quale sono tali «tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario». Più in particolare, il richiamo al diritto eurounitario è un chiaro indice del fatto che la nozione di pubblica amministrazione in materia di accesso documentale vada ricostruita facendo applicazione di criteri di ordine sostanziale e non meramente formale; così, ad esempio, gli organismi di diritto pubblico vanno sicuramente ricompresi nella predetta definizione di pubblica amministrazione e, quindi, sono ascrivibili alla platea dei soggetti legittimati dal lato passivo come individuata dall'articolo 23 della legge generale sul procedimento amministrativo. La dottrina (Simonati 1242; Caringella, Garofoli, Sempreviva, 328 ss.) ha evidenziato che la scelta operata dal legislatore recepisce l'orientamento da tempo formatosi in seno alla giurisprudenza amministrativa (ex multis, Cons. St. VI, n. 4711/2002; T.A.R. Piemonte, n. 362/2004). L'espresso richiamo al diritto eurounitario in sede di definizione del concetto di pubblica amministrazione in materia di accesso agli atti, invero, implica che ad assumere rilievo centrale sia l'indagine relativa allo svolgimento di attività finalizzate al perseguimento di interessi di rilievo pubblicistico e disciplinate dal diritto nazionale o eurounitario. L'applicazione di tale criterio sostanzialistico ha fatto sì che anche i privati siano ricompresi nel novero delle pubbliche amministrazioni con riferimento allo svolgimento di alcune specifiche attività, con conseguente loro assoggettamento alla disciplina sull'accesso documentale. L'articolo 23, inoltre, prevede che il diritto di accesso nei confronti delle Autorità amministrative indipendenti, tanto di vigilanza, quanto di regolazione, si esercita nell'ambito dei rispettivi ordinamenti nel rispetto dei limiti fissati dall'art. 24 della l. n. 241/1990. L'ambito di applicazione soggettivo del diritto di accesso.L'art. 23 della l. n. 241/1990 stabilisce che la disciplina del diritto di accesso di tipo documentale si applica nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi, nonché nei confronti delle autorità di garanzia e di vigilanza. Come anticipato in precedenza, l'ambito soggettivo di applicazione di tale disciplina va ricostruito alla luce del combinato disposto degli artt. 22, comma 1, lett. e) e 23 della l. n. 241/1990. In particolare, il legislatore, in ossequio al principio di trasparenza e con l'intento di estenderne la portata applicativa, ha dettato una specifica e più ampia definizione di pubblica amministrazione per la materia dell'accesso documentale, al fine di allargare la platea dei legittimati dal lato passivo anche a soggetti che non possiedono la forma di ente pubblico. Pertanto, come sottolineato in precedenza, anche i privati possono essere assoggettati alla disciplina dell'accesso documentale, ancorché limitatamente ai documenti formati e detenuti in ragione dello svolgimento di attività di rilievo pubblicistico disciplinate dal diritto nazionale o eurounitario. Anche la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che, ai fini del diritto di accesso ai documenti amministrativi, la nozione di pubblica amministrazione «risulta di ben più ampia portata rispetto a quella contenuta in altri settori ordinamentali (quale ad esempio quello della contrattualistica pubblica), estendendosi anche, ai soggetti privati tout court, laddove l'attività da questi posta in essere risulti genericamente di pubblico interesse; pertanto, per l'accesso ai documenti amministrativi, è sufficiente che un soggetto di diritto privato ponga in essere una attività che corrisponda ad un pubblico interesse, perché lo stesso assuma la veste di ‘Pubblica amministrazione' e come tale sia assoggettato alla specifica normativa di settore» (T.A.R. Sicilia (Catania) IV, n. 2785/2015). Secondo la giurisprudenza, l'esercitabilità del diritto di accesso nei confronti dei soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse, discende dal fatto che gli obblighi di trasparenza e imparzialità sono correlati alla natura dell'attività e non del soggetto che la esercita (T.A.R. Lazio, Roma I-ter, n. 3693/2023). Inoltre, la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Sardegna II, n. 360/2014) ha anche precisato che «è attività nei cui confronti deve essere garantito il diritto di accesso ai documenti amministrativi non soltanto quella di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato, posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio, sia collegata a quest'ultima da un nesso di strumentalità derivante anche, sul versante soggettivo, da un'intensa conformazione pubblicistica». Per tali ragioni è stato affermato che la veste societaria non costituisce ragione di per sé sufficiente ad escludere, sic et simpliciter, un soggetto privato dall'ambito di applicazione della disciplina dell'accesso documentale e, a fortiori, laddove eroghi un servizio pubblico (Cons. St., Ad. plen., n. 13/2016). La dottrina (Caringella, 976 ss.) ha evidenziato che ai fini dell'assoggettamento dei privati al regime dell'accesso documentale viene in rilievo la duplice condizione fissata dall'art. 22, comma 1, lett. e), della l. n. 241/1990, ossia che il soggetto svolga un'attività di pubblico interesse e che tale attività sia regolata dal diritto nazionale o eurounitario. Dalla lettura sistematica di tale norma con l'art. 23 della l. n. 241/1990 emerge che risultano accessibili unicamente gli atti amministrativi detenuti da soggetti privati preposti alla gestione di servizi pubblici. Pertanto, resterebbero esclusi dal diritto di accesso i documenti formati in relazione allo svolgimento delle attività che i privati si sono autovincolati a svolgere e quelli relativi alle attività strumentali alla gestione del servizio, sempre che esse siano regolate dal diritto comune. In proposito, il giudice amministrativo (Cons. St., Ad. plen., nn. 13/2016, 14/2016 e 16/2016), con riguardo alla accessibilità degli atti di un organismo di diritto pubblico (nella specie Poste italiane S.p.a.), ha fatto applicazione di tali criteri e, dopo aver acclarato la sussistenza di una direzione finalistica degli atti alla cura dell'interesse pubblico, ha escluso il diritto di accesso solo per i documenti afferenti alla sfera privatistica del rapporto di impiego. Tale arresto poggia sugli sviluppi giurisprudenziali formatisi successivamente alla novella del 2005, in base ai quali, al fine di stabilire se un documento detenuto da un soggetto privato risulti accessibile oppur no, assume rilievo dirimente l'analisi della direzione finalistica dell'attività alla quale afferisce il documento rispetto alla realizzazione di obiettivi di natura pubblicistica (Cons. St. VI, n. 5652/2009; Cons. St. VI, n. 2315/2007). Invero, a fronte di una fase iniziale nella quale la nozione di pubblico servizio era stata interpretata in senso restrittivo – con esclusione dell'accessibilità dei documenti non strettamente afferenti ad attività riconducibili all'ambito di erogazione del servizio (T.A.R. Lazio, Roma III, n. 724/2007; T.A.R. Campania, Napoli V, n. 1685/2005) – vi sono state successive aperture della giurisprudenza amministrativa, grazie alle quali si è giunti a riconoscere la legittimazione passiva all'accesso documentale in favore di «tutti i soggetti di diritto privato che svolgano attività di pubblico interesse» (Cons. St. VI, n. 5569/2007), con esclusione dei documenti riguardanti attività di mera gestione imprenditoriale (ex multis, Cons. St. VI, n. 235/2011). Più di recente, ad esempio, il giudice amministrativo ha escluso l'accessibilità della documentazione detenuta dalla Lega italiana calcio professionistico – Lega Pro inerente all'elezione degli organi di vertice dell'associazione. In proposito, è stato riconosciuto, da un lato, che la Lega Pro costituisce una associazione non riconosciuta di diritto privato priva di personalità giuridica e, dall'altro, che la documentazione oggetto dell'istanza ostensiva non riguardava attività di pubblico interesse (T.A.R. Lazio, Roma I-ter, n. 10253/2021). È stato invece riconosciuto, in favore dei conduttori, il diritto di accesso agli atti della procedura di dismissione di un compendio immobiliare rientrante nel patrimonio di una fondazione senza scopo di lucro con personalità di diritto privato ai sensi dell'art. 1 del d.lgs. n. 509/1994 e dell'art. 1, comma 33, lett. a), n. 4 della legge n. 537/1993 (T.A.R. Lazio, Roma III-quater, n. 32/2022). È stato, altresì, riconosciuto il diritto di accedere alla documentazione della Commissione di vigilanza sulle società di calcio professionistiche (Co.vi.so.c.), inerente alla funzione di controllo in relazione alla regolarità dei bilanci delle società calcistiche (T.A.R. Lazio, Roma III, n. 3693/2023). In proposito, è stato rilevato che questa tipologia di documentazione afferisce a controlli strumentali al rispetto del regolare svolgimento dei campionati, con la conseguenza che vengono in rilievo finalità di natura pubblica e, dunque, gli stessi sono soggetti al regime dell'accesso documentale. Diritto di accesso e Autorità amministrative indipendenti.Dalle previsioni dell'art. 23 della l. n. 241/1990 emerge che il legislatore ha concesso un più ampio margine di autonomia alle Autorità amministrative indipendenti con riguardo alla disciplina delle modalità di esercizio del diritto di accesso. L'opzione legislativa, invero, è frutto di un compromesso volto a contemperare la necessaria salvaguardia e soddisfazione di fondamentali interessi pubblici di ordine generale – ossia, quelli sottostanti alle cause di esclusione del diritto di accesso previste dall'art. 24 della l. n. 241/1990 – con le peculiarità degli ordinamenti delle autorità di vigilanza e regolazione, alle quali pure è affidata la cura di rilevanti interessi pubblici, a valenza anche economico-sociale. La dottrina (Morbidelli, 676 ss.) ha osservato che lo speciale regime dettato dal legislatore per tali soggetti si deve all'esigenza di garantire una maggiore impermeabilità rispetto alla disciplina generale sul diritto di accesso dettata dalla l. n. 241/1990. Come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale in un caso riguardante la Consob (Corte cost., n. 460/2000), il maggior grado di autonomia riconosciuto alle Autorità amministrative indipendenti nel fissare il regime dell'accesso documentale nell'ambito dei propri ordinamenti, non implica che le stesse possano interpretare estensivamente i limiti fissati dall'art. 24 della l. n. 241/1990. Per questo, la giurisprudenza amministrativa ha affermato la piena operatività dei principi generali in materia di accesso anche all'interno degli specifici ordinamenti di tali autorità. Così, ad esempio, il regime del diritto di accesso ai documenti formati e detenuti dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) è contenuto, in via generale, nell'art. 13 del d.P.R. n. 217/1998 e poi in altri specifici provvedimenti, quale ad esempio la Comunicazione sulla non imposizione e sulla riduzione delle sanzioni ai sensi dell'articolo 15 della l. n. 287/1990. Più in particolare, l'AGCM ha dettato regole settoriali per l'esercizio del diritto di accesso documentale che tengono conto delle specificità dell'attività di vigilanza svolta da tale Istituzione. Quindi, ad esempio, i documenti confluiti nei procedimenti amministrativi volti ad accertare la sussistenza di presunte violazioni della normativa antitrust o consumeristica, incontrano limiti di accessibilità maggiori rispetto a quelli previsti in via generale, essendo cogente l'esigenza di salvaguardare interessi privati (ad esempio, i segreti commerciali ovvero le informazioni riservate di carattere personale, commerciale, industriale e finanziario delle imprese coinvolte nel procedimento) strettamente connessi ad interessi pubblici di rilevanza economica – in primis, quello al mantenimento di fisiologiche dinamiche concorrenziali nel mercato nel quale le condotte d'impresa sono state realizzate –. Infatti, ove i concorrenti delle imprese coinvolte nel procedimento potessero entrare in possesso delle informazioni inerenti ai segreti industriali e commerciali dei loro competitor mediante l'esercizio del diritto di accesso, ciò potrebbe determinare un grave pregiudizio alla struttura concorrenziale del mercato, andando a incidere negativamente sugli incentivi a investire in ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica delle imprese che subiscono la disclosure. Pertanto, l'adozione di idonee misure di salvaguardia (ad esempio l'oscuramento dei dati riservati disposto in seguito all'accoglimento solo parziale dell'istanza di accesso), mira ad evitare che la divulgazione di tali informazioni si riverberi in maniera pregiudizievole sugli interessi economici dei consumatori, in termini di contrazione dell'offerta, minore varietà e gamma, nonché di peggioramento della qualità dei beni e servizi presenti sul mercato. Laddove, invece, l'istanza ostensiva riguardi solamente la documentazione non riservata presente nel fascicolo istruttorio, il giudice amministrativo (T.A.R. Lazio, Roma I, n. 13214/2021) ha affermato che il diritto di accesso deve trovare piena soddisfazione, anche laddove l'istante sia un operatore che intenda agire giudizialmente ai fini del risarcimento del c.d. antitrust damage derivante dalla realizzazione dell'illecito concorrenziale accertato dalla Autorità (nel caso di specie, si trattava di un acquirente indiretto di uno dei co-cartelist). Invero, l'accesso ai documenti detenuti dall'AGCM in relazione alle istruttorie inerenti alle intese restrittive della concorrenza e ai cartelli segreti, risulta di fondamentale importanza per consentire ai danneggiati di esperire fruttuosamente un'azione risarcitoria c.d. follow-on (soprattutto con riferimento al profilo della quantificazione del danno). In questa prospettiva l'istituto dell'accesso agli atti opera quale strumento per garantire l'effettivo dispiegamento delle sinergie tra applicazione pubblica e privata del diritto della concorrenza – alla base dell'armonizzazione della disciplina che ha avuto luogo a livello eurounitario grazie alla direttiva (UE) n. 104/2014 – che altrimenti avrebbe un impatto meramente teorico, stante la non vicinanza del danneggiato alla prova, i limitati poteri dell'Autorità giudiziaria (ancorché rafforzati in seguito al potenziamento degli strumenti di private antitrust enforcement) e la non immediata percepibilità della lesione in ragione della peculiare tipologia di illecito (che ha, da sempre, costituito un limite all'esercizio di azioni risarcitorie c.d. stand-alone). Tuttavia, il diritto di accesso soffre alcune limitazioni in relazione a procedimenti antitrust tesi ad accertare la realizzazione di un'intesa segreta a fronte della presentazione di una c.d. domanda di clemenza, in quanto in questi casi l'avvio del procedimento trova la sua fonte nelle dichiarazioni di contenuto potenzialmente confessorio direttamente rese dai soggetti coinvolti nella realizzazione dei cartelli segreti. Invero, l'accessibilità di tali dichiarazioni, c.d. corporate statement, viene limitatamente riconosciuta ai presunti partecipanti all'intesa (che assumono la veste di parti nell'ambito del procedimento amministrativo-sanzionatorio) per garantire loro l'esercizio del diritto di difesa e di contraddittorio in sede procedimentale, ma solo in seguito alla comunicazione delle risultanze istruttorie (che funge da contestazione degli addebiti). Più in particolare, l'accesso alla dichiarazione di clemenza avviene con modalità del tutto peculiari, non essendo consentita l'estrazione di alcuna copia in ragione del fatto che, tecnicamente, non sussiste alcun documento che contenga le dichiarazioni rese in forma orale da parte del leniency applicant. L'adozione di tali misure di precauzione si deve all'esigenza di salvaguardare massimamente l'efficacia dei c.d. programmi di clemenza, che rappresentano uno dei principali strumenti pubblicistici di contrasto ai cartelli e alle intese segrete (che rappresentano i più gravi illeciti della normativa antitrust, c.d. hardcore infringment) e, per questo, fulcro dell'attività di public antitrust enforcement. Accesso alle informazioni propedeutiche a servizio giornalistico televisivo RaiIl T.A.R. Lazio, III, 18 giugno 2021, n. 7333 ha affermato il seguente principio: «è illegittimo il diniego, opposto dalla Rai, di accesso al materiale informativo connesso all'attività preparatoria di acquisizione e di raccolta di informazioni inerente un servizio televisivo di inchiesta giornalistica trasmesso, nel cui ambito è stata fornita la rappresentazione di circostanze asseritamente riguardanti l'attività professionale dell'istante, necessario per poter promuovere iniziative a tutela del suo buon nome dinanzi alle competenti Autorità giudiziarie e amministrative». Ha chiarito il Tribunale amministrativo che la RAI è assoggettata al diritto di accesso di cui agli artt. 22 e ss., l. n. 241/1990 (T.A.R. Lazio III,n. 9347/2019 eT.A.R. Lazio III,n. 1354/2018 ), in forza del riferimento normativo normativo anche ai «gestori di pubblici servizi» in quanto tale Ente, pur nella sua veste formalmente privatistica di s.p.a. e pur agendo mediante atti di diritto privato, conserva indubbiamente significativi elementi di natura pubblicistica, ravvisabili in particolare: a) nella prevista nomina di numerosi componenti del Consiglio di amministrazione non già da parte del socio pubblico, ma da un organo ad essa esterno quale la Commissione parlamentare di vigilanza; b) nell'indisponibilità dello scopo da perseguire (il servizio pubblico radiotelevisivo), prefissato a livello normativo; c) nella destinazione di un canone, avente natura di imposta, alla copertura dei costi del servizio da essa gestito. L'azienda, inoltre, è di proprietà pubblica e rappresenta la concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo, sicché risulta pienamente riconducibile nell'ambito di applicazione della normativa sul diritto di accesso, entro i confini delimitati dall'art. 23, l. n. 241/1990 che, non a caso, menziona tra i soggetti passivi del diritto di accesso, accanto alle pubbliche amministrazioni e agli enti pubblici, anche i «gestori di pubblici servizi», nel cui novero va certamente collocata la RAI. La Sezione ha ritenuto di non poter accogliere la prospettazione formulata dalla resistente RAI circa la pretesa inammissibilità dell'istanza per carenza di interesse, fondata sull'assunto per cui ai fini dell'invocata esigenza difensiva (connessa alla tutela della reputazione del ricorrente) sarebbe sufficiente l'acquisizione del servizio mandato in onda – in ogni caso disponibile online (sulla piattaforma di RaiPlay) – in quanto elemento integrante il preteso danno, mentre risulterebbe ultronea l'ulteriore documentazione richiesta. Non può, infatti, revocarsi in dubbio la sussistenza della legittimazione in capo al ricorrente ai sensi dell'art. 22, l. n. 241/1990, vantando quest'ultimo un interesse qualificato, connotato dai requisiti della personalità, concretezza ed attualità, considerato che l'istanza ostensiva avanzata riguardava la documentazione connessa all'avvenuta diffusione di notizie – operata nell'ambito del servizio mandato in onda all'interno di una trasmissione televisiva – che lo avevano visto direttamente e specificamente coinvolto, avendo ad oggetto la rappresentazione di fatti asseritamente riguardanti la sua persona e l'attività professionale esercitata. A una diversa conclusione non si sarebbe potuti pervenirsi sulla base di una valutazione in termini di presunta irrilevanza dell'istanza ostensiva avanzata rispetto alla finalità difensiva prospettata, non spettando all'Ente destinatario della richiesta di accesso in sede di amministrazione attiva – né al giudice in sede di tutela giurisdizionale – condurre apprezzamenti sull'attitudine in concreto della documentazione richiesta a supportare la fondatezza dell'azione giurisdizionale invocata quale mezzo di difesa della situazione giuridica vantata, alla stregua del costante orientamento della giurisprudenza amministrativa. La Sezione ha inoltre ritenuto di non poter accogliere l'ulteriore eccezione di inammissibilità fondata sulla pretesa carenza di legittimazione passiva della Società resistente, dedotta sull'assunto della sostenuta estraneità dell'attività, oggetto dell'istanza ostensiva avanzata dal ricorrente, all'ambito del servizio pubblico radiotelevisivo gestito dalla RAI giustificante l'assoggettamento alla disciplina in tema di accesso ai sensi dell'art. 22, comma 1, lett. e), l. n. 241/1990. Da un lato, la rappresentazione di notizie operata all'interno di un servizio trasmesso nel corso di un programma di inchiesta giornalistica in onda su una rete RAI non può configurarsi come attività distinta da quella di «informazione pubblica» riconducibile nell'ambito della nozione di servizio pubblico radiotelevisivo affidato in gestione alla medesima Società, del quale sono ritenuti caratteri essenziali il pluralismo, la democraticità e l'imparzialità dell'informazione (cfr. Corte cost., n. 112/1993; in senso analogo, cfr. T.A.R. Lazio I, 14 giugno 2019, n. 7761). Dall'altro, l'attività consistente nella rappresentazione di notizie non può ritenersi disgiunta da quella preparatoria, volta all'acquisizione, alla raccolta e all'elaborazione delle notizie poi oggetto di rappresentazione. Tale pronuncia, tuttavia, è stata annullata dal Consiglio di Stato sul rilievo che l'istanza di accesso difensivo ex art. 24, comma 7, l. n. 241/1990 risultava carente della dimostrazione del nesso di strumentalità necessaria tra documentazione da ostendere e situazione finale controversa (Cons. St. VI, n. 2655/2022). Il Consiglio di Stato, pur accogliendo l'appello e riformando la sentenza del giudice amministrativo di prime cure, conferma che il materiale preparatorio di un servizio giornalistico risulta, in astratto, suscettibile di accesso, rientrando nell'ambito del servizio pubblico affidato alla RAI e strumentale alla offerta di una informazione completa, obiettiva, imparziale ed equilibrata. BibliografiaCaringella, Garofoli, Semprevita, L'accesso ai documenti amministrativi, Milano, 2007; Caringella, Manuale di diritto amministrativo: parte generale e parte speciale, Bari, 2021; Morbidelli, Il procedimento amministrativo, in Mazzarolli, Pericu, Romano, Roversi Monaco, Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Torino, 2005, 531 ss.; Simonati, L'ambito di applicazione del diritto di accesso, in Sandulli (a cura di), Codice dell'azione amministrativa, Milano, 2017, 1279 ss. |