Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 24 - Esclusione dal diritto di accesso 1

Luca Biffaro

Esclusione dal diritto di accesso 1

 

1. Il diritto di accesso è escluso:

a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801 , e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo;

b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano;

c) nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione;

d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.

2. Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso ai sensi del comma 1  2.

3. Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni.

4. L'accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento (A).

5. I documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui al comma 1 sono considerati segreti solo nell'ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l'eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all'accesso.

6. Con regolamento, adottato ai sensi dell' articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 , il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi:

a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall' articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 , dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, all'esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste dai trattati e dalle relative leggi di attuazione;

b) quando l'accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria;

c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini;

d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono;

e) quando i documenti riguardino l'attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all'espletamento del relativo mandato.

7. Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall' articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 , in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale  3.

 

 

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(A) Per la procedura per gli sviluppi economici 2018. Comunicazioni in merito alle istanze di accesso e riesame, vedi : Circolare Ministero per i Beni e le Attivita culturali 25/03/2019 n. 115

[1] Articolo modificato dall’articolo 22, comma 1, lettera b), della legge 13 febbraio 2001, n. 45; dall’articolo 176, comma 1, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a decorrere dal 1° gennaio 2004 e, successivamente, sostituito dall'articolo 16, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15, a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui all'articolo 23, comma 2, della medesima legge.

[2] Per il regolamento recante l'individuazione dei casi di esclusione dal diritto d'accesso ai documenti amministrativi di competenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai sensi del presente comma, vedi il D.P.C.M. 27 giugno 2011, n. 143.

[3] Per il regolamento di attuazione del presente articolo vedi il Comunicato 24 aprile 2008.

Inquadramento

L'articolo 24 della l. n. 241/1990 circoscrive l'ambito di applicazione del diritto di accesso, prevedendo ipotesi tassative di esclusione al ricorrere delle quali viene preclusa la disclosure dei documenti amministrativi. L'individuazione normativa di cause tipiche di esclusione costituisce uno snodo cruciale dell'intero sistema della trasparenza amministrativa – la cui operatività si estende anche alle eccezioni assolute al diritto di accesso civico generalizzato come previsto dall'art. 5-bis, comma 3, del d.lgs. n. 3/2013 – in quanto all'esito di un bilanciamento di interessi operato a monte dal legislatore sono stati tracciati i confini del diritto alla conoscibilità dell'informazione contenuta nei documenti amministrativi, al fine di dare prevalenza ad altri interessi meritevoli di tutela, rispetto alla cui salvaguardia le istanze ostensive dei consociati risultano recessive. Più in particolare, la norma sottrae all'accesso: i documenti coperti da segreto di Stato e quelli per i quali vengono in rilievo ipotesi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge; i documenti afferenti ai procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; i documenti rientranti nell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali pure restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; i documenti relativi ai procedimenti selettivi, con particolare riguardo a quelli contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi. Con la novella del 2015 è stato poi previsto un limite di ordine generale, in forza del quale il diritto d'accesso non può esercitarsi con carattere esplorativo, al fine di operare un controllo generalizzato sull'operato delle pubbliche amministrazioni, caratteristica questa che segna una profonda differenza tra l'istituto dell'accesso documentale e quello dell'accesso civico generalizzato, facendo emergere come il principio di trasparenza abbia trovato la sua piena attuazione nel nostro ordinamento solo in seguito alle modifiche apportate al decreto trasparenza (d.lgs. n. 33/2013) dal d.lgs. n. 97/2016.

Il legislatore ha, quindi, previsto fattispecie di esclusione del diritto di accesso ad ampio raggio, senza individuare in maniera analitica i documenti sottratti all'accesso, ma rimettendo alle amministrazioni il compito di stabilire le categorie di documenti per le quali operano le cause di esclusione, come previsto dall'art. 24, com- ma 2.

Accanto alle ipotesi di esclusione previste direttamente dal legislatore, l'art. 24, comma 6, attribuisce al Governo la facoltà di prevedere, sulla scorta del proprio discrezionale apprezzamento, ulteriori casi di esclusione del diritto di accesso tramite l'adozione di un proprio regolamento di delegificazione ai sensi dell'art. 17, comma 2, della l. n. 400/1988 (Clarich, 147).

L'ultimo comma della norma in commento, infine, disciplina l'istituto dell'accesso difensivo, con il quale il legislatore mira a bilanciare ulteriormente gli interessi che precludono il diritto di accesso con l'interesse conoscitivo nella sua proiezione processuale, accordando in questo caso prevalenza a quest'ultimo in ragione del fatto che esso, nella prospettiva giudiziale, si pone quale strumento di tutela finalizzato alla piena affermazione del diritto di difesa riconosciuto in Costituzione

Il sistema dei limiti al diritto di accesso.

Nell'impianto normativo originario il legislatore aveva previsto un sistema di «ripartizioni a cascata» delle fonti normative che disciplinavano le ipotesi di esclusione dal diritto di accesso (Cons. St., Ad. gen., n. 75/1992).

Come chiarito dalla dottrina (Alberti, 1292; Lipari, 14) l'articolazione di tale sistema prevedeva, al primo livello, la causa di esclusione del segreto di Stato e quelle connesse con gli ulteriori casi di segreto o divieto di divulgazione previsti dalla legge. Il secondo livello era caratterizzato dai decreti che il Governo era autorizzato ad adottare per disciplinare, tra l'altro, i limiti al diritto di accesso finalizzati a tutelare la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali, la politica monetaria e valutaria, l'ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità, nonché la riservatezza dei soggetti terzi. Nel terzo livello, infine, si collocavano i regolamenti adottati dalle singole pubbliche amministrazioni, con i quali venivano individuate le categorie di documenti sottratti al diritto di accesso.

In particolare, sotto la vigenza dell'impianto normativo appena richiamato, era stato adottato un regolamento governativo (d.P.R. n. 352/1992) con il quale l'Esecutivo aveva fornito chiarimenti rispetto agli interessi sottostanti ai casi di esclusione dal diritto di accesso.

Tale disciplina, pur essendo stata riformata dalla l. n. 15/2005, ancora oggi conserva l'articolazione in più livelli (legge-regolamento governativo-atti generali o normativi delle pubbliche amministrazioni), avendo il legislatore continuato a demandare alle pubbliche amministrazioni il compito di individuare le specifiche categorie di documenti per i quali trovano applicazione le limitazioni oggettive al diritto di accesso. Vale, tuttavia, evidenziare che il d.P.R. n. 352/1992 oltre ad aver rivestito un ruolo significativo in sede di modifica del Capo V della l. n. 241/1990 – come dimostra il fatto che le ipotesi di esclusione dal diritto di accesso in esso previste sono state trasfuse nel nuovo testo dell'art. 24, comma 6, della legge generale sul procedimento amministrativo, ossia tra le ipotesi di esclusione facoltativa la cui individuazione è rimessa al Governo – risulta ancora in vigore nella parte in cui detta la disciplina dei casi di esclusione (art. 8), unica norma a non essere stata abrogata dal nuovo regolamento attuativo della disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi (d.P.R. n. 184/2006).

Le cause di esclusione costituiscono, dunque, limiti di carattere oggettivo finalizzati alla salvaguardia di interessi pubblici fondamentali che il legislatore, con un giudizio prognostico, ha ritenuto prioritari rispetto ad altri interessi apicali dell'ordinamento e, in particolare, rispetto all'interesse alla conoscenza delle informazioni contenute nei documenti amministrativi. In ragione del fatto che al ricorrere delle ipotesi tipizzate dall'art. 24 della l. n. 241/1990 il principio di trasparenza viene ad essere compresso, la giurisprudenza (T.A.R. Campania, Napoli VI, n. 2479/2014) ha evidenziato che «le esclusioni del diritto di accesso devono essere ritenute norme eccezionali e come tali di stretta interpretazione».

Con specifico riguardo ai singoli casi di esclusione previsti dall'art. 24, comma 1, della l. n. 241/1990 occorre innanzitutto menzionare l'ipotesi dei documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della l. n. 801/1977. Tale corpo normativo, tuttora richiamato dal vigente art. 24, comma 1, lett. a), è stato abrogato e sostituito dalla l. n. 124/2007 che, all'art. 39, riprendendo quasi integralmente la precedente formulazione normativa, stabilisce, in estrema sintesi, che sono coperti da segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa che, ove diffusa, possa cagionare un danno all'integrità della Repubblica, alle Istituzioni che la Costituzione ha posto a suo fondamento, all'indipendenza dello Stato, anche nella prospettiva dei rapporti internazionali, e alla sua difesa militare.

Come posto in rilievo dalla dottrina (Alberti, 1293), gli interessi fondamentali dell'ordinamento ai quali l'art. 24 della l. n. 241/1990 conferisce priorità anche in materia di accesso agli atti riguardano, essenzialmente, la salvaguardia della personalità interna e internazionale dello Stato. Una parte della dottrina (Franco, 457) si è dimostrata critica nei confronti della scelta legislativa di operare un rinvio tout court alla disciplina del segreto di Stato, sul rilievo che l'ampia portata normativa dell'oggetto di tale disciplina (non unicamente limitato ai documenti amministrativi) rischia di depauperare il diritto di accesso.

Vengono poi in rilievo le ipotesi di esclusione correlate con gli altri casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalle tre fonti che regolano la disciplina dei limiti al diritto di accesso (legge-regolamento governativo-atti amministrativi generali o normativi delle pubbliche amministrazioni). 

In forza dell'art. 24, comma 1, l. n. 241/1990, il diritto di accesso è escluso in presenza delle differenti fattispecie di segreto stabilite da norme settoriali. Il diritto di accesso è altresì escluso in presenza di divieti di divulgazione espressamente sanciti dalla legge, dal regolamento governativo adottato ai sensi dell'art. 24, comma 6, l. n. 241/1990, nonché dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dell'art. 24, comma 2, l. n. 241/1990. In proposito, particolare rilievo assume la disciplina degli atti classificati contenuta nella legge 3 agosto 2007, n. 124, che all'art. 42 prevede che le classifiche di segretezza (segretissimo, segreto, riservatissimo, riservato, come specificato dal comma 3) sono attribuite per circoscrivere la conoscenza di informazioni, documenti, atti, attività o cose ai soli soggetti che abbiano necessità di accedervi in ragione delle proprie funzioni istituzionali. I documenti classificati – che, ai sensi dell'art. 42, comma 4, l.n. 124/2007, sono tali solo relativamente alle parti indicate come segrete dal soggetto che appone la classifica – sono limitatamente suscettibili di accesso nei termini sanciti dall'art. 42, comma 8, l. n. 124/2007. Tale ultima disposizione normativa, in particolare, stabilisce che al di fuori dei casi dei documenti coperti da segreto di Stato, laddove l'autorità giudiziaria ordini l'esibizione dei documenti classificati, l'accesso è consentito nella sola modalità della presa visione e i documenti sono consegnati all'autorità giudiziaria richiedente, che ne cura la conservazione con modalità atte a tutelarne la riservatezza (la giurisprudenza amministrativa, tuttavia, ha circoscritto l'accessibilità dei documenti classificati solo alle ipotesi di accesso difensivo di cui all'art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, vid. infra).

Anche i gestori di infrastrutture aeroportuali di carattere strategico, laddove abbiano ricevuto il nulla osta per gestire informazioni classificate ai sensi della legge n. 124/2007, con provvedimento ad hoc possono attribuire le classificazioni previste dall'art. 42, comma 3, alle parti di documenti afferenti alle gare secretate indette ai sensi del codice dei contratti pubblici. Si pensi, ad esempio, al capitolato tecnico di una gara secretata relativa all'affidamento della fornitura di un sistema anti-droni (T.A.R. Lazio, Roma III, n. 14525/2023). Il giudice amministrativo ha altresì ritenuto di sottrarre all'accesso le segnalazioni inoltrate dal pubblico dipendente al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza ovvero all'Autorità nazionale anticorruzione, aventi ad oggetto condotte illecite delle quali sia venuto a conoscenza durante lo svolgimento della propria funzione (Cons. St. VI, n. 28/2020).

Per una ricognizione generale di tali fattispecie ci si può richiamare alle c.d. Linee guida FOIA adottate dall'Autorità nazionale anticorruzione (delibera ANAC n. 1309/2016) con riferimento alle previsioni del d.lgs. n. 33/2013, in quanto l'art. 5-bis, comma 2, di tale corpo normativo, nel disciplinare le eccezioni assolute al diritto di accesso civico fa espresso rinvio all'art. 24, comma 1, della l. n. 241/1990. In particolare, l'ANAC annovera tra le altre ipotesi di segreto o di divieto di divulgazione: il segreto statistico (art. 9 del d.lgs. n. 322/1989), il già richiamato regime della classificazione di segretezza di atti e documenti (art. 42 della l. n. 124/2007), il segreto bancario (art. 7 del d.lgs. n. 385/1993), i limiti alla divulgazione delle informazioni e dei dati conservati negli archivi automatizzati del Centro elaborazione dati in materia di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica ai sensi dell'art. 9 della l. n. 121/1981 (il cui accesso è consentito solo alle forze di polizia e all'autorità giudiziaria, nei limiti stabiliti dal codice di procedura penale), le disposizioni sui contratti secretati (art. 162 del d.lgs. n. 50/2016), il segreto scientifico e il segreto industriale (art. 623 del c.p.), il segreto sul contenuto della corrispondenza (art. 616 ss. c.p.), il segreto professionale (art. 622 c.p. e 200 c.p.p.) e i «pareri legali» che attengono al diritto di difesa in un procedimento contenzioso giudiziario, arbitrale o amministrativo (artt. 2 e 5 del d.P.C.M. n. 2/1996), in quanto coperti dal c.d. legal privilege.

Vale inoltre menzionare che la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che il diritto di accesso è escluso con riferimento agli scritti defensionali dell'Avvocatura dello Stato e degli uffici legali degli enti pubblici, in quanto coperti dal segreto professionale (ex multis, Cons. St. IV, n. 6200/2003), e, più in generale, con riguardo a tutti gli altri documenti in possesso delle avvocature pubbliche (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria I, n. 1817/2006; T.A.R. Lazio, Roma III, n. 6713/2003).

Per quel che concerne, invece, le consulenze e i pareri resi nel corso dell'istruttoria procedimentale, la giurisprudenza (Cons. St. VI, n. 4798/2011; T.A.R. Lombardia, Milano II, n. 2788/2011) ritiene che essi siano accessibili solo nella misura in cui presentino rilevanza esterna, come nel caso in cui siano espressamente richiamati nella parte motiva del provvedimento reso all'esito del procedimento nel quale sono stati acquisiti. Viceversa, l'accesso non viene consentito quando il parere viene espresso al fine di definire una strategia giudiziaria, sia lite pendente, sia una volta che siano occorse situazioni potenzialmente idonee a dar luogo ad un giudizio (Cons. St. V, n. 1761/2016). Si tratta di una regola che risponde alla necessità di salvaguardia della strategia processuale della parte (nella specie, degli enti pubblici), che non è tenuta a rivelare al proprio contraddittore attuale o potenziale gli argomenti che intende utilizzare in giudizio per difendersi e contraddire (Cons. St. IV, n. 6200/2003).

Di recente, il giudice amministrativo ha accolto un ricorso con il quale era stato impugnato il diniego di accesso opposto dalla Regione Veneto alla nota contenente le richieste di due distinti pareri all'Avvocatura regionale, entrambi inerenti a una pratica di autorizzazione alla coltivazione di una cava per l'estrazione di calcare e basalto (T.A.R. Veneto II, n. 1092/2021). Più in particolare, in tale caso il giudice ha considerato illegittimo il diniego in quanto l'amministrazione regionale non aveva espressamente esposto, in motivazione, che parte delle informazioni contenute nei documenti oggetto della richiesta di disclosure riguardavano un contenzioso parzialmente ancora in atto. Tuttavia, pur accordando l'accesso in favore del Comune ricorrente, il giudice lo ha circoscritto alla parte della richiesta di parere contenente il quesito interpretativo e i suoi presupposti logico-giuridici e di fatto, al fine di salvaguardare mediante idonei accorgimenti (omissioni e stralci) il segreto professionale e la riservatezza nei rapporti tra difensore e parte interessata con riguardo alle informazioni di carattere eminentemente difensivo.

Per quel che riguarda l'esclusione dell'accesso in relazione ai procedimenti tributari, la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Toscana I, n. 561/2014) ha chiarito che tale ipotesi opera con riguardo «al procedimento di imposizione, in quanto solo in relazione all'imposizione la legge contempla, entro precisi limiti, un segreto investigativo analogo a quello delle indagini penali, mentre nel procedimento di riscossione tale esigenza di segretezza non sussiste e nessuna previsione normativa fa ad essa riferimento». Inoltre, è stato affermato che l'esclusione del diritto di accesso «deve essere ritenuta temporalmente limitata alla fase di mera pendenza del procedimento tributario, in quanto non esistono esigenze di segretezza nella fase che segue la conclusione del procedimento con l'adozione del provvedimento definitivo di accertamento dell'imposta dovuta, sulla base degli elementi reddituali, che conducono alla quantificazione del tributo» (T.A.R. Catania I, n. 1983/2017).

L'art. 24, comma 1, lett. c), stabilisce l'esclusione dal diritto di accesso nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione. Tale causa di esclusione è correlata con il disposto dell'art. 13 della l. n. 241/1990 che esclude l'operatività delle norme sulla partecipazione procedimentale (tra cui il diritto di prendere visione degli atti del procedimento ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. a) proprio con riguardo alla medesima attività che forma oggetto della causa di esclusione in commento.

Invero, la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. VI, n. 5511/2013) ha chiarito che più che trattarsi di una causa di esclusione in senso tecnico, la norma prevede una speciale ipotesi di differimento, al pari di quella prevista per i documenti di natura tributaria durante la pendenza del procedimento.

In tal senso si è espressa anche la dottrina (Caringella, Garofoli, Sempreviva, 410), che ha chiarito che i documenti in questione ritornano ad essere accessibili in seguito all'adozione del provvedimento finale (Caringella, 985 ss.). Altra parte della dottrina (Bohyny, 50) ha evidenziato che la ratio di tale previsione normativa è quella di evitare che «attraverso la disponibilità preventiva dei documenti preparatori di atti a contenuto generale possa essere condizionata l'autonomia di scelta politica degli organi collegiali, sulla base di spinte e pressioni dettate da interessi individuali o corporativi».

Più in particolare, la giurisprudenza amministrativa riconosce l'operatività di tale ipotesi di differimento tanto con riguardo agli atti di pianificazione primaria quale, ad esempio, il piano regolatore generale (Cons. St. IV, n. 4838/2009), quanto con riferimento agli atti di pianificazione secondaria e attuativa quali, ad esempio i piani particolareggiati e le varianti al PRG (T.A.R. Puglia, Lecce I, n. 4151/2007; T.A.R. Lazio, Roma II, n. 13345/2006).

L'art. 24, comma 1, alla lettera d), prevede una ulteriore causa di esclusione dal diritto di accesso, che opera nei procedimenti selettivi, con specifico riferimento ai documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi. Tale previsione è volta a tutelare la riservatezza dei soggetti coinvolti nello svolgimento di procedure selettive, quali i concorsi per l'assunzione nella pubblica amministrazione, i trasferimenti, le procedure per la nomina ad incarichi particolari, le procedure per l'assegnazione a mansioni superiori, ecc.

Nell'articolato sistema delle fonti previsto dal legislatore in materia di esclusioni dal diritto di accesso, come già rilevato in precedenza, ai sensi dell'art. 24, comma 2, della l. n. 241/1990 allepubbliche amministrazioni è demandato il compito di individuare le categorie di documenti, da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità, sottratti all'accesso in ragione del pregiudizio che potrebbe discendere dalla loro divulgazione a taluno degli interessi di cui all'art. 24, commi 1 e 6, della l. n. 241/1990 (Cons. St. I, parere n. 545/2021).  Infatti, l'art. 8, comma 2, del d.P.R. n. 352/1992 stabilisce che «i documenti non possono essere sottratti all'accesso se non quando essi siano suscettibili di recare un pregiudizio concreto agli interessi indicati nell'art. 24 della l. n. 241/1990». Dalla lettura combinata di tali norme si evince che le pubbliche amministrazioni, nell'individuare le categorie di documenti sottratti all'accesso devono valutare se la loro disclosure possa arrecare un pregiudizio concreto agli interessi che il legislatore ha inteso tutelare in via prioritaria. Più in particolare, le pubbliche amministrazioni devono svolgere un peculiare test del danno (c.d. harm test) nel senso che, a differenza di quanto previsto dalmodello eurounitario delineato dal regolamento (CE) n. 1049/2001 e dal sistema dei limiti di carattere relativo dettato dal legislatore nazionale in materia di accesso civico generalizzato (art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013), esso mira a individuare le categorie di documenti insuscettibili di disclosure, a prescindere dalla valutazione di una determinata istanza di accesso e senza che venga operato un bilanciamento tra contrapposti interessi. Ciò si spiega con il fatto che nelle ipotesi di esclusione previste dall'art. 24 tale bilanciamento è già stato operato a monte dal legislatore e non residua alcun margine di discrezionalità in capo alle pubbliche amministrazioni in ordine alla possibilità di accordare prevalenza all'interesse conoscitivo dei privati rispetto agli altri interessi fondamentali, per la cui salvaguardia il legislatore ha optato per l'esclusione dal diritto di accesso. Invero, a differenza del test del danno che viene svolto al ricorrere di taluno degli interessi-limite al diritto di accesso civico generalizzato, nel caso dell'art. 24, commi 1 e 2, della l. n. 241/1990 vengono in rilievo ipotesi di absolute exemption e non qualified exemption che impediscono all'amministrazione di operare un bilanciamento tra i contrapposti interessi in giuoco, in forza della natura vincolata del potere esercitabile e del necessario rispetto dei principi di legalità e di separazione dei poteri.

Tuttavia, il regime di inaccessibilità assoluta dei documenti riconducibili alle ipotesi tipizzate dall'art. 24, comma 1, nonché alle categorie individuate dalle amministrazioni ai sensi del successivo comma 2 ovvero ai casi individuati dal Governo ai sensi del comma 6, retrocede a fronte di istanze di accesso difensivo ex art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, ove sia dimostrata dall'istante la sussistenza del nesso di strumentalità necessaria o di stretta indispensabilità dei documenti richiesti ai fini della cura o della tutela di una situazione giuridica finale controversa.

Anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Ad. plen., n. 7/2012), al di fuori delle ipotesi di accesso difensivo, propende per l'esclusione assoluta dal diritto di accesso in presenza di documenti rientranti nelle categorie appositamente individuate dalle amministrazioni, affermando che «ciò che sottrae il documento all'accesso non è, o non è solo, la sua puntuale appartenenza ad una categoria ‘nominata', bensì l'oggettiva messa in pericolo degli interessi pubblici, tutelati dalla legge, derivante dall'accesso al medesimo, in ragione della sua natura, del suo contenuto, delle sue modalità di acquisizione e/o di formazione, ovvero della sua ulteriore utilizzazione da parte dell'amministrazione».

Nella pratica può farsi riferimento al regolamento del Ministero della difesa (d.m. 14 giugno 1995, n. 519) che, come osservato anche in dottrina (Lipari, 15), viene costantemente aggiornato e fornisce le opportune indicazioni riguardanti l'ambito oggettivo del diritto di accesso ai documenti formati e detenuti da tale Dicastero che, per le competenze e le funzioni da esso svolte, sono strettamente correlati con gli interessi di cui all'art. 24, comma 1, della l. n. 241/1990.

Vale, altresì menzionare, il più recente d.m. 16 marzo 2022, adottato dal Ministero dell'Interno e recante “Disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell'art. 24, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall'articolo 16 della legge 11 febbraio 2005, n. 15”. Tale decreto ministeriale, in particolare, esclude il diritto di accesso in relazione alle seguenti categorie di documenti: i) documenti inaccessibili per motivi attinenti alla sicurezza, alla difesa nazionale ed alle relazioni internazionali (art. 2); ii) documenti inaccessibili per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero ai fini di prevenzione e repressione della criminalità (art. 3); iii) documenti inaccessibili per motivi di segretezza e riservatezza del Ministero (art. 4); iv) documenti inaccessibili in quanto diretti all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione o preordinati all'attività di indirizzo politico del Governo (art. 5); v) documenti inaccessibili per motivi di riservatezza del personale o di terzi (art. 6).

  In ordine all'applicazione di tale decreto ministeriale si è sviluppato un ampio contenzioso che ha dato luogo alla formazione di orientamenti giurisprudenziali non univoci. Infatti, una parte della giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Lazio, Roma, III, n. 11858/2023) ha ritenuto che gli articoli 2 e 3 del d.m. 16 marzo 2022 siano pienamente applicabili ai documenti inerenti alla individuazione del porto dove far sbarcare i migranti soccorsi in mare (c.d. place of safety di cui alla Convenzione internazionale di Amburgo del 1979 e s.m.i.), anche in ragione della inscindibilità delle attività di soccorso in mare rispetto alla attività istituzionale e amministrativa delle unità navali presenti nel Mediterraneo, ai fini della applicazione del regime di segretezza dei relativi atti e documenti (Cons. St. V, n. 1121/2020), con prevalenza sul diritto di accesso difensivo laddove la parte ricorrente non abbia positivamente assolto l'onere probatorio aggravato in ordine alla dimostrazione della sussistenza del nesso di strumentalità necessaria fra documenti richiesti e situazione finale controversa da tutelare. Altra parte della giurisprudenza amministrativa, invece, ha ritenuto che le ipotesi di esclusione previste dal d.m. 16 marzo 2022 non operano automaticamente, ma per essere opposte dall'amministrazione dell'Interno al soggetto che richiede l'accesso alla documentazione da essa detenuta, è necessario che il diniego indichi quali siano le concrete ragioni di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica o della altrui riservatezza che ne impediscano la divulgazione (T.A.R. Sicilia, Palermo I, n. 443/2023; T.A.R. Campania, Napoli VI, n. 2859/2022). Tale ultimo orientamento è stato confermato dal giudice amministrativo (T.A.R. Campania, Napoli I, n. 4434/2023) anche in relazione all'accesso ai documenti istruttori inerenti ai procedimenti relativi al rilascio della documentazione antimafia, ricompresi nella categoria prevista dall'art. 3, comma 1, lett. c), del d.m. 16 marzo 2022, estendendo a tale previsione l'interpretazione fornita da una parte della giurisprudenza amministrativa alla omologa disposizione contenuta nel d.m. 17 novembre 1997, n. 508 (T.A.R. Lazio, Roma I, n. 3973/2021; T.A.R. Abruzzo, L'Aquila I, n. 36/2015).

Ai sensi dell'art. 24, comma 3 «[N]on sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni». Tale previsione normativa, come già anticipato in precedenza (cfr. supra subart. 22 della l. n. 241/1990), pone in rilievo la profonda differenza esistente tra l'istituto dell'accesso documentale e quello dell'accesso civico generalizzato disciplinato dall'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013. Solo quest'ultimo, infatti, è preordinato al controllo diffuso e generalizzato dei consociati sull'operato dell'apparato pubblico, nonché sulla sua organizzazione e sulle modalità di impiego delle risorse pubbliche, essendo il portato di un cambio radicale di paradigma in materia di trasparenza amministrativa che, riallacciandosi idealmente all'originario disegno di legge Nigro, funge da leva per scardinare le sacche di opacità che fino ai tempi recenti e, in parte, ancora oggi caratterizzano l'operato dei pubblici poteri. La previsione di cui all'art. 24, comma 3, della l. n. 241/1990 non ha consentito all'istituto dell'accesso documentale di traghettare l'ordinamento verso una maggiore apertura dell'amministrazione nei confronti dei consociati e, per questo, tanto il principio di trasparenza, quanto i principi di partecipazione democratica e uguaglianza sostanziale hanno trovato piena attuazione solo con la riforma della trasparenza operata dal d.lgs. n. 33/2013 successivamente alle modifiche ad esso apportate dal d.lgs. n. 67/2016 – con rilevanti conseguenze anche in ordine all'attuazione dei principi di buon andamento e imparzialità di cui all'art. 97 Cost. e rilevanti esternalità positive sul versante della prevenzione della corruzione.

L'art. 24, comma 4, della l. n. 241/1990 stabilisce che l'accesso documentale non può essere negato ove le esigenze di tutela degli interessi ritenuti assiologicamente prevalenti possano essere soddisfatte attraverso il mero ricorso all'istituto del differimento. Tale norma, invero, pone una clausola generale di salvaguardia che, nell'ottica di assicurare la più ampia accessibilità possibile ai documenti amministrativi in ossequio al principio di trasparenza, tenendo al contempo in considerazione le esigenze di salvaguardia di ulteriori interessi fondamentali dell'ordinamento, pospone nel tempo la decisione in ordine all'accessibilità dei documenti oggetto dell'istanza ostensiva del privato.

Al riguardo, la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Sardegna I, n. 2045/2009) ha chiarito che il differimento costituisce uno «strumento preferenziale rispetto alla esclusione definitiva dell'accesso, tutte le volte in cui l'amministrazione reputi sufficiente, al fine di salvaguardare eventuali esigenze di riservatezza, soprattutto nella fase preparatoria dei provvedimenti in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa, spostare ad un momento successivo rispetto a quello della richiesta l'esercizio del diritto di accesso ai documenti. Il provvedimento di differimento dell'accesso, ex art. 24, comma 4, l. 241 del 7 agosto 1990, deve contenere la motivazione delle ragioni che giustificano il differimento ed in particolare deve dar conto degli interessi che si intendono tutelare, nonché della temporaneità dello stesso».

L'art. 24, comma 5, della l. n. 241/1990 esclude dal diritto di accesso i documenti contenenti informazioni connesse agli interessi sottesi alle cause di esclusione assoluta di cui al comma 1.

In proposito la dottrina (Alberti, 1297) ha evidenziato che queste ipotesi di esclusione sono rimesse al vaglio delle pubbliche amministrazioni chiamate a delibare in ordine alla sussistenza del nesso di connessione tra il documento e gli interessi per i quali il legislatore ha previsto una tutela di carattere prioritario. In ogni caso, l'esclusione dal diritto di accesso dei documenti connessi deve essere limitata al periodo di tempo necessario per soddisfare le esigenze di tutela degli interessi che potrebbero subire un pregiudizio dalla disclosure.

L'art. 24, comma 6, della l. n. 241/1990 stabilisce che con regolamento di delegificazione il Governo ha facoltà di prevedere casi ulteriori di esclusione dal diritto di accesso. Più in particolare, sono cinque le aree nelle quali l'Esecutivo può prevedere ipotesi ulteriori di esclusione del diritto di accesso.

La prima area afferisce alla sicurezza e la difesa nazionale, l'esercizio della sovranità nazionale e la continuità e correttezza delle relazioni internazionali.

La dottrina ha criticato la scelta legislativa di affidare al Governo il potere di limitare il diritto di accesso con riguardo a tali interessi, in quanto essi risultano estremamente contigui a quelli già tutelati in via generale con il segreto di Stato, mediante la previsione di una absolute exemption (Alberti, 1305), con la conseguenza che la previsione di un mero interesse-limite suscettibile di dar luogo a un bilanciamento con il contrapposto interesse conoscitivo del soggetto richiedente l'accesso, rischia di creare un cortocircuito all'interno del sistema delle esclusioni, con potenziale pregiudizio per fondamentali interessi ordinamentali. Anche altra parte della dottrina (Caringella, Garofoli, Sempreviva, 421) ha criticato tale scelta legislativa, osservando che le ipotesi previste dal legislatore non investono la sicurezza dello Stato e travalicano l'ambito di operatività della disciplina dettata dall'art. 39 della l. n. 124/2007.

Una seconda area ricomprende i processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria.

Al riguardo, la dottrina (Caringella, 985 ss.; Cuocolo, 551) ha osservato che gli interessi pubblici che si intende salvaguardare con l'esclusione dal diritto di accesso per i documenti amministrativi afferenti a questa specifica area, ineriscono alla tutela del mercato valutario e finanziario. Invero, la disclosure di tali documenti potrebbe conferire un indebito vantaggio ai soggetti che beneficiano dell'ostensione, ponendoli in condizione di turbare il mercato.

La terza area ricomprende l'ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità.

La dottrina (Caringella, 985 ss.; Cuocolo, 552) ha posto in rilievo che la ratio di tale previsione risiede nella necessità di preservare l'efficacia delle tecniche di prevenzione e contrasto alla criminalità, che verrebbe resa vana dalla divulgazione di documenti contenenti informazioni sensibili sulle tecniche investigative e di ricerca.

In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. IV, n. 4493/2014; T.A.R. Puglia, Lecce II, n. 10/2013; Cons. St. IV, n. 82/1998).

La quarta area riguarda, invece, la vita privata e la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni.

Si tratta, invero, di un'area nella quale l'esclusione dal diritto di accesso può essere prevista operando un bilanciamento favorevole alla salvaguardia del diritto alla riservatezza di soggetti privati coinvolti nell'azione amministrativa. Stante la natura più marcatamente privatistica dell'interesse che si contrappone a quello conoscitivo, tale causa di esclusione si avvicina maggiormente al sistema delle qualified exemption rispetto alle quali la realizzazione di un giudizio comparatistico di carattere discrezionale da parte delle pubbliche amministrazioni non pone alcun problema di coerenza rispetto alla tenuta complessiva del sistema legale di esclusioni previsto dall'art. 24 della l. n. 241/1990.

La dottrina (Alberti, 1310) ha evidenziato che in forza dell'operatività di tale causa di esclusione va riconosciuta prevalenza al diritto alla riservatezza di tali soggetti unicamente con riferimento agli specifici interessi di rilievo costituzionale menzionati dalla norma, ossia quelli di natura epistolare, sanitaria, professionale, finanziaria, industriale e commerciale.

Anche la dottrina (Caranta, Ferraris, 204 ss.) è concorde nel ritenere che la previsione di una siffatta causa di esclusione sia volta a tutelare interessi di natura privatistica.

La quinta e ultima area concerne le attività connesse alla contrattazione collettiva nazionale di lavoro. La previsione dettata dall'art. 24, comma 6, lett. e), è il frutto delle modifiche che hanno interessato l'articolo in seguito alla novella del 2005. In particolare, con tale previsione normativa si è inteso dare prevalenza all'interesse al corretto svolgimento delle negoziazioni tra le parti sociali, neutralizzando il rischio di azioni di disturbo da parte di soggetti che, nelle more della contrattazione, abbiano acquisto informazioni privilegiate grazie all'esercizio del diritto di accesso.

La dottrina (Alberti, 1306; Sandulli, 496) sembra propendere per una esegesi della norma in forza della quale l'operatività di tale causa di esclusione, ove prevista, comporti la preclusione del diritto di accesso anche successivamente alla conclusione dell'attività di contrattazione collettiva.

Altra parte della dottrina (Caringella, Garofoli, Sempreviva, 417 ss.) ha poi osservato che l'attuale formulazione dell'art. 24, comma 6, della l. n. 241/1990, consente di affermare che l'assenza del regolamento governativo non opera in senso preclusivo del diritto di accesso in quanto, al di fuori delle ipotesi di esclusione tipizzate (e di quelle che potranno essere introdotte dall'Esecutivo), il legislatore ha optato, in via generale, per un regime di libera accessibilità dei documenti amministrativi.

Su tale aspetto si è pronunciata anche la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Piemonte II, n. 1127/2006), affermando che l'individuazione di casi di esclusione dal diritto di accesso ulteriori a quelli tipizzati dalla legge può avere luogo, in forza del principio di legalità può aver luogo solo mediante l'adozione del regolamento governativo di cui all'art. 24, comma 6, della l. n. 241/1990, sottraendo alle singole amministrazioni ogni potestà di operare un bilanciamento di interessi ulteriore rispetto a quello effettuato dal legislatore e a quello, facoltativo, del Governo.

Diritto di accesso e tutela della riservatezza

Il rapporto tra diritto di accesso e tutela della riservatezza risulta, da sempre, problematico. Si tratta, invero, di due interessi (quello conoscitivo e quello alla privacy) contrapposti, entrambi riconducibili ai principi costituzionali: per quanto riguarda l'interesse conoscitivo vengono in rilievo il principio democratico (art. 1 Cost.), il principio di uguaglianza sostanziale (art. 3, comma 2, Cost.), la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), i principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), i principi della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), mentre per quel che riguarda l'interesse alla tutela della riservatezza vengono in rilievo gli articoli 2,21 e 41 della Costituzione.

Il rapporto tra tali divergenti interessi è stato disciplinato dalla l. n. 241/1990 e, a partire dal 2005, il legislatore ha anche operato un coordinamento con la disciplina della privacy di cui al d.lgs. n. 196/2003 (Codice della privacy).

Come noto, nell'ambito del Codice dellaprivacy sono previste varie tipologie di dati. In particolare, si distingue tra dati comuni della persona, dati sensibili (concernenti le origini razziali ed etniche, le convinzioni religiose, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni religiose, filosofiche, ecc.) e dati sensibilissimi, costituiti da informazioni genetiche afferenti alla sfera più intima e privata degli individui, quali i dati relativi allo stato di salute e quelli inerenti alla sfera sessuale.

Le norme di coordinamento tra le due discipline sono, da un lato, l'art. 59 (che riguarda i dati comuni della persona e quelli sensibili) e, dall'altro, l'art. 60 del Codice dellaprivacy (che, invece, riguarda i dati c.d. supersensibili). Tali norme, in seguito all'entrata in vigore del regolamento (UE) n. 679/2016 in materia di protezione dei dati personali, pur essendo state interessate da alcune modifiche normative, continuano a dettare una disciplina sostanzialmente analoga a quella previgente. Più in particolare, l'art. 59 del Codice della privacy stabilisce che «i presupposti, le modalità e i limiti del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali restano disciplinati dalla l. n. 241/1990, e successive modificazioni e dalle altre disposizioni di legge in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione anche per ciò che concerne i tipi di dati sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di accesso». L'art. 60 del Codice della privacy, invece, dispone che quando il trattamento riguarda dati supersensibili, l'accesso è consentito solo laddove «la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi, è di rango almeno pari ai diritti dell'interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale».

Le norme in materia di privacy vanno poi analizzate alla luce della disciplina in materia di accesso documentale dettata dalla l. n. 241/1990. Da tale raffronto emerge che il legislatore ha previsto un regime differenziato a seconda che venga formulata un'istanza di accesso di natura meramente partecipativa ovvero un'istanza di accesso di tipo difensivo ai sensi dell'art. 24, comma 7 (infra), nonché in funzione della tipologia di dato per la quale vengono in rilievo le esigenze di riservatezza (dati comuni della persona, dati sensibili o dati supersensibili).

In proposito vale ricordare che in un recente arresto dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen., n. 19/2020) è stato chiarito che l'art. 24, comma 7, della l. n. 241/1990, nel prevedere che deve essere «comunque» garantito l'accesso ai documenti amministrativi quando esso sia necessario per curare o difendere i propri interessi giuridici «denota la volontà del legislatore di non "appiattire" l'istituto dell'accesso amministrativo sulla sola prospettiva della partecipazione, dell'imparzialità e della trasparenza, e corrobora la tesi che esistano, all'interno della fattispecie giuridica generale dell'accesso, due anime che vi convivono, dando luogo a due fattispecie particolari, di cui una (e cioè quella relativa all'accesso cd. difensivo) può addirittura operare quale eccezione al catalogo di esclusioni previste per l'altra (e cioè, l'accesso partecipativo), salvi gli opportuni temperamenti in sede di bilanciamento in concreto dei contrapposti interessi». Più in particolare, con riguardo all'accesso partecipativo, il giudice amministrativo ha altresì chiarito che esso è retto da una logica partecipativa, imperniata sul principio generale di trasparenza, ed è unicamente limitato dalle ipotesi di esclusione delineate dai commi da 1 a 6 dell'art. 24 della l. n. 241/1990 (Cons. St., Ad. plen., n. 19/2020).

Principiando dalla disamina del rapporto tra riservatezza e accesso partecipativo, dall'analisi del sistema delle esclusioni delineato dall'art. 24 della legge generale sul procedimento amministrativo emerge che tale tipologia di accesso incontra due limiti strettamente relazionati con l'esigenza di tutela della riservatezza dei soggetti controinteressati. Un primo limite è costituito dalla causa di esclusione tassativa relativa alle informazioni di carattere psicoattitudinale inerenti a terzi coinvolti in procedimenti selettivi (art. 24, comma 1, lett. d), mente un secondo limite è ravvisabile nella previsione facoltativa di esclusione del diritto di accesso per i documenti concernenti la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni (art. 24, comma 6, lett. d) (cfr. supra). In entrambi i casi è, dunque, lo stesso legislatore ad accordare prevalenza alla tutela del diritto alla riservatezza, con conseguente carattere recessivo dell'istanza di accesso ai documenti contenenti informazioni sensibili. Vi è, tuttavia, una differenza rilevante tra le due cause di esclusione dal diritto di accesso, in quanto quella prevista dall'art. 24, comma 6, lett. d) non solo è meramente facoltativa ma, allo stato, non è operativa, in quanto il Governo non ha adottato alcun regolamento di delegificazione che la preveda (cfr. T.A.R. Campania, Napoli VI, n. 8252/2021, pronuncia nella quale il giudice amministrativo riconosce prevalenza alla tutela della riservatezza rispetto alla richiesta di accesso presentata da un sindacato e tesa ad ottenere la disclosure di documenti afferenti a un procedimento disciplinare). Pertanto, al di fuori delle ipotesi in cui i documenti oggetto di disclosure contengano informazioni di carattere psicoattitudinale, spetterà all'amministrazione realizzare un bilanciamento tra l'interesse conoscitivo e le esigenze di tutela della riservatezza. Così, quando a venire in rilievo sono documenti contenenti dati comuni della persona la delibazione dell'istanza di accesso deve essere svolta coniugando l'interesse conoscitivo con i principi in materia di protezione dei dati personali, tra i quali quello di minimizzazione. Tale principio implica che i dati personali di cui è consentita la diffusione sono solo quelli pertinenti, necessari e proporzionati (art. 5 del regolamento (UE) n. 679/2016) al raggiungimento delle finalità sottese al diritto di accesso. Pertanto, alla luce del quadro normativo vigente, l'amministrazione potrà accordare l'accesso anche in presenza di esigenze di riservatezza, ma nel farlo dovrà contemperare le esigenze di trasparenza con quelle di tutela dei dati personali ricorrendo, ad esempio, a forme parziali di disclosure o all'anonimizzazione e all'oscuramento delle informazioni sensibili contenute nei documenti amministrativi.

Diversamente, con riguardo all'accesso difensivo (art. 24, comma 7, l. n. 241/1990), quando i documenti oggetto dell'istanza di accesso contengano dati sensibili o giudiziari, l'amministrazione deve stabilire se l'ostensione del documento richiesto sia strettamente indispensabile al soddisfacimento dell'interesse connesso alla situazione giuridica legittimante sulla scorta della motivazione sulla quale poggia l’istanza ostensiva. Infine, con riguardo ai dati supersensibili, la disclosure degli stessi è consentita solo nel caso in cui la situazione giuridica legittimante sia di rango almeno pari ai diritti del controinteressato, ovvero consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale (l'art. 24, comma 7, secondo capoverso, l. n. 241/1990 rinvia espressamente all'art. 60 del Codice della privacy). Diversamente, l'accesso risulterà recessivo e, al più, l'amministrazione potrà accordare una disclosure parziale del documento, procedendo all'oscuramento delle parti contenenti i dati di natura supersensibile.

Ad esempio, in una recente pronuncia (T.A.R. Toscana II, n. 1573/2021), il giudice amministrativo ha accordato prevalenza alla tutela dei dati supersensibili (informazioni sanitarie di un minore) rispetto alla tutela della reputazione della parte ricorrente – ancorché potenzialmente suscettibile di rilevare in un giudizio di natura penale – sul rilievo che «[L]'accesso ai detti dati supersensibili è infatti consentito, ai sensi dell'art. 24 comma 7 della legge n. 241 del 1990, relativo ai casi esclusi, soltanto nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. A tenore dell'art. 60 cit., quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell'interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. Dunque, la tutela dei dati “supersensibili” può essere vinta solo quando risulti provato in concreto dall'istante che la loro acquisizione sia assolutamente indispensabile al fine di tutelare un suo diritto fondamentale, non bastando perciò, in tale particolare ipotesi, la generica enunciazione di esigenze di difesa. Occorre, in particolare, la dimostrazione di una rigida “necessità” e non della mera “utilità” del documento in questione (Cons. St. VI, n. 117/2011)».

L'accesso difensivo.

L'art. 24, comma 7, della l. n. 241/1990 disciplina l'istituto del c.d. accesso difensivo. Si tratta di una norma di chiusura del sistema delle esclusioni dal diritto di accesso di tipo documentale, con la quale il legislatore ha accordato prevalenza al diritto di accesso rispetto alla tutela della riservatezza nei casi in cui la conoscenza del documento sia, per l'istante, necessaria per curare o difendere i propri interessi. In linea generale, quindi, le necessità difensive (riconducibili all'art. 24 Cost.) sono state considerate dal legislatore prioritarie rispetto alle esigenze di riservatezza di soggetti terzi.

Già da tempo la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. I, n. 1882/2016) ha avuto modo di affermare che «il diritto di accesso prevale sulle esigenze di riservatezza soltanto nel caso in cui sia necessario per l'utilizzo difensivo, diritto che il Costituente ha inteso garantire con una nutrita serie di garanzie processuali, con l'avvertenza che la definizione di una posizione di equilibrio tra gli interessi coinvolti è riservata al giudice adito, al quale compete stabilire, in contraddittorio con le parti e nel rispetto dei vincoli normativi, le cautele da osservarsi nel consentire l'accesso difensivo, in modo da non vanificare l'istanza di tutela richiesta dal ricorrente».

Più di recente, la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Ad. plen., n. 19/2020; Cons. St., Ad. plen., n. 4/2021) ha affermato che  l'art. 24, comma 7, enuclea un'autonoma funzione dell'accesso, costruendola come una eccezione rispetto all'elenco delle esclusioni da tale diritto. Tale istituto, dotato di propria autonomia rispetto all'accesso partecipativo, è imperniato intorno alla logica difensiva, la quale comporta «un onere aggravato sul piano probatorio, nel senso che grava sulla parte interessata l'onere di dimostrare che il documento al quale intende accedere è necessario (o, addirittura, strettamente indispensabile se concerne dati sensibili o giudiziari) per la cura o la difesa dei propri interessi». A differenza dell'accesso partecipativo «la conoscenza del documento non è destinata a consentire al privato di partecipare all'esercizio del pubblico potere in senso ‘civilmente' più responsabile, ossia per contribuire a rendere l'esercizio del potere condiviso, trasparente e imparziale, ma rappresenta il tramite per la cura e la difesa dei propri interessi giuridici» (Cons. St., Ad. plen., n. 19/2020). Per questo, le «esigenze di difesa non devono essere semplicemente prospettate in termini generici, bensì puntualmente individuate e comprovate. Solo tale puntuale indicazione e prova consente, infatti, all'Autorità giudiziaria di valutare con precisione l'effettiva indispensabilità dell'accesso e la misura dell'accesso assentibile rispetto alle esigenze di difesa fatte valere» (T.A.R. Lazio, Roma I-bis, n. 2885/2021).

Il diritto di accesso difensivo possiede una portata ampia, in quanto consente di accedere ai documenti detenuti dall'amministrazione e dai soggetti ad essa equiparati senza alcuna restrizione alla sola dimensione della tutela processuale (T.A.R. Lazio, Roma III, n. 14525/2023; Cons. St. III, n. 2021/5290; Cons. St. V, n. 6121/2008). Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa «La disposizione di cui al comma 7 dell'art. 24 cit., nel contemplare la necessità sia di ‘curare', sia di ‘difendere' un interesse giuridicamente rilevante, lascia intendere la priorità logica della conoscenza degli elementi che occorrono per decidere se instaurare un giudizio e come costruire a tal fine una strategia difensiva; con la conseguenza che l'accesso documentale difensivo non necessariamente deve sfociare in un esito contenzioso in senso stretto» (Cons. St., Ad. plen., n. 19/2020).

In generale, ai fini della valutazione delle istanze ostensive di carattere difensivo non è considerato sufficiente che il soggetto richiedente si limiti a formulare generiche enunciazioni circa l'astratta ed ipotetica necessità di accedere ai documenti per esercitare il diritto di difesa, essendo per converso indispensabile che sia dimostrata la sussistenza di un effettivo nesso di strumentalità tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l'istante intende curare o tutelare (Cons. St., Ad. plen., n. 4/2021). Invero, è solo con la dimostrazione della sussistenza del requisito della necessità o di quello della stretta indispensabilità della conoscenza del documento (a seconda della tipologia di dato al quale si intende accedere) che l'amministrazione può apprezzare il nesso di strumentalità tra il diritto di accesso e la situazione giuridica controversa e, quindi, accordare prevalenza al diritto di accesso rispetto alle eventuali ragioni di riservatezza opposte dai controinteressati. Per questo, la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Ad. plen., n. 19/2020) ha affermato che «l'ostensione del documento amministrativo deve essere valutata, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, come il tramite – in questo senso strumentale – per acquisire gli elementi di prova in ordine ai fatti (principali e secondari) integranti la fattispecie costitutiva della situazione giuridica ‘finale' controversa e delle correlative pretese astrattamente azionabili in giudizio». L'amministrazione, inoltre, è chiamata a svolgere la delibazione sull'istanza di accesso difensivo prendendo in considerazione unicamente l'astratta pertinenza della documentazione rispetto all'oggetto dellares controversa, non essendo richiesto il requisito dell'attuale pendenza di un processo in sede giurisdizionale (Cons. St. V, n. 3392/2022). Il giudizio di sussunzione che l'amministrazione è chiamata a svolgere a fronte di un'istanza di accesso difensivo, è regolato in ogni suo aspetto dalla legge e, quindi, non presenta tratti ‘liberi' sui quali esercitare un potere di natura discrezionale. Così, ad esempio, anche al creditore di una società sottoposta a procedura di amministrazione straordinaria è stato riconosciuto il diritto di accesso c.d. difensivo, in quanto funzionale a verificare le reali possibilità di soddisfazione del credito (T.A.R. Lazio, Roma III-ter, n. 7343/2021; T.A.R. Lazio, Roma III-ter, n. 10923/2020).

Nella pratica spesso accade che l'istanza di accesso difensivo non sia debitamente motivata e, del pari, anche il provvedimento di rigetto adottato dall'amministrazione risulti scarsamente motivato. In tal caso, una parte della giurisprudenza amministrativa ha affermato che «in presenza di provvedimenti di rigetto scarsamente motivati al richiedente sarà pur sempre sufficiente limitarsi ad una prospettazione ‘minima' dei motivi potenzialmente deducibili (stretto legame tra documentazione e difese) onde ottenere l'accesso alla anelata documentazione» (Cons. St. V, n. 369/2022) e che «l'asserita genericità e mancante specificità (sia dell'istanza che del successivo giudizio) si scontra in primis […] con l'accertamento complessivo della domanda da parte del TAR, che ha espresso una piena valutazione e delibazione sulla pertinenza della documentazione da ostendere rispetto al giudizio in corso, rinvenendo il necessario nesso e riconoscendo espressamente la strumentalità della documentazione rispetto all'interesse sotteso al giudizio principale» (Cons. St. VI, n. 5796/2023). Da tali pronunce emerge come, pur in presenza di istanze di accesso difensivo non adeguatamente motivate, laddove l'amministrazione non motivi, affatto o funditus, il provvedimento di diniego, è ben possibile ottenere l'accesso a fini difensivi proponendo l'actio ad exhibendum di cui all'art. 116 c.p.a., in quanto essa pur risultando formalmente un rimedio di carattere impugnatorio, dà luogo ad un vero e proprio giudizio sul rapporto (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2020). In sede giurisdizionale, quindi, il soggetto istante in veste di ricorrente ha ancora chance di dimostrare la sussistenza del nesso di strumentalità necessaria o di stretta indispensabilità richiesto dall'art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, attraverso la formulazione di specifiche deduzioni difensive potenzialmente esplicabili (Cons. St. V, n. 369/2022; Cons. St. IV, n. 2472/2014) avverso il provvedimento lesivo della situazione giuridica finale controversa di cui si prospetta titolare e per la cui cura o tutela emerga la necessità/stretta indispensabilità di accedere alla documentazione richiesta.

La dottrina (Alberti, 1313) ha posto in evidenza che con la previsione di tale istituto il legislatore ha inteso limitare la discrezionalità della pubblica amministrazione nel valutare il contrasto tra interesse conoscitivo e tutela della riservatezza, accordando, al ricorrere delle condizioni normativamente richieste (nesso di necessaria o indispensabile strumentalità su tutte), sempre prevalenza al diritto di accesso.

 La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il pieno esercizio del diritto di accesso difensivo non può essere impedito da ragioni generiche di riservatezza industriale o commerciale opposte dai soggetti controinteressati, ma solo in presenza di specifiche informazioni di carattere segreto – da valutare alla luce di quanto disposto dall'art. 98 del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, recante “Codice della proprietà industriale” – ovvero riservato, ove comunque afferenti al know-how aziendale, sulla scorta di una comprovata e motivata opposizione (T.A.R. Lazio, Roma IV-bis, n. 12129/2022). Anche in tali casi, tuttavia, spetta all'amministrazione che detiene i documenti svolgere i necessari accertamenti, operando un vaglio critico sulla fondatezza e attendibilità delle dichiarazioni rese dai controinteressati alla luce del contenuto della documentazione da ostendere (Cons. St. V, n. 4220/2020; Cons. St. V, n. 64/2020). Sul punto è stato ulteriormente affermato che pur in presenza di una motivata opposizione dei controinteressati «l'amministrazione non deve appiattirsi acriticamente sulla posizione espressa dai controinteressati, gravando su di essa l'obbligo di vagliare criticamente le dichiarazioni rese al fine di stabilire se effettivamente sussistano ragioni di riservatezza o segretezza tali da precludere, in tutto o in parte, la disclosure dei documenti richiesti» (T.A.R. Lazio, Roma IV-bis, n. 12156/2022).

Il giudice amministrativo ha anche chiarito che, al di fuori dei casi in cui vengono in rilievo documenti coperti dal segreto di Stato – per i quali l'accesso, anche difensivo, è escluso ex lege ai sensi del combinato disposto dell'art. 24, comma 1, lett. a), prima parte, l. n. 241/1990 e dell'art. 39, comma 2, l. n. 124/2007– per i documenti classificati ai sensi dell'art. 42 della legge n. 124/2007 e del d.P.C.M. 6 novembre 2015, n. 5, il diritto di accesso a fini difensivi può essere esercitato esclusivamente nelle forme prescritte dall'art. 42, comma 8, l. n. 124/2007 (ossia previo ordine di esibizione dell'autorità giudiziaria, consegna alla medesima autorità che ne ha disposto l'accesso, nonché esercizio dell'accesso mediante la sola presa visione senza estrazione di copia). In particolare, è stato a riguardo affermato che l'art. 42, comma 8, l. n. 124/2007 presuppone e integra la disciplina del meccanismo ostensivo previsto dall'art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, con la conseguenza che «l‘interesse difensivo alla conoscenza degli atti classificati deve essere fatto valere dinnanzi all'autorità giudiziaria, la quale è tenuta a valutare se, nel caso concreto, le esigenze di tutela del diritto di difesa possano giustificare l'esibizione processuale del documento vincolato» (Cons. St. I, parere n. 545/2021; Cons. St. I, parere n. 2226/2014). In tali ipotesi, spetta all'autorità giudiziaria stabilire, apprezzando la sussistenza del nesso di strumentalità necessaria o di stretta indispensabilità, se possa essere accordata o meno, nel caso di specie, prevalenza al diritto di accesso rispetto alle esigenze di riservatezza insite nelle informazioni contenute nei documenti classificati (Cons. St. IV, n. 8106/2019).

Vale, inoltre, evidenziare che la prevalenza accordata, ex lege , all'interesse conoscitivo nei casi di accesso difensivo non può essere posta nel vuoto tramite vincoli di natura negoziale intercorrenti tra le parti coinvolte nella vicenda ostensiva. Al riguardo, con specifico riferimento all'accesso ad un contratto, è stato affermato che il «diritto alla riservatezza non può derivare da una clausola di riservatezza inserita nel contratto stesso, in quanto le parti che sottoscrivono l'accordo non possono disporre dei diritti di terzi. Il principio di trasparenza dei documenti amministrativi, che ha fondamento nella legge, non può essere sostituito con il principio di segretezza su base negoziale. La clausola di riservatezza è quindi contra legem e inapplicabile nella parte in cui tende ad ampliare l'area della riservatezza oltre i limiti tutelati dal legislatore» (T.A.R. Lombardia, Brescia I, n. 497/2015).

Questioni applicative

1) È ammissibile una richiesta di accesso riguardante documenti coperti da segreto istruttorio, in quanto afferenti a indagini preliminari o procedimenti penali in corso?

La giurisprudenza (T.A.R. Lazio, Roma III, n. 14525/2015) ha chiarito che gli atti istruttori di un procedimento penale sono sottratti all'accesso documentale in quanto coperti da segreto istruttorio. Più in particolare, è stato evidenziato che il legislatore, nel dettare la disciplina delle cause di esclusione ha contemperato i contrapposti interessi in gioco in ossequio ai principi promananti dall'art. 97 Cost., ritenendo prevalente l'interesse pubblico alla sottrazione di determinate categorie di atti, in ragione del fatto che la divulgazione degli stesso potrebbe recare pregiudizio ad interessi prioritari dell'ordinamento, che il legislatore ha inteso specificamente salvaguardare con la previsione dei limiti di cui all'art. 24, comma 1, lett. da a) a d), della l. n. 241/1990.

2) Le istanze di accesso difensivo volte ad ottenere la disclosure di documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell'anagrafe tributaria, ivi compreso l'archivio dei rapporti finanziari, possono formularsi indipendentemente dall'esercizio dei poteri processuali di esibizione dei documenti amministrativi?

Secondo la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Ad. plen., n. 19/2020), le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti comunque acquisiti dall'amministrazione finanziaria, contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, e inseriti nelle banche dati dell'anagrafe tributaria, costituiscono documenti amministrativi e, pertanto, sono suscettibili di essere conosciuti previa formulazione di un'istanza di accesso difensivo, che può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall'esercizio dei poteri processuali di esibizione di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile, nonché dalla previsione dall'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio del giudice civile nei procedimenti in materia di famiglia.

3) Qual è il giudizio che l'amministrazione deve svolgere in sede di delibazione di un'istanza di accesso difensivo al fine di vagliarne l'ammissibilità?

La giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Ad. plen., n. 4/2021) ha chiarito che l'ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l'istante intende curare o tutelare. La pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso ai sensi dell'art. 116 c.p.a. non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull'ammissibilità, sull'influenza o sulla decisività del documento richiesto nell'eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all'autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull'accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell'accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241/1990.

4) È ammissibile l'accesso alle cartelle esattoriali?

Cons. St. IV, ord. 13 dicembre 2021, n. 8288 ha rimesso all'Adunanza plenaria alcune questioni relative alla materia dell'accesso alle cartelle esattoriali.

Ha ricordato la Sezione che alcune decisioni ammettono tout court l'accesso alle cartelle esattoriali (cfr. Cons. St. IV, n. 5410/2015; Cass. 17 novembre 2016, nn. da 4760 a 4764). Altre affermano in linea di principio l'esistenza del diritto all'accesso alle cartelle di pagamento escludendolo tuttavia se l'agente della riscossione, rispettando determinate formalità, certifichi l'inesistenza di documenti in suo possesso (Cass. IV, 31 marzo 2015, nn. da 1696 a 1705). Altre ancora, assunte specialmente in sede cautelare, negano l'accesso alle cartelle, ma ritengono sufficiente a soddisfare l'interesse dell'istante la conoscenza dell'estratto di ruolo, l'avviso di ricevimento e l'attestazione del soggetto notificante, mentre negano l'onere di produrre copia integrale delle cartelle, in quanto non in possesso dell'agente della riscossione, e di fornire ulteriori informazioni (quali quelle su messi e agenti notificatori) non contenute in documenti amministrativi e sulle quali il privato non ha interesse all'accesso (Cons. St sez. IV, ordinanza 16 giugno 2016, n. 2240; Cons. St ordinanze 10 marzo 2017, n. 1004, n. 1006, n. 1007; sentenze Cons. St. 26 maggio 2017, n. 2477 e 7 agosto 2017, n. 3947).

In altre pronunce (Cons. St. IV, n. 5128/2017) si è evidenziato che la questione dell'accesso alle cartelle esattoriali va in concreto declinata avuto riguardo alle modalità di notifica adottate nella specie, nel senso che la piena esplicazione del diritto può trovare un limite obiettivo nella configurazione materiale dell'atto che la richiesta prende a oggetto, cioè nel supporto fisico della cartella esattoriale. Ai sensi dell'art. 26, comma 1, d.P.R. n. 602 del 1973, la notifica può infatti avvenire o ad opera di ufficiali della riscossione o di altri soggetti abilitati o mediante servizio postale con l'invio di raccomandata con avviso di ricevimento o a mezzo P.E.C. secondo le modalità previste dal d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68. Nella prima e nella terza ipotesi resta conservato l'originale dell'atto. In questi casi, il diritto di accesso è dunque facilmente e legittimamente esperibile.

Ha aggiunto la Sezione che la sentenza della sez. IV del Consiglio di Stato n. 1667/2021 ha affermato che il rifiuto dell'accesso al ruolo ed alla cartella di pagamento non può essere fondato sulla «inesistenza» dei documenti presso l'agente della riscossione, ovvero (quantomeno) sulla impossibilità di riprodurli, pena la illecita disapplicazione di una pluralità di disposizioni di legge e di regolamento e la sussistenza di un'azione amministrativa cui sono estranei basilari principi di documentazione e conservazione degli atti.

Di segno diverso, cioè per una interpretazione più restrittiva del diritto di accesso in materia, sono invece altre sentenze della Sezione quarta.

In particolare, nella sentenza Cons. St n. 5035 del 1° luglio 2021, pur non disconoscendosi in linea di principio l'esistenza del diritto in capo al contribuente di ottenere l'esibizione delle cartelle esattoriali che lo riguardano, è stato affermato che se le cartelle originali sono state prodotte in unico originale notificato al contribuente e l'amministrazione ha dichiarato di non essere in possesso di altro originale, non sarebbe sussistente un diritto all'accesso (alla stregua di un principio generale nei procedimenti di accesso l'esercizio del relativo diritto non potrebbe che riguardare i documenti esistenti e non anche quelli comunque irreperibili). L'amministrazione non sarebbe neppure tenuta a conservare per cinque anni le cartelle esattoriali alla luce dell'art. 26, comma 5, d.P.R. n. 602/1973, posto che «il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell'avvenuta notificazione o l'avviso di ricevimento ed ha l'obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell'amministrazione». Quindi non un obbligo di conservazione della cartella.

Alle due tesi sopra richiamate (contrapposte soprattutto sull'onere di conservazione delle cartelle esattoriali alla luce dell'ultimo comma dell'art. 26, d.P.R. n. 602/1973) può poi essere aggiunta una ulteriore considerazione che collega il diritto di accesso nel caso in esame al concreto interesse del richiedente. Più nel dettaglio, secondo questa impostazione nella richiesta di accesso, al di là della natura e consistenza dell'atto (estratto del ruolo o cartella), l'interessato dovrebbe dimostrare anche il nesso di strumentalità all'ostensione.

L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen., n. 4/2022) si è pronunciata su tale questione ed ha affermato i seguenti principi di diritto: a) «Il concessionario, ai sensi dell'art. 26, comma 5, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ha l'obbligo di conservare la copia della cartella di pagamento, anche quando esso si sia avvalso delle modalità semplificate di diretta notificazione della stessa a mezzo di raccomandata postale»; b) «Qualora il contribuente richieda la copia della cartella di pagamento, e questa non sia concretamente disponibile, il concessionario non si libera dell'obbligo di ostensione attraverso il rilascio del mero estratto di ruolo, ma deve rilasciare una attestazione che dia atto dell'inesistenza della cartella, avendo cura di spiegarne le ragioni».

L'Adunanza Plenaria è giunta a tale conclusione chiarendo, in via preliminare, che la cartella di pagamento costituisce un documento amministrativo accessibile ai sensi dell'art. 22 della l. n. 241/1990 e non rientra nell'area dei procedimenti tributari per i quali l'art. 24 della l. n. 241/1990 esclude l'accesso, trattandosi del primo atto dell'esecuzione esattoriale. La cartella di pagamento, pertanto, svolge una funzione composita poiché, da un lato, essa «è lo strumento che nel procedimento di esecuzione esattoriale serve a portare a conoscenza del contribuente, mediante notifica, l'esistenza del titolo esecutivo posto a base dell'esecuzione esattoriale e costituito dal ruolo» e, dall'altro, «incorpora anche il contenuto del “precetto” (tipico dell'esecuzione civile), nel contesto documentale di un modello conforme a quello previsto in via regolamentare (cfr. il d.m. 3 settembre 1999, n. 321), nonché le ulteriori informazioni necessarie o comunque utili per il contribuente». «Essa, dunque, assolve uno actu le funzioni che nella espropriazione forzata codicistica sono svolte dalla notificazione del titolo esecutivoex art. 479 c.p.c. e dalla notificazione del precetto” (Cass. S.U., n. 7822/2020)».

Peraltro, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha anche evidenziato che «La mancata predisposizione di un assetto organizzativo che consenta il rilascio della copia a suo tempo notificata direttamente a mezzo posta costituisce quindi una prassi contrastante con l'art. 26 sopra citato, e dunque i concessionari dovranno porre rimedio con i necessari adattamenti e le opportune misure organizzative, anche in forza dell'art. 22 comma 6, l. n. 241 del 1990, che correla all'“obbligo” di detenere (e non alla concreta detenzione) il diritto d'accesso».

Bibliografia

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