Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 25 - Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi 1Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi 1
1. Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla presente legge. L'esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura. 2. La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata. Essa deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente. 3. Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall'art. 24 e debbono essere motivati. 4. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell'accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell' articolo 24 , comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l'ambito territoriale immediatamente superiore. Nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è inoltrata presso la Commissione per l'accesso di cui all'articolo 27 nonché presso l'amministrazione resistente. Il difensore civico o la Commissione per l'accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto. Se il difensore civico o la Commissione per l'accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano all'autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l'accesso è consentito. Qualora il richiedente l'accesso si sia rivolto al difensore civico o alla Commissione, il termine di cui al comma 5 decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell'esito della sua istanza al difensore civico o alla Commissione stessa. Se l'accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso. Qualora un procedimento di cui alla sezione III del capo I del titolo I della parte III del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, o di cui agli articoli 154 , 157 , 158 , 159 e 160 del medesimo decreto legislativo n. 196 del 2003, relativo al trattamento pubblico di dati personali da parte di una pubblica amministrazione, interessi l'accesso ai documenti amministrativi, il Garante per la protezione dei dati personali chiede il parere, obbligatorio e non vincolante, della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di parere sospende il termine per la pronuncia del Garante sino all'acquisizione del parere, e comunque per non oltre quindici giorni. Decorso inutilmente detto termine, il Garante adotta la propria decisione 2. 5. Le controversie relative all'accesso ai documenti amministrativi sono disciplinate dal codice del processo amministrativo 3. [5-bis. Nei giudizi in materia di accesso, le parti possono stare in giudizio personalmente senza l'assistenza del difensore. L'amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell'ente.] 4 [6. Il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti richiesti.] 5 [1] Rubrica inserita dall’articolo 21, comma 1, lettera ee), della legge 11 febbraio 2005, n. 15. [2] Comma sostituito dall’articolo 15, comma 1, della legge 24 novembre 2000, n. 340, dall’articolo 17, comma 1, lettera a), della legge 11 febbraio 2005, n. 15 e successivamente modificato dall’articolo 8, comma 1, lettera b), della legge 18 giugno 2009, n. 69. [3] Comma modificato dall’articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 11 febbraio 2005, n. 15, dall’articolo 3, comma 6-decies, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35 e successivamente sostituito, a decorrere dal 16 settembre 2010, dall'articolo 3, comma 2, lettera c), dell'Allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. [4] Comma aggiunto dall’articolo 17, comma 1, lettera c), della legge 11 febbraio 2005, n. 15 e successivamente abrogato, a decorrere dal 16 settembre 2010, dall'articolo 4, comma 1, numero 14), dell'Allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. [5] Comma sostituito dall’articolo 17, comma 1, lettera d), della legge 11 febbraio 2005, n. 15 e successivamente abrogato, a decorrere dal 16 settembre 2010, dall'articolo 4, comma 1, numero 14), dell'Allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. InquadramentoL'art. 25 della l. n. 241/1990 disciplina espressamente le modalità di esercizio del diritto di accesso e i relativi strumenti di tutela. Per quel che concerne le modalità di esercizio, tale norma espressamente prevede che il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi: mentre l'esame dei documenti è gratuito, al rilascio delle copie si applica un costo a carico del soggetto che esercita il diritto di accesso, il cui importo non può essere superiore al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché dei diritti di ricerca e di visura. Il comma 1 della norma in commento, dunque, ribadisce quanto già previsto dall'art. 22, comma 1, lett. a), della l. n. 241/1990 che, come visto (supra subart. 22 della l. n. 241/1990), definisce il diritto di accesso come «il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi». La richiesta di accesso, inoltre, deve essere motivata e rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o lo detiene stabilmente la quale, ove intenda rigettare, differire o limitare l'accesso, deve rispettare i limiti stabiliti dall'art. 24 della l. n. 241/1990 e motivare tali determinazioni. Ai commi 4 e 5 della disposizione normativa in commento, poi, il legislatore detta un'articolata disciplina relativa alla tutela giurisdizionale del diritto d'accesso per i casi di silenzio, diniego e differimento, prevedendo che il richiedente possa presentare ricorso al giudice amministrativo secondo le regole dettate dal codice del processo amministrativo di cui al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, come disposto dall'art. 25, comma 5, della l. n. 241/1990. La norma, inoltre, prevede due forme di tutela, giurisdizionale e non giurisdizionale, che possono essere attivate nei casi di diniego dell'accesso, espresso o tacito, e di differimento. Per quel che concerne la tutela giurisdizionale la disciplina dell'azione in materia di accesso è ad oggi contenuta nel Codice del processo amministrativo che, all'art. 116, prevede un rito speciale. Per quel che riguarda, invece, la forma di tutela non giurisdizionale, la norma in commento stabilisce che l'istante può rivolgersi al difensore civico, nel caso in cui l'accesso sia stato negato o differito dalle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, ovvero alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell'art. 27 della l. n. 241/1990, nel caso in cui il diniego o il differimento siano stati disposti dalle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato. La giurisprudenza e la dottrina riconducono tale rimedio giustiziale al ricorso gerarchico improprio, pur evidenziando la presenza di rilevanti limiti dovuti al fatto che tanto il difensore civico, quanto la Commissione, non sono muniti di poteri vincolanti nei confronti dell'amministrazione, bensì unicamente sollecitatori, con la conseguenza che anche laddove il ricorso amministrativo venga accolto, l'amministrazione originariamente competente a valutare l'istanza di accesso può reiterare la propria decisione di diniego. Ciò incide sull'efficacia deflattiva del rimedio giustiziale, di fatto rendendolo recessivo rispetto a quello giurisdizionale, rispetto al quale non risulta fornire benefici maggiori in termini economici e temporali. La disciplina delle modalità di esercizio del diritto di accesso.Con riferimento alle modalità di esercizio del diritto di accesso vale innanzitutto richiamare che, in passato, si discuteva se tale diritto comportasse unicamente la facoltà di prendere visione del documento o se, per converso, si sostanziasse anche nel diritto di estrarne copia. Secondo una parte della giurisprudenza la mera presa in visione del documento era ritenuta più garantista per gli interessi degli eventuali controinteressati, andando a costituire una soluzione di compromesso tra l'aspirazione conoscitiva dell'istante e la tutela della riservatezza degli altri soggetti coinvolti dalla vicenda ostensiva (ex multis, Cons. St. VI, n. 65/1999). Altra parte della giurisprudenza, invece, riteneva che tale soluzione non fosse comunque adeguata in quanto, una volta consentito l'accesso, le informazioni apprese con l'ostensione dei documenti avrebbero potuto essere divulgate all'esterno (Cons. St. IV, n. 1627/1999). Come anticipato in precedenza (supra sub art. 22 della l. n. 241/1990) la questione è venuta definitivamente meno con la modifica dell'art. 22 della l. n. 241/1990, che al comma 1, lett. a), espressamente prevede che il diritto di accesso si sostanzia tanto nel prendere visione, quanto nell'estrarre copia dei documenti amministrativi richiesti. Sussiste, tuttavia, per espressa previsione di legge (art. 42, comma 8, l. n. 124/2007), il diritto di accedere nella sola modalità della presa in visione in relazione ai documenti classificati e non coperti da segreto di Stato (Cons. St. IV, n. 8106/2019; T.A.R. Lazio, Roma III, n. 14525/2023). L'art. 25, comma 2, prevede poi che la richiesta di accesso documentale debba essere motivata e rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente. In proposito, giova innanzitutto evidenziare che l'esatta individuazione dell'amministrazione nei cui confronti esercitare il diritto di accesso risulta di fondamentale importanza per il buon esito della iniziativa ostensiva. Infatti, nel caso in cui l'istante non individui correttamente l'amministrazione tenuta ex lege a consentire l'accesso alla documentazione richiesta, una sua eventuale iniziativa giudiziale ai sensi dell'art. 116 c.p.a. risulterà inammissibile per difetto di legittimazione passiva dell'amministrazione resistente. Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che «Ai fini della individuazione dell'amministrazione obbligata all'esibizione dei documenti richiesti ai sensi dell'art. 25 l. 7 agosto 1990, n. 241, il criterio della formazione del documento è quello principale e generale, mentre quello della detenzione dello stesso assume un rilievo secondario e sussidiario. Segue da detta premessa, come corollario obbligato, che legittimata passiva deve intendersi (e presumersi) l'amministrazione che ha confezionato l'atto e, solo nell'ipotesi di successiva trasmissione della detenzione dello stesso a quella che lo detiene stabilmente, l'istanza di accesso può essere legittimamente rivolta a quest'ultima. In altri termini, la materiale disponibilità del documento non costituisce criterio generale di individuazione dell'amministrazione obbligata a pronunciare sull'istanza di accesso ma assume rilevanza a detto fine esclusivamente nel caso in cui sia comprovata una concorrenza dei due criteri, con la conseguenza che ove l'amministrazione che ha formato il documento sia diversa da quella che in atto lo detiene stabilmente, deve attribuirsi prevalenza al criterio del possesso dell'atto (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 28 gennaio 2005, n. 680)» (Cons. St. VI, n. 3764/2011; T.A.R. Lazio, Roma III, n. 11378/2023; T.A.R. Lazio, Roma III-ter, n. 2353/2011). Per quel che concerne la motivazione dell'istanza di accesso, la dottrina (Caringella, 987; Simonati, Calabrò, 1325) ha chiarito che la stessa si rende necessaria in quanto, avendo il legislatore previsto una legittimazione attiva ristretta, collegando l'esercizio di tale diritto alla sussistenza di un «interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento» (art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241/1990), l'amministrazione nei confronti della quale è formulata l'istanza di disclosure deve poter concretamente valutare se sussista, in capo al richiedente, la situazione giuridica legittimante che la legge prevede quale indefettibile presupposto per l'esercizio del diritto in questione. La previsione di tale presupposto dà la stura alla distinzione tra accesso informale e accesso formale. Più in particolare, si ha accesso informale quando è possibile accordare immediatamente l'accesso e consentire all'istante di prendere visione ed estrarre copia dei documenti senza alcuna formalità – salvo il rispetto del contenuto minimo dell'istanza, che deve in ogni caso contenere l'indicazione degli estremi del documento di cui si chiede l'accesso, nonché la specificazione dell'interesse legittimante. Si ha, invece, accesso formale, ogniqualvolta non sia possibile accordare immediatamente l'accesso a causa dei dubbi in ordine alla legittimazione del richiedente, alla sua identità, ai suoi poteri, all'accessibilità del documento, ecc.
Sempre con riguardo alla motivazione, la giurisprudenza ha affermato che non è esigibile unostandardmotivazionale uniforme per tutti i soggetti che formulano istanze di accesso documentale. In alcuni casi, invero, la sussistenza della situazione legittimante e la rilevanza dell'interesse all'accesso sono autoevidenti e, quindi, possono considerarsi in re ipsa. Così, ad esempio, l'onere motivazionale dell'istante risulta attenuato quando sussistono rapporti intercorsi o intercorrenti con l'amministrazione, con la conseguenza che «il difetto di motivazione non può essere ritenuto sussistente quando i ricorrenti, nell'istanza, hanno espressamente chiarito di aver partecipato alla procedura di selezione comparativa per l'accesso, di talché la parte intimata è stata posta in condizione di comprendere esattamente le ragioni della domanda di accesso» (T.A.R. Lazio, Roma III, n. 640/2010). Una situazione analoga si verifica anche quando l'istante è il destinatario di un provvedimento sfavorevole (Cons. St. VI, n. 2068/2006). La domanda di accesso, inoltre, deve anche essere proporzionata, nel senso che la quantità e la tipologia di documenti richiesti devono essere tali da garantire la massima soddisfazione dell'interesse ostensivo del richiedente e della sottostante situazione legittimante, ma non andare al di là di questo dato minimo, con il rischio di onerare l'amministrazione in maniera ingiustificatamente eccessiva e paralizzarne o menomarne il buon andamento della sua attività pubblicistica. Di conseguenza, tra i doveri del privato istante vi è quello di specificare e porre in evidenza il legame eziologico, di tipo sostanziale, intercorrente tra la documentazione di cui si chiede la disclosure e la soddisfazione della propria situazione legittimante (Cons. St. V, n. 3683/2012). La giurisprudenza amministrativa ha anche risolto la questione relativa all'ammissibilità della reiterazione della domanda di accesso (Cons. St., Ad. plen., n. 6/2006; Cons. St., Ad. plen., n. 7/2006), componendo il contrasto giurisprudenziale all'epoca esistente tra i fautori dell'ammissibilità della reiterazione ove trasparisse, dall'istanza (reiterata), la perdurante sussistenza dell'interesse ostensivo (T.A.R. Puglia, Bari I, n. 792/1995; T.A.R. Lazio, Roma III, n. 9805/2005) e coloro che, invece, sostenevano la tesi dell'ammissibilità della reiterazione dell'istanza di accesso solo in presenza di una situazione del tutto nuova (ex multis, Cons. St. IV, 6719/2000). In particolare, il tema era molto dibattuto per le sue ricadute processuali, andando ad impattare sul regime dei termini decadenziali per agire in giudizio (la cui disciplina è oggi contenuta nell'art. 116 del Codice del processo amministrativo). La dottrina (Simonati, Calabrò, 1328) ha sinteticamente evidenziato che l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato scelse una via mediana, affermando che l'amministrazione, a fronte della reiterazione di un'istanza di accesso documentale, deve limitarsi ad assumere decisioni di natura meramente confermativa di quella precedentemente assunte, sì da evitare l'adozione di un nuovo provvedimento, suscettibile, come tale, di essere nuovamente impugnato (o impugnato per la prima volta ove il precedente fosse divenuto inoppugnabile) dinanzi al giudice amministrativo; ciò, invero, si sarebbe risolto in un aggiramento, sostanziale, del regime decadenziale previsto dal legislatore in ossequio al principio della certezza del diritto e dei traffici giuridici ed economici. Ove, invece, l'amministrazione non si limiti ad assumere decisioni meramente confermative, ma valorizzi, nella parte motiva, anche fatti sopravvenuti o, comunque, elementi nuovi, sulla scorta di una nuova attività di valutazione dell'istanza del privato, quest’ultimo beneficerà della rimessione in termini. Parimenti, l'istante è rimesso in termini per proporre il ricorso giurisdizionale ai sensi dell'art. 116 del Codice del processo amministrativo ogniqualvolta al silenzio-rigetto consegua un diniego espresso della reiterata istanza di accesso (T.A.R. Lazio, Latina I, n. 839/2013). Se è vero che l'amministrazione non è tenuta a verificare la veridicità della motivazione sulla quale si fonda l'istanza di accesso, è pur vero che dalla stessa deve trasparire l'esistenza ex ante della situazione giuridica legittimante rispetto alla quale si ricollega l'interesse ostensivo a conoscere il documento di cui si chiede la disclosure. Ove, al contrario, la situazione giuridica da tutelare venisse a configurarsi successivamente all'accesso (ex post), allora l'amministrazione dovrebbe sempre rigettare l'istanza di accesso documentale in ragione del suo carattere esplorativo, contrario al divieto di preordinare tale tipologia di accesso a un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni, sancito nel Capo V della l. n. 241/1990 (art. 24, comma 3). In tal caso, invero, l'istante agisce in totale carenza di interesse, in quanto motiva l'istanza evocando circostanze, da valutare sulla scorta dell'esito dell'accesso, dalle quali potrebbe derivare la lesione di una situazione afferente alla sua sfera giuridica, che al momento dell'accesso presenta un carattere meramente ipotetico, di una situazione afferente alla sua sfera giuridica (Cons. St. III, n. 2401/2017; T.A.R. Lazio, Roma II-bis, n. 10660/2020; T.A.R. Puglia, Bari III, n. 1193/2016). Così, ad esempio, è stato di recente considerato avente carattere esplorativo la richiesta di accesso tesa a prendere visione ed estrarre copia dei provvedimenti concernenti le gare svolte in un arco temporale quinquennale, allo scopo di individuare gli operatori invitati (Cons. St. V, n. 1779/2021). In proposito, il giudice amministrativo ha affermato che «L'ostensione documentale non può infatti essere finalizzata all'esercizio di un controllo dell'operato dell'amministrazione, allo scopo di verificare eventuali e non ancora definite forme di lesione della sfera dei privati, atteso che l'interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi deve essere comparato con altri interessi rilevanti, tra cui quello dell'amministrazione a non subire eccessivi intralci nella propria attività gestoria». Il comma 3 dell'art. 25 in commento opera un rinvio alla disciplina dettata dal precedente art. 24 della l. n. 241/1990 per quel che riguarda il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso, stabilendo che le pubbliche amministrazioni possono determinarsi in questo senso solo nei casi e nei limiti fissati dall'art. 24 e che, in ogni caso, possono farlo solo motivando tale scelta. Per quel che concerne l'istituto del differimento, previsto dall'art. 24, comma 4, della l. n. 241/1990, esso consiste nella posposizione della valutazione dell'istanza di accesso al fine di tutelare, medio tempore, interessi ritenuti assiologicamente prevalenti rispetto alla conoscenza dei documenti richiesti. Ciò è stato chiarito anche dalla giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Sardegna I, n. 2045/2009), che ha avuto modo di affermare che il differimento costituisce uno «strumento preferenziale rispetto alla esclusione definitiva dell'accesso, tutte le volte in cui l'amministrazione reputi sufficiente, al fine di salvaguardare eventuali esigenze di riservatezza, soprattutto nella fase preparatoria dei provvedimenti in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa, spostare ad un momento successivo rispetto a quello della richiesta l'esercizio del diritto di accesso ai documenti. Il provvedimento di differimento dell'accesso, ex art. 24, comma 4, l. 241 del 7 agosto 1990, deve contenere la motivazione delle ragioni che giustificano il differimento ed in particolare deve dar conto degli interessi che si intendono tutelare, nonché della temporaneità dello stesso». Vale, infine, ricordare che la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. V, n. 1772/2011) ha specificato che le modalità generali di esercizio del diritto di accesso fissate dall'articolo 25 della l. n. 241/1990 trovano applicazione anche nei casi di accesso agli atti delle amministrazioni locali da parte dei cittadini, posto che l'art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000, nel sancire il principio della pubblicità degli atti delle amministrazioni locali, non prevede modalità differenziate di esercizio di tale diritto. La tutela non giurisdizionale del diritto di accesso.L'art. 25, comma 4, della l. n. 241/1990 dispone inoltre che, decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta di accesso senza che l'amministrazione si sia espressamente pronunciata in maniera favorevole sul suo accoglimento, la stessa si intende respinta. Il legislatore, quindi, ha previsto un'ipotesi di silenzio significativo di segno negativo (silenzio-rigetto) che viene in rilievo ogniqualvolta l'amministrazione destinataria di una richiesta di accesso documentale non si pronunci in maniera espressa entro il termine di trenta giorni dalla formalizzazione dell'istanza ostensiva (Corrado, 169). La norma in commento prevede due vie di tutela attivabili in caso di diniego di accesso, espresso o tacito, o di differimento. Si tratta, più in particolare, della forma di tutela giurisdizionale – essendo riconosciuto al richiedente il diritto di presentare ricorso al giudice amministrativo secondo quanto previsto dal Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010 e s.m.i.) – e di quella di carattere amministrativo, consistente nella facoltà di chiedere il riesame della determinazione di diniego o di differimento (o delle altre decisioni, funditus infra) adottata dall'amministrazione, al difensore civico (ove venga in rilievo una decisione in materia di accesso assunta dalle amministrazioni comunali, provinciali e regionali) ovvero alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 27 della l. n. 241/1990), nel caso in cui il diniego o il differimento siano stati disposti dalle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato. La dottrina (Calabrò, 209; Simonati, Calabrò, 1332) ha osservato che, in materia di accesso, la previsione di una forma di tutela ulteriore a quella giurisdizionale assolve una finalità deflattiva del contenzioso dinanzi al giudice amministrativo. Tale scelta non è stata compiuta solo dal legislatore italiano, in quanto anche altri Paesi europei hanno optato per il doppio binario di tutela. È stato inoltre evidenziato (Vetrò, 758) che la via del ricorso amministrativo non comporta benefici tali, in termini di tempi e costi della decisione, da risultare preferibile al rimedio giurisdizionale, e ciò anche in ragione delle peculiarità che caratterizzano la disciplina che il Codice del processo amministrativo detta in relazione al rito in materia di accesso. La giurisprudenza (T.A.R. Lazio, Roma I, n. 3675/2008; T.A.R. Abruzzo, L'Aquila I, n. 452/2009) riconduce il rimedio giustiziale di cui all'art. 25 della l. n. 241/1990 al ricorso gerarchico improprio, in quanto la sua cognizione è affidata a soggetti non competenti nella materia alla quale si riferiscono i documenti che formano oggetto di accesso, i quali, tra l'altro, non risultano neanche funzionalmente o gerarchicamente connessi all'amministrazione destinataria dell'istanza di disclosure (Cons. St. VI, n. 2938/2003). Risulta, invece, inammissibile il ricorso straordinario al Capo dello Stato, in quanto inidoneo a garantire l'accesso ai documenti richiesti in tempo breve e predeterminato, così come richiesto dalla l. n. 241/1990 (ex multis, Cons. St. II, n. 4280/2012). Si ritiene, in ogni caso, che tanto il difensore civico, quanto la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi siano soggetti dotati della necessaria indipendenza per rendere un giudizio imparziale in sede giustiziale. Più in particolare, con specifico riferimento alla Commissione, il giudice amministrativo ha affermato che essa «sia per la sua composizione, sia per i rapporti che istituzionalmente intrattiene con le Camere presenta peculiari, rilevanti profili che tendono a configurarla come un'autorità munita di autonomia e indipendenza, ancorché collegata con il Governo per gli aspetti che attengono alle sue funzioni» (Cons. St., Adunanza Generale, n. 75/1992). Una parte della dottrina, per converso, ritiene che l'istituto in esame non sia riconducibile al rimedio gerarchico improprio, in quanto non si realizza una devoluzione piena della vicenda al soggetto che deve riesaminarla in via amministrativa (Simonati, Calabrò, 1334), ma più precisamente agli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie di tipo non aggiudicativo (Ramajoli, 5). Infatti, ove il difensore civico o la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi si determinino per l'accoglimento del ricorso, ad essi non viene riconosciuto ex lege alcun potere di annullamento, bensì unicamente un potere di natura sollecitatoria. Tale ricorso, dunque, costituisce un rimedio stragiudiziale estremamente limitato, poiché la carenza di poteri coercitivi nei confronti dell'amministrazione che si è originariamente pronunciata sull'istanza di accesso, finisce con l'inficiare l'efficacia della tutela amministrativa e la sua funzione deflattiva del contenzioso (Giulietti, 789). Il carattere non vincolante della decisione di accoglimento del ricorso da parte del difensore civico o della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi lascia aperta, all'amministrazione originariamente competente a decidere sull'istanza di accesso, la possibilità di pronunciarsi nuovamente in senso ostativo, confermando il precedente provvedimento di diniego o differimento (Cons. St. IV, n. 3815/2012). Dal punto di vista procedimentale si evidenzia che la disciplina applicabile al ricorso giustiziale è dettata dall'art. 12 del d.P.R. n. 184/2006. In particolare, tale norma definisce il regime applicabile al ricorso innanzi alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi e, al comma 10, prevede una estensione della stessa per i procedimenti innanzi al difensore civico, ferma restando la sua compatibilità con la disciplina dettata dalle Regioni e dagli enti locali nell'esercizio della loro competenza in materia di difensore civico. In proposito, mentre una parte della dottrina (Celotto, 98) ha evidenziato che tale previsione risulta compatibile con le competenze riconosciute, nella materia in questione, alle Regioni e agli enti locali, posto che non impedisce l'introduzione di maggiori garanzie procedimentali rispetto a quelle previste dalla l. n. 241/1990, altra parte della dottrina (Gullo, 499) ha invece criticato la scelta operata con il regolamento sull'accesso ai documenti amministrativi, asserendo che con essa è stata di fatto sottratta alla competenza esclusiva di Regioni ed enti locali la disciplina attuativa del difensore civico. Per quel che concerne il riparto di competenza tra difensore civico e Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, in seguito alle modifiche introdotte con la l. n. 15/2005 è pacifico che al difensore civico spetti esclusivamente la cognizione dei ricorsi inerenti alle decisioni in materia di accesso adottate dalle amministrazioni regionali e locali. Per quanto riguarda l'ambito di competenza della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, oltre a ricomprendere la cognizione sulle decisioni assunte dalle amministrazioni statali, centrali e periferiche, la medesima Commissione ha ritenuto di avere una competenza generale a conoscere dei ricorsi amministrativi esperiti nei confronti delle decisioni in materia di accesso rese da tutti i soggetti pubblici diversi dalle amministrazioni regionali e locali (Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, decisione del 10 giugno 2008). Così, ad esempio, la Commissione ha affermato la propria competenza nei confronti degli organi giurisdizionali quando essi svolgono funzioni amministrative (decisioni del 18 marzo 2014 e del 16 dicembre 2008) e delle Autorità amministrative indipendenti (decisione del 9 maggio 2008). In dottrina (Della Scala, 1017) è stata riconosciuta la competenza della Commissione anche con riguardo ai provvedimenti adottati dai soggetti privati che esercitano attività di interesse pubblico. In ordine alla competenza del difensore civico vale altresì evidenziare che, in ossequio al principio di sussidiarietà verticale, ove esso non sia stato istituito, la competenza spetta al soggetto operante nell'ambito territoriale immediatamente superiore. La Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, ha affermato la propria competenza nelle ipotesi di assenza del difensore civico, con il dichiarato intento di evitare che ciò conduca a una diminuzione degli strumenti di tutela del diritto di accesso (decisione del 29 aprile 2014). Per quanto concerne la legittimazione a esperire il rimedio amministrativo, oltre ai casi di diniego e di differimento sin qui esaminati, l'art. 12, comma 1, del d.P.R. n. 184/2006 stabilisce espressamente che anche i controinteressati possono proporre il ricorso in questione avverso i provvedimenti di accoglimento delle istanze di accesso. Il regolamento in materia di accesso ai documenti amministrativi, inoltre, all'art. 12, comma 2, prevede l'obbligo di notifica del ricorso agli eventuali controinteressati, andando così ad integrare il testo dell'art. 25 della l. n. 241/1990 che, al contrario, non fa alcuna menzione delle facoltà partecipative dei controinteressati all'interno del procedimento giustiziale instaurato dai soggetti che insorgono avverso i provvedimenti di diniego o di differimento dell'accesso. La giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Lazio, Roma I, n. 10330/2013) ha chiarito che le previsioni del regolamento in materia di accesso documentale che impongono obblighi di notifica del ricorso (ad esempio, l'art. 12, comma 5, del d.P.R. n. 184/2006, che impone alla Commissione l'obbligo di provvedere alla notifica del ricorso nei confronti dei controinteressati che non erano emersi durante la fase procedimentale), mirano a garantire la pienezza del contraddittorio. Inoltre, è stato osservato che ancorché l'art. 24, comma 4, della l. n. 241/1990 faccia unicamente riferimento alle ipotesi di diniego e di differimento, il rimedio giustiziale risulta esperibile anche in tutti gli altri casi di lesione della sfera giuridica dei soggetti coinvolti dalla decisione amministrativa, quindi anche nel caso in cui l'amministrazione si sia determinata per un accoglimento parziale dell'istanza di accesso (D'Alberti, 229). Dello stesso avviso risulta anche la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi (decisione dell'8 luglio 2014). Sia il difensore civico, sia la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, devono pronunciarsi entro il termine di trenta giorni dalla presentazione dell'istanza (dies a quo), decorso inutilmente il quale il ricorso si intende respinto (art. 12, comma 6, del d.P.R. n. 184/2006). In giurisprudenza è stato affermato che l'inutile decorso di tale termine non priva tali organi della facoltà di decidere tardivamente (Cons. St. VI, n. 2351/2002; T.A.R. Umbria I, n. 299/2006). Al riguardo, è stato evidenziato che il termine di trenta giorni inizia a decorrere non dalla presentazione del ricorso alla Commissione o al difensore civico, bensì dal momento in cui esso è conosciuto dall'amministrazione, affinché siano salvaguardate le esigenze di difesa e contraddittorio (Protto, 234). Per entrambe le forme di tutela vale rilevare che la giurisprudenza ha chiarito che il diritto di accesso può essere limitato solo nei casi espressamente previsti dalla legge, e ciò tanto in via diretta, quanto attraverso il più articolato sistema previsto dall'art. 24, comma 6, della l. n. 241/1990. Sul punto, è stato affermato che «l'Amministrazione pubblica è tenuta a dar seguito all'istanza del privato (ove rispettosa dei crismi normativi quanto a forma, oggetto, interesse sostanziale sotteso), mediante l'esibizione o la consegna di copia di quella documentazione precisamente richiesta, salvo che non ricorrano le tassative circostanze legislativamente previste per differirne ovvero negarne l'accesso» (Cons. St. V, n. 1832/2017). Pertanto, con specifico riferimento alla tutela giustiziale, il riesame dell'istanza d'accesso dovrà necessariamente appuntarsi sulla verifica della sussistenza di una valida ragione di esclusione o differimento dell'accesso, ovvero sulla legittimità dell'accoglimento parziale. In ordine al tipo di vaglio operato dalla Commissione e dal difensore civico, alcuni autori hanno evidenziato che la valutazione che tali organi sono chiamati a compiere presenta un carattere eminentemente giuridico in quanto mira a verificare la legittimità della decisione amministrativa, e non può fondarsi su considerazioni di carattere equitativo (Lia, Lucchini, Gargatagli, 201). Il riesame in sede amministrativa può chiudersi con una decisione di rito (irricevibilità o inammissibilità) – che non preclude la riproposizione dell'istanza di accesso, né quella del ricorso giustiziale a fronte di nuove decisioni dell'amministrazione a carattere non meramente confermativo – ovvero di merito (accoglimento o rigetto), laddove la Commissione o il difensore civico riscontrino la sussistenza o meno di ragioni idonee a legittimare il diniego, il differimento o l'accoglimento parziale dell'istanza di accesso (Simonati, Calabrò, 1348). Più in particolare, laddove tali organi ritengano legittimo l'operato dell'amministrazione non potranno far altro che confermare il provvedimento originariamente adottato, mentre nel caso in cui considerino illegittima la decisione assunta dall'amministrazione, essi non godono di alcun potere demolitorio, ma devono informare il richiedente, nonché comunicare la decisione di accoglimento del ricorso all'amministrazione che si è pronunciata sull'istanza di accesso o dinanzi alla quale si è formato il diniego tacito (art. 12, comma 9, del d.P.R. n. 184/2006). In caso di accoglimento del ricorso amministrativo, infatti, in ragione dell'assenza di poteri coercitivi in capo alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi e al difensore civico, all'amministrazione è riconosciuta la facoltà di emanare un provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni, in mancanza del quale il riesame si intende accolto e l'accesso deve essere consentito (silenzio-assenso). La giurisprudenza amministrativa ritiene che le decisioni di accoglimento del ricorso amministrativo non abbiano natura provvedimentale (contra T.A.R. Lazio, Latina I, n. 738/2011), ma siano atti endoprocedimentali aventi natura consultiva (T.A.R. Veneto III, n. 1557/2011). La decisione presa in sede di riesame, tuttavia, incide sulla nuova decisione che l'amministrazione è chiamata ad adottare per riscontrare l'istanza ostensiva. Infatti, ove essa intenda insistere nel diniego, dovrà comunque tener conto, ai fini della legittimità della propria determinazione, dei rilievi svolti dal difensore civico o dalla Commissione (T.A.R. Lazio, Roma III-ter, n. 2835/2008). Nel caso in cui, invece, l'amministrazione ometta di pronunciarsi sull'istanza di accesso in seguito all'accoglimento del ricorso amministrativo, essa consuma il proprio potere e a tale comportamento inerte viene attribuito valore di rinuncia ad opporsi all'istanza di accesso (T.A.R. Toscana II, n. 554/2015). La Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi ha più volte sollecitato l'intervento del legislatore al fine di ottenere adeguati poteri per imporre alle amministrazioni l'esibizione dei documenti in caso di accoglimento del ricorso amministrativo e mancata adozione di un nuovo provvedimento di diniego (Relazione al Parlamento per l'anno 2014; parere del 15 maggio 2003). Infatti, come evidenziato dalla dottrina (Casetta, 298), l'assenza di validi strumenti di enforcement in capo alla Commissione e al difensore civico rende la concreta accessibilità dei documenti richiesti condizionata all'adozione di comportamenti collaborativi da parte della pubblica amministrazione, andando a depotenziare l'efficacia del rimedio giustiziale, anche in caso di esito favorevole. Inoltre, è discusso se, a fronte dell'inerzia dell'amministrazione, le decisioni adottate in sede giustiziale siano suscettibili di ottemperanza: in proposito, risulta dirimente la qualificazione di tali decisioni in termini provvedimentali (Mastropasqua, 82) o meno (Occhiena, 8). Per quel che concerne tale profilo occorre comunque evidenziare che non solo nei casi di inerzia delle amministrazioni regionali e locali, ma anche con riferimento alle amministrazioni statali sono previsti poteri di carattere sostitutivo (art. 2, commi 9-bis e 9-ter, della l. n. 241/1990) che possono essere attivati, anche su istanza del privato, al fine di consentire l'accesso ai documenti richiesti – ed eventualmente per il tramite di un commissario ad acta (Ferrari, 369) –. La proposizione del ricorso amministrativo presenta carattere facoltativo e non preclude al privato istante di rivolgersi anche al giudice amministrativo: per tale ragione la via giustiziale non è alternativa a quella giurisdizionale (bensì additiva), né funge da condizione di procedibilità per la proposizione della domanda di tutela in sede giurisdizionale. Alla luce del rapporto intercorrente tra tutela amministrativa e tutela giurisdizionale, la giurisprudenza ha affermato che è possibile attivare contemporaneamente entrambe le forme di tutela (T.A.R. Lazio, Roma I, n. 10747/2009), nonché di trasferire in sede giurisdizionale la controversia avviata in sede amministrativa (T.A.R. Lazio, Roma I, n. 3675/2008), ancorché solo nel caso in cui il procedimento dinanzi agli organi giustiziali sia stato correttamente instaurato. I rapporti tra Commissione per l'accesso ai dati amministrativi, difensore civico e Garante privacyL'art. 25, comma 4, della l. n. 241/1990 disciplina i rapporti tra la Commissione per l'accesso agli atti amministrativi e il Garante per la protezione dei dati personali (Garante della privacy). In particolare, è previsto che laddove il ricorso amministrativo riguardi un provvedimento amministrativo (diniego, differimento o accoglimento parziale) fondato su ragioni relative alla salvaguardia della riservatezza di soggetti terzi, la Commissione, prima di rendere la propria decisione, deve formulare una richiesta di parere al Garante della privacy. In dottrina la tesi prevalente è quella che propende per il carattere non vincolante del parere reso dal Garante della privacy (Simonati, Calabrò, 1362). Dal punto di vista procedurale si segnala che, nel caso in cui venga richiesto il parere al Garante della privacy, il termine entro il quale la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi deve pronunciarsi è prorogato di venti giorni (art. 12, comma 6, del d.P.R. n. 184/2006). Laddove tale parere non venga reso, in ragione del suo carattere non vincolante, il legislatore ha previsto che si proceda come se fosse stato rilasciato un parere positivo (l'art. 25, invero, prevede espressamente che «decorso inutilmente il quale [il termine di dieci giorni, n.d.r.] il parere si intende reso»), introducendo una sorta di silenzio-assenso (Simonati, Calabrò, 1365). Ancorché la norma si riferisca unicamente alla Commissione, non sembra che la sua operatività possa escludersi laddove la questione di riservatezza venga in rilievo dinanzi al difensore civico – e ciò anche per ragioni di ordine pratico, in quanto postulare la competenza esclusiva della Commissione implicherebbe un coinvolgimento molto intenso di tale organo nelle controversie in materia di accesso che riguardano le amministrazioni regionali e locali, che difficilmente potrebbe essere gestito a risorse date –. La norma in commento, inoltre, disciplina anche le ipotesi nelle quali sia il Garante della privacy a rivolgersi alla Commissione: ciò, ad esempio, accade in materia di trattamento, ossia quando un soggetto si oppone alla comunicazione, da parte di una pubblica amministrazione, dei propri dati personali a soggetti terzi. Anche in questo caso il parere della Commissione non è vincolante, ma a differenza dell'ipotesi inversa (cioè, quando è la Commissione a richiedere il parere) il legislatore non ha previsto una ipotesi di silenzio-assenso. Tuttavia, anche in caso di inerzia della Commissione, il Garante della privacy può adottare la propria decisione prescindendo dal fatto che il parere non sia stato reso. La tutela giurisdizionale.L'art. 25, comma 5, prevede che le controversie relative all'accesso ai documenti amministrativi sono disciplinate dal codice del processo amministrativo. Si tratta di una norma di rinvio alla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 104/2010 che, all'art. 116 disciplina il rito speciale in materia di accesso – che pur essendo riconducibile al modello generale del procedimento in camera di consiglio, presenta proprie peculiarità e si differenzia anche dagli altri riti speciali accelerati, quali ad esempio quelli in materia di silenzio e contratti pubblici – e all'art. 133, comma 1, lett. a), n. 6, stabilisce che le controversie relative al diritto di accesso ai documenti amministrativi sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Si rinvia al commento dell'art. 116 del d.lgs. n. 104/2010 per un'analisi più approfondita del rimedio giurisdizionale dell'actio ad exhibendum. Problemi attuali.Numerosi sono i profili applicativi che si pongono a causa del silenzio serbato dal legislatore nel rito sull'accesso di cui al all'articolo 117 c.p.a. Di seguito, si procederà ad una rapida carrellata delle principali questioni insolute in tema di rito in materia di accesso ai documenti amministrativi, individuando, seppur per cenni, le probabili soluzioni o evoluzioni. Accesso e tutela cautelare. L'art. 116 c.p.a. non affronta espressamente il nodo della tutela cautelare, lasciando tuttora aperta la questione relativa alla possibilità di dare ingresso a siffatte istanze anche nel giudizio in materia di accesso. La giurisprudenza si è pronunciata in passato su tale evenienza, ammettendo – in un precedente alquanto datato – che la fase cautelare inaudita altera parte possa essere radicata congiuntamente al rito de quo. Del resto, pur trattandosi di un rito speciale accelerato, tale peculiarità non impedirebbe di rilevare situazioni di urgenza tali da rendere necessaria l'adozione di una pronuncia cautelare, anche se, nella pratica, questa ipotesi potrebbe verificarsi più spesso nei giudizi di appello avverso la sentenza di accoglimento della domanda di accesso rispetto al giudizio di primo grado tout court. Inoltre, la concessione di una tutela cautelare non sarebbe legata allo svolgimento di un rito particolare ma alla sussistenza di condizioni, quali il fumus boni iuris e il periculum in mora, che prescinderebbero dal rito azionato. In dottrina (OROFINO, CIMBALI, 163-164) si è anche segnalato che non ammettere la tutela cautelare nell'ambito del rito in materia di accesso, oltre a generare seri dubbi di costituzionalità sul versante della effettività della tutela giurisdizionale, si porrebbe anche in contrasto con il diritto eurounitario ogniqualvolta vengono in rilievo vicende disciplinate anche dal diritto dell'Unione europea (CGUE 15 marzo 2003, in C-214/00, Commissione delle Comunità europee contro Regno di Spagna). Pertanto, il rito cautelare si propone come rito passe-partout per salvaguardare svariate esigenze di effettività di tutela, quali quelle dei controinteressati all'accesso che si trovino esposti, in conseguenza dell'ostensione di un documento contenente dati riservati, ad un pregiudizio irreparabile alla loro privacy, oppure quelle dell'amministrazione resistente in caso di documenti coperti da segreto o, più in generale, sottratti all'accesso, o ancora situazioni di periculum in mora conseguenti ad atti o documenti di difficile reperibilità. Infine, stante la previsione exartt. 56 e 61 c.p.a. della nuova disciplina in materia di tutela cautelare monocratica, non si ravvisano motivi ostativi all'applicazione, in situazioni di particolare gravità o urgenza – anche ante causam – delle misure provvisorie e interinali che appaiano idonee a salvaguardare l'esperibilità del ricorso in materia di accesso. In seno alla giurisprudenza amministrativa possono menzionarsi almeno due distinti orientamenti in merito alla ammissibilità della domanda cautelare nel rito in materia di accesso. Secondo un primo orientamento, tale forma di tutela sarebbe esclusa in ragione della natura acceleratoria e della specialità del rito in materia di accesso (T.A.R. Lazio, Roma III-ter, decr. n. 916/2012; T.A.R. Sicilia, Palermo I, ord. n. 618/2022), nonché sulla scorta del fatto che la delibazione di una siffatta domanda di tutela condurrebbe ad una alterazione del criterio cronologico di fissazione dei ricorsi (T.A.R. Puglia, Lecce II, ord. n. 464/2021), con conseguente attribuzione, per via interinale, «dell'intero risultato utile cui è preordinato il giudizio, con il risultato di anticiparne l'esito e rendere inutile l'esperimento del rito accesso» (T.A.R. Liguria I, ord. n. 116/2014). In base a un secondo orientamento, è stata invece riconosciuta l'ammissibilità della domanda cautelare nel rito in materia di accesso, valorizzando quanto previsto dagli artt. 24 e 133 della Costituzione, che ostano a una limitazione della tutela giurisdizionale in assenza di specifiche previsioni di legge (T.A.R. Sicilia, Palermo III, ord. n. 2020/2018). Invero, già da tempo il Consiglio di Stato (Cons. St. V, 26 ottobre 2004, n. 5152), ha affermato che nell'ambito del rito speciale previsto per le controversie in materia di accesso ai documenti dall'art. 25, l. n. 241/1990sono ammissibili domande cautelari (nella specie, era stata proposta istanza di sospensione degli effetti di una sentenza di primo grado in materia di accesso ai documenti e la sezione ha ordinato di esibire al ricorrente i documenti richiesti nel termine di sette giorni dalla notificazione o comunicazione dell'ordinanza). Va, tuttavia, evidenziato che un effettivo problema di coordinamento tra la tutela di merito, richiesta con la proposizione dell'actio ad exhibendum, e la tutela cautelare, si pone laddove la domanda cautelare miri al conseguimento della ostensione anticipata dei documenti oggetto dell'istanza di accesso. Indici della possibile inammissibilità di una domanda cautelare di tal guisa si rinvengono nella giurisprudenza cautelare del Consiglio di Stato. Infatti, il giudice amministrativo di seconda istanza, proprio per evitare le irreversibili conseguenze, sul piano fattuale, dell'ostensione dei documenti in pendenza del giudizio di appello – situazione paragonabile, in sostanza, alla ostensione anticipata dei documenti che potrebbe essere disposta, in sede cautelare, nel primo grado di giudizio – ha ritenuto di dover disporre la sospensione dell'esecutività della sentenza di primo grado, con la quale era stato riconosciuto il diritto di accesso ai documenti richiesti, ravvisando la sussistenza del requisito del danno grave e irreparabile e il carattere pregiudizievole della disclosure sul merito dell'appello (Cons. St. III, ord. n. 3762/2021). Del pari, non pochi problemi di coordinamento delle tutele pone anche il caso in cui la cautela accordata si sostanzi in una ordinanza propulsiva di remand, con la quale il giudice amministrativo ordini all'amministrazione di rivalutare l'istanza ostensiva – ad esempio per aver ravvisato, prima facie, la sussistenza del deficit motivazionale censurato dalla parte ricorrente –. In tale ipotesi, infatti, va considerato che, al di fuori dei casi in cui l'amministrazione decida di rivalutare l'istanza ostensiva esercitando il proprio potere di autotutela, l'atto adottato unicamente in esecuzione di una ordinanza cautelare ex art. 55 c.p.a., assume una portata meramente strumentale e provvisoria, al pari della tutela cautelare «la quale, per quanto atipica, è strumento per ottenere tutela nelle more della definizione del merito ma non mira a far conseguire un'utilità finale» (Cons. Stato III, sent. n. 8590/2021). Gli atti adottati in ottemperanza a un provvedimento cautelare di remand, quindi, non determinano la sostituzione automatica del provvedimento impugnato, il che rileva anche nel giudizio in materia di accesso, stante la sua natura formalmente impugnatoria. Invero, in tal caso, risulta estremamente remota la possibilità del disallineamento delle tutele, in quanto laddove l'accesso sia interinalmente consentito solo in maniera parziale, permarrebbe l'interesse processuale del ricorrente solo alla disclosure della documentazione mai ostesa dall'amministrazione, configurandosi una cessazione parziale della materia del contendere in relazione alla parte di domanda afferente ai documenti per i quali l'accesso è stato consentito lite pendente. Viceversa, laddove la misura cautelare non conduca alla ostensione anticipata dei documenti ai quali il ricorrente intende avere accesso, la tutela cautelare nel rito ex art. 116 c.p.a. risulta pienamente ammissibile. In proposito, giova segnalare che, di recente, il giudice amministrativo di prime cure ha disposto la sospensione di un procedimento di riesame nel quale la documentazione da ostendere risultava rilevante per la tutela degli interessi della parte ricorrente (T.A.R. Sicilia, Palermo I, ord. n. 119/2023). Accesso e regolamento di competenza Ulteriori interazioni di disciplina, non previste ab origine dal legislatore, potrebbero profilarsi in relazione con l'istituto di cui all'art. 15 c.p.a., vale a dire il regolamento di competenza. La norma è applicabile, in assenza di esplicita deroga, a qualsiasi tipo di ricorso dinanzi al giudice amministrativo di primo grado e, pertanto, anche ai giudizi in materia di accesso ai documenti amministrativi. Tuttavia, l'accelerazione imposta dal legislatore pone innegabili difficoltà di coordinamento con questa fase incidentale, giacché il termine per la proposizione del regolamento di competenza è più lungo di quello entro il quale dovrebbe definirsi il giudizio di accesso agli atti. Difatti, il regolamento di competenza deve essere proposto entro venti giorni dalla data di costituzione in giudizio, che deve a sua volta avvenire nei venti giorni successivi a quelli stabiliti per il deposito del ricorso e, quindi, entro il complessivo termine di quaranta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso. Pertanto, non sarebbe possibile rispettare tale termine nel rito speciale delle impugnazioni in materia di accesso in quanto queste devono essere decise entro il termine di trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso. In definitiva, come evidenziato dal T.A.R. capitolino, potrebbe prospettarsi una questione di legittimità costituzionale delle relative disposizioni per violazione del diritto di difesa delle parti resistenti. Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-quater, 17 gennaio 2008, n. 294: «il contrasto delle disposizioni riguardanti i termini per la proposizione del regolamento di competenza rispetto a quelli previsti per la decisione dei ricorsi in materia di accesso ai documenti, potrebbe, se mai, porre una questione di legittimità costituzionale delle relative disposizioni per violazione del diritto di difesa delle parti resistenti». Accesso e tutela risarcitoria. Prima dell'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, si era creata una rilevante giurisprudenza in senso ostativo all'ammissibilità della domanda risarcitoria in sede di rito speciale in materia di accesso. La tesi si basava sull'assunto secondo cui la necessaria accelerazione del processo, insieme alla sua natura lato sensu cautelare, non avrebbero giustificato l'appesantimento, anche istruttorio, correlato alla cognizione della domanda di risarcimento. La giurisprudenza amministrativa ha, in proposito, affermato che «il contrasto delle disposizioni riguardanti i termini per la proposizione del regolamento di competenza rispetto a quelli previsti per la decisione dei ricorsi in materia di accesso ai documenti, potrebbe, se mai, porre una questione di legittimità costituzionale delle relative disposizioni per violazione del diritto di difesa delle parti resistenti»(T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-quater, 17 gennaio 2008, n. 294). Lo scenario è ora mutato, in quanto il nuovo Codice ha disciplinato espressamente all'art. 32 c.p.a. l'ipotesi di connessione tra azioni soggette a riti differenti, prevedendone il cumulo in un simultaneus processus, da svolgersi secondo le regole del rito ordinario. La giurisprudenza ha, pertanto, iniziato a profilare il riconoscimento di una vis attractiva al rito ordinario, con la conseguente incidenza del mutamento del rito su tutta la dinamica processuale, compresi in primis i termini processuali.
In particolare, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che «nel caso di cumulo tra azioni disciplinate da riti diversi, l'applicazione del rito ordinario comporta l'estensione delle regole processuali e dei termini del rito ordinario anche alle domande che sarebbero soggette, se proposte da sole, a un rito speciale» (Cons. St. V, n. 1058/2012). Va evidenziato in questa sede che la celebrazione di un unico giudizio secondo le regole del rito ordinario, seppur foriera di alcune conseguenze contrastanti con le esigenze di speditezza e di semplificazione del giudizio in materia di accesso, costituisce la miglior soluzione possibile. è pur vero che basterebbe abbinare una domanda risarcitoria per far scivolare a sessanta giorni il termine per l'impugnazione di un diniego di accesso (o del solo silenzio serbato sull'istanza), ma posto che si tratterebbe di domande legate da un rapporto di accessorietà, la riunione dei procedimenti sotto l'egida del rito ordinario ha il pregio di scongiurare l'inconveniente che sia rinviata ad un'udienza pubblica successiva la decisione sulla domanda risarcitoria, il cui esito, peraltro, sarebbe già condizionato dalla decisione sulla domanda principale, essendo l'impugnativa avverso il diniego di ostensione logicamente e giuridicamente interferente sulla domanda risarcitoria. La notifica del ricorso avverso il diniego di accesso ai controinteressati Anche nell'ambito del giudizio in materia di accesso trova applicazione la regola generale sancita dall'art. 41, comma 2, c.p.a., secondo la quale il ricorso va notificato, a pena di decadenza anche ad almeno uno dei controinteressati. Ciò è, infatti, espressamente previsto dai primi due commi dell'art. 116 c.p.a., quindi sia con riferimento all'esperimento in via autonoma, sia a quello in via incidentale, dell'actio ad exhibendum. In giurisprudenza, in particolare, è stato affermato che «è inammissibile il ricorso proposto avverso il diniego di accesso ai documenti, espresso o tacito, che non sia stato notificato ad almeno un controinteressato, pur avendo il ricorrente individuato espressamente e nominativamente le persone fisiche alle quali la documentazione richiesta si riferisce» (TRGA Trento 6 marzo 2017, n. 75). Ha chiarito il T.A.R. che il principio secondo cui non può essere dichiarato inammissibile il ricorso avverso il diniego di accesso non notificato al controinteressato ove questi non sia stato precedentemente reso edotto dall'amministrazione, attiene al caso in cui i controinteressati siano da individuare in coloro che, titolari del diritto alla riservatezza, sono in qualche modo chiamati in causa dal documento richiesto: in questo caso, infatti, ai sensi dell'art. 3, comma 1, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 184 è sull'amministrazione, «se individua soggetti controinteressati», che incombe l'obbligo di coinvolgerli nel procedimento. Diverso è invece il caso, come quello esaminato dal giudice amministrativo, in cui è lo stesso ricorrente che individua i soggetti potenzialmente lesi dall'ostensione dei dati richiesti e, quindi, controinteressati rispetto alla domanda di accesso, atteso che in subiecta materia la qualità di controinteressato è una proiezione del valore della riservatezza. In altre parole, ove l'accesso sia potenzialmente lesivo di posizioni soggettive non specificabilia priori, e dunque conoscibili solo dall'amministrazione procedente, è su questa che incombe l'obbligo di individuare i controinteressati e provvedere alla notificazione prescritta dalla citata norma; ove invece di tali posizioni siano titolari determinati soggetti nominativamente indicati, ed anzi i documenti ai quali si chiede l'accesso siano specificamente relativi ad essi, la natura impugnatoria del giudizio, chiarita fin dall'Adunanza plenaria 24 giugno 1999, n. 16, lo sottopone alla generale disciplina del processo amministrativo, compreso l'obbligo di notifica ai sensi dell'art. 41 c.p.a. ad almeno uno dei controinteressati, dei quali è indubitabile il riferimento nella documentazione richiesta. Questioni applicative.1) L'accesso in corso di causa: questione solo formalmente incidentale o vicenda schiettamente istruttoria? Come noto, il secondo comma dell'art. 116 c.p.a. stabilisce che, in pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso contro le determinazioni in materia di accesso o contro il silenzio possa essere presentato con apposita istanza presso la segreteria del giudice ove pende il giudizio principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati. L'istanza viene decisa con apposita ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio (sui caratteri essenziali dell'accesso incidentale, cfr. Cons. St. IV, n. 5765/2011). Curiosamente, nel secondo comma, è rimasta l'espressione «eventuali controinteressati», sostituita invece nel primo comma, da «almeno un controinteressato». Tale ultimo riferimento va tuttavia esteso anche all'accesso «parentetico», in quanto espressione del principio generale della sufficienza della notifica a un solo portatore di una posizione di contro-interesse ai fini dell'ammissibilità del ricorso, e salva la successiva integrazione del contraddittorio in corso di causa (arg., ex art. 41 c.p.a.). Più intrigante è la questione se «l'accesso in pendenza» sia una mera e inutile richiesta istruttoria – da vagliare in base all'utilità probatoria della sollecitazione – o dia vita a un'autentica disputa sull'autonomo e specifico bene della vita «accesso», solo per ragioni di concentrazione e connessione veicolata nel processo principale relativo alla legittimità del provvedimento impugnato. Pur se non mancano approcci favorevoli a una lettura puramente istruttoria dell'istituto, la giurisprudenza preferibile, schierandosi a favore della seconda linea ermeneutica, riconosce carattere decisorio all'ordinanza, traendone il corollario della sua appellabilità in ragione della ricorrenza dei presupposti per esercitare l'accesso, prescindendo dalla pertinenza della documentazione alla causa pendente (da ultimo, Cons. St., Ad. Pl., n. 4/2023). L'interessato ha, dunque, la possibilità di scegliere tra la proposizione del ricorso a tutela dell'accesso in via incidentale oppure in via autonoma, senza che siffatta scelta procedurale possa spostare i termini sostanziali e reali dell'»actio ad exhibendum». Cfr., in materia, Cons. St. IV, n. 5850/2014; Cons. St.. V, n. 6121/2008; cons. St. V, n. 4068/2010; T.A.R. Veneto, sez. I, ord. 26 maggio 2017, n. 512, ove si afferma che spetta solo al ricorrente nel giudizio principale azionare la tutela del diritto di accesso incidentale, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.a. Secondo parte della giurisprudenza, poi, l'opzione tra accesso incidentale o autonomo spetta unicamente all'interessato e, dunque, il giudice non può sovrapporvi la propria valutazione, il tutto, in deroga alle previsioni dell'art. 32 c.p.a. (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 2 febbraio 2012, n. 527). Insomma, accesso incidentale, personaggio oscuro in cerca d'autore. 2) Nell'accesso incidentale si applicano le norme sul rito accesso o sul rito principale? L'art. 116, comma 2, c.p.a. statuisce che in pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso di cui al comma 1 può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati. Sebbene la norma presupponga la sussistenza di un ineludibile connessione tra l'accesso ed il ricorso principale, l'assimilazione chiaramente scandita tra l'istanza in questione ed il richiamato ricorso di cui all'art. 116, comma 1, c.p.a. induce a ritenere applicabile l'intera disciplina processuale del rito dell'accesso limitatamente a quanto di interesse. L'istanza di cui all'art. 116, comma 2, c.p.a., dunque, introduce un processo nel processo che sfugge alle regole generali della connessione di cause contraddistinte da riti diversi di cui all'art. 32, comma 1, c.p.a. proprio perché la specialità e la celerità del rito dell'accesso garantiscono le esigenze difensive della parte interessata strumentali rispetto al giudizio principale in corso anche (e soprattutto) nell'ottica di una futura ed eventuale proposizione di un ipotetico ricorso per motivi aggiunti. Lo scopo, dunque, dell'espressa previsione dell'art. 116, comma 2, c.p.a. è rinvenibile nell'esigenza di salvaguardare l'applicabilità del rito camerale dell'accesso all'istanza incidentale preordinata a soddisfare esigenze strumentali rispetto al giudizio principale in corso, evitando l'applicazione del rito ordinario scaturente dalla regola sancita dall'art. 32, comma 1, c.p.a. Ne deriva che, in tema di accesso incidentale, opera la dimidiazione dei termini ex art. 87, comma 2, lett. c) e comma 3 c.p.a. 2.1.) È appellabile l'ordinanza resa dal Tribunale amministrativo regionale in tema di accesso incidentale? Positiva la risposta dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. Plen., 24 gennaio 2023, n. 4), che ritiene trattarsi di pronuncia decisoria per le seguenti ragioni: -sulla base del criterio di interpretazione letterale, l'art. 116 c.p.a. prevede, al comma 2, che: i) «il ricorso di cui al comma 1» può essere proposto con istanza in pendenza di giudizio, il che evidenzia (per il rinvio effettuato all'accesso richiesto con ricorso autonomo) la sostanziale unitarietà del rimedio; ii) l'istanza deve essere notificata all'Amministrazione e agli eventuali controinteressati, che potrebbero anche essere diversi dalle parti già evocate in giudizio, il che evidenzia come il rispetto delle regole del contraddittorio sia coerente con la logica della natura decisoria dell'ordinanza; -sulla base del criterio di interpretazione storica, le norme vigenti non qualificano più l'ordinanza in esame come ordinanza istruttoria; -sulla base del criterio di interpretazione sistematica, il codice del processo amministrativo ha disciplinato distintamente la fase dell'istruttoria e l'istanza di accesso in corso del giudizio, con la conseguenza che non si possono sovrapporre gli istituti in esame; -sulla base dei criteri di interpretazione conforme a Costituzione, da un lato, è necessario assicurare il diritto di difesa dei controinteressati e della stessa pubblica amministrazione, qualora nel corso del processo sia emessa un'ordinanza che accolga il ricorso ex art. 116, comma 2, c.p.a. e consenta l'ostensione dei documenti richiesti; dall'altro, il principio del doppio grado di giudizio impone, in presenza di provvedimenti aventi contenuto decisorio, di consentire alle parti di proporre appello. 3) Il sindacato del giudice amministrativo è più profondo in tema di accesso civico? Le diverse tipologie di accesso scrutinate dal giudice amministrativo implicano un sindacato dai contorni differenziati, conformato alle diverse tipologie di accesso. Allorché sia richiesto il suo intervento a tutela del diritto di accesso documentale (classico), il giudice dovrà verificare «in primis» la legittimazione del ricorrente, in considerazione del fatto che il diritto di accesso classico non è azionabile da chiunque, ma dal solo portatore di un interesse diretto, concreto, attuale e non meramente potenziale, emulativo o esplorativo, connesso alla disponibilità del documento. Peraltro, la giurisprudenza amministrativa, ormai consolidata, interpreta in senso lato la nozione di strumentalità del diritto di accesso, con la precisazione che la richiesta di accesso non deve essere intesa unicamente come strumentale all'esercizio del diritto di difesa in giudizio, come prova diretta della lesione, essendo sufficiente la sua utilità in senso lato. Esula quindi dal sindacato in tema di accesso la valutazione in ordine alla fondatezza o ammissibilità di eventuali future azioni giudiziarie. Quanto ai limiti oggettivi all'accesso il sindacato del giudice amministrativo si arresta al riscontro di cause eccezionali e vincolate di esclusione. L'assenza di veri momenti di discrezionalità spalanca i cancelli alla tesi per cui si tratterebbe di una giurisdizione amministrativa (non a caso esclusiva in quanto) relativa a posizioni di puro diritto soggettivo. La giurisprudenza amministrativa è stata chiamata anche a risolvere delicate questioni di possibile sovrapposizione tra l'accesso documentale e quello civico (nelle due forme: semplice e generalizzato). In particolare, le prime pronunce del Consiglio di Stato hanno risolto il quesito che si andava prospettando circa la possibilità di applicare all'accesso documentale le regole che si erano successivamente previste per l'accesso civico, implicitamente ritenendo che l'accesso civico avesse inglobato l'accesso documentale. Con grande chiarezza, il Consiglio di Stato ha affermato che le nuove disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 33/2013 non sono «né ampliative né sovrapponibili» rispetto a quelle che consentono l'accesso ai sensi degli artt. 22 ss. della l. n. 241/1990, in quanto, pur nella comune ispirazione al principio di trasparenza, presentano indubbie diversità nelle finalità e nelle modalità di svolgimento, da cui conseguono «piani separati di operatività e di rito» degli istituti de quibus. In particolare, si evidenzia che la normativa del d.lgs. n. 33/2013 è stata pensata in una logica (pressoché totalizzante) di contrasto alla corruzione e alla cattiva amministrazione. Di qui la previsione di diffusi obblighi di pubblicazione e il riconoscimento del diritto «popolare» di chiunque ad accedere, in assenza di posizione differenziata e qualificata. Il giudice amministrativo ha affermato che l'accesso civico si aggiunge all'accesso documentale, senza eliderlo, in quanto la circostanza che un soggetto sia titolare di una posizione differenziata non gli impedisce, verificandosi i presupposti di cui al d.lgs. n. 33/2013, di fruire in ogni caso dell'accesso civico. Sarà l'interessato, volta per volta, a valutare e scegliere la forma di accesso più confacente alle sue reali esigenze e quanto in profondità debba spingersi la sua richiesta, anche perché dall'esercizio di un accesso civico potrebbe nascere l'esigenza di un accesso documentale e viceversa (vedi Cons. St., Ad. plen., n. 12/2020 in tema di accesso nei contratti pubblici). Tuttavia, in una logica di eliminazione/riduzione della duplicità di attività e procedimenti amministrativi privi di reale utilità pubblica e/o privata, la giurisprudenza ha ritenuto che se gli atti di cui si chiede l'accesso documentale sono per legge sottoposti a pubblicazione obbligatoria, l'accesso civico, che non postula alcuna autenticazione o motivazione, si sostituisce a quello documentale. Poi ha statuito che l'obbligo di pubblicazione cui si collega l'accesso civico riguarda tutti i documenti relativi ad attività che, seppure formatisi anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013, sono ancora in grado di produrre, anche parzialmente, i loro effetti. L'attività del giudice amministrativo, nell'ambito della giurisdizione esclusiva, è risultata ancora una volta essenziale per stabilire i limiti dell'accesso civico generalizzato, che potenzialmente si riferisce a ogni atto dell'amministrazione, a condizione che non venga recato pregiudizio agli interessi di cui all'art. 5-bis. Proprio per l'accesso universale, l'astratta latitudine soggettiva e oggettiva dello strumento inibitorio implica, sul piano verticale, un potere amministrativo discrezionale di comparazione degli interessi, con conseguente interesse legittimo del privato e sindacato meramente attizio del giudice amministrativo (cfr. Cons. St. V, n. 1148/2018). Non si tratta, dunque, di un diritto incondizionato, in quanto il suo riconoscimento presuppone da parte dell'amministrazione prima e del giudice poi un attento sindacato volto ad accertare che con l'accesso non si verifichi un pregiudizio ai valori citati. Ma vi è di più. Il giudice si spinge anche a sindacare che l'istituto in parola non venga utilizzato in modo disfunzionale rispetto alle finalità per le quali è stato introdotto nell'ordinamento, ossia favorire forme di controllo diffuso sull'attività e le risorse pubbliche, trasformandolo, in concreto, in un motivo di intralcio al buon funzionamento dell'amministrazione. Il giudice, in sostanza, valuta, caso per caso, l'uso dell'accesso civico alla luce del principio di buona fede, al fine di garantire, al termine di una attenta operazione di bilanciamento degli interessi, non solo che non venga vanificata l'applicazione dell'istituto, ma anche che lo stesso non provochi una sorta di effetto boomerang». 4) Quali poteri ha il giudice dell'accesso secondo i principi sanciti dalla Corte di Giustizia in tema di contratti pubblici? Rinviando per approfondimenti sul tema al commento all'articolo 53 del codice dei contratti pubblici, ricordiamo i seguenti principi affermati da Corte giust. UE. 7 settembre 2021, C-927/19: a) L'articolo 1, paragrafo 1, quarto comma, l'articolo 1, paragrafi 3 e 5, e l'articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, devono essere interpretati nel senso che la decisione di un'amministrazione aggiudicatrice che rifiuta di comunicare a un operatore economico le informazioni considerate riservate contenute nel fascicolo di candidatura o nell'offerta di un altro operatore economico costituisce un atto che può formare oggetto di ricorso e che, qualora lo Stato membro nel cui territorio si svolge la procedura di aggiudicazione dell'appalto pubblico di cui trattasi abbia previsto che chiunque intenda contestare una decisione adottata dall'amministrazione aggiudicatrice è tenuto a proporre un ricorso amministrativo prima di adire un giudice, tale Stato membro può altresì prevedere che un ricorso giurisdizionale avverso tale decisione che rifiuta l'accesso debba essere preceduto da un siffatto ricorso amministrativo preliminare. b) L'articolo 1, paragrafo 1, quarto comma, e l'articolo 1, paragrafi 3 e 5, della direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2014/23, nonché l'articolo 21 della direttiva 2014/24, letto alla luce del principio generale di diritto dell'Unione di buona amministrazione, devono essere interpretati nel senso che un'amministrazione aggiudicatrice, alla quale un operatore economico abbia presentato una richiesta di comunicazione delle informazioni considerate riservate contenute nell'offerta di un concorrente al quale è stato aggiudicato l'appalto, non è tenuta a comunicare tali informazioni qualora la loro trasmissione comporti una violazione delle norme del diritto dell'Unione relative alla tutela delle informazioni riservate, e questo anche nel caso in cui la richiesta dell'operatore economico sia presentata nell'ambito di un ricorso di tale medesimo operatore vertente sulla legittimità della valutazione, da parte dell'amministrazione aggiudicatrice, dell'offerta del concorrente. Qualora rifiuti di trasmettere tali informazioni o qualora, opponendo un siffatto rifiuto, respinga il ricorso amministrativo presentato da un operatore economico in merito alla legittimità della valutazione dell'offerta del concorrente interessato, l'amministrazione aggiudicatrice è tenuta a effettuare un bilanciamento tra il diritto del richiedente a una buona amministrazione e il diritto del concorrente alla tutela delle sue informazioni riservate in modo che la sua decisione di rifiuto o la sua decisione di rigetto siano motivate e il diritto ad un ricorso efficace di cui beneficia un offerente escluso non venga privato di effetto utile. c) L'articolo 1, paragrafo 1, quarto comma, e l'articolo 1, paragrafi 3 e 5, della direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2014/23, nonché l'articolo 21 della direttiva 2014/24, letti alla luce dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, devono essere interpretati nel senso che il giudice nazionale competente chiamato a pronunciarsi su un ricorso avverso la decisione di un'amministrazione aggiudicatrice che rifiuta di comunicare a un operatore economico informazioni considerate riservate contenute nella documentazione trasmessa dal concorrente al quale l'appalto è stato aggiudicato, o su un ricorso avverso la decisione di un'amministrazione aggiudicatrice che ha respinto il ricorso amministrativo proposto avverso siffatta decisione di rifiuto, è tenuto a effettuare un bilanciamento tra il diritto del richiedente di beneficiare di un ricorso effettivo e il diritto del suo concorrente alla tutela delle sue informazioni riservate e dei suoi segreti commerciali. A tal fine, detto giudice, che deve necessariamente disporre delle informazioni richieste, comprese le informazioni riservate e i segreti commerciali, per essere in grado di pronunciarsi con piena cognizione di causa sulla comunicabilità di dette informazioni, deve procedere a un esame di tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti. Esso deve inoltre poter annullare la decisione di rifiuto o la decisione recante rigetto del ricorso amministrativo se queste ultime sono illegittime e, se del caso, rinviare la causa dinanzi all'amministrazione aggiudicatrice, o adottare esso stesso una nuova decisione qualora il suo diritto nazionale lo autorizzi a farlo. Sull'accesso alle offerte tecniche di gara vedi da ultimo Cons. St. III, ord. n. 7173/2021, secondo cui ai fini dell'accesso alle offerte tecniche di gara è utile, sebbene non quale pre-condizione per l'opposizione del segreto ma quale criterio di valutazione della sua meritevolezza, la formulazione della relativa dichiarazione già nel contesto dell'offerta o successivamente. Il potere del giudice esercitato con ordinanze istruttorie volte alla verifica della possibilità di acquisire l'offerta tecnica integrale di gara, esercitabile anche officiosamente ex art. 65, comma 3, c.p.a., è principalmente orientato a garantire la completezza istruttoria del giudizio di merito, con particolare riguardo alla acquisizione al relativo compendio probatorio dei documenti di cui all'art. 46, comma 2, c.p.a., e non – se non in via meramente mediata – a soddisfare l'interesse ostensivo di una delle parti del giudizio, in funzione della difesa in giudizio degli interessi di cui essa è soggettivamente portatrice. Così delineati l'oggetto e la cornice del presente giudizio, deve osservarsi, in via ugualmente preliminare, che la verifica relativa alla sussistenza (recte, alla «motivata e comprovata» rappresentazione da parte del titolare dei dati) di segreti «tecnici o commerciali» implica un inevitabile margine di «affidamento» alla dichiarazione della parte interessata, cui spetta in via prioritaria apprezzare la relazione tra le informazioni riservate ed il suo specifico background esperienziale e ideativo: dichiarazione che non si sottrae, comunque, al sindacato del giudice amministrativo, inteso ad accertarne l'attendibilità, anche sulla scorta delle deduzioni della parte interessata ad ottenere la più ampia disponibilità di quelle informazioni, e rafforzato dall'accesso diretto alle stesse (solo) da parte del giudice, che consente ad esso di valutarne l'effettiva riconducibilità al patrimonio tecnico e commerciale esclusivo dell'impresa cui ineriscono. Né può omettersi di osservare che il sindacato del giudice amministrativo in subiecta materia si alimenta di tutti gli elementi utili al suo giudizio, sia intrinseci alle informazioni asseritamente riservate, sia estrinseci alle stesse, come la sede in cui la parte interessata al mantenimento del segreto ha manifestato le sottostanti ragioni giustificative: sì che, da questo punto di vista, si rivela utile, sebbene non quale pre-condizione per l'opposizione del segreto ma quale criterio di valutazione della sua meritevolezza, la formulazione della relativa dichiarazione già nel contesto dell'offerta o successivamente (aspetto che, per una parte della giurisprudenza, incide invece sullo stesso an del regime di secretazione, laddove si afferma, con riferimento al tema dell'accesso, che esso «può essere escluso sempre che il concorrente, in sede di offerta, dichiari preventivamente che talune informazioni fornite nell'ambito dell'offerta costituiscono segreti tecnici e commerciali; con la conseguenza che tale indicazione, costituendo specifico onere per il concorrente che intenda mantenere riservate e sottratte all'accesso tali parti della propria offerta, non può invece rappresentare, sul piano della ragionevolezza interpretativa, un impedimento frapposto ex post dall'aggiudicatario, a tutela della posizione conseguita, nei confronti dell'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale da parte degli altri concorrenti»: cfr. Cons. St. V, n. 4220/2020). Deve infine osservarsi che, inerendo l'indagine ai limiti del potere acquisitivo del giudice (ed alle condizioni da osservare al fine di conciliare le esigenze di completezza istruttoria del giudizio, tutela del contraddittorio e parità tra le parti con la salvaguardia delle informazioni oggetto di segreto), essa deve ritenersi affrancata dagli stringenti vincoli immanenti al principio dispositivo, con la conseguente possibilità di attingere ad argomenti ed elementi non dedotti dalle parti (ed in particolare da quella interessata alla conoscenza della documentazione tecnica della aggiudicataria). BibliografiaCalabrò, Ricorsi amministrativi e funzione giustiziale. 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