Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 116 - Rito in materia di accesso ai documenti amministrativi

Luca Biffaro

Rito in materia di accesso ai documenti amministrativi

 

1. Contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi , nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all'inadempimento degli obblighi di trasparenza il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all'amministrazione e ad almeno un controinteressato. Si applica l'articolo 49. Il termine per la proposizione di ricorsi incidentali o motivi aggiunti è di trenta giorni 1.

2. In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso di cui al comma 1 può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati. L'istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio.

3. L'amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente a ciò autorizzato.

4. Il giudice decide con sentenza in forma semplificata; sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione e, ove previsto, la pubblicazione dei documenti richiesti, entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni, dettando, ove occorra, le relative modalità 2.

5. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai giudizi di impugnazione.

 

Inquadramento

L'art. 116 del d.lgs. n. 104/2010 (Codice del processo amministrativo) detta la disciplina del rito speciale in materia di accesso ai documenti amministrativi. Il regime processuale introdotto da tale disposizione normativa trova applicazione sia nei casi in cui si controverta in tema di accesso documentale – in forza del rinvio operato al Codice del processo amministrativo dall'art. 25, comma 5, della legge n. 241/1990 – sia nei casi in cui vengano in rilievo decisioni amministrative correlate all'esercizio del diritto di accesso civico – stante il rinvio operato dall'art. 50 del d.lgs. n. 33/2013 –. Quindi, anche se sul piano sostanziale si riscontra la presenza di una pluralità di discipline, generali e settoriali, in materia di accesso ai documenti e alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni e degli altri enti pubblici, secondo le specifiche previsioni contenute nella legge generale sul procedimento amministrativo e nel decreto trasparenza, sul piano processuale il legislatore ha optato per l'introduzione di una disciplina unitaria. Il rito speciale in materia di accesso si caratterizza per l'accelerazione dei tempi processuali e la semplificazione procedurale e consente la proposizione dell'actio ad exhibendum tanto in via autonoma, quanto in via incidentale. Al giudice sono riconosciuti non solo poteri di accertamento circa la sussistenza del diritto di accesso, ma anche penetranti poteri di ordine finalizzati all'esibizione dei documenti richiesti e, ove previsto, alla loro pubblicazione. L'esercizio dei poteri d'ordine, tuttavia, incontra precisi limiti nei casi in cui a venire in rilievo siano poteri di natura discrezionale che l'amministrazione ha esercitato in maniera illegittima, nonché nei casi in cui la determinazione delle concrete modalità di esecuzione del dictum giudiziale si traducano in una non consentita sostituzione dell'autorità giudiziaria all'amministrazione rispetto a poteri non ancora esercitati. Assume rilevanza, inoltre, la questione del rito applicabile nelle ipotesi di inerzia dell'amministrazione a fronte di istanze di accesso civico, in ragione del fatto che il rito speciale di cui all'art. 116 c.p.a. è modellato intorno alla disciplina dell'accesso documentale, che prevede espressamente un'ipotesi di silenzio-rigetto, e non anche sul nuovo paradigma dell'accesso civico, dalla cui disciplina sostanziale emerge che il silenzio serbato dall'amministrazione assume la diversa connotazione di inadempimento rispetto al dovere di provvedere, evocando l'applicabilità del rito in materia di silenzio di cui all'art. 117 c.p.a., con rilevanti conseguenze processuali in tema di ricevibilità dell'actio ad exhibendum, stante il differente termine decadenziale previsto dalle due norme del Codice del processo amministrativo.

Il rito speciale in materia di accesso e la natura dell'actio ad exhibendum

L'art. 116 del d.lgs. n. 104/2010 contiene la disciplina del rito speciale in materia di accesso ai documenti amministrativi che, in precedenza, era collocata nell'art. 25 della l. n. 241/1990. La specialità di tale rito risiede nel fatto che le previsioni contenute nell'articolo 116 c.p.a. sono derogatorie rispetto alla normativa del processo ordinario di cognizione e al giudizio in camera di consiglio di cui all'art. 87 c.p.a., ancorché il modello processuale scelto dal legislatore per il rito sull'accesso sia proprio quello camerale. Le peculiarità del rito in materia di accesso risiedono, da un lato, nella accelerazione dei tempi processuali e, dall'altro, nell'estrema semplificazione procedurale.

Per quel che concerne la natura dell'azione in materia di accesso (detta anche actio ad exhibendum) sono due le tesi che sono state proposte, quella della natura impugnatoria e quella del giudizio di accertamento.

Secondo una parte della giurisprudenza (Cons. St., Ad. plen., n. 6/2006; T.A.R. Lombardia, Milano III, n. 918/2015) tale azione avrebbe natura impugnatoria, rinvenendo il suo oggetto nel provvedimento di diniego o nell'inerzia dell'amministrazione. A conforto di tale tesi milita il disposto dell'art. 116, primo comma, c.p.a., che prevede un termine decadenziale per la proposizione del ricorso.

Secondo altra parte della giurisprudenza (Cons. St. V, n. 7187/2006; T.A.R. Veneto III, n. 1084/2014) il giudizio sull'accesso non è volto ad ottenere l'annullamento dell'atto illegittimo (nonostante implichi l'impugnazione del provvedimento di diniego o il silenzio-rigetto), bensì mira all'accertamento della fondatezza della pretesa ostensiva del ricorrente che si appunta sulla «sussistenza o meno del titolo all'accesso nella specifica situazione alla luce dei parametri normativi, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni eventualmente addotte dall'amministrazione per giustificarne il diniego e, quindi, anche in mancata indicazione delle stesse, come accade nel caso (che riguarda) di impugnativa del silenzio diniego sull'accesso» (T.A.R. Lazio, Roma I, n. 6120/2014). Posto, quindi, che la carenza di motivazione del provvedimento impugnato non preclude la cognizione del giudice in ordine alla fondatezza della pretesa ostensiva, la giurisprudenza ha anche ammesso che l'amministrazione possa integrare in giudizio la motivazione del provvedimento di diniego (Cons. St. V, n. 2966/2004; T.A.R. Sicilia, Catania II, n. 1626/2014).

Giova, altresì, aggiungere che la tesi che opta per l'instaurazione di un giudizio di accertamento in seguito all'esperimento dell'actio ad exhibendum è condivisa anche dalla dottrina (Caringella, Giustiniani, 724; Corrado, 2020, 171; Travi, 364).

Vale poi evidenziare, in punto di disciplina processuale, che il termine per la proposizione del ricorso introduttivo – così come pure quello per la proposizione del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti – è di trenta giorni (quindi dimidiato rispetto al termine previsto per il rito ordinario) ed è previsto a pena di decadenza. Come espressamente stabilito dall'art. 116, comma 1, c.p.a., tale termine decorre (dies a quo) dalla comunicazione del provvedimento con il quale l'amministrazione si pronuncia sull'istanza di accesso ovvero dalla formazione del silenzio-rigetto, che interviene decorsi trenta giorni dalla presentazione dell'istanza di accesso. La norma, inoltre, chiarisce che per proposizione del ricorso si intende la notifica dello stesso all'amministrazione e ad almeno un controinteressato.

Occorre ricordare che i controinteressati sono coloro che vedrebbero lesa la propria riservatezza in caso di ostensione del documento che forma oggetto dell'istanza di accesso. Infatti, la giurisprudenza ha chiarito che la possibile lesione della riservatezza costituisce l'elemento centrale per individuare i soggetti riconducibili a tale categoria (Cons. St. V, n. 3714/2016; Cons. St. V, n. 3190/2011).

Con la previsione dell'art. 116, comma 1, c.p.a. viene espressamente sancita, con riguardo al rito dell'accesso, l'operatività della regola che l'art. 41, comma 2, c.p.a., prevede in via generale per la proposizione dell'azione di annullamento: in entrambi i casi la mancata notifica del ricorso ad almeno un controinteressato comporta l'inammissibilità del ricorso e la chiusura in rito del processo ai sensi dell'art. 35 c.p.a. In precedenza, invero, con riguardo al contenzioso in materia di accesso, l'obbligatorietà della notifica ad almeno un controinteressato, a pena di inammissibilità del ricorso, era stata ricavata dalla giurisprudenza in via ermeneutica facendo applicazione dei principi generali che informano il processo amministrativo (T.A.R. Lazio, Roma I, n. 1662/2010).

Tuttavia, la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. IV, n. 4308/2014) ammette l'accesso al beneficio della rimessione in termini del ricorrente che non abbia notificato neppure ad un controinteressato. Si tratta, invero, di un beneficio di cui il ricorrente può godere solo se dimostra, sulla scorta di circostanze obiettive, di essere incorso in un errore scusabile: così, ad esempio, è stato riconosciuto tale beneficio nel caso in cui, durante la fase procedimentale, l'amministrazione non abbia instaurato il contraddittorio con i controinteressati (Cons. St. VI, n. 2780/2011).

La norma in commento contiene anche un espresso rinvio all'art. 49 c.p.a., estendendo al rito in materia di accesso l'obbligo per il giudice di ordinare l'integrazione del contraddittorio, che trova applicazione ogniqualvolta il ricorso non sia stato notificato a tutti i controinteressati (si tratta dell'ipotesi dei controinteressati pretermessi).

L'art. 116, comma 1, c.p.a. prevede, inoltre, che il termine per la proposizione di ricorsi incidentali e motivi aggiunti è di trenta giorni. In applicazione della disciplina generale sul rito camerale di cui all'art. 87 c.p.a., il termine per il deposito del ricorso è dimezzato ed è quindi pari a quindici giorni.

Sotto il profilo della semplificazione vanno menzionati la struttura camerale del rito, la possibilità di difesa personale in giudizio – l'art. 116, comma 3, c.p.a. prevede che «l'amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente a ciò autorizzato» – e la decisione con sentenza in forma semplificata (art. 116, comma 4, c.p.a.).

Con riferimento alla facoltà per l'amministrazione di difendersi personalmente in giudizio, va chiarito che non è più richiesta la qualifica dirigenziale del dipendente (in passato prevista dall'art. 25, comma 5-bis, della l. n. 241/1990), essendo sufficiente il rilascio di idonea autorizzazione da parte di un organo munito di poteri di rappresentanza esterna dell'ente.

Per quel che concerne, invece, la previsione che impone al giudice di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata, vale in primo luogo rilevare che l'art. 116, comma 4, c.p.a. si riferisce unicamente ai giudizi instaurati in seguito alla proposizione di un ricorso autonomo – nei casi di esercizio incidentale del diritto di accesso lite pendente, il giudice gode di maggiore libertà nel determinare in che modo definire il giudizio sull'accesso (v. infra) –. Giova, in secondo luogo, osservare che per la disciplina del contenuto della sentenza in forma semplificata occorre fare riferimento a quanto stabilito dall'art. 74 c.p.a. che prevede che «la motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme».

Inoltre, come chiarito dalla giurisprudenza (Cons. St. V, n. 5244/2013; Cons. St. V, n. 1668/2010), tale facoltà è circoscritta unicamente al primo grado di giudizio (art. 23 c.p.a.), mentre dinanzi al Consiglio di Stato la difesa tecnica risulta obbligatoria (art. 95, comma 6, c.p.a.).

Ancorché accelerato, il rito in materia di accesso risulta compatibile con la richiesta di misure cautelari, anche monocratiche, in quanto nei riti disciplinati nel Libro IV del Codice del processo amministrativo, per quanto non espressamente previsto, trova applicazione la disciplina del giudizio ordinario (Parisio, 20; Rinaldi, 88 ss.).

Anche la giurisprudenza formatasi in materia di actio ad exhibendum documentale ex art. 25 della l. n. 241/1990 propende per l'esperibilità dell'azione cautelare (Cons. St. V, n. 5152/2004), in quanto a ciò non osta la peculiarità del rito, dovendosi unicamente valutare, come di consueto, la sussistenza dei presupposti della parvenza di fondatezza dell'istanza e del danno grave e irreparabile (periculum in mora).

La dottrina (Gallo, 292; Parisio, 24) ritiene che nel caso in cui l'amministrazione non dia corretta esecuzione al provvedimento decisorio che conclude il giudizio sull'accesso è possibile esperire il rimedio dell'ottemperanza, anche in ragione del marcato carattere esecutivo del dictum giudiziale (Caringella, Giustiniani, 735).

In ordine ai rapporti tra domanda di accesso e domanda, risarcitoria fondata sull'illegittimo diniego di ostensione dei documenti e/o informazioni richieste, la giurisprudenza oscilla tra pronunce che escludono la possibilità che a fronte della proposizione di una domanda risarcitoria trovi applicazione il rito speciale di cui all'art. 116 c.p.a. (Cons. St. V, n. 1927/2011; T.A.R. Umbria, Perugia I, n. 80/2013) e pronunce che, invece, in forza del principio di economia processuale, ritengono ammissibile che il giudice, determinatosi per il rigetto della domanda di accesso, tratti anche la domanda risarcitoria con il rito speciale (T.A.R. Campania, Napoli VI, n. 1809/2015; T.A.R. Lazio, Roma III-quater, n. 114/2013).

In dottrina (Parisio, 20) è stato evidenziato che, sulla base di quanto previsto dall'art. 32 c.p.a. – che stabilisce l'applicabilità del rito ordinario in caso di azioni soggette a riti diversi, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV del Codice del processo amministrativo – è il giudice a dover decidere se definire separatamente la domanda di accesso con il rito speciale e, poi, pronunciarsi con il rito ordinario sull'altra domanda (ad esempio, risarcitoria) ovvero definire entrambe le domande con il rito ordinario. Altra parte della dottrina (Caringella, Giustiniani, 740-741) ritiene preferibile la celebrazione di un unico giudizio secondo le regole del rito ordinario in quanto, nonostante l'incidenza di tale scelta sui termini decadenziali dell'azione in materia di accesso, ciò consentirebbe di evitare che la decisione sulla domanda risarcitoria sia rinviata a un'udienza pubblica successiva alla camera di consiglio nella quale il giudice si pronuncia sull'actio ad exhibendum, stante il rapporto di accessorietà logica e giuridica esistente tra le due azioni.

La tutela del diritto di accesso in via incidentale

L'art. 116, comma 2, c.p.a. stabilisce che la tutela giurisdizionale del diritto di accesso può essere esperita anche in pendenza di un altro giudizio cui la richiesta di accesso risulti connessa, ossia in via incidentale. Si tratta di una possibilità ulteriore che si aggiunge alla proponibilità in via autonoma dell'actio ad exhibendum secondo le modalità e i termini stabiliti dal primo comma della norma in commento.

Prima dell'entrata in vigore del Codice del processo amministrativo tale possibilità era già stata prevista in via pretoria con riguardo alla tutela del diritto di accesso di tipo documentale (Cons. St. V, n. 741/2009; T.A.R. Lazio, Roma III-quater, n. 2599/2008).

Ritornando alla vigente disciplina positiva, vale evidenziare che il legislatore ha espressamente previsto, quale requisito necessario per la proposizione incidentale dell'actio ad exhibendum, la connessione oggettiva tra la posizione giuridica soggettiva legittimante ai fini della richiesta di accesso e l'oggetto del giudizio già incardinato dinanzi all'autorità giudiziaria amministrativa. Pertanto, l'ammissibilità di tale azione è condizionata al fatto che i documenti rispetto ai quali il ricorrente incidentale ha formulato istanza di accesso nei confronti dell'amministrazione devono necessariamente essere utili ai fini della definizione nel merito del giudizio principale già pendente, cioè avere rilevanza istruttoria e valere, quanto meno, come principio di prova ai sensi dell'art. 64 c.p.a. (Parisio, 21).

Proprio a tale riguardo giova sottolineare che la giurisprudenza ha chiarito che, nel caso di proposizione in via incidentale dell'actio ad exhibendum, il ricorrente deve assolvere l'onere della prova non solo con riferimento alla sussistenza delle condizioni per l'esercizio del diritto di accesso, ma anche con riguardo all'utilità dei documenti richiesti all'amministrazione ai fini dell'accoglimento della pretesa sostanziale nel giudizio principale (Cons. St. IV, n. 3759/2013). Deve, inoltre, esservi contemporaneità o, almeno, una stretta correlazione temporale tra la richiesta di accesso e la pendenza del giudizio principale nei confronti della pubblica amministrazione alla quale è stata presentata l'istanza ostensiva (T.A.R. Lazio, Roma III-ter, n. 6064/2011).

È soltanto il soggetto che ha presentato la richiesta di accesso all'amministrazione che ha la possibilità di scegliere tra la proposizione dell'actio ad exhibendum in via autonoma ovvero in via incidentale (T.A.R. Veneto I, ord. n. 512/2017; T.A.R. Campania, Napol i VI, n. 527/2012).

A rafforzare il carattere incidentale del giudizio in materia di accesso instaurato con le modalità disciplinate dall'art. 116, comma 2, c.p.a., concorre anche il fatto che il legislatore richiede la presentazione di una istanza, da depositare presso la segreteria della Sezione del Tribunale amministrativo regionale presso cui pende il ricorso principale, e non invece la proposizione formale di un ricorso (Caringella, Giustiniani, 731).

Anche nel caso in cui il diritto di accesso venga azionato in via incidentale la legge prevede, a tutela del diritto di difesa e di contraddittorio, che l'istanza sia notificata all'amministrazione e agli eventuali controinteressati. In particolare, i controinteressati sono coloro che vedrebbero lesa la propria riservatezza in caso di ostensione del documento che forma oggetto dell'istanza di accesso – così come già posto in evidenza con riguardo alla proposizione in via autonoma dell'actio ad exhibendum (v. supra) – e, pertanto, non è detto che coincidano con i soggetti che rivestono tale qualità nel giudizio principale.

In giurisprudenza è stato chiarito che le sorti del giudizio instaurato con l'esperimento incidentale dell' actio ad exhibendum sono indipendenti dall'esito del giudizio principale, nel senso che prescindono dalla ammissibilità e fondatezza della domanda giudiziale che ha determinato il sorgere del rapporto processuale principale. In particolare, è stato affermato che «l'interesse all'accesso ai documenti, poi, deve essere valutato in astratto, senza che possa essere operato, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l'accesso» (Cons. St. III, n. 116/2012; T.A.R. Toscana II, n. 1569/2014).

Sempre a norma dell'art. 116, comma 2, c.p.a., l'istanza con cui viene azionato incidentalmente il diritto di accesso può essere decisa dal giudice in due modi alternativi: con ordinanza, separatamente dal giudizio principale, o con la sentenza che definisce il giudizio principale. Si è discusso in ordine alla natura, istruttoria o decisoria, dell'ordinanza con cui il giudice amministrativo si pronuncia sull'istanza incidentale.

In proposito la giurisprudenza amministrativa ha affermato che l'ordinanza resa ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.a. ha natura decisoria, e come tale è autonomamente impugnabile, laddove il giudice accolga o rigetti l'istanza incidentale pronunciandosi sulla sussistenza o meno dei presupposti per esercitare il diritto di accesso (Cons. St. IV, n. 5850/2014; Cons. St. V, n. 4068/2010; Cons. St. V, n. 6121/2008). Essa, invece, ha natura meramente istruttoria, e quindi impugnabile solo unitamente alla sentenza resa nel giudizio principale, laddove il giudice si pronunci unicamente sulla rilevanza dei documenti di cui è stata chiesta l'ostensione in sede amministrativa rispetto a una pronuncia di merito sul ricorso principale (Cons. St. V, n. 4068/2010).

Vale, altresì, osservare che al giudizio incidentale in materia di accesso si applicano le previsioni degli artt. 49 e 70 c.p.a. e, pertanto, il giudice amministrativo può disporre, d'ufficio o su istanza di parte, la riunione dei due giudizi.

Actio ad exhibendum e inerzia dell'amministrazione

Assume particolare rilievo la disamina dell'actio ad exhibendum nelle ipotesi in cui l'amministrazione non si sia espressamente pronunciata sull'istanza ostensiva. A riguardo, occorre innanzitutto porre in rilievo che vi è una differenza di regime giuridico sostanziale applicabile a seconda che, in sede amministrativa, sia stata formulata una istanza di accesso documentale oppure di accesso civico. Nel primo caso, l'art. 25, comma 4, della l. n. 241/1990 prevede un'ipotesi di silenzio significativo di segno negativo, ossia un silenzio-rigetto, in quanto stabilisce che «Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta». Nel caso dell'accesso civico, l'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 33/2013non riconnette alcuna specifica conseguenza all'inerzia dell'amministrazione, limitandosi a prevedere che essa deve adottare un provvedimento espresso; parimenti, ai successivi commi 7 e 8, il legislatore nulla prevede per le ipotesi nelle quali il Responsabile della prevenzione e della trasparenza o il difensore civico non si pronuncino espressamente sull'istanza di riesame.

Dal punto di vista processuale, come già evidenziato, il legislatore ha invece optato per una disciplina unitaria, come si evince dall'art. 116, comma 1, c.p.a., nella parte in cui stabilisce che il rito speciale in materia di accesso trova applicazione «Contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all'inadempimento degli obblighi di trasparenza», nonché, in materia di accesso civico, dall'espresso richiamo all'art. 116 c.p.a. contenuto nell'art. 5, commi 7 e 8, del d.lgs. n. 33/2013.

Ci si è chiesto se l'inerzia dell'amministrazione rispetto alle istanze di accesso civico configuri una ipotesi di silenzio-rifiuto, la cui illegittimità debba farsi valere con un ricorso avverso il silenzio ai sensi dell'art. 117 c.p.a. (Corrado, 2017, 9 ss.; Corrado, 2020, 172-173; Parisio, 30 ss.).

Anche la giurisprudenza amministrativa, in un primo momento, non aveva escluso l'applicazione dell'art. 117 c.p.a. per l'impugnazione del silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza di accesso civico (T.A.R. Campania, Napoli VI, n. 5901/2017), contribuendo ad alimentare il dibattito sulla disciplina processuale applicabile in tali ipotesi.

Come noto, le differenze in punto di disciplina processuale, a seconda che trovi applicazione l'art. 116 c.p.a. o l'art. 117 c.p.a. sono rilevanti. In estrema sintesi, l'art. 116 c.p.a. prevede un termine decadenziale di trenta giorni per la presentazione del ricorso al giudice amministrativo, mentre ai sensi del combinato disposto dell'art. 31 c.p.a. e dell'art. 117c.p.a. l'azione può essere esercitata non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. Inoltre, solo con riferimento al rito del silenzio è prevista la possibilità che il giudice nomini un commissario ad acta.

Un punto di partenza può rinvenirsi nel fatto che la disciplina dettata dall'art. 116 c.p.a. è stata plasmata intorno all'unico paradigma di accesso all'epoca esistente nel nostro ordinamento, ossia quello documentale disciplinato dalla l. n. 241/1990. Il legislatore, dunque, nel predisporre il regime processuale applicabile alle ipotesi di inerzia dell'amministrazione in tale materia, ha rapportato il proprio intervento a una disciplina sostanziale che contemplava espressamente un'ipotesi di silenzio-rigetto.

Secondo una parte della dottrina (Parisio, 33) ai fini dell'applicazione dell'art. 116 c.p.a. nelle ipotesi di inerzia dell'amministrazione a fronte di istanze di accesso civico, risulterebbe dirimente il carattere speciale del rito disciplinato da tale norma che, in applicazione dei principi generali, determina la prevalenza sulla disciplina processuale applicabile in materia di silenzio-rifiuto ai sensi dell'art. 117 c.p.a. Tra l'altro, optare per l'applicazione dell'art. 117 c.p.a. comporterebbe un notevole aggravio per gli istanti, anche alla luce del fatto che l'istituto dell'accesso civico si caratterizza per una legittimazione attiva ampia che consente di ottenere la disclosure dell'informazione amministrativa a prescindere dalla titolarità di una situazione giuridica soggettiva qualificata e differenziata connessa alle informazioni di cui si chiede l'ostensione. In particolare, come è stato notato da alcuni autori (Corrado, 2020, 174), tale soluzione potrebbe condurre a una duplicazione dello sforzo processuale, in quanto l'istante, a fronte dell'inerzia dell'amministrazione, dovrebbe adire il giudice amministrativo una prima volta per ottenere una pronuncia di condanna dell'amministrazione a provvedere sull'istanza di accesso e, eventualmente, anche una seconda volta nel caso in cui l'amministrazione adotti un provvedimento espresso di diniego, di differimento ovvero di accoglimento solo parziale. Anche altri autori si sono pronunciati favorevolmente all'applicazione del rito speciale previsto dall'art. 116 c.p.a. (Lombardi, 815), trattandosi, tra l'altro, di una soluzione che evita l'eccessiva frammentazione della disciplina processuale in materia di accesso, in conformità alla ratio sottesa agli interventi legislativi successivi all'introduzione dell'istituto dell'accesso civico nel nostro ordinamento.

In favore dell'applicazione dell'art. 116 c.p.a. si è espressa anche l'Autorità nazionale anticorruzione che, nella determinazione n. 1309/2016 ha affermato che «a fronte del rifiuto espresso, del differimento o dell'inerzia dell'amministrazione, il richiedente può attivare la tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 116 del codice del processo amministrativo».

In giurisprudenza si sono formati due distinti orientamenti sul rito applicabile ai casi di inerzia dell'amministrazione a fronte di istanze di accesso civico. Secondo un primo orientamento (T.A.R. Campania, Napoli VI, n. 4418/2019; T.A.R. Lazio, Roma II-bis, n. 1458/2019; T.A.R. Campania, Napoli VI, n. 5901/2017; T.A.R. Campania, Napoli VI, n. 4913/2018) il rito applicabile è quello previsto dall'art. 117 c.p.a. in quanto l'art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 33/2013 «non disciplinando l'ipotesi in cui l'amministrazione ovvero il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (compulsato in sede di riesame rispetto alla precedente decisione della amministrazione o a fronte di precedente silenzio serbato dall'ufficio competente) non si pronunciano sull'istanza di accesso, impone di qualificare tale inerzia come silenzio non significativo e cioè come silenzio-inadempimento (silenzio-rifiuto)». Ad avviso di altra parte della giurisprudenza amministrativa (Cons. St. VI, n. 2737/2019; T.A.R. Sicilia, Catania III, n. 1781/2020; T.A.R. Puglia, Bari I, n. 1344/2018), il rito applicabile è quello in materia di accesso di cui all'art. 116 c.p.a. «tenendo conto dell'impostazione interpretativa riferita all'accesso documentale, cfr. Cons. St., Ad. plen., 18 aprile 2006 n. 6 e 20 aprile 2006 n. 7, perfettamente applicabile anche alla simmetrica disciplina processuale riferita dal legislatore all'accesso civico generalizzato nella comune applicazione dell'art. 116 c.p.a.», a prescindere dal fatto che, teoricamente, il silenzio serbato dall'amministrazione o dal Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza integri un'ipotesi di silenzio-rifiuto.

Affermare l'applicazione del rito speciale di cui all'art. 116 c.p.a. nei casi di actio ad exhibendum esperita avverso l'inerzia dell'amministrazione nei confronti di richieste di accesso civico comporta anche la risoluzione della questione inerente alla determinazione del termine decadenziale al quale tale azione è assoggettata. In particolare, tale termine è quello di trenta giorni previsto dall'art. 116 c.p.a. e non, invece, quello di un anno stabilito dall'art. 117 c.p.a.

Anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. VI, n. 2737/2019) propende per tale soluzione, affermando che «in ossequio alla consolidata interpretazione della disciplina sull'accesso documentale, plasticamente applicabile al nuovo istituto dell'accesso civico generalizzato, la tutela da parte dell'aspirante accedente nei confronti del silenzio rifiuto, del provvedimento espresso di diniego, totale o parziale e del provvedimento con cui si dispone il differimento, formatisi o resi dall'amministrazione su una istanza ostensiva, deve essere esercitata entro e non oltre il termine decadenziale di trenta giorni (ai sensi dell'art. 116, comma 1, c.p.a.), decorrente dallo spirare del termine procedimentale di trenta giorni (previsto dall'art. 25, comma 4, l. 241/1990 per l'accesso documentale e, per l'accesso civico, dall'art. 5, comma 6, d.lgs. 33/2013».

I poteri del giudice amministrativo in materia di accesso

Come evidenziato in precedenza, posto che il giudizio in materia di accesso ha solo formalmente natura impugnatoria, ma consiste essenzialmente in un accertamento sulla fondatezza o meno della pretesa sostanziale alla disclosure dei documenti e dati richiesti all'amministrazione (cioè sulla sussistenza dei presupposti per l'esercizio del diritto di accesso). Trattandosi, dunque, di un giudizio sul rapporto l'art. 116, comma 4, c.p.a. conferisce al giudice amministrativo poteri di cognizione sulla spettanza dell'accesso, nonché poteri di ordine a connotazione sostitutiva finalizzati a imporre all'amministrazione un facere pubblicistico (Cons. St. VI, n. 2737/2019) consistente nell'esibizione dei documenti oggetto dell'istanza di disclosure formulata in via amministrativa ed azionata in giudizio con l'actio ad exhibendum. Sotto quest'ultimo profilo, infatti, se il ricorso viene accolto, il giudice ordina all'amministrazione di esibire i documenti richiesti e, ove previsto, anche di darne pubblicità, in un termine, di norma, non superiore a trenta giorni. In particolare, i poteri di ordine risultano particolarmente incisivi, in quanto la norma stabilisce espressamente che, ove occorra, il giudice detta anche le modalità con le quali l'amministrazione deve consentire l'accesso e assolvere gli obblighi pubblicitari.

L'amministrazione, in seguito all'accertamento giudiziale del diritto di accesso, dovrà invece limitarsi unicamente a realizzare l'attività materiale necessaria per consentire la disclosure nei termini stabiliti dall'autorità giudiziaria, non potendo effettuare ulteriori ed autonome valutazioni discrezionali in ordine all'an e al quomodo dell'ostensione dei documenti richiesti.

Una parte della dottrina (Parisio, 23) ha evidenziato che il giudice amministrativo incontra precisi limiti nell'esercizio dei poteri d'ordine, riconnessi con l'eventuale persistenza di profili discrezionali nell'agere amministrativo conseguente alla pronuncia giudiziale. Più in particolare, è stato osservato che le prescrizioni dell'autorità giudiziaria non possono interferire con l'organizzazione amministrativa, né comportare una indebita sostituzione del giudice all'amministrazione con riferimento a poteri non ancora esercitati in violazione dell'art. 34, comma 2, c.p.a. Ciò trova conferma anche nel fatto che il legislatore non ha inteso ricomprendere le controversie in materia di accesso tra le ipotesi di giurisdizione estesa al merito, come dimostrato dalla loro mancata inclusione nell'elenco tassativo di cui all'art. 134 c.p.a.

Altra parte della dottrina (Corrado, 2020, 183 ss.), con specifico riguardo ai casi in cui con l'actio ad exhibendum sia stato impugnato un provvedimento espresso, ha rilevato che non sempre il giudice, quando si determina per l'accoglimento di un ricorso in materia di accesso, può esercitare il potere di ordinare all'amministrazione un facere specifico. Invero, ogniqualvolta il giudice accerti che l'amministrazione ha illegittimamente esercitato il proprio potere discrezionale nel valutare la sussistenza di un interesse-limite o di una causa di esclusione del diritto di accesso (anche se in quest'ultimo caso in dottrina si registrano posizioni dubitative, Parisio, 34) – sulla scorta di quanto previsto dal legislatore a seconda della tipologia di istanza ostensiva (cfr. art. 24 della l. n. 241/1990 e art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013) – non potrà sostituirsi ad essa, bensì limitarsi all'annullamento del provvedimento impugnato ordinando all'amministrazione di riesercitare il potere e pronunciarsi nuovamente sull'istanza ostensiva. In ciò, i poteri del giudice in materia di accesso incontrano i medesimi limiti operanti per la cognizione del silenzio-rifiuto ai sensi dell'art. 117 c.p.a.

Tale ricostruzione trova conforto in alcune pronunce del giudice amministrativo rese in materia di accesso civico generalizzato (Cons. St. I II, n. 1546/2019; T.A.R. Lazio, Roma III, n. 1 0202/2019; T.A.R. Lazio, Roma III, n. 2994/2018). La giurisprudenza, anche con riferimento ad altri casi di esercizio di poteri discrezionali da parte dell'amministrazione relazionati con l'attività di valutazione di istanze di accesso, ha ritenuto di non poter esercitare i poteri d'ordine a connotazione sostitutiva ad esso riconosciuti dall'art. 116 c.p.a. (T.A.R. Lazio, Roma II-ter, n. 4977/2018; T.A.R. Lombardia, Milano IV, n. 45/2019), dovendosi per converso limitare alla condanna ad un facere sulla scorta di quanto avviene nei giudizi di annullamento (Corrado, 2020, 186).

Questioni applicative

1) La mancata tempestiva impugnazione del diniego tacito formatosi sull'istanza di accesso determina l'inammissibilità del ricorso proposto avverso il diniego espresso sopravvenuto?

La giurisprudenza amministrativa (Cons. St. III, n. 3842/2021) ritiene che la mancata tempestiva impugnazione del diniego tacito formatosi sull'istanza di accesso non determina l'inammissibilità del ricorso proposto avverso il diniego espresso sopravvenuto. Invero, il diniego espresso sopravvenuto – che l'amministrazione può adottare in quanto il decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione dell'istanza di accesso non consuma il potere di provvedere – esplicita la motivazione su cui esso si fonda, essendo frutto dell'istruttoria e della valutazione operata dalla pubblica amministrazione destinataria della istanza ostensiva. Tale provvedimento, dunque, non assume le caratteristiche di un atto meramente confermativo di un precedente silenzio – ancorché esso, come nel caso dell'accesso documentale, assuma il valore legale tipico di silenzio-rigetto ai sensi dell'art. 25, comma 4, della legge n. 241/1990 – ma costituisce atto di conferma a carattere rinnovativo che incide sulla realtà giuridica e determina la ripartenza del termine per esperire l'actio ad exhibendum.

2) Vi sono casi nei quali la mancata notifica del ricorso ci cui all'art. 116 c.p.a. ad almeno un controinteressato non determina la sua inammissibilità?

Dall'analisi della giurisprudenza formatasi ratione materiae (T.R.G.A. Trento S.U., n. 75/2017) emerge che solo nel caso in cui l'amministrazione che detiene o presso la quale si è formato il documento non abbia coinvolto i soggetti controinteressati nel procedimento instauratosi in seguito alla presentazione dell'istanza di accesso, né essi risultino altrimenti individuabili dai documenti di cui si chiede la disclosure, il ricorso avverso il diniego, il differimento o l'accesso parziale va considerato ammissibile anche ove non sia notificato ad almeno un controinteressato. Si tratta, invero, della proiezione processuale della previsione di cui all'art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 184/2006, che stabilisce che incombe sull'amministrazione, se individua soggetti controinteressati, l'obbligo di coinvolgerli nel procedimento. Viceversa, laddove il ricorrente individui i soggetti potenzialmente lesi dall'ostensione dei documenti richiesti (ossia, i controinteressati nell'accezione che tale concetto assume in materia di accesso) –oltre al caso in cui essi siano individuati dall'amministrazione e coinvolti nel relativo procedimento amministrativo – e non notifichi il ricorso ad almeno uno di essi, il giudice amministrativo dovrà dichiararne l'inammissibilità in applicazione delle regole generale di cui agli artt. 35 e 41, comma 2, c.p.a.

3) Il rito speciale in materia di accesso è compatibile con l'istituto del regolamento di competenza?

È stato osservato (Caringella, Giustiniani, 739 ss.) che l'accelerazione processuale impressa dal legislatore con il rito speciale in materia di accesso di cui all'art. 116 c.p.a. potrebbe comportare problemi di compatibilità con l'istituto del regolamento di competenza, in quanto il termine per la sua proposizione (che, ai sensi dell'art. 15, comma 3, c.p.a., è pari a venti giorni dalla costituzione in giudizio) è maggiore di quello previsto per la definizione del giudizio sull'accesso (che, ai sensi, dell'art. 116, comma 4, c.p.a. è pari a trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso).

Anche la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Lazio, Roma II-quater, n. 294/2008) ha da tempo prospettato una possibile questione di legittimità costituzionale della disciplina del rito speciale in materia di accesso per possibile contrasto con l'art. 24 della Costituzione, in quanto la compressione dei termini per l'esperimento del regolamento di competenza risulterebbe suscettibile di minare l'esercizio del diritto di difesa delle parti resistenti.

4) Il sindacato del giudice amministrativo è più profondo in tema di accesso civico?

Le diverse tipologie di accesso scrutinate dal giudice amministrativo implicano un sindacato dai contorni differenziati, conformato alle diverse tipologie di accesso.

Allorché sia richiesto il suo intervento a tutela del diritto di accesso documentale (classico), il giudice dovrà verificare «in primis» la legittimazione del ricorrente, in considerazione del fatto che il diritto di accesso classico non è azionabile da chiunque, ma dal solo portatore di un interesse diretto, concreto, attuale e non meramente potenziale, emulativo o esplorativo, connesso alla disponibilità del documento. Peraltro, la giurisprudenza amministrativa, ormai consolidata, interpreta in senso lato la nozione di strumentalità del diritto di accesso, con la precisazione che la richiesta di accesso non deve essere intesa unicamente come strumentale all'esercizio del diritto di difesa in giudizio, come prova diretta della lesione, essendo sufficiente la sua utilità in senso lato. Esula quindi dal sindacato in tema di accesso la valutazione in ordine alla fondatezza o ammissibilità di eventuali future azioni giudiziarie.

Quanto ai limiti oggettivi all'accesso il sindacato del giudice amministrativo si arresta al riscon tro di cause eccezionali e vincolate di esclusione. L'assenza di veri momenti di discrezionalità spalanca i cancelli alla tesi per cui si tratterebbe di una giurisdizione amministrativa (non a caso esclusiva in quanto) relativa a posizioni di puro diritto soggettivo.

La giurisprudenza amministrativa è stata chiamata anche a risolvere delicate questioni di possibile sovrapposizione tra l'accesso documentale e quello civico (nelle due forme: semplice e generalizzato). In particolare, le prime pronunce del Consiglio di Stato hanno risolto il quesito che si andava prospettando circa la possibilità di applicare all'accesso documentale le regole che si erano successivamente previste per l'accesso civico, implicitamente ritenendo che l'accesso civico avesse inglobato l'accesso documentale. Con grande chiarezza, il Consiglio di Stato ha affermato che le nuove disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 33/2013 non sono «né ampliative né sovrapponibili» rispetto a quelle che consentono l'accesso ai sensi degli artt. 22 ss. della l. n. 241/1990, in quanto, pur nella comune ispirazione al principio di trasparenza, presentano indubbie diversità nelle finalità e nelle modalità di svolgimento, da cui conseguono «piani separati di operatività e di rito» degli istituti de quibus. In particolare, si evidenzia che la normativa del d.lgs. n. 33/2013 è stata pensata in una logica (pressoché totalizzante) di contrasto alla corruzione e alla cattiva amministrazione. Di qui la previsione di diffusi obblighi di pubblicazione e il riconoscimento del diritto «popolare» di chiunque ad accedere, in assenza di posizione differenziata e qualificata.

Il giudice amministrativo ha affermato che l'accesso civico si aggiunge all'accesso documentale, senza eliderlo, in quanto la circostanza che un soggetto sia titolare di una posizione differenziata non gli impedisce, verificandosi i presupposti di cui al d.lgs. n. 33/2013, di fruire in ogni caso dell'accesso civico. Sarà l'interessato, volta per volta, a valutare e scegliere la forma di accesso più confacente alle sue reali esigenze e quanto in profondità debba spingersi la sua richiesta, anche perché dall'esercizio di un accesso civico potrebbe nascere l'esigenza di un accesso documentale e viceversa (vedi Cons. St. Ad. plen. 12/2020 in tema di accesso nei contratti pubblici). Tuttavia, in una logica di eliminazione/riduzione della duplicità di attività e procedimenti amministrativi privi di reale utilità pubblica e/o privata, la giurisprudenza ha ritenuto che se gli atti di cui si chiede l'accesso documentale sono per legge sottoposti a pubblicazione obbligatoria, l'accesso civico, che non postula alcuna autenticazione o motivazione, si sostituisce a quello documentale.

Poi ha statuito che l'obbligo di pubblicazione cui si collega l'accesso civico riguarda tutti i do cumenti relativi ad attività che, seppure formatisi anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 33 del 2013, sono ancora in grado di produrre, anche parzialmente, i loro effetti.

L'attività del giudice amministrativo, nell'ambito della giurisdizione esclusiva, è risultata ancora una volta essenziale per stabilire i limiti dell'accesso civico generalizzato, che potenzialmente si riferisce a ogni atto dell'amministrazione, a condizione che non venga recato pregiudizio agli interessi di cui all'art. 5-bis. Proprio per l'accesso universale, l'astratta latitudine soggettiva e oggettiva dello strumento inibitorio implica, sul piano verticale, un potere amministrativo discrezionale di comparazione degli interessi, con conseguente interesse legittimo del privato e sindacato meramente attizio del giudice amministrativo (cfr. Cons. St. V, 23 febbraio 2018, n. 1148).

Non si tratta, dunque, di un diritto incondizionato, in quanto il suo riconoscimento presuppone da parte dell'amministrazione prima e del giudice poi un attento sindacato volto ad accertare che con l'accesso non si verifichi un pregiudizio ai valori citati.

Ma vi è di più. Il giudice si spinge anche a sindacare che l'istituto in parola non venga utilizzato in modo disfunzionale rispetto alle finalità per le quali è stato introdotto nell'ordinamento, ossia favorire forme di controllo diffuso sull'attività e le risorse pubbliche, trasformandolo, in concreto, in un motivo di intralcio al buon funzionamento dell'amministrazione. Il giudice, in so- stanza, valuta, caso per caso, l'uso dell'accesso civico alla luce del principio di buona fede, al fine di garantire, al termine di una attenta operazione di bilanciamento degli interessi, non solo che non venga vanificata l'applicazione dell'istituto, ma anche che lo stesso non provochi una sorta di effetto boomerang».

5) L'accesso in corso di causa: questione solo formalmente incidentale o vicenda schiettamente istruttoria?

Come noto, il secondo comma dell'art. 116 c.p.a. stabilisce che, in pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso contro le determinazioni in materia di accesso o contro il silenzio possa essere presentato con apposita istanza presso la segreteria del giudice ove pende il giudizio principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati.

L'istanza viene decisa con apposita ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio (sui caratteri essenziali dell'accesso incidentale, cfr. Cons. St. IV, 27 ottobre 2011, n. 5765; cfr. T.A.R. Lazio, Roma II, n. 5365/2007: «atteso che il processo speciale consente soltanto la tutela giurisdizione del diritto di accedere alla documentazione amministrativa e non ammette l'introduzione di domande diverse da quelle dirette all'accesso stesso». Si vedano, inoltre, in senso conforme: Cons. St. IV, n. 5514/2004; Cons. St. V, n. 5519/2001; T.A.R. Calabria, Catanzaro I, n. 702/2004; T.A.R. Lazio, Roma III, n. 2599/2008; cfr. Cons. St. V, n. 1058/2012: «nel caso di cumulo tra azioni disciplinate da riti diversi, l'applicazione del rito ordinario comporta l'estensione delle regole processuali e dei termini del rito ordinario anche alle domande che sarebbero soggette, se proposte da sole, a un rito speciale».

Curiosamente, nel secondo comma, è rimasta l'espressione «eventuali controinteressati», sostituita invece nel primo comma, da «almeno un controinteressato». Tale ultimo riferimento va tuttavia esteso anche all'accesso «parentetico», in quanto espressione del principio generale della sufficienza della notifica a un solo portatore di una posizione di contro-interesse ai fini dell'ammissibilità del ricorso, e salva la successiva integrazione del contraddittorio in corso di causa (arg., ex art. 41 c.p.a.).

Più intrigante è la questione se «l'accesso in pendenza» sia una mera e inutile richiesta istruttoria – da vagliare in base all'utilità probatoria della sollecitazione – o dia vita a un'autentica disputa sull'autonomo e specifico bene della vita «accesso», solo per ragioni di concentrazione e connessione veicolata nel processo principale relativo alla legittimità del provvedimento impugnato.

Pur se non mancano approcci favorevoli a una lettura puramente istruttoria dell'istituto, la giu risprudenza preferibile, schierandosi a favore della seconda linea ermeneutica, riconosce carattere decisorio all'ordinanza, traendone il corollario della sua appellabilità in ragione della ricorrenza dei presupposti per esercitare l'accesso, prescindendo dalla pertinenza della documentazione alla causa pendente. L'interessato ha, dunque, la possibilità di scegliere tra la proposizione del ricorso a tutela dell'accesso in via incidentale oppure in via autonoma, senza che siffatta scelta procedurale possa spostare i termini sostanziali e reali dell'«actio ad exhibendum».

Cfr., in materia, Cons. St. IV, n. 5850/2014; Sez. V, n. 6121/2008; Sez. V, n. 4068/2010; T.A.R. Veneto I, ordinanza n. 512/2017, ove si afferma che spetta solo al ricorrente nel giudizio principale azionare la tutela del diritto di accesso incidentale, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.a.

Secondo parte della giurisprudenza, poi, l'opzione tra accesso incidentale o autonomo spetta unicamente all'interessato e, dunque, il giudice non può sovrapporvi la propria valutazione, il tutto, in deroga alle previsioni dell'art. 32 c.p.a. (T.A.R. Campania, Napoli VI, 2 febbraio 2012, n. 527).

Insomma, accesso incidentale, personaggio oscuro in cerca d'autore.

6) Nell'accesso incidentale si applicano le norme sul rito accesso o sul rito principale?

L'art. 116, comma 2, c.p.a. statuisce che in pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso di cui al comma 1 può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati.

Sebbene la norma presupponga la sussistenza di un ineludibile connessione tra l'accesso ed il ricorso principale, l'assimilazione chiaramente scandita tra l'istanza in questione ed il richiamato ricorso di cui all'art. 116, comma 1, c.p.a. induce a ritenere applicabile l'intera disciplina processuale del rito dell'accesso limitatamente a quanto di interesse.

L'istanza di cui all'art. 116, comma, 2 c.p.a., dunque, introduce un processo nel processo che sfugge alle regole generali della connessione di cause contraddistinte da riti diversi di cui all'art. 32 comma 1 c.p.a. proprio perché la specialità e la celerità del rito dell'accesso garantiscono le esigenze difensive della parte interessata strumentali rispetto al giudizio principale in corso anche (e soprattutto) nell'ottica di una futura ed eventuale proposizione di un ipotetico ricorso per motivi aggiunti.

Lo scopo, dunque, dell'espressa previsione dell'art. 116 comma 2 c.p.a. è rinvenibile nell'esigenza di salvaguardare l'applicabilità del rito camerale dell'accesso all'istanza incidentale preordinata a soddisfare esigenze strumentali rispetto al giudizio principale in corso, evitando l'applicazione del rito ordinario scaturente dalla regola sancita dall'art. 32 comma 1 c.p.a.

Ne deriva che, in tema di accesso incidentale, opera la dimidiazione dei terminiex art. 87, comma 2, lett. c) e comma 3 c.p.a.

Bibliografia

Caringella, Giustiniani, Manuale del processo amministrativo, Bari, 2017; Corrado, L'accesso civico e i poteri del giudice amministrativo: alla ricerca di una azione in materia di accesso generalizzato, in federalismi.it, 2020, n. 10, 155 ss.; Corrado, Il silenzio dell'amministrazione sull'istanza di accesso civico generalizzato: quale possibile tutela processuale, in federalismi.it, 2017, n. 5, 2 ss.; Gallo, Manuale di giustizia amministrativa, Torino, 2016; Lombardi, L'inerzia della p.a. a fronte di richieste di accesso civico. Un nuovo rito per il silenzio-inadempimento?, in Istituzioni del federalismo, 2019, n. 3, 801 ss.; Parisio, La tutela dei diritti di accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni nella prospettiva giurisdizionale, in federalismi.it, 2018, n. 11, 2 ss.; Rinaldi, La razionalizzazione del rito speciale in materia di accesso, in Sandulli (a cura di), L'Amministrativista. Nuovo processo amministrativo: Prima lettura della riforma del processo amministrativo, attuata con D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, pubblicato in Gazzetta ufficiale n. 156 del 7 luglio 2010, Milano, 2010, 88 ss.; Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2021.

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