Legge - 7/08/1990 - n. 241 art. 4 - Unità organizzativa responsabile del procedimento 1 2 3

Luigi Tarantino

Unità organizzativa responsabile del procedimento 12 3

Art. 4.

1. Ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l'unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell'adozione del provvedimento finale.

2. Le disposizioni adottate ai sensi del comma 1 sono rese pubbliche secondo quanto previsto dai singoli ordinamenti.

[2] Vedi, anche, il D.P.R. 23 dicembre 2005, n. 303.

[3] Per l'attuazione del presente articolo, vedi la Deliberazione 4 novembre 2010, n. 3. Per il regolamento riguardante l'individuazione del responsabile del procedimento amministrativo e del titolare del potere sostitutivo, ai sensi del presente articolo, per i procedimenti amministrativi di competenza della Presidenza del Consiglio dei ministri, vedi il D.P.C.M. 6 giugno 2015, n. 184.

Inquadramento

Prima dell'introduzione degli istituti dell'unità organizzativa preposta al procedimento (art. 4) e del responsabile del procedimento (art. 5), a opera della l., n. 241/1990, mancava, nelle fattispecie procedimentali tipizzate dalle normative di settore, la previsione di un obbligo, incombente sull'amministrazione procedente, di individuare l'autorità o l'ufficio preposto a coordinare l'intera attività procedimentale.

La mancanza di una leading authority, che riconducesse ad unità la diversificazione delle competenze ed indirizzasse il procedimento verso la sua naturale conclusione, determinava: a) un'eccessiva frammentazione dell'azione amministrativa e, conseguentemente, un rallentamento dell'iter procedimentale; b) l'irresponsabilità di fatto dei gestori del procedimento a causa della loro difficile identificazione (difettavano, infatti, sia un'unità che un soggetto deputati alla gestione del procedimento e, quindi, responsabili), con conseguente violazione dell'art. 28 Cost., nonché del principio di efficienza e trasparenza dell'azione amministrativa, attesa l'impossibilità per il privato interessato di controllare l'operato dei pubblici poteri (Caringella, 1133).

La mancanza di un organo responsabile del procedimento, con poteri di iniziativa ed impulso, inoltre, si traduceva in un ulteriore vulnus per il privato, il quale non poteva che subire la paralisi del procedimento, posto che, sostanziandosi il procedimento in una sequenza consequenziale e complessiva, l'omissione di un atto «mediano» comportava l'impossibilità di proseguire con l'iter procedimentale ed addivenire alla sua conclusione con l'emanazione del provvedimento.

Di qui l'introduzione, grazie anche alla riflessione dottrinale e agli interventi giurisprudenziali – che hanno spinto verso una riconsiderazione dei rapporti tra cittadino e P.A –, del capo II della l. n. 241/1990, che ha previsto l'istituzione dell'unità preposta al procedimento e del responsabile del procedimento, istituti che costituiscono l'interfaccia della p.a., referente e responsabile dell'intero iter procedimentale, verso il privato.

In tal modo, si è affermata la responsabilizzazione della p.a. alla conclusione del procedimento, con la esternalizzazione del riparto di competenze, prima meramente interno alle singole p.a., in ossequio ai principi di trasparenza, legittimità, economicità, efficacia e razionalità degli obiettivi perseguiti, di cui all'art. 97, comma 1, Cost.

Le norme in parola costituiscono, infatti, attuazione dei principi fondamentali sull'organizzazione e sull'attività della p.a., enunciati nella sezione II del titolo III della Costituzione. L'art. 97, secondo comma, Cost., invero, afferma che «nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità dei funzionari», segnalando in tal modo l'esigenza che esista una correlazione tra i principi di cui al comma 1 e la responsabilità dei soggetti tenuti ad attuarli: è infatti imprescindibile che, al fine di evitare disfunzioni dell'amministrazione, sia tracciato un chiaro quadro dei rispettivi ambiti di competenza dei relativi funzionari.

All'art. 97 Cost. fa eco l'art. 28 Cost., che, dal canto suo, afferma il principio di diretta responsabilità dei funzionari e dipendenti pubblici per gli atti compiuti in violazione dei diritti.

I principi consacrati nelle citate norme costituzionali, peraltro, hanno trovato pacifico riconoscimento anche negli ordinamenti oltre frontiera: si pensi, ad esempio, alla legge tedesca sul procedimento amministrativo (l. 25 maggio 1976), che disciplina dettagliatamente i compiti delle diverse autorità coinvolte nell'iter procedimentale, imponendo la previa individuazione, all'interno di ciascuna unità organizzativa, del dipendente pubblico legittimato a trattare nel rapporto con le altre unità (§ 6-7). Analogamente, la legge francese dispone che, al cittadino che abbia fatto domanda all'amministrazione, debba essere comunicato il servizio incaricato della pratica e l'agente cui è affidata l'istruttoria.

Le finalità degli istituti di cui al capo II della l. n. 241/1990, in definitiva, sono individuabili nella volontà legislativa di:

- consentire agli interessati di venire a conoscenza dell'identità del responsabile del procedimento e di controllarne l'operato: sul punto, giova rilevare che il d.lgs. n. 165/2001, con l'istituzione degli uffici per le relazioni con il pubblico, mira ad accentuare il carattere personalistico dell'azione amministrativa, tendendo a porre l'accento sulla indefettibilità di un rapporto diretto tra cittadino e dipendente pubblico, così da conseguire l'obiettivo di una più efficace tutela del primo e di una più incisiva responsabilizzazione del secondo;

- responsabilizzare i dipendenti preposti alla gestione del procedimento, eliminando la situazione di anonimato in cui essi si trovavano, dando così piena attuazione all'art. 28 Cost.;

- rendere possibile una gestione unitaria ed organica del procedimento, evitando quei fenomeni di frammentazione e di stallo derivanti dall'assenza di un'autorità guida, con evidenti effetti positivi in termini di efficienza dell'azione amministrativa (Caringella, 1138).

Nell'ottica di una maggiore funzionalità, economicità e personalizzazione dell'azione amministrativa, dunque, il legislatore ha previsto un modello organizzativo basato su un rapporto diretto tra privato cittadino e pubblica amministrazione, consentendo l'individuazione di un unico interlocutore in grado di rispondere dell'operato svolto a nome della pubblica amministrazione e di fornire tutti i documenti e le informazioni inerenti al procedimento (Pinto, Angelucci, 8).

L'unità organizzativa preposta al procedimento: la disciplina.

L'art. 4 l. n. 241/1990 obbliga ogni singola p.a. ad individuare, per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di sua competenza, l'unità organizzativa da considerare responsabile dell'intera attività procedimentale, necessaria per l'adozione dell'atto finale. Come sottolineato dalla dottrina (Casetta, 404), l'espressione «unità organizzativa» è volutamente generica e atecnica, onde ricomprendervi ogni tipo di struttura od articolazione degli uffici, in considerazione dell'autonomia organizzativa attribuita ad ogni ente pubblico: può trattarsi, invero, di uffici, sedi, distaccamenti, sezioni, reparti, centri, nuclei, in piena sintonia con l'art. 5, comma 2, d.lgs. 165/2001 che, in materia di «pubblico impiego» prevede che «nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all'art. 2, comma 1, le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro...».

La richiamata disposizione detta, dunque, un vero e proprio dovere generalizzato che, in caso di inadempimento, comporta l'adozione, da parte degli organi dotati di potere di vigilanza o di controllo sull'ente, di interventi sostitutivi o repressivi.

Il dettato legislativo evidenzia, inoltre, tre distinti segmenti dell'attività procedimentale: l'istruttoria, gli adempimenti procedimentali (in specie la trattazione), e l'adozione del provvedimento finale.

Si discute se detta unità organizzativa debba essere riferita all'intero arco procedimentale, ovvero possa essere frammentata in funzione dei diversi segmenti dell'attività in questione (Lipari, 533).

Nella prima ipotesi verrebbe dato maggiore risalto ad una delle finalità sottese alla l. n. 241/1990, e cioè quella di semplificazione del procedimento, stante la concentrazione delle responsabilità dello stesso nell'ambito di una sola struttura.

Nella seconda eventualità, vi sarebbe una dissociazione tra i tre segmenti dell'attività procedimentale, con una netta distinzione di compiti a carico dei soggetti dell'amministrazione.

Tuttavia, poiché il dettato legislativo distingue specificamente i diversi momenti in cui si esplica il procedimento, si ritiene che sia ammissibile, se non auspicabile, una articolazione della struttura amministrativa.

In tale direzione si è mossa la riforma operata con la l. n. 15/2005, che contempla proprio l'eventualità in cui vi sia una distinzione tra l'unità competente per l'istruttoria e l'unità competente per la decisione finale, senza introdurre alcuna preferenza tra i due modelli organizzativi.

È evidente che il modello della dissociazione risulta opportuno in caso di provvedimenti caratterizzati da un alto tasso di discrezionalità, che consente all'amministrazione di raccogliere tutti i dati necessari sulla base dei quali procedere alla decisione finale (Pinto, Angelucci, 10-11).

Individuata l'unità organizzativa, grava sulla p.a. l'obbligo di pubblicizzare il relativo atto di identificazione, nonché di darne comunicazione – unitamente al nominativo del responsabile del procedimento – ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, ai soggetti obbligati per legge ad intervenire nel procedimento, ai soggetti che possono essere pregiudicati dal provvedimento e, su richiesta, a chiunque vi abbia interesse, al fine di consentire agli interessati di conoscere le strutture organizzative tenute al compimento della attività procedurale, e sulle quali pertanto grava la relativa responsabilità degli adempimenti procedurali.

Deve sottolinearsi, peraltro, come l'individuazione dell'unità e del responsabile del procedimento abbia imposto un adeguamento organizzativo delle p.a..

Nel dettaglio, su ciascuna amministrazione grava il compito di individuare le strutture amministrative responsabili dei procedimenti, organizzarle, mediante l'assegnazione delle risorse strumentali, materiali e umane, compresa la determinazione del soggetto a guida della struttura, ed adeguare le norma procedurali interne, allo scopo di coordinare la nuova struttura con le regole del procedimento.

La responsabilità procedimentale.

La responsabilità procedimentale, gravante in capo all'unità organizzativa in parola, si sostanzia nell'attribuzione ad un'unica unità di importanti funzioni, esercitate per il tramite del funzionario responsabile del procedimento individuato al suo interno.

Essa si sostanzia nello svolgimento, da parte dell'unità, dell'intera attività procedurale interna, prodromica e funzionale al provvedimento finale, nonché nel controllo e nell'impulso delle operazioni attribuite dalla legge alla competenza di altri organi.

Deve evidenziarsi che l'art. 4 presuppone l'individuazione di un'amministrazione competente ad emanare un determinato procedimento, che goda, quindi anche della potestà di autorganizzazione, ovvero del potere di determinazione delle singole unità organizzative responsabili per ogni tipologia procedimentale. Tale aspetto, peraltro, non contrasta e non interferisce con le norme attributive delle competenze amministrative, poiché si tratta solo di una ripartizione meramente interna di competenze organizzative, sul modello di integrazione imprenditoriale (Franchini, Lucca, Tessaro, 375).

Questioni applicative.

1) Quali sono i criteri per l'individuazione dell'unità organizzativa responsabile?

L'art. 4 dispone che l'individuazione dell'unità organizzativa debba essere effettuata con atti delle singole amministrazioni, ove ciò non sia già direttamente stabilito con legge o regolamento.

La norma, tuttavia, non chiarisce i criteri in base ai quali le p.a. devono provvedere all'identificazione dell'unità.

Nel silenzio della legge, pertanto, si sono affermate due opposte correnti di pensiero.

Secondo un primo orientamento (Travi, Branterlet, in Franchini, Lucca, Tessaro, 387), alla base dell'atto di individuazione dell'unità vi sarebbe una semplice ricognizione di competenze preesistenti, mediante l'identificazione di quale sia l'unità che attualmente svolga il ruolo più significativo rispetto a ciascun tipo di procedimento.

Secondo altri, invece (Sandulli, in Franchini, Lucca, Tessaro, 390), alla p.a. sarebbero conferiti poteri concreti di scelta, mediante una ridefinizione dell'assetto interno dell'apparato pubblico, con la conseguenza che l'amministrazione è assolutamente libera di attribuire alla unità, individuata con il proprio regolamento, le relative potestà procedimentali.

Nella prassi, tuttavia, è prevalso il primo orientamento: raramente, negli atti di individuazione dell'unità, le p.a. si sono discostate da un'attività meramente ricognitiva della struttura maggiormente significativa. Alla luce di tale impostazione viene anche risolto il problema dell'individuazione dell'unità ove intervengano diversi uffici, ricadendo la scelta non sul più ampio, al quale appartiene il maggior numero di unità coinvolte, ma quello maggiormente significativo in relazione al provvedimento da adottare.

2) Quale forma deve rivestire l'atto di individuazione dell'unità?

L'art. 4 non stabilisce alcunché neppure in merito allo strumento formale, mediante il quale le p.a. devono adottare le determinazioni di cui all'art. 4.

Secondo l'impostazione più tradizionale, tale silenzio normativo abilita ciascuna amministrazione ad adottare l'atto che ritiene più opportuno (regolamento, circolare, istruzione di servizio, ecc.: sul punto cfr. Italia, Bassani, 119); di contrario avviso la giurisprudenza (Cons. St., Ad. gen., n. 141/1991), che ritiene che gli atti di individuazione delle unità organizzative responsabili dell'iter procedimentale abbiano natura regolamentare e, pertanto, valenza normativa, in quanto presentano i requisiti della generalità, astrattezza e innovatività, propri della fonte regolamentare.

Infatti, l'amministrazione pubblica non procede alla designazione dell'unità organizzativa di volta in volta competente per il singolo procedimento, ma determina una volta per tutte l'unità organizzativa che dovrà gestire (e conseguentemente assumersene la responsabilità) tutti i procedimenti appartenenti ad una determinata categoria, a prescindere sia dal momento in cui viene attivata la procedura, che dal soggetto da cui deriva l'istanza e da quali siano le esigenze che nel caso specifico devono essere soddisfatte.

Aderendo a questa tesi, pertanto, gli atti di individuazione dell'unità organizzativa preposta al procedimento devono rivestire la forma di regolamenti di tipo integrativo-attuativo.

Tale soluzione consente una omogeneizzazione della disciplina concernente l'unità organizzativa responsabile del procedimento, in quanto l'atto di designazione, ex art. 17, commi 3 e 4, legge 23 agosto 1988, n. 400, dovrà essere sottoposto all'esame del Consiglio di Stato, il quale, in sede consultiva, potrà indirizzare gli atti regolamentari in questione verso un comune denominatore (ossia potrà individuare in base ad un determinato procedimento quale sia, nelle singole amministrazioni, l'ufficio meglio organizzato per gestire il procedimento stesso) (Caringella, 1138).

In ogni caso, anche per ottemperare agli obblighi pubblicitari sanciti dalla stessa norma, l'individuazione dell'unità deve avvenire con atto scritto, reso pubblico nelle forme dei singoli ordinamenti. Deve segnalarsi, peraltro, che v'è chi a proposito lamenta una vistosa lacuna normativa, posto che la garanzia dei cittadini viene meno di fronte ad una pubblicità dalle forme incerte (Italia, Bassani, 119).

3) Quali conseguenze applicative comporta la mancata individuazione dell'unità organizzativa?

La legge nulla dice in caso di violazione dell'obbligo di cui all'art. 4. Ferma restando la responsabilità penale ex art. 328 c.p. del funzionario che ha concretamente omesso l'atto di individuazione, si pone il problema di individuare in via suppletiva l'unità organizzativa responsabile del procedimento.

Qualche Autore (Sandulli, in Franchini, Lucca, Tessaro, 392), ritiene l'art. 4 di immediata applicazione, tanto più alla luce della considerazione che la sua disciplina è meramente eventuale e destinata a non trovare applicazione, ove l'unità sia individuata da legge o regolamento: ne consegue che l'unità dovrà essere necessariamente individuata all'atto della comunicazione di cui al successivo art. 5.

Di contrario avviso altra dottrina (Mor in Franchini, Lucca, Tessaro, 392) la quale, invece, ritiene inapplicabile la norma in commento, come anche gli artt. 5 e 6, con la conseguente illegittimità del provvedimento finale per violazione di legge, per la mancata designazione dell'unità organizzativa responsabile del procedimento; lo stesso dicasi qualora l'azione amministrativa venga posta in essere da un'unità organizzativa diversa da quella designata dal regolamento all'uopo emanato (Caringella, 1138).

4) L'unità organizzativa può essere responsabile del procedimento e non del provvedimento finale?

Una volta individuata l'unità responsabile ci si è chiesti – come per il responsabile del procedimento – se sia possibile distinguere questa dall'organo deputato all'adozione del provvedimento finale.

Mentre è pacificamente riconosciuto che responsabile del procedimento e responsabile del provvedimento possono essere due persone fisiche differenti, sono sorti dubbi sulla possibilità che l'unità organizzativa sia responsabile solo del procedimento e non anche del provvedimento e che, pertanto, il responsabile del procedimento, una volta terminata l'istruttoria, debba cedere il passo ad altro organo competente (e quindi ad una diversa unità organizzativa) che, facendo proprie le conclusioni dell'attività istruttoria stessa, procederà all'adozione dell'atto finale.

L'art. 4, comma 1, nella sua formulazione letterale non sembrerebbe escludere la possibilità di individuare due diverse unità organizzative, una competente allo svolgimento dell'istruttoria ed una competente all'adozione del provvedimento.

A tale conclusione osta, però, un'interpretazione teleologica della normativa concernente la responsabilità procedimentale (sia essa dell'unità o della persona fisica) la quale ha come ratio essendi la semplificazione e la celerità dell'azione amministrativa, che in tal modo viene ad essere sottoposta al controllo del cittadino.

L'obiettivo appena evidenziato sarebbe vanificato qualora il privato non avesse un solo interlocutore ma dovesse rapportarsi a due distinti uffici: uno competente a gestire il procedimento, l'altro competente ad emanare il provvedimento finale.

Peraltro, una soluzione come quella che si critica potrebbe determinare in capo al privato conseguenze negative sul piano della propria difesa qualora l'amministrazione non procedesse alla designazione dell'unità organizzativa responsabile del procedimento.

Più specificamente, ove l'amministrazione non designasse l'unità organizzativa competente all'adozione del provvedimento finale, quest'ultima potrebbe essere individuata facendo ricorso ai principi che disciplinano la competenza amministrativa e che prevedono che certi atti debbano essere emanati da determinati organi (in tal caso la figura del responsabile del procedimento si determinerebbe in capo al dirigente dell'ufficio competente); qualora, invece, mancasse la designazione dell'unità organizzativa responsabile del procedimento, non potendosi sopperire in alcun modo a tale deficienza, il privato interessato all'adozione del provvedimento finale non avrebbe alcun interlocutore a cui rivolgere le proprie doglianze.

Viceversa, qualora si opti per una soluzione che preveda un'unica unità organizzativa quale responsabile e del procedimento e del provvedimento, la mancata designazione della stessa e della persona fisica responsabile del procedimento, non determinerebbe inconvenienti di sorta, poiché la legge stessa determinerebbe l'ufficio competente e conseguentemente la persona fisica responsabile dell'iter procedimentale (in tal caso il dirigente dell'ufficio competente) (Caringella, 1138).

5) La partecipazione al procedimento di più amministrazioni: unità o pluralità di unità responsabili?

Il tenore letterale della norma non fornisce alcuna indicazione in riferimento all'ipotesi in cui al procedimento amministrativo partecipino più amministrazioni, riferendosi l'art. 4 espressamente alla sola ipotesi in cui la p.a. coinvolta nel procedimento amministrativo sia una soltanto.

La medesima questione si è posta, altresì, qualora, pur essendo unica l'amministrazione competente allo svolgimento dell'azione amministrativa, l'attività richieda l'intervento di più unità organizzative appartenenti alla medesima amministrazione: in tale circostanza, il procedimento amministrativo non viene gestito da un solo ufficio, poiché l'attività viene suddivisa tra più uffici ognuno responsabile per quanto di propria competenza (Caringella, 1136).

Considerando la ratio dell'istituto, sembrerebbe preferibile ritenere che, anche nel caso di coinvolgimento di più p.a., debba essere individuata una sola unità organizzativa responsabile verso l'esterno del procedimento; di contrario avviso, però, è parte della dottrina, che, muovendo dal dato letterale della norma, ritiene non vi possa essere un responsabile unico per i procedimenti complessi che richiedono l'intervento di più amministrazioni.

La lettera dell'art. 4, invero, richiede inequivocabilmente che l'unità vada individuata all'interno di ogni amministrazione, con la conseguente moltiplicazione dei responsabili, tanti quanti sono le amministrazioni coinvolte (Cerulli Irelli).

Si tratta, peraltro, di rilievi opinabili, posto che l'unità preposta al procedimento – come il responsabile individuato al suo interno (vedi art. 5) – gode del solo potere di impulso e sollecitazione di altri uffici, senza alcun potere di sostituzione: l'attribuzione della responsabilità procedimentale ad una sola unità, anche esterna ad alcune delle p.a. procedenti, non mina, quindi, l'autonomia autarchica e organizzativa delle altre amministrazioni, pur nel rispetto della ratio legis dell'art. 4 della legge sul procedimento (Franchini, Lucca, Tessaro, 398).

Tanto lo si evince dagli artt. 6 lett. c) (secondo cui la conferenza di servizi a cui partecipano per definizione più amministrazioni è indetta dal responsabile del procedimento), 15 (relativo agli accordi tra p.a.) 16 e 17 (che stabiliscono che i pareri e le valutazioni tecniche devono essere richieste dalle amministrazioni procedenti).

Dall'analisi del dettato normativo dei menzionati articoli, invero, si desume agevolmente la necessità dell'individuazione di una «unità principale», da ricercarsi all'interno della p.a. competente ad emanare il provvedimento finale, ovvero nell'amministrazione che, in base alla disciplina di settore, risulta attributaria delle competenze primarie o prevalenti sugli interventi da attuare (in tal senso vedi Circolare del Ministero della Funzione Pubblica del 13 novembre 1990, in G.U. 20 dicembre 1990 n. 296).

Non mancano, altresì, ulteriori disposizioni normative che sembrano accogliere la soluzione a favore di un unico responsabile: con l'istituzione dello sportello unico delle imprese (d.P.R. n. 160/2010, attuativo del d.l. n. 112/2008), infatti, il legislatore ha previsto un raccordo tra l'operato delle amministrazioni che, per quanto di propria competenza, devono consentire l'esercizio di attività produttive; in tal modo il privato non dovrà rivolgersi a tutte le amministrazioni che hanno la facoltà di incidere sul provvedimento finale, in quanto avrà di fronte un unico ufficio (c.d. sportello unico), nel quale convergono le competenze di tutte le amministrazioni interessate, e come interlocutore, un unico responsabile procedimentale (Caringella, 1136).

D'altro canto, si è osservato che una risposta, sia pur implicita, al quesito in esame risiede nella disciplina di cui all'art. 16 l. n. 241/1990, il quale stabilisce che, in caso di ritardo nell'emissione di un parere obbligatorio, il responsabile del procedimento ha la facoltà di prescinderne. In tal modo, in definitiva, si osserva che il legislatore ha voluto rimettere al responsabile del procedimento una valutazione dell'effettiva opportunità di attendere il parere, nonostante l'aggravio procedimentale che necessariamente implica (Italia, Bassani, 118), addossando la relativa responsabilità decisionale in capo ad un unico soggetto.

Un generale rimedio al problema è individuato da taluni Autori nell'art. 15 l. n. 241/1990, secondo cui le amministrazioni possono accordarsi anche allo scopo di definire le modalità di conduzione di procedimenti di comune interesse. Può, inoltre, venire in soccorso la conferenza di servizi istruttoria o decisoria, in seno alla quale individuare il modulo procedimentale unitario per l'intera sequenza procedimentale (Garofoli, Ferrari, 581). L'implementazione di tali forme procedimentali, che si basano sullo svolgimento dell'iter procedimentale in via concordata o comunque contestuale da parte di tutte le p.a. coinvolte, ridurrebbe drasticamente la «spersonalizzazione» dell'amministrazione, quale inevitabile conseguenza del passaggio dell'iter procedimentale da una p.a. all'altra.

È apparsa, invece, inadeguata, sia alla lettera che alla ratio del dettato normativo, l'interpretazione adottata dalla circolare 5 dicembre 1990, n. 58307/7.463 del Ministro per la funzione pubblica, a tenore della quale è necessaria l'individuazione di tanti responsabili procedimentali quante sono le unità organizzative coinvolte nell'azione amministrativa, anche laddove singole parti di un procedimento complesso facciano capo a distinte unità organizzative della stessa amministrazione.

Tale soluzione è stata fortemente criticata dalla dottrina. È infatti impensabile che l'amministrazione coinvolta non sia in grado di individuare all'interno della propria struttura organizzativa un ufficio che assuma la gestione del procedimento ed un soggetto che, nell'ambito dell'unità stessa, rivesta la qualifica di guida del procedimento con le connesse responsabilità.

Quindi, sulla base di una concezione moderna delle strutture amministrative che impone l'adozione di un assetto organizzativo di stampo privatistico (come le organizzazioni «per progetto» o a «matrice»), sarebbe plausibile operare un raccordo tra gli uffici competenti ed individuare tra questi l'unità organizzativa che, avendo un peso specifico superiore nello svolgimento dell'iter procedimentale, assuma il ruolo di unità responsabile, all'interno della quale sarà poi semplice individuare il responsabile del procedimento. Quest'ultimo entrerà in rapporto, quindi, con tutte le unità interessate allo svolgimento della procedura e con i responsabili delle stesse nei confronti dei quali il suo rapporto di dipendenza sarà limitato alla singola fase procedimentale.

Una soluzione in tal senso è supportata da precisi riscontri normativi.

Primo tra tutti l'art. 2, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 165/2001, che, per ciascun procedimento, prevede l'attribuzione ad un ufficio unico della responsabilità complessiva dello stesso, così risolvendo il problema dei procedimenti di pertinenza di più uffici dello stesso ente. Segue, l'art. 16, del cit. decreto, che relativamente alle funzioni del dirigente generale, espressamente prevede tra i compiti di quest'ultimo l'attività di coordinamento dei vari responsabili procedimentali, evidenziando in tal modo la possibilità, qualora procedimenti complessi vedano accentrata la responsabilità in capo ad un solo soggetto, di operare un raccordo tra gli uffici medesimi ad un livello superiore. È stato al riguardo osservato che l'introduzione del responsabile del procedimento è finalizzata a rendere possibili forme di coordinamento al livello più basso e di dettaglio. Il responsabile rappresenta, infatti, anche un «punto di riferimento per tutte le unità interne all'amministrazione procedente, come per gli enti ed organi diversi da quella, in qualche modo interessati al procedimento» (Caringella, 1136; Franco).

Bibliografia

Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2021; Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007; Cerulli Irelli, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/1990, in giustamm.it, 2005; Franchini, Lucca, Tessaro, Il nuovo procedimento amministrativo. Commentario coordinato della legge 241/1990 riformata dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15 e dalla legge 14 maggio 2005n. 80, Padova, 2008; Franco, Il responsabile del procedimento con particolare riguardo alla realizzazione delle opere pubbliche, in Cons. Stato, 1995, II, 146; Garofoli, Ferrari, Manuale superiore di diritto amministrativo, Roma, 2021; Italia, Bassani, Procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti, Milano, 1995; Lipari, Il responsabile del procedimento: i problemi aperti, in Corr. merito, n. 5/2008, 533; Pinto, Angelucci, Manuale teorico pratico del responsabile del procedimento, Roma, 2009.

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