Decreto legislativo - 14/03/2013 - n. 33 art. 12 - Obblighi di pubblicazione concernenti gli atti di carattere normativo e amministrativo generaleObblighi di pubblicazione concernenti gli atti di carattere normativo e amministrativo generale
1. Fermo restando quanto previsto per le pubblicazioni nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dalla legge 11 dicembre 1984, n. 839, e dalle relative norme di attuazione, le pubbliche amministrazioni pubblicano sui propri siti istituzionali i riferimenti normativi con i relativi link alle norme di legge statale pubblicate nella banca dati «Normattiva» che ne regolano l'istituzione, l'organizzazione e l'attività. Sono altresì pubblicati le direttive, le circolari, i programmi e le istruzioni emanati dall'amministrazione e ogni atto, previsto dalla legge o comunque adottato, che dispone in generale sulla organizzazione, sulle funzioni, sugli obiettivi, sui procedimenti ovvero nei quali si determina l'interpretazione di norme giuridiche che le riguardano o si dettano disposizioni per l'applicazione di esse, ivi compresi i codici di condotta, le misure integrative di prevenzione della corruzione individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 2-bis, della legge n. 190 del 2012, i documenti di programmazione strategico-gestionale e gli atti degli organismi indipendenti di valutazione1. 1-bis. Il responsabile della trasparenza delle amministrazioni competenti pubblica sul sito istituzionale uno scadenzario con l'indicazione delle date di efficacia dei nuovi obblighi amministrativi introdotti e lo comunica tempestivamente al Dipartimento della funzione pubblica per la pubblicazione riepilogativa su base temporale in un'apposita sezione del sito istituzionale. L'inosservanza del presente comma comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all' articolo 46 23. 2. Con riferimento agli statuti e alle norme di legge regionali, che regolano le funzioni, l'organizzazione e lo svolgimento delle attività di competenza dell'amministrazione, sono pubblicati gli estremi degli atti e dei testi ufficiali aggiornati. [1] Comma modificato dall'articolo 12, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97. [2] Comma inserito dall'articolo 29, comma 3, del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 , convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 agosto 2013, n. 98. [3] Vedi anche il D.P.C.M. 8 novembre 2013. InquadramentoGli articoli in esame sono inseriti nel capo I-ter, introdotto dall'articolo 6, comma 3, del d.lgs. n. 97/2016, dedicato alla pubblicazione di dati, informazioni e documenti. L'art. 6, dedicato alla qualità delle informazioni, prevede che le pubbliche amministrazioni garantiscono la qualità delle informazioni riportate nei siti istituzionali nel rispetto degli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge, assicurandone l'integrità, il costante aggiornamento, la completezza, la tempestività, la semplicità di consultazione, la comprensibilità, l'omogeneità, la facile accessibilità, nonché la conformità ai documenti originali in possesso dell'amministrazione, l'indicazione della loro provenienza e la riutilizzabilità secondo quanto previsto dall'articolo 7. Ai sensi dell'art. 7 (Dati aperti e riutilizzo), i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente, resi disponibili anche a seguito dell'accesso civico di cui all'articolo 5, sono pubblicati in formato di tipo aperto e sono riutilizzabili, senza ulteriori restrizioni diverse dall'obbligo di citare la fonte e di rispettarne l'integrità. Gli articoli successivi sono dedicati al riutilizzo dei dati pubblicati (art. 7-bis), alla decorrenza e durata dell'obbligo di pubblicazione (art. 8), all ‘accesso alle informazioni pubblicate nei siti (art. 9), alla pubblicazione delle banche dati)art. 9-bis), al coordinamento con il Piano triennale per la prevenzione della corruzione (art. 10) e agli obblighi di pubblicazione concernenti gli atti di carattere normativo e amministrativo generale (art. 12) La centralità dell'obbligo di pubblicazione nella nuova concezione della P.A.Trattasi di un corpo regolatorio nevralgico per conferire significato e pregnanza t alla nuova concezione dell'amministrazione pubblica come casa di vetro aperta alla conoscenza e sensibile alla trasparenza. “Il potere amministrativo è autoritario per il solo fatto di essere invisibile”, ammonisce il Maestro. Le graffianti parole di Norberto Bobbio ci insegnano che nel mistero si annida la sopraffazione, mentre il bacino di coltura della democrazia è la casa di vetro cara a Mario Nigro, padre spirituale della l. n. 241/1990. Il moderno rapporto amministrativo, plasmato dallo “ jus comune europeum ” non più alla stregua di soggezione unilaterale dominata “a latere principis” ma come autentica relazione calibrata “a latere civis”, impone, infatti, la soggezione dell'agire pubblicistico a canoni di pubblicità che consentano al singolo di elevarsi dalla condizione di suddito e di acquistare lo “status” di cittadino. La piena informazione sulle dinamiche del potere e sulle variabili dell'azione pubblica, che le norme in esame contribuiscono a plasmare, assurge, quindi, a elemento costitutivo del moderno Stato di diritto, che investe le nozione e la funzione del diritto amministrativo: non più strumento dispotico usato dal potere per annichilire i diritti dei singoli, ma veicolo illuministico adoperato dal potere per soddisfare i diritti e nutrire le libertà. Non il potere contro i diritti, ma i diritti serviti dal potere, direbbe Romagnosi. La piena consapevolezza dell'individuo in merito allo svolgersi dell'azione del “pubblic power” si atteggia, in questo contesto, a veicolo per ribaltare la visione gerarchica che mette l'interesse pubblico in una condizione di estraneità e superiorità rispetto all'interesse privato, per assecondare uva concezione moderna che postula la compenetrazione dell'uno nell'altro come interessi dotati di pari dignità e impreziositi dello stesso valore. Il cittadino informato può allora dialogare in termini effettivi con l'autorità, vincendo l'amara visione di Carlo Rosselli secondo cui nei confronti del potere l'italiano medio mostra, alternativamente ma con uguale sterilità, “la rassegnazione della pecora o la ribellione dell'anarchico.” Conoscenza vuol dire consapevolezza, democrazia, dinamismo, capacità di controllo e atteggiamento critico volto a verificare il corretto esercizio delega da parte del titolare reale della sovranità. Ecco allora la rivoluzione dell'accesso civico: l'informazione come “bene comune” In questo quadro ben si comprende la portata delle innovazioni, di matrice unionale, che hanno trasformato l'accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni dei “public bodies” da istanza conoscitiva del titolare di un interesse egoistico ad ansia collaborativa del cittadino ansioso di collaborare, nella qualità di cittadino, alla gestione dell'interesse collettivo. Il pensiero corre, in particolare, ald.lgs. n.97/2016, il primo tra gli undici provvedimenti di attuazione della c.d. “riforma Madia” a tagliare il traguardo. La casualità è assai fortunata. Con tale normativa viene simbolicamente portato a compimento un cammino lungo, iniziato con i fallimentari tentativi della Commissione Forti del 1945, dell'Assemblea Costituente del 1947 e della Commissione Bozzi del 1983, di affermare il diritto del cittadino ad avere visione e copia degli atti amministrativi, combattendo il malvezzo, serpeggiante nell'amministrazione, di ostacolare tale conoscenza, e proseguito con la l. 241/1990 che, agli artt. 10 e 22, ha affermato il diritto, costituente bene autonomo della vita, dei soggetti portatori di interessi qualificati a conoscere, nel corso del procedimento e a valle di esso, gli atti che li riguardano; e coronato, infine, con l'accesso civico e, ora, con l'accesso universale. Il fine perseguito nel corso di questo faticoso cammino è stato quello di trasformare la pubblica amministrazione da luogo oscuro in casa di vetro e il potere amministrativo da meccanismo segreto in funzione conoscibile, controllabile e trasparente. Si può anche dire che si tratta di una tappa importante in direzione della democrazia, alla luce della citata lezione di Bobbio secondo cui la trasparenza distingue gli ordinamenti democratici da quelli autoritari, nei quali il segreto è la regola, la conoscibilità, l'eccezione. Un potere invisibile, s'è già detto, è il contrario della democrazia, un potere trasparente è solo per questo democratico. Un'attività amministrativa ispirata ai principi di partecipazione, motivazione, accessibilità e condivisione è espressione di un potere amministrativo vicino al cittadino, come tale democraticamente legittimo e legittimato. Il d.lgs. n. 97/2016, in questo quadro di valori, ha il merito di introdurre una nuova forma di accesso, ispirata al Freedom of Information Act (FOIA), con l'obiettivo di un effettivo allineamento ai modelli di accesso alle informazioni già adottati a livello europeo ed internazionale. Il FOIA ha rappresentato, non a caso, il paradigma per il legislatore del 2016, ispirato da un modello in cui il “right to know” persegue sostanzialmente tre finalità: quella di consentire un controllo diffuso sull'operato delle amministrazioni, anche al fine di prevenire fenomeni di corruzione (“accountability”); quella di garantire una partecipazione più consapevole da parte dei cittadini alle decisioni pubbliche (partecipation); quella infine di rafforzare la legittimazione dal basso delle stesse amministrazioni (“legitimacy”). In un simile modello, il “right to know” incontra l'unico limite della necessità del suo contemperamento con l'interesse pubblico alla preservazione delle relazioni internazionali, alla tutela delle esigenze di difesa nazionale, di sicurezza e ordine pubblico, di ordine economico e finanziario o relative alla conduzione di indagini ed ispezioni, e privato, quale la tutela dei dati personali, degli interessi commerciali, dei segreti industriali, etc. A ben vedere, il d.lgs. n. 97/2016 riconosce un vero e proprio diritto – non condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, seppure esercitabile nel rispetto dei limiti normativamente previsti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati rilevanti – avente a oggetto la conoscibilità di tutti i dati e i documenti detenuti dalle PP.AA., compresi quelli per i quali non è stabilito un obbligo di pubblicazione, attraverso un vero e proprio ribaltamento dell'impostazione normativa dell'originario d.lgs. n. 33/2013, sotto un duplice profilo. Innanzitutto, nel senso di riconoscere al cittadino un diritto alla richiesta di atti inerenti alla gestione della cosa pubblica, a qualunque fine e senza necessità di motivazioni, non più dunque limitatamente a quelle informazioni riguardo alle quali egli sia titolare di un interesse specifico e qualificato (come previsto dal diritto di accesso procedimentale di cui alla l. n. 241/1990). In secondo luogo, nel senso di aggiungere alla preesistente trasparenza di tipo «proattivo», ossia realizzata mediante la pubblicazione obbligatoria sui siti web dei dati e delle notizie indicati dalla legge, una trasparenza di tipo «reattivo», in risposta alle istanze di conoscenza avanzate dagli interessati. La giurisprudenza amministrativa asseconda, in questo contesto, la “democrazia della conoscenza” I più recenti arresti giurisprudenziali, pur nella loro eterogeneità, sono in sintonia con il vento che spira rigoglioso verso l'obiettivo della cittadinanza consapevole Ci limitiamo a menzionare la decisione del Cons. St., Ad. plen. n. 10/2020, sull'estensione dell'accesso civico generalizzato agli atti delle procedure di appalto, anche con riferimento alla fase esecutiva del contratto. Il Collegio ha quindi sposato la lettura virtuosa per cui la normativa appalti non può rappresentare «un buco nero della trasparenza», ma si integra con quella prevista in generale nel Decreto Trasparenza. Rimangono fermi i limiti specifici previsti dal Codice Appalti e dal Decreto Trasparenza, e in particolare la necessità di bilanciare le esigenze dell'accedente con quelle di preservare il “know-how” industriale. Inoltre la stessa Plenaria chiarisce che l'impresa non aggiudicataria della gara è titolare di uno specifico interesse all'ostensione di atti e documenti inerenti alla fase esecutiva del rapporto, ciò a condizione che l'istanza non sia esplorativa e l'interesse sotteso all'esibizione sia preesistente: con questi presupposti sarà possibile l'accesso «tradizionale». E lo stesso rapporto esecutivo può essere oggetto di accesso civico generalizzato, con i limiti previsti dallo stesso d.lgs. n. 33/2013. Quel che più preme rilevare, in questa sede, è la qualificazione dell'accesso civico generalizzato come strumento di controllo democratico sull'attività amministrativa, che si fonde armonicamente con la sua natura di diritto fondamentale L'Adunanza Plenaria premette che l'accesso civico generalizzato introdotto nel corpus normativo del d.lgs. n. 33/2013 dal d.lgs.n. 97/2016, è il diritto di «chiunque», non sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l'interesse alla conoscenza, il quale viene riconosciuto e tutelato «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico» (art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33/2013). Si valorizza così la finalità di un controllo democratico sull'attività amministrativa, nel quale il c.d. “right to know”, l'interesse individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni espresse dalle cc.dd. eccezioni relative di cui all'art. 5-bis, commi 1 e 2, d.lgs. n. 33/2013. Ciò nell'ottica di superare i limiti dell'accesso tradizionale. Infatti nell'accesso documentale ordinario, «classico», si è al cospetto di un accesso strumentale alla protezione di un interesse individuale, nel quale è l'interesse pubblico alla trasparenza a essere «occasionalmente protetto» per il c.d. “need to know”, per il bisogno di conoscere, in capo al richiedente, strumentale ad una situazione giuridica pregressa. Per converso, nell'accesso civico generalizzato il c.d. right to know, l'interesse individuale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni espresse dalle cc.dd. eccezioni relative di cui all'art. 5-bis, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 33/2013. Come già scritto nel parere n. 515/2016 del Consiglio di Stato «il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (...) rappresenta per l'ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernicana, potendosi davvero evocare la nota immagine (...) della Pubblica Amministrazione trasparente come una “casa di vetro”». L'Adunanza Plenaria cita a questo proposito la Corte cost., n. 20/2019 , la quale ha rimarcato che il diritto dei cittadini ad accedere ai dati in possesso della pubblica amministrazione, sul modello del c.d. FOIA (Freedom of information act), risponde a principî di pubblicità e trasparenza, riferiti non solo, quale principio democratico (art. 1 Cost.), a tutti gli aspetti rilevanti dalla vita pubblica e istituzionale, ma anche, ai sensi dell'art. 97 Cost., al buon funzionamento della pubblica amministrazione. Sviluppando tali premesse, l'Adunanza Plenaria ribadisce la natura di diritto fondamentale dell'accesso civico di per sé, ma anche di strumento essenziale al miglior soddisfacimento dei diritti fondamentali della persona: «La luce della trasparenza feconda il seme della conoscenza tra i cittadini e concorre, da un lato, al buon funzionamento della pubblica amministrazione ma, dall'altro, anche al soddisfacimento dei diritto fondamentali della persona, se è vero che organizzazione amministrativa e diritti fondamentali sono strettamente interrelati». Il “ common good ” dell'informazione si pone, quindi, come come diritto fondamentale dell'individuo. È difficile a questo punto resistere al fascino del dilemma sociale dei “ common goods ” tracciato nel 1968 dall'ecologo Garrett Hardin e alla necessaria utopia che pervade le pagine dedicate da Stefano Rodotà ai beni collettivi come moderna proprietà solidaristica. Ci basta chiudere queste brevi e sommarie considerazioni con il rilievo, giuridico ed etico, che l'informazione è un bene comune necessario per consentire al singolo di sviluppare le naturali potenzialità umane nella moderna comunità connessa e globalizzata. Un diritto fondamentale ex artt. 2 e 21 Cost e, ancor più, per riprendere le parole di Carlo Maria Martini, uno strumento per evitare a ognuno di noi la fatale tentazione di blindarsi nell'egoismo dell'io e per insegnarci a declinare al plurale i verbi del vivere sociale. 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