Decreto legislativo - 18/08/2000 - n. 267 art. 10 - Diritto di accesso e di informazione.

Luca Biffaro

Diritto di accesso e di informazione.

 

1. Tutti gli atti dell'amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del sindaco o del presidente della provincia che ne vieti l'esibizione, conformemente a quanto previsto dal regolamento, in quanto la loro diffusione possa pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese.

2. Il regolamento assicura ai cittadini, singoli e associati, il diritto di accesso agli atti amministrativi e disciplina il rilascio di copie di atti previo pagamento dei soli costi; individua, con norme di organizzazione degli uffici e dei servizi, i responsabili dei procedimenti; detta le norme necessarie per assicurare ai cittadini l'informazione sullo stato degli atti e delle procedure e sull'ordine di esame di domande, progetti e provvedimenti che comunque li riguardino; assicura il diritto dei cittadini di accedere, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l'amministrazione.

3. Al fine di rendere effettiva la partecipazione dei cittadini all'attività dell'amministrazione, gli enti locali assicurano l'accesso alle strutture ed ai servizi agli enti, alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni.

Inquadramento

L'art. 10 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL) disciplina il diritto di accesso dei cittadini agli atti e alle informazioni in possesso delle amministrazioni locali e afferma il carattere pubblico degli atti da esse formati. La norma fissa anche i limiti all'esercizio del diritto di accesso agli atti degli enti locali, prevedendo che esso è escluso ogniqualvolta l'atto abbia carattere riservato per espressa previsione di legge ovvero quando la sua diffusione possa pregiudicare il diritto alla riservatezza dei soggetti ai quali sono riferibili le informazioni e i dati in esso contenuti: in tale ultimo caso il divieto di disclosure deve essere necessariamente disposto dal sindaco o dal presidente della Provincia con dichiarazione temporanea e motivata. Le amministrazioni locali, inoltre, sono chiamate a disciplinare il procedimento e le modalità di accesso con proprio regolamento, non potendo tuttavia prevedere garanzie procedimentali inferiori rispetto a quelle stabilite dalla legge generale sul procedimento amministrativo e dal decreto trasparenza. Infatti, le previsioni contenute in tali corpi normativi con riguardo alla partecipazione dell'interessato al procedimento, alla individuazione di un responsabile, alla conclusione del procedimento entro il termine prefissato, alla misurazione dei tempi effettivi, attengono – ai sensi dell'art. 29 della l. n. 241/1990 e dell'art. 1 del d.lgs. n. 33/2013 – ai livelli essenziali delle prestazioni rese a fini di trasparenza ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. m), della Costituzione.

Fondamento, legittimazione e ampiezza della disclosure

L'art. 10 del TUEL connota, sin dalla rubrica, tutti gli atti delle amministrazioni locali come pubblici. Dal carattere pubblico di tali atti, quindi, discende la loro piena e immediata accessibilità da parte di tutti i soggetti che posseggono lo status di cittadini residenti degli enti locali, quale condizione legittimante per l'esercizio del diritto di accesso, intimamente connessa alla partecipazione effettiva all'attività dell'amministrazione pubblica locale.

Il legislatore del Testo unico, invero, si è posto in linea di continuità rispetto ai principi e alle previsioni già espresse con la l. n. 142/1990, collegando l'istituto dell'accesso nell'ordinamento degli enti locali al principio partecipativo di rango costituzionale e configurandolo quale strumento di rimozione degli ostacoli all'effettivo coinvolgimento democratico dei cittadini ai processi decisionali amministrativi ad essi più vicini, in ossequio ai principi di sussidiarietà verticale e di eguaglianza sanciti dalla Costituzione (Marenghi, Il processo senza modello tra tempo e tutela, 166). Come evidenziato dalla dottrina (Simonati, 354) il diritto di accesso disciplinato dal TUEL trova fondamento nel principio di trasparenza. Ciò fa emergere – ancor prima della piena affermazione della trasparenza come principio generale dell'ordinamento giuridico ai sensi dell'art. 1 del d.lgs. n. 33/2013 – come il legislatore avesse già da tempo avvertito la necessità di soddisfare le esigenze di effettiva partecipazione dei cittadini all'attività delle amministrazioni locali, anche in una prospettiva di accountability. Invero, il diritto di accesso rientra tra gli strumenti di controllo esterno sull'operato degli enti locali, andandosi non solo ad aggiungere a quelli di carattere interno – quale il controllo di gestione di cui all'art. 196 del TUEL – ma rafforzandone anche l'efficacia, in quanto grazie al diritto di accesso i cittadini possono ottenere la disclosure di atti e informazioni afferenti allo svolgimento dell'attività di controllo e vagliarne correttezza e legittimità. In proposito, vale considerare che anche le amministrazioni locali, al pari di quelle centrali, operano in vista del raggiungimento dei risultati programmati secondo criteri di efficacia, efficienza ed economicità e, per questo, si rende necessario che anche la collettività sia posta in condizione di valutare il grado di attuazione degli obiettivi e la funzionalità dell'organizzazione degli enti locali.

Per quel che riguarda la legittimazione ad esercitare il diritto di accesso, l'art. 10, comma 2, del TUEL afferma che essa è riconosciuta ai cittadini, singoli e associati. Il concetto di cittadino – quale status legittimante ai fini dell'esercizio del diritto di accesso – è stato interpretato in maniera estensiva e sostanzialistica, ricomprendendovi tutti i soggetti che risiedono in maniera non saltuaria sul territorio dell'ente locale, compresi gli stranieri e gli apolidi (T.A.R. Sicilia, CataniaI, n. 58/2006).

Sotto il profilo della legittimazione attiva, quindi, viene in rilievo una prima e profonda differenza rispetto all'accesso documentale di cui agli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990. Infatti, mentre ai fini dell'accesso documentale i soggetti legittimati sono solamente i titolari di una posizione giuridica differenziata e qualificata che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale alla disclosure, il diritto di accesso disciplinato dal TUEL è riconosciuto agli individui uti cives.

La questione della legittimazione attiva del diritto di accesso disciplinato dall'art. 10 del TUEL ha vissuto diverse fasi, risultando condizionata alla definizione dei rapporti tra le varie species di accesso via via introdotte nell'ordinamento giuridico.

Come riportato dalla dottrina (Manganaro, 1272), in una prima fase si predilesse l'applicazione del criterio cronologico unitamente a quello di specialità e si accordò prevalenza alla disciplina dettata dald.lgs. n.267/2000 rispetto a quella recata dalla legge generale sul procedimento amministrativo – venendo in rilievo norme congeneri o omogenee (Celotto, 11) – con conseguente riconoscimento della legittimazione attiva in favore di tutti i cittadini. In una seconda fase, pur riconoscendo il carattere speciale delle disposizioni dettate dal TUEL in materia di accesso agli atti delle amministrazioni locali, si ritenne che l'art. 10 fosse unicamente destinato a integrare le previsioni normative di cui agli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990 (Marenghi, 1998, 407 ss.; Sandulli, 568).

L'impostazione dottrinale affermatasi nella seconda fase ha anche ricevuto l'avallo della giurisprudenza amministrativa (Cons. St. V, n. 5034/2003), secondo la quale la disciplina dell'accesso agli atti degli enti locali e quella dell'accesso documentale vanno lette in termini di coordinazione, «con la conseguenza che le disposizioni del citato capo quinto penetrano all'interno degli ordinamenti degli enti locali in tutte le ipotesi in cui nella disciplina di settore non si rinvengano appositi precetti che regolino la materia con carattere di specialità. In particolare, l'art. 10 T.U. n. 267/2000 ha introdotto una disposizione per gli enti locali che si pone semplicemente in termini integrativi rispetto a quella, di contenuto generale, di cui all'art. 22 l. n. 241/1990».

A parere di chi scrive, almeno fino all'inizio della seconda decade del 2000, l'orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa sulla questione della legittimazione attiva in materia di accesso agli atti degli enti locali ai sensi dell'art. 10 del TUEL e, più in generale, rispetto ai rapporti tra disciplina generale sull'accesso dettata dalla l. n. 241/1990 e discipline settoriali – quale quella del TUEL – era fortemente condizionata dall'impostazione legislativa degli anni '90. Come noto, il ruolo inizialmente assunto dal diritto di accesso è stato, da un lato, quello di consentire ai privati una più efficace partecipazione endoprocedimentale e, dall'altro, quello di garantire una piena tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive lese dall'esercizio dei pubblici poteri. Nell'un caso come nell'altro, il diritto di accesso risultava strumentale alla tutela di specifiche situazioni giuridiche, differenziate e qualificate, ritenute dall'ordinamento meritevoli di tutela.

Nell'ambito di questa cornice generale, ben si colgono le ragioni che hanno condotto agli arresti giurisprudenziali di quegli anni (su tutti, Cons. St.V, n. 1772/2011). In particolare, il giudice amministrativo aveva affermato che le amministrazioni locali, mediante l'adozione di propri regolamenti in materia di accesso, non avrebbero legittimamente potuto consentire un controllo generico e generalizzato nei confronti della propria azione amministrativa – e, a fortiori, non avrebbero potuto consentirlo senza richiedere l'assolvimento, da parte dell'istante, dell'onere di dimostrare l'interesse all'accesso (c.d. accesso incondizionato) –. Secondo la giurisprudenza amministrativa appena richiamata, ammettere un accesso incondizionato in deroga alla disciplina generale, oltre a non rendere il diritto di accesso un mezzo di partecipazione responsabile dei cittadini, in ossequio ai principi di trasparenza, imparzialità e buona amministrazione, avrebbe altresì determinato un ingiustificato appesantimento e rallentamento dell'attività amministrativa. Anche più di recente il giudice amministrativo (T.A.R. Lazio, LatinaI, n. 623/2018), rifacendosi agli arresti innanzi menzionati, ha continuato ad affermare che «[L]a disposizione contenuta nell'art. 10 comma 1, d.lgs. n. 267/2000 sancisce il principio della pubblicità degli atti delle amministrazioni locali, senza tuttavia con ciò possa implicare una diversa configurazione del diritto di accesso, così come delineato dall'art. 25, l. n. 241/1990, e senza neppure disciplinare modalità differenziate di esercizio di tale diritto; di conseguenza, per quanto riguarda i requisiti di accoglimento della domanda di accesso non sussiste alcuna ragione per discostarsi da quelli contenuti nella disciplina generale di cui agli artt. 22 e ss., cit. l. n. 241/1990».

Ci sembra che tale impostazione, in forza della quale la legittimazione attiva in materia di accesso agli atti degli enti locali finirebbe per appiattirsi su quella prefigurata per l'accesso documentale, debba necessariamente essere superata per due ordini di motivi tra loro intimamente collegati. In primo luogo, la disciplina dell'accesso prevista dall'art. 10 del TUEL è, per così dire, antesignana rispetto a quella dettata, in via generale, dal decreto trasparenza (d.lgs. n. 33/2013), con la quale sono stati introdotti strumenti di proactive disclosure, nonché l'istituto dell'accesso civico generalizzato che consente a chiunque di accedere ai dati, documenti e informazioni relative all'organizzazione, all'attività e all'utilizzo delle risorse delle pubbliche amministrazioni. In secondo luogo, il diritto di accesso agli atti e alle informazioni delle amministrazioni locali mira a rendere effettiva la partecipazione dei cittadini alle c.d. arene deliberative e ai poli decisori pubblici di natura amministrativa; con tale disciplina, al pari di quella dettata dal decreto trasparenza, il legislatore ha inteso dare concreta attuazione ai precetti costituzionali in tema di partecipazione democratica, nonché rimuovere gli ostacoli alla piena affermazione del principio di uguaglianza sostanziale sancito dall'art. 3 della Costituzione.

Consentire, dunque, alle amministrazioni locali di trincerarsi dietro elementi formali al fine di ostacolare la full disclosure dei documenti e delle informazioni in loro possesso – ogniqualvolta non sia necessario salvaguardare ulteriori e prioritari interessi di natura pubblica e privata – significherebbe frustrare le finalità sottese al principio di trasparenza (che costituisce il fondamento anche del diritto di accesso previsto dall'art. 10 del TUEL), ponendosi in patente contrasto con l'impianto costituzionale.

Giova, inoltre, osservare che ad oggi sono venuti meno due significativi ostacoli che in passato avevano impedito di riconoscere una legittimazione ampia in materia di diritto di accesso all'informazione delle amministrazioni locali. In primo luogo, gli istituti dettati dalla disciplina generale in materia di trasparenza amministrativa, in primis l'accesso civico generalizzato, sono preordinati a consentire un controllo diffuso e generalizzato sulle pubbliche amministrazioni da parte dei consociati; pertanto, può dirsi superato il limite previsto dalla l. n. 241/1990 (che, come noto, non consente forme di controllo generalizzato), con la conseguenza che soltanto l'accesso documentale non può essere esercitato con finalità di tipo esplorativo. In secondo luogo, con l'introduzione dell'istituto dell'accesso civico e la previsione di un regime di pubblicità legale per una vasta gamma di informazioni, unitamente all'apposizione di una clausola di invarianza di spesa (art. 51 d.lgs. n. 33/2013), l'accesso all'informazione amministrativa non può più essere limitato per ragioni afferenti all'eccessiva gravosità dell'attività ostensiva alla quale sono chiamate le pubbliche amministrazioni destinatarie delle richieste di disclosure.

Invero, già nella prassi di quegli anni si erano andate delineando posizione di segno opposto. Così, la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi (pareri del 15 marzo, 10 maggio, 7 luglio e 27 settembre 2011) aveva affermato che l'esercizio del diritto di accesso agli atti degli enti locali non è condizionato alla titolarità di una situazione giuridica differenziata, trattandosi di un diritto equiparabile all'attivazione di un'azione popolare finalizzata a una «più efficace e diretta partecipazione del cittadino all'attività amministrativa dell'ente locale e alla realizzazione di un più immanente controllo sulla legalità dell'azione amministrativa».

Più di recente, in seguito all'entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013, la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Abruzzo, PescaraI, n. 225/2015), ha iniziato a mostrare maggiori aperture in favore di una diversa ricostruzione interpretativa dell'istituto dell'accesso agli atti delle amministrazioni locali, soprattutto in punto di legittimazione attiva.

Propendere per il riconoscimento di una legittimazione ampia non implica, di per sé, che il grado di accessibilità all'informazione detenuta dalle amministrazioni locali sia assoluto. Infatti, l'art. 10, comma 1, del TUEL, dopo aver stabilito che tutti gli atti dell'amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, dispone che alcuni atti hanno carattere riservato per espressa previsione di legge o per effetto della temporanea e motivata dichiarazione del sindaco o del presidente della provincia che ne vieti l'esibizione, conformemente a quanto previsto dal regolamento. In quest'ultimo caso la limitazione del diritto di accesso è frutto di un bilanciamento con il diritto alla riservatezza di persone, gruppi o imprese che potrebbero soffrire un pregiudizio dalla diffusione degli atti e delle informazioni oggetto dell'istanza ostensiva dei cittadini.

Anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. V, n. 1772/2011; T.A.R. Puglia, Lecce II, n. 1020/2010) è pacifica nel ritenere che il diritto di accesso disciplinato dall'art. 10 del TUEL incontri unicamente i limiti previsti dal comma 1 di tale disposizione normativa, in deroga a quanto previsto dall'art. 24 della l. n. 241/1990. Il giudice amministrativo (T.A.R. Campania, SalernoII, n. 213/2012), ha altresì chiarito che il richiedente non è tenuto a motivare l'istanza ostensiva, in ragione dell'ampiezza dell'oggetto e delle finalità alle quali è preordinato tale diritto d'accesso.

Vale, inoltre, sottolineare che vi è una seconda rilevante differenza tra l'accesso disciplinato dal TUEL e quello documentale, consistente nel fatto che solo il primo consente di accedere all'informazione detenuta dalle amministrazioni locali, ancorché non contenuta formalmente in alcun documento, come espressamente previsto dall'art. 10, comma 2, in fine. Anche tale profilo risulta connesso con le finalità dell'istituto, assimilandolo più ai diritti civici di accesso, che non all'accesso documentale il cui esercizio, per converso, è limitato ai documenti già formati presso le pubbliche amministrazioni destinatarie delle richieste di disclosure.

Bibliografia

Celotto, Fonti del diritto e antinomie, Torino, 2019; Manganaro, L'accesso agli atti ed alle informazioni degli enti locali, in Sandulli (a cura di), Codice dell'azione amministrativa, Milano, 2017, 1271 ss.; Marenghi, La separatezza dei modelli e la separazione delle discipline normative nel diritto di accesso agli atti, in Diritto amm., 1998, VI, nn. 3-4, 407 ss.; Marenghi, Il processo senza modello tra tempo e tutela, Torino, 2014; Sandulli, Partecipazione e autonomie locali, in Dir. amm., X, n. 4, 2002, 555 ss.; Simonati, La trasparenza e la partecipazione a livello territoriale, in Carloni, Cortese (a cura di), Diritto delle autonomie territoriali, 2020, 353 ss.

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