L'impugnazione del riconoscimento tra favor veritatis e tutela degli interessi del figlio

Valentina Rascioni
25 Maggio 2022

Nell'ipotesi di impugnazione del riconoscimento di un figlio maggiorenne nato da genitori non uniti in matrimonio, l'altro genitore non è litisconsorte necessario.
Massima

Nell'azione, intrapresa da un terzo interessato, di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio e già maggiorenne al momento della instaurazione del corrispondente giudizio ex art.263 c.c., il bilanciamento che il giudice adito è tenuto ad effettuare tra il concreto interesse del soggetto riconosciuto e il favore per la verità del rapporto di filiazione non può costituire il risultato di una valutazione astratta e predeterminata, né può implicare, ex se, il sacrificio dell'uno in nome dell'altro, ma impone di tenere conto di tutte le variabili del caso concreto, tra cui il diritto all'identità personale, correlato non solo alla verità biologica, ma anche ai legami affettivi e personali interni alla famiglia, al consolidamento della condizione identitaria acquisita per effetto del falso riconoscimento e all'idoneità dell'autore del riconoscimento allo svolgimento del ruolo di genitore.

Il caso

Parte attrice ha convenuto dinanzi al Tribunale di Bergamo il proprio coniuge ed il figlio di quest'ultimo, al fine di sentir dichiarare la non veridicità di tale rapporto di filiazione, fondato su un riconoscimento di prole nata fuori dal matrimonio.

La vicenda presenta degli aspetti indubbiamente peculiari, tenuto conto che si discute di un riconoscimento compiuto oltre quarant'anni prima rispetto all'iniziativa assunta dall'attrice, la quale ha peraltro fondato il proprio interesse ad agire su un vincolo matrimoniale contratto nelle more della nomina di un amministratore di sostegno in favore del citato coniuge (sollecitata proprio dal figlio poi convenuto).

All'esito di entrambi i gradi di merito, sono state accolte non soltanto la domanda principale relativa allo status, ma anche la domanda proposta in via riconvenzionale dal figlio al fine di ottenere il risarcimento del danno morale subito a seguito di tale iniziativa, volta “quasi in forma rivendicativa” (…) “a privare della paternità colui che era stato riconosciuto come figlio tanti anni prima” (cfr. sentenza emessa dalla App. Brescia in data 31 luglio 2020).

La Prima Sezione della Corte di Cassazione è stata infine chiamata a valutare se il favor veritatis imponga l'accoglimento della domanda proposta (non essendovi seria contestazione in merito al fatto che il ricorrente non sia figlio biologico del coniuge dell'attrice, peraltro deceduto nel corso del giudizio), o se piuttosto debba essere operato un bilanciamento tra il rispetto della verità e l'esigenza del figlio di non vedersi privato dell'identità personale, familiare e sociale ormai formatasi a seguito del riconoscimento.

La questione

La giurisprudenza di merito, seguendo i criteri desumibili dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 272/2017, ha ormai chiarito come il giudice chiamato a valutare l'impugnazione proposta ai sensi dell'art. 263 c.c. debba procedere ad un attento bilanciamento tra il favor veritatise la tutela delle prioritarie esigenze del minore coinvolto nella vicenda: l'ordinanza in commento si interroga in ordine alla possibilità di procedere ad analogo bilanciamento anche qualora il figlio sia ampiamente maggiorenne, come nel caso di specie.

Le soluzioni giuridiche

I giudici della Prima Sezione hanno in primo luogo approfondito l'oggetto ed i limiti della valutazione che il giudice deve compiere nell'ambito dell'art. 263 c.c., partendo dall'orientamento più risalente secondo cui si riteneva sussistente “un'automatica coincidenza tra favor veritatis e favor minoris”, in forza della quale avrebbe dovuto essere garantito al figlio “il diritto alla propria identità e, segnatamente, alla affermazione di un rapporto di filiazione veridico” (leggasi quanto evidenziato ancora da Corte Cost. n.117/1997).

Recependo le sollecitazioni che da tempo pervenivano dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito, peraltro, la medesima Corte Costituzionale ha ormai superato tali enunciazioni, evidenziando come il favor veritatis non costituisca in realtà un valore di rilevanza costituzionale assoluta, tanto che lo stesso art. 30 Cost. consente alla legge ordinaria di introdurre limiti alla ricerca della paternità biologica: nella nota sentenza della Corte Cost. n.272/2017 e nelle pronunce successive (leggasi ad esempio la n. 127/2020 e la n. 133/2021, citate anche nell'ordinanza in commento), è stato così chiarito che il giudice deve operare un bilanciamento tra tale principio e le esigenze prioritarie del minore coinvolto.

È stata del resto riconosciuta “accanto alla genitorialità biologica, una genitorialità sociale, fondata sul consenso” ed “espressione di un principio di responsabilità di chi sceglie di essere genitore, facendo sorgere nel figlio "desiderato" un legittimo affidamento sulla continuità della relazione” (cfr. sentenza n. 272/2017 sopra citata); è stata altresì ribadita la necessità di tutelare il diritto inviolabile del figlio alla propria identità personale, “non cristallizzata al momento del concepimento”, ma sviluppatasi nel tempo attraverso la relazione con i genitori, con gli altri familiari ed in generale con il mondo esterno.

Chiamati a verificare se i medesimi principi possano costituire valida guida anche qualora si discuta di un figlio ormai maggiorenne, i giudici di legittimità hanno ritenuto doveroso fare riferimento all'attuale formulazione dell'art. 263 c.c., secondo la quale l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità risulta imprescrittibile soltanto per quanto riguarda il figlio, mentre risultano previsti rigorosi termini per la sua proposizione da parte dei c.d. genitori legali e dei terzi eventualmente interessati: hanno quindi osservato come tale previsione sia evidentemente volta da una parte a tutelare l'interesse del figlio a poter pervenire in ogni tempo “ad uno stato di filiazione veridico”, dall'altro a rendere recessiva qualsiasi altra richiesta di accertamento dinanzi all'esigenza del medesimo figlio “di conservare la relazione genitoriale protrattasi per un certo lasso di tempo”.

In tale prospettiva, pertanto, “lo stato di filiazione non può essere rimosso per iniziativa di soggetti diversi dal figlio allorché esso debba considerarsi entrato a far parte della sua identità personale”, non soltanto quando debba essere assicurata la “tutela di un soggetto intrinsecamente debole” (ovvero del minore), “ma anche in riferimento al figlio maggiorenne”.

Nel caso di specie, pur discutendosi di un'impugnazione proposta entro i termini previsti dal d.lgs. 28 dicembre 2013 n.154, sarà quindi onere del giudice di merito procedere ad un bilanciamento in concreto tra gli interessi coinvolti, valutando da un lato la peculiare posizione della parte attrice, dall'altra quella del figlio, tenendo conto in particolar modo del suo “diritto all'identità personale, correlato non solo alla verità biologica, ma anche ai legami affettivi e personali interni alla famiglia, al consolidamento della condizione identitaria acquisita per effetto del falso riconoscimento (…)” (leggasi a riguardo la massima sopra trascritta).

La sentenza impugnata (fondata sul solo criterio del favor veritatis) è stata quindi cassata con rinvio perché la Corte d'Appello di Brescia provveda ad una nuova valutazione secondo i principi enunciati nell'ordinanza in commento.

Osservazioni

L'ordinanza in commento ha preliminarmente risolto svariate questioni processuali: risulta particolarmente innovativa la scelta di non ravvisare alcun litisconsorzio necessario con il genitore rispetto al quale non risulta contestato il rapporto di filiazione, ove si discuta di un figlio ormai maggiorenne, tenuto conto che l'eventuale accoglimento dell'impugnazione non dovrebbe ragionevolmente determinare alcun effetto per tale genitore, salva comunque la sua possibilità di intervenire nel processo o di esservi chiamato dal figlio stesso.

Di evidente interesse è poi la parte finale della pronuncia, nell'ambito della quale i giudici della Prima Sezione, facendo diretta applicazione dei medesimi principi già desumibili dalla giurisprudenza costituzionale sopra citata e dalla legislazione vigente, affermano per la prima volta ed in modo esplicito la necessità di procedere non ad una “valutazione astratta e predeterminata”, bensì ad un attento bilanciamento “di tutte le variabili del caso concreto” anche qualora si discuta di un figlio ormai ampiamente maggiorenne ed autonomo.

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