Legge - 24/11/1981 - n. 689 art. 3 - Elemento soggettivo.Elemento soggettivo. Nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da sua colpa. InquadramentoLa struttura dell'illecito amministrativo, secondo la dottrina più autorevole, è quella di un illecito tipico, antigiuridico e colpevole. La legge 689/1981, nel suo art. 3, in ordine all'elemento soggettivo dell'illecito amministrativo stabilisce quanto segue: «nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da sua colpa». In stretta connessione rispetto all'articolo precedentemente commentato, la disposizione in parola impone di fondare l'imputabilità della sanzione amministrativa sul principio della responsabilità personale dell'illecito commesso; pertanto, può essere considerata direttamente responsabile della violazione commessa solo la persona fisica, mentre la persona giuridica potrà avere una responsabilità solidale. Questa disposizione ricalca la previsione di cui all'art. 42 del Codice Penale, secondo cui «nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa». Tale ultima norma deve, a sua volta, essere interpretata alla luce del primo comma dello stesso art. 42 del Codice Penale, secondo il quale «nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l'ha commessa con coscienza e volontà». Per coscienza e volontà dell'azione od omissione va intesa la riconducibilità psichica del comportamento al soggetto autore della violazione: detto comportamento deve essere moralmente e psicologicamente ascrivibile alla sfera intellettiva e volitiva dell'individuo che materialmente cagiona l'evento. Tali coscienza e volontà normalmente esprimono la capacità dell'uomo di valutare e dominare le proprie azioni e possono venire escluse in situazioni occasionali che riguardano i tre casi di scuola dell'incoscienza involontaria, della forza maggiore e del costringimento fisico. Nel linguaggio di uso comune, per condotta cosciente e volontaria si è soliti intendere una condotta che il soggetto agente ha consapevolmente tenuto e, per l'appunto, voluto; se così fosse, però, la condotta cosciente e volontaria finirebbe per coincidere soltanto con il dolo. Autorevole dottrina penalistica (Antolisei, 354; Mantovani, 3 ss.) quindi, ha ricostruito questo concetto in termini di suitas, cioè nel senso di comportamento che è suscettibile di essere dominato da un impulso della volontà: in questo modo divengono sanzionabili anche condotte che non sono state poste in essere volontariamente dal soggetto, ma che egli avrebbe potuto evitare mantenendo più alta la soglia dell'attenzione. Il dolo e la colpaQuanto al dolo e alla colpa, richiamati dall'art. 3 della l. 689/1981, essi consistono, ai sensi dell'art. 43 c.p.: il dolo, nella circostanza per cui il soggetto ha preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione la condotta sanzionabile; la colpa, nell'aver agito con negligenza, imprudenza o imperizia (cosiddetta colpa generica), ovvero nell'aver violato leggi, regolamenti, ordini o discipline (cosiddetta colpa specifica). Questi elementi (dolo e colpa) sono stati trasferiti nel campo delle sanzioni amministrative senza alcuna variazione di significato. Il principio posto da questa disposizione normativa – secondo cui per le violazioni colpite da sanzione amministrativa è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva o omissiva, sia essa dolosa o colposa – deve essere inteso nel senso della sufficienza dei suddetti elementi, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che la norma pone una presunzione di colpa, relativa ad un fatto vietato, a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l'onere di provare di aver agito senza colpa (Cass. I, n. 15580/2006). Per l'imputabilità della sanzione il comportamento può essere sia commissivo che omissivo ed è del tutto indifferente se sia stato commesso, sotto il profilo dell'elemento psicologico, con il dolo o con la colpa. Si può, inoltre, affermare che è sufficiente la mera colpa, ovvero un atteggiamento imprudente, negligente o di inosservanza di usi e discipline per poter applicare la sanzione amministrativa. Ciò non vuol dire, però, che sia irrilevante l'accertamento del dolo, in quanto l'intensità dell'elemento soggettivo può assumere rilievo al momento della determinazione della sanzione. Dalla lettura dell'articolo in commento si ricavano, dunque, tre principi: 1) ciascuno è responsabile della propria azione od omissione; come già ampiamente detto in precedenza, la responsabilità amministrativa è personale; 2) l'illecito deve essere commesso con coscienza e volontà: l'atto deve essere riferibile psichicamente al soggetto autore della violazione. La coscienza e la volontà possono essere escluse nel caso di incoscienza involontaria, forza maggiore o costringimento fisico; 3) l'azione od omissione può essere dolosa o colposa. In tema di sanzioni amministrative, il caso fortuito e la forza maggiore, pur non essendo espressamente menzionati nella l. 689/1981, debbono ritenersi implicitamente inclusi nella previsione dell'art. 3, ed escludono la responsabilità dell'agente, incidendo il caso fortuito sulla colpevolezza e la forza maggiore sul nesso psichico: la relativa nozione va desunta dall'art. 45 del Codice Penale. L'indagine sull'elemento soggettivo e la ricostruzione dell'illecitoL'indagine sull'elemento soggettivo ha una valenza rilevante sia perché può condurre alla esclusione della responsabilità, sia perché conduce alla quantificazione della sanzione che andrà materialmente irrogata al trasgressore, alla luce dei parametri di cui al successivo art. 11 l. n. 689/1981. Qui basti evidenziare come l'indagine sull'elemento soggettivo e sulla partecipazione, più o meno cosciente e volontaria del soggetto alla determinazione dell'evento sia uno degli elementi riconducibili alla «personalità dello stesso», anche in relazione a ciò che ha fatto o tentato di fare per ridurre o eliminare le conseguenze dell'illecito. Ovviamente, rispetto al campo penalistico, la rilevanza di tale indagine è minore, in quanto la responsabilità sussiste sia per dolo che per colpa. Ai fini della configurabilità dell'illecito, pertanto, l'indagine sull'elemento soggettivo ha la finalità di ricercare: a. gli elementi essenziali, richiesti come condizione di sussistenza dello stesso (riferibilità dell'evento alla coscienza e volontà dell'azione o omissione, sia essa dolosa o colposa); b. la non sussistenza di cause escludenti (ossia l'incoscienza volontaria, la forza maggiore; il costringimento fisico); c. la non sussistenza dell'errore sul fatto (come esaminato nel prosieguo). Di conseguenza, se l'indagine è preclusa all'organo accertatore, diventa di grande rilievo per l'Autorità amministrativa competente quando dovrà determinare in concreto la sanzione, perché investita dal ricorso proposto dall'interessato ovvero perché non sia intervenuto il pagamento in misura ridotta. L'errore sul fattoL'art. 3, comma 2, della medesima legge stabilisce una causa di esclusione della responsabilità legata all'errore sul fatto. Nel caso in cui la violazione sia stata commessa per errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da sua colpa. Dall'articolo de quo si evince chiaramente che la non punibilità deriva sempre da una errata percezione della realtà che, però, non deve essere provocata dall'agente a causa del suo comportamento negligente, imprudente, imperito o per ignoranza non scusabile di fonti normative. In tema di elemento soggettivo dell'illecito amministrativo, l'errore scusabile sul fatto determinato dall'interpretazione di norme giuridiche può assumere rilievo, soprattutto per chi versa in condizioni soggettive di inferiorità, in quanto non attinga la sola interpretazione giuridica del precetto ma verta sui presupposti della violazione e sia stato determinato da un elemento positivo, estraneo all'autore, idoneo ad ingenerare in quest'ultimo l'incolpevole opinione di liceità del proprio agire. Soltanto una condotta antigiuridica, cioè ritenuta contraria alle norme del diritto amministrativo, può essere idonea a fondare una responsabilità per gli illeciti amministrativi. Questa disciplina è ricalcata in parte sulla normativa del Codice Penale, art. 47, ed il riferimento è sicuramente all'errore di fatto che cada «sul fatto», cioè su un elemento essenziale dell'illecito amministrativo. L'errore incolpevole esclude, nel caso concreto, la sussistenza dell'atteggiamento psichico richiesto come requisito indispensabile dell'illecito. Errore ed ignoranza, a questi fini, sono considerati equivalenti: è importante, dunque, che essi ricadano sul fatto e non sulla portata o sull'interpretazione della norma giuridica. È stato, dunque, trasferito nel campo delle sanzioni amministrative l'istituto penalistico di cui all'art. 47 c.p. che specifica come debba trattarsi del «fatto che costituisce il reato» intendendo, con tal espressione, gli elementi richiesti dalla norma incriminatrice come essenziali per l'esistenza dell'illecito. Ciò vale anche per la buona fede – definita come errore conseguente ad un fatto positivo esterno – che ne determini la non colposità e scusabilità. In tema di illeciti amministrativi, a norma dell'art. 3 della l. n. 689/1981, la semplice colpa è sufficiente ad integrare l'elemento soggettivo, e al fine di escludere ogni responsabilità non basta l'ignoranza della sussistenza dei presupposti dell'illecito, ma occorre che tale ignoranza sia incolpevole, cioè non superabile con l'uso della ordinaria diligenza. Ne consegue che, nell'ipotesi di infrazione di cui all'art. 179 C.d.S. («circolazione con veicolo munito di cronotachigrafo non funzionante») può ritenersi l'ignoranza incolpevole solo ove si dimostri il rispetto dell'ordinaria diligenza consistente nel costante controllo del regolare funzionamento del cronotachigrafo e, in ogni caso, nel preventivo controllo tutte le volte in cui il veicolo venga messo in circolazione (Cass. I, n. 13165/2002). La questione della buona fede e dell'ignoranza di aver agito in violazione di una regola è spesso richiamata nelle sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ove si afferma che per la realizzazione di un illecito concorrenziale non è necessario aver agito con la consapevolezza di violare le regole, essendo piuttosto sufficiente la consapevolezza circa la idoneità del proprio comportamento a determinare una restrizione del libero gioco della concorrenza. È sufficiente, in altri termini, la consapevolezza della offensività del fatto, non già della sua antigiuridicità. È stato più volte affermato dal Tribunale di primo grado dell'UE, infatti, che: «affinché una violazione delle regole di concorrenza possa considerarsi intenzionalmente commessa, non è necessario che l'impresa abbia avuto consapevolezza di contravvenire a dette regole; piuttosto, dimostrandosi sufficiente che essa non potesse ignorare che il suo comportamento aveva per oggetto di restringere la concorrenza nel mercato comune» (sentenze 2 luglio 1992, causa T-61/89, DanskPelsdyravlerforening/Commissione, punto 157, e del 14 maggio 1998, causa T- 347/94, Mayr-Melnhof/Commissione, punto 375). L'errore di dirittoMentre nel Codice Penale l'art. 5 prevede che «nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale», nei principi generali dell'illecito amministrativo, contenuti nel Capo I della l. n. 689/1981, non è contenuta analoga disposizione. Ciò nonostante, deve ritenersi che l'errore di diritto, anche nella materia delle violazioni amministrative, non sia idoneo ad escludere la punibilità, a meno che non si traduca in errore sul fatto o sia determinato da un fatto positivo esterno, come ad esempio assicurazioni dell'autorità, prassi precedente e ripetuta, che escluda ogni rimproverabilità della condotta. In tema di illecito amministrativo l' error juris, dunque, quale causa di esclusione della responsabilità in riferimento alla violazione di norme amministrative (in analogia a quanto previsto dall'art. 5 del codice Penale), viene in rilievo soltanto a fronte della inevitabilità dell'ignoranza del precetto violato, il cui apprezzamento va effettuato alla luce dell'obbligo della conoscenza delle leggi che grava sull'agente in relazione anche alla qualità professionale posseduta e al suo dovere di informazione sulle norme, e sull'interpretazione che di esse è data, che specificamente disciplinano l'attività che egli svolge. BibliografiaAntolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2003; Bartolini, Il codice delle violazioni amministrative, Piacenza, 2005; Benvenuti, Le sanzioni amministrative come mezzo dell'azione amministrativa, in Aa.Vv., Le sanzioni amministrative, Atti del XXVI Convegno di Studi di Scienza dell'Amministrazione, Milano, 1982; Casetta, Sanzione amministrativa, in Dig. disc. pubbl., XIII, Torino, 1997; Colla, Manzo, Le sanzioni amministrative, Milano, 2001; Mantovani, «Colpa», Digesto delle discipline penalistiche, vol. II, Torino, 1988; Napolitano, Manuale dell'illecito amministrativo, Bologna, 2013. Travi, Sanzioni amministrative e pubblica amministrazione, Padova, 1983; Zanobini, Le sanzioni amministrative, Torino, 1924. |