Legge - 24/11/1981 - n. 689 art. 4 - Cause di esclusione della responsabilità.Cause di esclusione della responsabilità. Non risponde delle violazioni amministrative chi ha commesso il fatto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa. Se la violazione è commessa per ordine dell'autorità, della stessa risponde il pubblico ufficiale che ha dato l'ordine. I comuni, le province, le comunità montane e i loro consorzi, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB), gli enti non commerciali senza scopo di lucro che svolgono attività socio-assistenziale e le istituzioni sanitarie operanti nel Servizio sanitario nazionale ed i loro amministratori non rispondono delle sanzioni amministrative e civili che riguardano l'assunzione di lavoratori, le assicurazioni obbligatorie e gli ulteriori adempimenti, relativi a prestazioni lavorative stipulate nella forma del contratto d'opera e successivamente riconosciute come rapporti di lavoro subordinato, purché esaurite alla data del 31 dicembre 19971. [1] Comma aggiunto, a decorrere dal 1° gennaio 1999, dall'articolo 31, comma 36 della legge 23 dicembre 1998, n. 448. InquadramentoProcedendo nell'analisi dei principi fondamentali dettati dalla l. n. 689/1981, l'art. 4 statuisce che non risponde delle violazioni amministrative chi ha commesso il fatto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa. In questa disposizione vengono, dunque, elencate le seguenti scriminanti: a) l'adempimento di un dovere; b) l'esercizio di una facoltà legittima; c) lo stato di necessità; d) la legittima difesa. In presenza di uno dei suddetti elementi, un fatto che altrimenti integrerebbe l'ipotesi sanzionatoria prevista astrattamente dalla norma, non è punibile per una particolare condizione soggettiva del suo autore. Ai sensi del secondo comma, se la violazione è commessa per ordine di una autorità, della stessa violazione risponde il Pubblico ufficiale che ha dato l'ordine. A tal proposito, occorre precisare che nel caso in cui l'autore del fatto esegua un ordine, questi ritiene che si tratta di ordine legittimo; l'esclusione dalla responsabilità di cui all'art. 4 quindi non sarà mai invocabile in presenza di un ordine illegittimo, e la cui illegittimità sia sindacabile da parte del destinatario, come quando sia impartito nell'ambito di un rapporto privatistico. Provare l'esistenza di una causa di esclusione della responsabilità è a carico del soggetto, ritenuto responsabile del fatto materiale. L'interessato deve dimostrare, infatti, una effettiva situazione di pericolo imminente, di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile oppure l'erronea persuasione di trovarsi in tale situazione, provocata non da uno stato d'animo ma da circostanze concrete. Non può ritenersi invocabile, nel campo delle sanzioni amministrative, lo stato di necessità per fatti di natura economica del responsabile o per danno grave patrimoniale. Con riguardo all'infrazione consistente nella circolazione del veicolo sprovvisto della carta di circolazione (art. 58 C.d.S.), la suddetta esimente (stato di necessità) non può essere invocata ove il veicolo venga usato per il trasporto di persone, senza che queste si trovino in uno stato di pericolo fisico, reale o putativo, ed al fine di consentire al contravventore di evitare danni di natura economica, quale quello per mancato puntuale adempimento di un contratto di trasporto (Cass. I, n. 5710/1985). Ai fini dell'accertamento della sussistenza o meno delle cause di esclusione della responsabilità in tema di sanzioni amministrative, in mancanza di ulteriori precisazioni, occorre fare riferimento alle disposizioni che disciplinano i medesimi istituti nel diritto penale, e segnatamente agli artt. 54-59 c.p. (Cass. I, n. 4710/1999 e Cass. I, n. 11054/1998). Invero, la comunanza di funzione e natura con la responsabilità per reato comporta identità di struttura nelle due figure di illecito e quindi, in mancanza di altra giuda di diritto positivo, la sostanziale unicità dell'ordinamento legittima l'interprete a ricorrere a medesime regole normative in entrambe le fattispecie. Il principio di riserva di legge (o meglio, di tassatività della previsione legislativa) esclude che possa essere esteso alle violazioni amministrative il contenuto di altre scriminanti presenti nel Codice Penale, come ad esempio il consenso dell'avente diritto e l'uso legittimo delle armi, non replicate nell'art. 4 a livello di sanzioni amministrative. La previsione contenuta nell'art. 4 è, quindi, tassativa ed esclusiva e non si presta ad interpretazioni analogiche. Del resto la natura indisponibile e, soprattutto, collettiva dei diritti protetti con le sanzioni amministrative da un lato, e il limitato allarme sociale prodotto da una violazione sorretta da sanzioni amministrative dall'altro, portano ad escludere anche a livello ontologico che si possa far riferimento alle scriminanti rispettivamente del consenso dell'avente diritto e dell'esercizio legittimo delle armi. L'adempimento di un dovereL'adempimento di un dovere è una causa di esclusione della responsabilità consequenziale alla appartenenza di un determinato soggetto a strutture operative di polizia incaricate per legge di compiere attività che potrebbero anche costituire violazione amministrativa. In questo caso, ammesso che la violazione sussista, di essa risponde il pubblico ufficiale che ha dato l'ordine, secondo quanto stabilito al comma secondo. In ogni caso, l'ordine deve essere legittimo. Cass. I, n. 9254/2000 ha stabilito che l'art. 4 della l. 689/1981 postula, in mancanza di ulteriori precisazioni normative, un rinvio al modello penalistico di cui all'art. 51 del Codice Penale, in modo che il dovere cui il soggetto risulti tenuto deve discendere da una norma giuridica o da un ordine dell'autorità. L'art. 4 della l. 689/1981 non fornisce precisazioni normative atte a meglio specificare l'operatività di tale esimente; si impone pertanto l'applicazione analogica del dettato di cui all'art. 51 del Codice Penale, a tenore del quale l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica, o da un ordine legittimo della pubblica autorità esclude la punibilità. Il dovere in adempimento del quale viene posta in essere la violazione, come abbiamo appena detto, deve scaturire, oltre che da ordine legittimo, da una norma giuridica. Quanto al dovere imposto dall'autorità, è necessario che tra il soggetto che da l'ordine e il soggetto che lo esegue sussista un rapporto di subordinazione di diritto pubblico, in quanto non esime l'adempimento di un dovere inquadrato all'interno di rapporti di diritto privato. È inoltre necessario che l'ordine sia legittimo sotto il profilo formale e sostanziale. V'è ancora da dire che il superiore che impartisce l'ordine illegittimo, se questo viene eseguito, risponde dell'infrazione in ogni caso a titolo personale a prescindere dalla posizione del subordinato, trattandosi ovviamente di una condotta illecita a tutti gli effetti. Inoltre, per poter invocare l'esclusione della responsabilità in quanto il fatto sarebbe stato commesso nell'adempimento di un dovere, l'interessato dovrà dimostrare concretamente: a) il contenuto del dovere; b) la indispensabilità della violazione ai fini dell'adempimento imposto; c) la fonte che lo aveva ordinato. Non è sufficiente il riferimento ad un generico dovere di ufficio o di funzione, ma è richiesta la stretta correlazione tra il concreto adempimento imposto e la violazione commessa. L'esercizio di una facoltà legittimaL'esercizio di una facoltà legittima è l'ipotesi meno frequente a livello di sanzioni amministrative. Questa fattispecie è caratterizzata da una posizione giuridica ampia; la legge infatti parla di facoltà, richiamando, quindi, situazioni giuridiche soggettive verosimilmente non limitate ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi, nella quale un soggetto è titolare di un diritto, evidentemente considerato di rango superiore, che gli consente di non osservare altra norma posta a tutela di un interesse pubblico, ritenuto di rango minore. La ragione giustificatrice di tale esimente risiede nella prevalenza riconosciuta dall'ordinamento all'interesse di chi agisce esercitando una facoltà legittima, rispetto agli interessi eventualmente confliggenti. La fonte normativa di tale facoltà deve essere almeno pari a quella che sancisce il divieto di agire; per questo motivo una preclusione stabilita dalla legge può essere giustificata da un esercizio di una facoltà legittima prevista da una norma almeno di pari rango. Anche la facoltà legittima, quando viene invocata come causa di esclusione della responsabilità per violazioni amministrative segue lo stesso principio della concreta correlazione tra la regola violata e la facoltà, che comprendeva il fatto materiale, come rientrante tra le disponibilità riconosciute, senza adempimenti ulteriori. Esempio tipico di queste limitazioni sono quelle relative agli obblighi di tutela ambientale che limitano le facoltà riconosciute al diritto di proprietà. Se in questa rientra sicuramente la facoltà di disfarsi della cosa di proprietà, questo è condizionato dal dover osservare le prescrizioni di tutela dell'ambiente che obbligano a seguire procedure e vie di abbandono determinate che, se violate, comportano l'applicazione di sanzioni amministrative. La difesa legittimaPer la difesa legittima e lo stato di necessità, è doveroso il richiamo ai contenuti delle omologhe scriminanti contenute negli articoli 53 e 54 del Codice Penale. Il primo caso, difesa legittima, è espressione del principio vim vi repellere licet (tratta dal Digesto giustinianeo che esprime un antico principio di diritto, noto anche come legittima difesa, che consente ad un soggetto che subisce una offesa ingiusta di difendere i propri diritti con l'uso della forza, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa). Questo principio di diritto rappresenta una causa di giustificazione, codificata dal nostro Codice Penale all'art. 52 secondo cui “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa” ovvero non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa. La legittima difesa implica un'aggressione ad un diritto e deve rappresentare un pericolo concreto ed attuale, e la reazione ad esso deve essere proporzionata alla aggressione. La struttura dell'esimente della legittima difesa è imperniata su due condotte contrapposte, di cui una aggressiva ed una difensiva. Al fine di giustificare la condotta difensiva, quella aggressiva deve essere caratterizzata da ingiustizia, nel senso che essa deve essere non facoltizzata dall'ordinamento e volta a ledere o ad esporre a pericolo un diritto altrui, oppure da esposizione ad un pericolo attuale di offesa dell'altrui diritto. Lo stato di necessitàRispetto all'ipotesi della legittima difesa, con la quale lo stato di necessità presenta forti analogie, quest'ultima esimente non consiste, come la prima, in una reazione contro l'aggressione che minaccia di offendere un altrui diritto, bensì in un'azione volta a sottrarsi al pericolo di un danno grave alla persona i cui effetti ricadono non già sull'aggressione ma su un terzo estraneo, vale a dire su una persona che non ha provocato la situazione di pericolo. Per lungo tempo, la dottrina penale ha considerato lo stato di necessità alla stregua di una causa di esclusione della colpevolezza, muovendo dal presupposto che la ratio dell'istituto dovesse essere ravvisata nell'impossibilità di esigere, da parte di chi è minacciato da una situazione di pericolo, un comportamento diverso da quello concretamente posto in essere. L'orientamento dottrinale più recente ha cercato una diversa spiegazione dell'efficacia dell'esimente, abbandonando il terreno della colpevolezza, per coltivare quello della mancanza di interesse dello Stato a salvaguardare l'uno o l'altro dei beni in conflitto nella situazione di pericolo, posto che in tale situazione uno dei due beni è destinato a soccombere. L'esimente dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d'animo dell'agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l'erroneo convincimento in capo all'imputato di trovarsi in tale stato. In particolare, con riferimento al sistema sanzionatorio amministrativo, lo stato di necessità opera come esimente a condizione che si verifichino alcuni requisiti. È necessario, anzitutto, che la condotta miri a scongiurare il pericolo di un grave danno alla persona; questo concetto può essere esteso, in armonia con quanto disposto dall'art. 2 della Costituzione, anche a quelle situazioni che minacciano solo indirettamente l'integrità fisica del soggetto, riferendosi alla sfera dei beni primari collegati alla personalità. Il pericolo rilevante ai fini dell'operatività di questa esimente, inoltre, deve essere non altrimenti evitabile, ossia deve prevedere una necessità inderogabile e cogente di provvedere alla salvaguardia mediante una condotta che è l'unica idonea a tale fine. La gravità del danno può essere misurata attraverso vari indici, tra i quali il criterio del rango del bene minacciato da pericolo (criterio qualitativo), oppure quello che riguarda il grado di esposizione al rischio (criterio quantitativo). È chiaro in ogni caso che l'accertamento di tali situazioni, per quanto ancorato ad elementi oggettivi dedotti da chi contesta la violazione all'atto dell'accertamento, è comunque esclusivo oggetto dell'autorità amministrativa o giudiziaria chiamata a decidere della legittimità della contestazione. L'esimente non potrà essere invocata sulla base di fatti sforniti di riscontri oggettivi e accertati in via presuntiva, in quanto il giudice dovrà valutare quelle specifiche circostanze di fatto che siano idonee ad integrare la situazione di necessità, non potendo basarsi soltanto sullo stato d'animo dell'agente, ma necessitando proprio di fatti concreti e riscontrabili che possano quindi giustificare la condotta illecita posta in essere. La giurisprudenza puntualizza che ove venga dedotta una determinata situazione di fatto a sostegno dell'operatività di una esimente reale o putativa, è sull'autore del fatto che «incombe l'onere di provarne la sussistenza non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio» (Cass. n. 7357/2007). L'allegazione deve avere ad oggetto elementi fattuali concreti, tali da dimostrare la sussistenza di un pericolo: 1. attuale; 2. non altrimenti evitabile; 3. tale da involgere un danno grave alla persona; 4. non riconducibile alla volontà dell'autore del fatto. L'attualità del pericolo Sul piano cronologico, l'attualità richiama il concetto di imminenza del pericolo, che è tale allorché faccia sorgere nell'autore del fatto la ragionevole opinione di trovarsi in stato di effettiva emergenza. L'imminenza del pericolo deve, in buona sostanza, precludere al soggetto la facoltà di effettuare una scelta oculata che postula un raffronto tra le varie alternative possibili in vista di una soluzione ottimale. Recente giurisprudenza amministrativa ha osservato che perché il pericolo sia imminente deve essere «circoscritto nel tempo e nello spazio» con la conseguenza che occorre escludere «tutte quelle situazioni di pericolo non contingenti caratterizzate da una sorta di cronicità essendo datate e destinate a protrarsi nel tempo» (T.A.R. Lombardia (Milano) I, n. 2701/2012). L'inevitabilità del pericolo Quanto all'inevitabilità del pericolo, lo stesso non deve lasciare all'agente altra alternativa che quella di violare la legge. In altre parole, il pericolo non altrimenti evitabile postula una necessità inderogabile e cogente, sicché la condotta formalmente illecita viene a costituire l'unica via percorribile per l'autore del fatto. Il consolidato orientamento giurisprudenziale esclude che il bisogno economico, all'alimentazione, alle cure mediche ed ai medicinali possa giustificare l'applicazione dell'art. 54 c.p. e per l'affetto l'art. 4 della l. n. 689 cit. «salvi i casi più gravi caratterizzati dalla in dilazionabilità, poiché la moderna organizzazione sociale, venendo incontro agli indigenti, agli inabili al lavoro ed ai bisognosi in genere, con modalità e mezzi diversi, elimina per costoro il pericolo di restare privi di quanto occorre per le loro cure ed il loro sostentamento» (Cass. II, n. 9940/2007). Il danno grave alla persona Il pericolo deve poi avere a oggetto un danno grave alla persona. L'orientamento prevalente ritiene che tale concetto non alluda solo alla morte o all'integrità psicofisica ma comprenda anche i diritti fondamentali della persona, tra i quali la giurisprudenza annovera anche il diritto di abitazione. La gravità può essere determinata mediante un criterio qualitativo, che tiene in considerazione il rango del bene minacciato ovvero quantitativo, che valuta l'intensità del pericolo che incombe sul bene (Cass. pen. VI, n. 27049/2008). L'involontarietà del pericolo. Essenziale è che la situazione di pericolo non deve essere causata dal soggetto agente, ma determinata da circostanze oggettive. Tale circostanza è espressa dalla formula normativa «pericolo non da lui volontariamente causato». La giurisprudenza ritiene volontariamente causato, e quindi inidoneo a giustificare l'applicazione dell'esimente in parola, il pericolo colposamente determinato. Segnatamente può ritenersi tuttora valido l'insegnamento per cui «tale eccezione comprende sia l'ipotesi che il pericolo sia stato determinato dolosamente, sia quella che sia stato causato colposamente, perché in entrambe le ipotesi la causa del pericolo è coscientemente voluta, mentre lo stato di necessità, per discriminare, deve essere determinato da cause fisiche o da cause umane estranee al soggetto che invoca a propria giustificazione lo stato di necessità» (Cass. pen. VI, n. 42928/2010). Il rapporto di proporzione tra fatto e pericolo L'ultimo requisito richiesto è il rapporto di proporzione tra fatto e pericolo. L'orientamento dominante ritiene che tale rapporto deve avere a oggetto i beni configgenti, sicché sussisterebbe proporzione se il bene minacciato risulterebbe prevalente rispetto a quello sacrificato. La valutazione andrebbe effettuata ex-ante tenendo in considerazione i rischi incombenti sui beni medesimi (ex plurimis, Cass. pen. III, n. 16056/2006). 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