Legge - 24/11/1981 - n. 689 art. 2 - Capacità di intendere e di volere.

Alessandra Petronelli

Capacità di intendere e di volere.

Non può essere assoggettato a sanzione amministrativa, chi al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i diciotto anni o non aveva, in base ai criteri indicati nel codice penale, la capacità di intendere e di volere, salvo che lo stato di incapacità non derivi da sua colpa o sia stato da lui preordinato.

Fuori dei casi previsti dall'ultima parte del precedente comma, della violazione risponde chi era tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto.

Inquadramento

L'ordine assegnato dal legislatore del 1981 ai principi generali in materia di sanzioni amministrative contempla, subito dopo il principio di legalità, quello di imputabilità. L'articolo 2 della legge 689/1981, infatti, statuisce il carattere personale della responsabilità da illecito amministrativo, stabilendo che non può essere assoggettato a sanzione amministrativa chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i diciotto anni di età o non aveva, in base ai criteri indicati nel codice penale, la capacità di intendere e di volere, salvo che lo stato di incapacità non derivi da sua colpa o sia stato da lui preordinato. Fuori dei casi previsti dall'ultima parte del precedente comma, della violazione risponde chi era tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto.

Come già anticipato, la sanzione amministrativa, a differenza della misura ripristinatoria, si rivolge direttamente ed essenzialmente verso la persona del trasgressore: le finalità di prevenzione generale e speciale che le sono proprie presuppongono, in primo luogo, che la pena colpisca colui che ha posto in essere la condotta illecita; in secondo luogo, che il soggetto agente abbia consapevolezza della condotta posta in essere: solo in tali condizioni ha senso un rimprovero con finalità di prevenzione.

Sempre per queste esigenze, la sanzione deve essere inoltre quantificata in considerazione della persona del trasgressore (art. 11, l. n. 689/1981).

L'art. 2 della l. n. 689/1981 richiama i principi di chiara ispirazione penalistica: la responsabilità per illeciti amministrativi è personale, anzi personalissima. L'art. 27 Cost. sancisce, in particolare, il principio di personalità che: a) impedisce di rispondere per fatto altrui; b) richiede la sussistenza del dolo o della colpa in capo al soggetto che realizza il fatto previsto dalla legge come reato.

Non è pertanto configurabile, salvo espressi richiami di legge (cfr. infra), una colpa in vigilando in materia di sanzioni amministrative.

L'imputabilità, intesa quale capacità di intendere e di volere, costituisce una qualità, un modo di essere dell'individuo, riferito alla sua maturità psichica e alla sua sanità mentale, che consente all'agente di rendersi conto del valore sociale dei propri atti e di autodeterminarsi, comprendendo i limiti di un'azione lecita e il disvalore di un comportamento antigiuridico.

In particolare, la nozione di capacità di intendere e di volere è un concetto mutuato dal diritto penale, e riguarda due particolari capacità: la prima, ovvero la capacità di intendere, consiste nell'attitudine del soggetto a rendersi conto della realtà circostante, a percepirla e a valutarla correttamente, quindi essere idoneo a valutare il significato e gli effetti della propria condotta, mentre la seconda, la capacità di volere, è la possibilità di autodeterminarsi scegliendo il proprio comportamento.

Tali capacità, analizzate e valutate in maniera simbiotica, rilevano l'idoneità del soggetto a rappresentarsi un evento come conseguenza diretta o immediata della propria attività, e riconoscere e valutare gli effetti della propria condotta e ad autodeterminarsi nella selezione dei molteplici motivi che esercitano nella sua coscienza una particolare spinta a compiere un'azione, oppure una inibizione per un dato comportamento.

Ambito di applicazione

L'articolo 2 della legge 689/1981 menziona espressamente entrambe le capacità, sancendo proprio la non imputabilità e quindi la non sanzionabilità né del minore degli anni diciotto, né del soggetto che, al momento in cui ha compiuto il fatto, non aveva la capacità di intendere e di volere, «salvo che lo stato di incapacità non derivi da sua colpa o sia stato da lui preordinato».

Per il maggiore di anni 18 quindi, vale la presunzione assoluta di capacità di intendere e di volere, salvo che non sia provato uno stato di incapacità incolpevole, cioè l'esistenza di una incapacità non preordinata a commettere l'illecito; per il minore di anni 18 invece vale la presunzione assoluta di incapacità.

La conseguenza è che la responsabilità dell'azione del minore ricadrà su chi è tenuto alla sorveglianza, salvo che, come vedremo tra breve, provi di non aver potuto impedire il fatto (culpa in vigilando).

In questa disposizione affiora, di nuovo, il parallelismo tra reato ed illecito amministrativo, con il richiamo proprio al Codice Penale ed alla minore età; in questo caso però a differenza degli articoli 97 e 98 del Codice Penale, viene fissato un limite rigido a 18 anni.

Il tenore letterale della norma contenuta nel primo comma lascia intendere che, al di sotto dei 18 anni di età non esiste capacità in relazione alle sanzioni amministrative: la capacità, in materia di diritto amministrativo sanzionatorio, si acquista unicamente al compimento del diciottesimo anno e coincide con la maggiore età del diritto civile.

L'imputabilità dell'autore della violazione costituisce presupposto indefettibile della responsabilità; pertanto il provvedimento di irrogazione della sanzione per violazione amministrativa emesso nei confronti di chi abbia un'età inferiore agli anni diciotto è del tutto improduttivo di effetti giuridici (Cass. I, n. 12528/1992).

Per individuare la mancanza della capacità di intendere e volere, nonché le cause che tale mancanza possono determinare, si deve ricorrere, come indicato nella stessa legge, «ai criteri indicati dal Codice penale».

Questi criteri riguardano:

la minore età: la giurisprudenza ha, a tal proposito, ripetutamente affermato che l'infradiciottenne non ha capacità di intendere e di volere e, pertanto, non può essere destinatario di responsabilità per le sanzioni amministrative.

l'infermità di mente: ossia uno stato mentale che deriva da infermità e che esclude o diminuisce la capacità di intendere o volere.

L'infermità consiste essenzialmente in una malattia, in uno stato patologico o processo morboso che riguarda la capacità di capire, ragionare, percepire il mondo esterno, avere memoria, avere capacità di discernere e valutare. Secondo la giurisprudenza, è sufficiente che l'infermità influisca o sulla capacità di intendere o sulla capacità di volere;

il sordomutismo, in quanto l'impossibilità di comunicare pienamente con i propri simili, a causa di impedimenti fisici, determina una corrispondente impossibilità di completo sviluppo psichico e di inserimento sociale.

l'ubriachezza oppure l'assunzione di stupefacenti, per la quale il codice penale distingue varie ipotesi, differenziando per esse il trattamento punitivo e l'applicazione delle eventuali misure di sicurezza accessorie.

Il difetto di capacità può essere altresì preordinato al fine di commettere un illecito o prepararsi una scusante.

La disciplina dell'imputabilità presenta, comunque, delle eccezioni, soprattutto in materia di circolazione stradale, in quanto il Codice della strada prevede possibilità di punire un minore per violazioni riguardanti i titoli di guida (possesso della patente di guida prevista per una determinata categoria di veicoli) ed il trasporto di passeggeri.

È evidente che anche i minorenni sono tenuti all'osservanza in genere delle norme di condotta imposte indifferenziatamente ai pedoni, ai ciclisti, agli utilizzatori degli spazi pubblici in cui avviene la circolazione o si svolgono attività di vita che con questa interferiscono, come ad esempio l'uscita dalla scuola oppure i giochi sui marciapiedi o nelle piazze ma, più specificamente, esistono nel Codice della strada disposizioni che presuppongono, nei loro destinatari, una età minore e per la cui cogenza, comunque, non occorre affatto l'aver maturato l'età maggiore.

Un caso tipico è previsto dalle norme del codice della strada laddove si consente che già a 14 anni si possa conseguire la patente di guida e condurre veicoli.

In questo caso, lo stesso rilascio della patente di guida al minorenne comporta il riconoscimento della capacità di intendere le regole sulle quali è stato formato e ha sostenuto un esame per verificarne l'apprendimento. Tuttavia, l'essere capace di intendere le regole non significa che lo stesso debba sopportarne patrimonialmente l'afflittività della sanzione, in quanto privo di patrimonio personale, condizione che matura al compimento del 18° anno di età; l'onere di soddisfare l'obbligo patrimoniale per la violazione commessa dal minorenne grava, pertanto, su chi esercita la potestà genitoriale, potendo – il concetto di responsabilità – essere disgiunto da quello di dover sopportare il sacrificio patrimoniale, previsto come sanzione pecuniaria (Simone, 336).

In caso di violazione amministrativa commessa dal minore degli anni 18 incapace «ex lege», di essa risponde in via diretta ai sensi dell'art. 2 della l. n. 689/1981, applicabile anche agli illeciti amministrativi previsti dal codice della strada (art. 194), colui che era tenuto alla sorveglianza dell'incapace che, pertanto, non può essere considerato estraneo alla violazione stessa. Ne consegue che, in caso di circolazione di minore alla guida di ciclomotore non rispondente alle prescrizioni indicate nel certificato di idoneità tecnica, ben può essere ordinata la confisca del ciclomotore di proprietà del genitore in relazione alla violazione dell'art. 97, sesto comma, C.d.S., che esclude detta misura qualora il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione amministrativa (Cass. I, n. 7268/2000).

Altra differenza rispetto alle disposizioni penali riguarda l'irrilevanza del vizio parziale di mente, che può esser preso in considerazione ai fini della quantificazione della sanzione, nonché l'irrilevanza dell'assunzione colposa, dolosa o preordinata di sostanze alcoliche o stupefacenti, mentre rileva l'assunzione involontaria.

Vero elemento caratterizzante la sanzione, e l'intero sistema sanzionatorio, è quindi il principio di personalità della sanzione: tale principio, conformemente al parallelo sistema penalistico, esprime la necessaria riferibilità della sanzione alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione, evidenziando proprio la natura afflittiva ed intimidatoria della sanzione pecuniaria.

Il principio di personalità presuppone anche che, qualora la violazione sia stata commessa in concorso da più soggetti, la pena prevista sia irrogata a ciascuno di essi: proprio perché la sanzione non mira alla riparazione materiale, ma consiste in una «pena», non trova applicazione la regola civilistica sul risarcimento del danno secondo la quale, quando più persone siano responsabili del danno, tutte sono obbligate in solido al risarcimento (art. 2055 c.c.); vale piuttosto la diversa regola per cui ciascuno dei concorrenti soggiace alla sanzione prevista per la violazione (art. 5, l. n. 689/1981).

Coerentemente con il principio di personalità, nel caso di morte del trasgressore è esclusa la trasmissibilità agli eredi dell'obbligazione di pagare la somma dovuta a titolo di sanzione (art. 7, l. n. 689/1981): altrimenti, sarebbero punite persone (gli eredi) estranee alla violazione.

La responsabilità per culpa in vigilando e in educando (art. 2, comma 2)

La disposizione in questione, dopo aver stabilito al primo comma che i minori di anni diciotto e i soggetti incapaci di intendere e di volere non sono imputabili, stabilisce al secondo comma la responsabilità di chi era tenuto alla sorveglianza dell'incapace.

È questa una responsabilità autonoma, incisa dall'interferenza di un principio civilistico, «salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto».

Questo principio richiama quindi la responsabilità genitoriale, la cosiddetta culpa in vigilando e in educando.

La responsabilità per il fatto dell'incapace è attribuita al soggetto che per una situazione di fatto o per contratto è tenuto a sorvegliarlo: trattasi, dunque, di una responsabilità per fatto proprio, poiché si sanziona il fatto di non aver tenuto un comportamento idoneo ad impedire il fatto dannoso.

In mancanza di una difforme indicazione normativa, la prova di non aver potuto impedire il fatto commesso dall'incapace deve essere valutata ai sensi dell'articolo 2047 del Codice Civile secondo cui «in caso di sanno cagionato da persona incapace di intendere e di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto».

La prova liberatoria di “non aver potuto impedire il fatto” richiesta dall'articolo 2 della legge 689/1981 (e dal citato art. 2047 c.c.), si concreta, per i genitori, nella dimostrazione di aver impartito al figlio un'educazione adeguata alle sue condizioni familiari e sociali e di aver esercitato su di lui la vigilanza necessaria in relazione all'età, alla personalità, alla capacità di discernimento ed all'educazione impartita.

In particolare, il dovere di educazione ed il dovere di vigilanza coesistono integrandosi e bilanciandosi, così che un'educazione proficua ed efficace comporta una minor vigilanza, mentre tanto maggiore ed intensa deve essere la vigilanza quanto più scarsa ed inadeguata sia stata l'educazione fornita (Cass. I, n. 6302/1996).

Riprendendo il tema delle violazioni stradali, la disposizione comporta principalmente l'impossibilità di contestare al minore trasgressore la violazione e la conseguente impossibilità di consegna del relativo verbale, dovendo l'intera procedura essere attivata nei confronti del soggetto maggiorenne tenuto alla sorveglianza (nell'ipotesi del minore, il genitore).

Declinazioni del principio della personalità della responsabilità

Come anticipato, per poter rispondere agli scopi di prevenzione generale e speciale, la sanzione deve essere anche graduata – all'interno dei limiti edittali fissati dal legislatore – in modo da non risultare né eccessivamente elevata, né eccessivamente modesta per il trasgressore: in entrambe queste ipotesi, infatti, la sanzione non avrebbe alcun effetto nello scongiurare la reiterazione del comportamento vietato da parte del medesimo trasgressore e degli altri consociati.

Dalla formulazione dei criteri di quantificazione appare perciò chiara l'intenzione del legislatore di dare all'elemento personale dell'illecito, anche nel momento della determinazione del quantum della sanzione, un'importanza preponderante rispetto ad ogni altro tipo di valutazione: è così previsto all'art. 11, l. n. 689/1981 che si debba tener conto non solo della gravità della violazione, ma anche dell'eventuale opera svolta dall'agente per l'eliminazione o l'attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché della personalità dello stesso e delle sue condizione economiche.

Come vedremo, nell'ottica del principio della personalità va letto pure l'art. 28, l. n. 689/1981, il quale stabilisce che l'illecito si prescrive in cinque anni dalla commissione, a meno che l'amministrazione non interrompa la prescrizione (notificando il verbale di accertamento o l'ordinanza ingiunzione): infatti, laddove non fosse prevista una prescrizione, l'illecito sarebbe punibile anche a distanza di molto tempo, quando ormai lo scopo di prevenzione della sanzione – anche nella coscienza sociale – non sarebbe più percepibile.

Non a caso il decorso del tempo non preclude l'applicazione delle misure ripristinatorie, che non hanno finalità di prevenzione.

Il principio di personalità assume anche un ulteriore significato. Dal complesso della disposizione appena esaminata e di quelle trattate nel prosieguo (in particolare gli artt. 2, e – come si vedrà – gli artt. 3 e 7, l. n. 689/1981) la giurisprudenza ha desunto che autore dell'illecito amministrativo può essere esclusivamente la persona fisica, con esclusione delle società o enti in genere (incapaci di per sé di porre in essere una condotta cosciente e volontaria), mentre la circostanza che tale persona fisica abbia agito come organo o rappresentante di una persona giuridica assume rilievo solo al diverso fine della responsabilità solidale di quest'ultima: nel sistema delineato dalla l. n. 689/1981 il carattere della personalità comporta che la sanzione può colpire solo una persona fisica.

Ciò non esclude, tuttavia, che sistemi sanzionatori speciali (si pensi alla l. n. 287/1990 in tema di tutela della concorrenza e del mercato) possano prevedere la sanzionabilità diretta delle persone giuridiche, anche perché una simile esclusione non ha per le sanzioni amministrative un fondamento costituzionale. Inoltre, il d.lgs. n. 231/2001, ha introdotto una specifica disciplina della responsabilità amministrativa degli enti (dotati o meno di personalità giuridica) nei casi di reati commessi da persone fisiche a vantaggio o nell'interesse degli enti medesimi.

Bibliografia

Bartolini, Il codice delle violazioni amministrative, Piacenza, 2005; Benvenuti, Sul concetto di sanzione, in, Scritti giuridici, II, Vita e Pensiero, Milano, 2006; Casetta, Sanzione amministrativa, in Dig. disc. pubbl., XIII, Torino, 1997; Cerbo, Le sanzioni amministrative, Milano, 1999; Tarello, L'interpretazione della legge, in Tratt. Cicu, Messineo, Mengoni, Milano, 1980; Simone, Il Diritto della circolazione stradale, Roma, 2018; Traina, La riforma del sistema sanzionatorio amministrativo, in Dir. proc. Amm., 2001; Bellè, Il sistema sanzionatorio amministrativo del codice della strada, Padova, 2001; Gennai, Traversi, La responsabilità degli enti, Milano, 2001.

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