Decreto legislativo - 30/07/1999 - n. 286 art. 4 - Controllo di gestione.Controllo di gestione. 1. Ai fini del controllo di gestione, ciascuna amministrazione pubblica definisce: a) l'unità o le unità responsabili della progettazione e della gestione del controllo di gestione; b) le unità organizzative a livello delle quali si intende misurare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa; c) le procedure di determinazione degli obiettivi gestionali e dei soggetti responsabili; d) l'insieme dei prodotti e delle finalità dell'azione amministrativa, con riferimento all'intera amministrazione o a singole unità organizzative; e) le modalità di rilevazione e ripartizione dei costi tra le unità organizzative e di individuazione degli obiettivi per cui i costi sono sostenuti; f) gli indicatori specifici per misurare efficacia, efficienza ed economicità; g) la frequenza di rilevazione delle informazioni. 2. Nelle amministrazioni dello Stato, il sistema dei controlli di gestione supporta la funzione dirigenziale di cui all'articolo 16, comma 1, del decreto n. 29. Le amministrazioni medesime stabiliscono le modalità operative per l'attuazione del controllo di gestione entro tre mesi dall'entrata in vigore del presente decreto, dandone comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, con propria direttiva, periodicamente aggiornabile, stabilisce in maniera tendenzialmente omogenea i requisiti minimi cui deve ottemperare il sistema dei controlli di gestione. 3. Nelle amministrazioni regionali, la legge quadro di contabilità contribuisce a delineare l'insieme degli strumenti operativi per le attività di pianificazione e controllo. InquadramentoIl controllo di gestione è funzionale alla verifica, da parte dell'Amministrazione, dell'efficacia, dell'efficienza e dell'economicità della propria azione, al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati. Questa tipologia di controllo mira quindi ad esaltare i fondamentali princìpi dell'azione pubblica, proiettandoli in un'ottica aziendalistica. Non vi è dubbio, infatti, che il controllo di gestione rappresenti una forma di attuazione dei principi di buon andamento e di imparzialità dell'azione amministrativa (enunciati dall'art. 97, comma 2, Cost.), per come poi declinati dall'art. 1 della l. n. 241/1990 attraverso i correlati princìpi di efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa. Quel che maggiormente caratterizza questa forma di controllo, però, è il desiderio del Legislatore di canalizzare l'azione delle Amministrazioni verso l'ottimizzazione del rapporto tra costi e risultati, anche attraverso tempestivi interventi di correzione. Si tratta di due aspetti che meritano qui un apposito approfondimento. Per quanto attiene all'ottimizzazione del rapporto tra costi e risultati, si rileva che il controllo di gestione delinea un nuovo volto della Pubblica Amministrazione, responsabile non solo della legittimità del proprio operato, ma anche del risultato raggiunto. A tali fini, il Legislatore ha previsto che il controllo in parola venga svolto da strutture che rispondono ai dirigenti posti al vertice dell'unità organizzativa interessata. Con riguardo alle amministrazioni dello Stato, poi, si prevede che sia il Presidente del Consiglio dei Ministri a determinare in maniera «tendenzialmente omogenea i requisiti minimi cui deve ottemperare il sistema dei controlli di gestione» (art. 4, comma 2, ultimo alinea). Attraverso questo sistema viene garantita la disponibilità di un insieme minimo di informazioni omogenee, condizione indispensabile per consentire il raggiungimento degli obiettivi fissati dalle direttive annuali dei ministri e, conseguentemente, di quelli complessivi dell'azione di Governo; al contempo, si forniscono al controllato importanti suggerimenti metodologici, funzionali ad assicurare l'efficacia, l'efficienza e l'economicità dell'intera azione amministrativa. In questa prospettiva, l'espressione «controllo di gestione» si rivela una possibile traduzione italiana del termine inglese management control. Sicché, se è vero che la parola control assume tradizionalmente il significato di «guida» (e non quello di ispezione o di verifica formale), affiancare al concetto di control il termine management implica chiaramente che il controllo in esame costituisce un controllo di natura manageriale, cioè che ha avuto origine, applicazione e sviluppo in contesti progettati, organizzati e gestiti secondo una mentalità e con l'ausilio di strumenti di tipo manageriale e, quindi, nelle aziende. Nel suo insieme, peraltro, l'espressione management control è utile a ricordare che il controllo di gestione deve essere sempre a supporto dell'attività del management, cioè al suo servizio. A tal fine, quindi, il sistema di controllo di gestione deve mettere a disposizione della dirigenza le informazioni necessarie per guidare il proprio comportamento, vale a dire per aiutarla ad assumere decisioni che permettano il conseguimento di obiettivi precedentemente individuati, attraverso l'impiego efficiente delle risorse disponibili. In quest'ottica, il controllo di gestione viene concepito come uno strumento di «ausilio» (e non di contrasto) alla dirigenza, in quanto ne supporta e ne facilita il lavoro, fornendo informazioni utili anche a valutarla (R. Mussari, 340). In merito all'adozione dei «tempestivi interventi di correzione» auspicati dal Legislatore, si rileva che attraverso il monitoraggio dei costi, dei rendimenti e dell'attività svolta dalla P.A., tale tipo di controllo è in grado di incidere sullo svolgersi stesso dell'azione amministrativa, reindirizzando l'azione della Pubblica Amministrazione con appositi interventi correttivi, in modo da ottimizzare il rapporto costi–risultati. Così come nelle realtà aziendali, quindi, il controllo di gestione è teso a guidare l'azione pubblica verso il conseguimento degli obiettivi pianificati, fornendo ausilio alla P.A. e prevenendo o eliminando il rischio che la sua attività degradi verso stadi patologici, poi forieri di eventuale sanzione. Il controllo in esame risulta perciò diretto a stimolare processi di «autocorrezione», sul piano dell'organizzazione amministrativa e dell'attività gestionale. In definitiva, la ratio ad esso sottesa è quella non di esprimere un giudizio di disvalore nei confronti dell'agere amministrativo, ma di conformare l'azione futura, sterilizzando errori e disfunzioni. Le fasi del ciclo di pianificazione e controlloUna volta che la P.A. abbia predisposto, da un lato, l'unità o le unità responsabili del controllo di gestione (art. 4, comma 1 lett. a)) e, dall'altro, le unità organizzative sottoposte a controllo al fine di misurare l'efficacia, l'efficienza e l'economicità dell'azione amministrativa (art. 4, comma 1 lett. b)), nonché le modalità di rilevazione e ripartizione dei costi tra le unità organizzative, gli obiettivi, i destinatari delle informazioni e la frequenza delle rilevazioni (art. 4, comma 1, lett. e)), il controllo di gestione si svolge secondo un procedimento articolato nei seguenti termini. In primo luogo vi è una fase di pianificazione (art. 4, comma 1, lett. c)): in particolare, per ogni unità organizzativa vengono assegnati degli obiettivi da raggiungere e un piano per raggiungerli, secondo una sequenza logica di azioni che dovrebbero condurre ai risultati anelati. Segue una fase di verifica dei risultati raggiunti e, poi, un'analisi degli scostamenti tra gli obiettivi prefissati e i risultati non conseguiti. Infine, il ciclo del controllo di gestione si chiude con gli interventi correttivi tesi ad allineare l'azione delle unità organizzative rispetto agli obiettivi. Queste fasi che caratterizzano il controllo di gestione si svolgono seguendo le linee predisposte dall'art. 4 del d.lgs. n. 286/1999, che determinano i parametri su cui si effettua il controllo e permettono di misurare l'efficacia, l'efficienza e l'economicità dell'azione amministrativa. Emerge così la natura collaborativa del controllo di gestione, che diviene un controllo in itinere, in controtendenza rispetto a quanto avveniva in passato, quando si propendeva per un controllo di tipo preventivo-repressivo. Tale carattere collaborativo del controllo è funzionale anche ai controlli esterni della Corte dei Conti: al riguardo, l'art. 3, comma 8, della l. n. 20/1994, prevede che «la Corte dei conti può richiedere alle amministrazioni pubbliche ed agli organi di controllo interno qualsiasi atto o notizia», così chiarendo che le due forme di controllo (interni ed esterni) sono strettamente interdipendenti. Il controllo di gestione nel concreto Dal punto di vista pratico, al fine di ottenere la misurazione delle prestazioni della P.A., gli organi deputati al controllo effettuano sistematicamente e periodicamente un'attività ricognitiva di alcuni indicatori, che vengono trasmessi dal soggetto controllato attraverso un'attività reportistica. Tale tipo di attività è svolta sia a livello dell'Amministrazione centrale, sia a livello delle sue diramazioni territoriali. Dal punto di vista contenutistico, i reports predisposti contengono un quadro dei dati che rappresentano la quantità delle risorse cui l'ufficio ha accesso e la dimensione delle attività cui l'ufficio contribuisce direttamente e indirettamente: ciò è necessario al fine di contestualizzare l'ambito in cui l'attività amministrativa si svolge. I reports, poi, mettono in relazione tra loro le risorse di cui dispone l'ufficio con le attività da esso svolte. Nondimeno, viene data evidenza anche di eventuali eventi straordinari che abbiano inciso sull'andamento della gestione. Considerato il preminente interesse per i risultati della gestione, assumono importanza gli indicatori di cui all'art. 4, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 286/1999. Nello specifico, l'indicatore dell'efficacia serve a misurare se la struttura amministrativa è in grado di far fronte alle richieste di servizi provenienti dall'utenza. Esso misura se l'ufficio controllato è in grado di evadere le pratiche pervenute e quindi di gestire il flusso di lavoro corrente. A seconda dell'esito, l'ufficio potrà risultare in pari o meno con il carico corrente di prestazioni richieste dal pubblico oppure potrà risultare in grado anche di smaltire l'eventuale arretrato esistente, e quindi avere un punteggio superiore. Attraverso l'indicatore in esame si percepisce se l'organizzazione interna del lavoro e la sua distribuzione tra i vari dipendenti sia efficiente e se sia opportuno o meno porre in essere una specializzazione del lavoro dei vari dipendenti, al fine di migliorare le tempistiche e l'efficacia della prestazione lavorativa. L'indicatore dell'efficienza, invece, parametra il tempo che impiega la Pubblica Amministrazione per conseguire il risultato, come ad esempio il tempo utilizzato per emanare un provvedimento amministrativo (da intendersi quest'ultimo come «prodotto»). Tale indicatore serve ad evidenziare il dato numerico dei dipendenti necessari per far funzionare la macchina amministrativa. Sicché, per una porzione temporale presa in considerazione occorre verificare quante ore ha lavorato il singolo dipendente: ciò al fine di apprezzare il contributo allo svolgimento delle attività apportato in media da ogni singola unità di risorsa umana. Le banche dati rilevatrici delle presenze dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche forniscono il dato da cui partire, che viene relazionato con i prodotti realizzati. «L'indicatore in oggetto consente, pertanto, di esaminare come è suddiviso il carico di lavoro tra i vari dipendenti e quanto tempo occorre per realizzare ciascun prodotto. Per ridurre l'indicatore di produttività, ossia fare in modo che le ore occorrenti per unità di prodotto diminuiscano, il vertice amministrativo deve lavorare su due elementi: 1) la distribuzione del personale e 2) il procedimento amministrativo sotteso alla formazione del prodotto preso in esame» (Baldini, 12). L'altro indicatore, teso a consentire alle Pubbliche Amministrazioni un uso ragionevole e razionale delle risorse pubbliche, è quello della economicità, che tende a far sì che vi sia un utilizzo oculato dei mezzi economici, in una prospettiva di più ampio respiro, tendente all'equilibrio economico, finanziario e di bilancio. Tale indicatore serve a misurare il costo dell'attività amministrativa, il cui risultato finale può essere un provvedimento amministrativo e/o la produzione di beni o servizi alla comunità. Il costo non è dato solo dalle «voci di costo» del personale impiegato nella Pubblica Amministrazione, ma anche dal costo del funzionamento della struttura burocratica, quali, ad esempio: i costi relativi all'immobile dove si svolge l'attività amministrativa (canone locatizio o prezzo di acquisto), i costi per le pulizie, per il riscaldamento, per l'illuminazione, per l'aggiornamento del sistema informatico, ecc. Il costo del singolo dipendente deriverà dal costo stipendiale dello stesso e dalla parte relativa ai costi di funzionamento della struttura (diviso per il numero totale dei dipendenti). Al fine di calcolare il costo di ogni ora lavorata, il costo del dipendente andrà poi suddiviso per il numero di ore lavorate da ciascun dipendente; moltiplicando il costo di ogni ora lavorata per il numero di ore impiegate per il «prodotto» amministrativo, si avrà il costo di quest'ultimo. Il rapporto tra il costo del prodotto e il bene finale «prodotto» dalla Pubblica Amministrazione permette infine di valutare l'indice di economicità. Questioni applicative1) Quali sono i caratteri del controllo di gestione negli Enti Locali? L'innovazione dispiegata dal d.lgs. n. 286/1999, che ha segnato il rafforzamento dei poteri di controllo interno all'ente pubblico, a fronte della progressiva riduzione dei controlli esterni, ha influenzato anche i controlli interni in ambito locale. Ciò è avvenuto prima del definitivo declino dei controlli preventivi di legittimità sugli atti degli enti locali, che si è avuto con la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione per mezzo della Legge costituzionale n. 3 del 2001. Con riferimento al controllo di gestione negli enti locali, l'art. 196 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL) ne definisce i caratteri sulla falsariga di quanto previsto per il controllo di gestione statale (comma 1), chiarendo successivamente che «il controllo di gestione è la procedura diretta a verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmanti e, attraverso l'analisi delle risorse acquisite e della comparazione tra i costi e la quantità e qualità dei servizi offerti, la funzionalità dell'organizzazione dell'ente, l'efficacia, l'efficienza ed il livello di economicità nell'attività di realizzazione dei predetti obiettivi» (comma 2). A livello locale, quindi, il controllo di gestione mantiene la finalità volta alla verifica dello stato di attuazione degli obiettivi programmati, consentendo la valutazione dell'efficienza, dell'efficacia e dell'economicità dell'azione in corso. In caso di scostamenti rispetto ai risultati attesi, il controllo di gestione permetterà, in itinere rispetto allo svolgimento dell'attività amministrativa, l'individuazione delle cause e la realizzazione delle azioni correttive ritenute opportune. Pure nel controllo di gestione degli Enti Locali la misurazione dei risultati, la verifica degli scostamenti rispetto alle previsioni e l'introduzione di azioni correttive hanno carattere ciclico (anche se spesso a carattere semestrale o annuale, con conseguente vanificazione – per certi versi – della capacità di autocorrezione della Pubblica Amministrazione) ed avvengono attraverso una serie di reports illustrativi dei dati significativi a tal fine. Tuttavia il TUEL, nel prevedere l'obbligo degli enti locali di effettuare il controllo di gestione, lascia la scelta delle modalità concrete di tale tipo di controllo all'autonomia degli enti stessi, esercitabile attraverso il regolamento di contabilità. Le modalità di esercizio del controllo di gestione sono disciplinate negli statuti, nei regolamenti di contabilità di ciascun Ente locale e nell'art. 197 del TUEL, nel quale è previsto che il controllo di gestione ha per oggetto l'intera attività amministrativa e gestionale delle province, dei comuni, delle comunità montane, delle unioni dei comuni e delle città metropolitane ed è svolto con la cadenza periodica definita dal regolamento di contabilità dell'Ente. Le fasi del controllo di gestione sono almeno tre: 1) la predisposizione di un piano dettagliato di obiettivi; 2) la rilevazione dei dati relativi ai costi ed ai proventi, nonché la rilevazione dei risultati raggiunti tramite il controllo di gestione; 3) la valutazione dei risultati raggiunti rispetto agli obiettivi e la rilevazione degli stessi in termini di efficacia, efficienza ed economicità tramite il controllo di gestione. Il controllo di gestione è svolto in riferimento ai singoli servizi e centri di costo, ove previsti, verificando, in maniera complessiva e per ciascun servizio, i mezzi finanziari acquisiti, i costi dei singoli fattori produttivi, i risultati qualitativi e quantitativi ottenuti, nonché, per i servizi a carattere produttivo, i ricavi. La verifica dell'efficacia, dell'efficienza e dell'economicità dell'azione amministrativa è svolta rapportando le risorse acquisite ed i costi dei servizi, ove possibile per unità di prodotto, ai dati risultanti dal rapporto annuale sui parametri gestionali dei servizi degli enti locali di cui all'art. 228, comma 7, del TUEL. La Corte dei Conti, Sez. Reg. di controllo per l'Emilia Romagna, nella delib. n. 83/2021/VSGC, evidenzia come il controllo di gestione non può prescindere dall'impiego di strumenti tecnico-contabili quali: 1) il budget, che negli enti locali può essere rappresentato dal PEG, ex art. 169 del TUEL, dove alla definizione degli obiettivi, programmi e direttive è collegata la quantificazione e l'assegnazione delle risorse ai responsabili di servizio; 2) la contabilità analitica ex art. 197, comma 3, del TUEL, che costituisce un sistema di contabilità economica diretto alla determinazione dei costi e dei proventi dei singoli servizi; 3) l'analisi di bilancio, con gli indicatori di efficacia, efficienza ed economicità; 4) il benchmarking, tecnica di management basata sul confronto, con riferimento agli enti locali, delle modalità di erogazione dei servizi pubblici e finalizzata a promuovere continui miglioramenti; 5) il reporting (cfr. C. conti, sez. Autonomie, delib. n. 28/SEZAUT/2014/INPR). Le conclusioni dell'attività di controllo di gestione devono essere rappresentate nell'apposito referto di cui all'art. 198 del TUEL, stilato a cura della struttura operativa alla quale è assegnata tale funzione, e sottoposto agli amministratori ai fini della verifica dello stato di attuazione degli obiettivi programmati, ai responsabili dei servizi, affinché questi ultimi abbiano gli elementi necessari per valutare l'andamento della gestione dei servizi di cui sono responsabili, nonché alla Corte dei Conti (ai sensi dell'art. 198- bisdel TUEL, introdotto dall'art. 1, comma 5, della l. n. 191 del 2004). Delineato il quadro normativo di riferimento, occorre sottolineare come i livelli effettivi di attivazione del controllo di gestione siano nella prassi rimessi all'Ente locale. Il margine di autonomia degli Enti Locali nell'effettuare il controllo di gestione ha determinato inevitabilmente modelli attuativi eterogenei che, in uno con la scarsa disponibilità di risorse umane e strumentali, la mancanza di obiettivi specifici di settore, la carenza di un sistema informatico e di contabilità economica di tipo analitico per servizi, rendono alle volte scarsamente affidabile l'esercizio del controllo interno. 2) Quale valenza assume la trasfusione di principi aziendalistici in ambito amministrativo? Attraverso il controllo di gestione l'art. 4 del d.lgs. n. 286/1999 mira ad orientare l'agire delle Amministrazioni Pubbliche verso la produzione di risultati misurabili e valutabili, attuando una prima convergenza dei processi e dei comportamenti gestionali nella direzione delle logiche manageriali fondate su sistemi di pianificazione, programmazione e controllo dei risultati. Si tenta così di effettuare una trasformazione dell'amministrazione, che agisce non più per atti ma per risultati. Tuttavia, è opportuno assegnare la giusta valenza alla trasfusione di principi aziendalistici in ambito amministrativo. Occorre infatti rammentare che la logica sottesa al funzionamento dell'»azienda» pubblica è differente rispetto a quella dell'azienda privata. Mentre l'attività di quest'ultima è tesa ad ottenere un lucro, attraverso il superamento dei costi da parte dei ricavi previa reintegrazione delle risorse utilizzate e del capitale, l'attività dell'azienda pubblica è tesa ad un equilibrio tra costi e ricavi non per ottenere un lucro, bensì per reintegrare le risorse produttive utilizzate per l'erogazione dei servizi. L'Amministrazione Pubblica deve, pertanto, essere attenta a pianificare e programmare la propria azione, al fine di utilizzare al meglio le risorse, ottenere risparmi di spesa ed eliminare gli sprechi; i proventi, però, continueranno a derivare dall'attività impositiva, potere quest'ultimo proprio dell'entità statale. BibliografiaBaldini, Il controllo interno di gestione nella pubblica amministrazione italiana, in www.federalismi.it, 2021, n. 10, 14; Mussari, Manuale operativo per il Controllo di Gestione, analisi e strumenti per l'innovazione, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Ufficio per l'innovazione delle pubbliche amministrazioni, 340. |