Decreto del Presidente della Repubblica - 24/11/1971 - n. 1199 art. 5 - Decisione.

Olga Toriello

Decisione.

Art. 5

L'organo decidente, se riconosce che il ricorso non poteva essere proposto, lo dichiara inammissibile. Se ravvisa una irregolarità sanabile, assegna al ricorrente un termine per la regolarizzazione e, se questi non vi provvede, dichiara il ricorso improcedibile. Se riconosce infondato il ricorso, lo respinge. Se lo accoglie per incompetenza, annulla l'atto e rimette l'affare all'organo competente. Se lo accoglie per altri motivi di legittimità o per motivi di merito, annulla o riforma l'atto salvo, ove occorra, il rinvio dell'affare all'organo che lo ha emanato.

La decisione deve essere motivata e deve essere emessa e comunicata all'organo o all'ente che ha emanato l'atto impugnato, al ricorrente e agli altri interessati, ai quali sia stato comunicato il ricorso, in via amministrativa o mediante notificazione o mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Inquadramento

Il contenuto della decisione del ricorso gerarchico può essere di rito o di merito.

Le decisioni di rito sono quelle che dichiarano l'inammissibilità o l'improcedibilità del ricorso (quest'ultima, in caso di mancata regolarizzazione del ricorso nel termine fissato dall'autorità amministrativa).

Le decisioni di merito, invece, possono essere di rigetto oppure di accoglimento del ricorso; l'accoglimento, a sua volta, può comportare l'annullamento o la riforma del provvedimento impugnato. Sul punto va segnalato che, pur non trovando diretta applicazione per il ricorso gerarchico il principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c., sono comunque applicabili, secondo la giurisprudenza, regole analoghe, in considerazione della funzione giustiziale, comunque assolta dai ricorsi indirizzati alle autorità amministrative. Questi, infatti, introducono procedimenti di secondo grado che hanno per oggetto un provvedimento già emesso, sul quale gli interessati possono attivare una nuova valutazione della stessa autorità emanante o dell'organo sovraordinato ad essa, senza che la relativa pronuncia possa intendersi sostitutiva del rimedio giurisdizionale o limitativa dello stesso. I poteri da esercitare in sede di decisione di ricorso gerarchico vanno ricondotti all'esame delle sole questioni proposte dal ricorrente: esame in esito al quale, ove le misure adottate non risultino per lo stesso satisfattive, deve restare possibile il vaglio giurisdizionale in rapporto al provvedimento originario (Cons. St. VI, n. 4150/2012).

Secondo alcuni Autori le decisioni di riforma sarebbero ipotizzabili solo nel caso di ricorsi gerarchici per motivi di merito. E tuttavia, in realtà, la legge non definisce i limiti del potere di riforma dell'atto nel caso di ricorsi gerarchici: l'art. 5 fissa un criterio solo nell'ipotesi di annullamento per incompetenza, stabilendo che in tal caso l'autorità che ha emesso la decisione di annullamento è tenuta a restituire gli atti all'autorità ritenuta competente.

In generale, si ritiene che una decisione di riforma, espressione di un carattere rinnovatorio del ricorso gerarchico, sia ammessa in presenza di due condizioni: che ci sia una precisa richiesta da parte del ricorrente (altrimenti l'autorità adita incorrerebbe nel vizio di ultrapetizione ed eserciterebbe impropriamente poteri di amministrazione attiva) e che l'autorità adita abbia il potere di provvedere sulla pratica (questa condizione è fisiologica nel ricorso gerarchico proprio; è invece eccezionale nel ricorso gerarchico improprio).

Per quanto riguarda la decisione di rigetto, l'organo gerarchicamente sovraordinato può, nel rigettare il ricorso, anche integrare la motivazione del provvedimento impugnato e, quindi, confermarne il contenuto sulla base di un percorso argomentativo in parte differente rispetto a quello posto alla base dell'atto originario. Ciò, in quanto l'organo che decide il ricorso gerarchico è titolare della medesima competenza dell'organo gerarchicamente subordinato e, nell'esercizio della stessa, ha anche titolo a rivalutare interamente la fattispecie concreta (T.A.R. Calabria, Catanzaro I, 26 aprile 2021, n. 883; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna I, 8 giugno 2015).

La decisione di accoglimento del ricorso amministrativo, al pari di quella giurisdizionale, ha portata erga omnes ove produca la caducazione di atti inscindibili e, nel caso di annullamento con rinvio, presenta carattere preclusivo e conformativo. Ciò comporta che l'autorità di primo grado, nell'adottare il nuovo provvedimento, non solo deve evitare di incorrere negli stessi vizi per cui l'atto è stato annullato ma deve anche attenersi alle indicazioni contenute nella decisione.

Nonostante l'indiscusso carattere vincolante della decisione nei confronti dell'Amministrazione di primo grado, il rimedio dell'ottemperanza è comunque precluso: la decisione, infatti, è pur sempre un atto amministrativo e non una pronuncia giurisdizionale, pertanto insuscettibile di passare in giudicato (presupposto necessario per l'ottemperanza). L'unico rimedio azionabile, allora, è costituito dalla sola impugnazione dell'atto irrispettoso della decisione (o del silenzio) davanti al Giudice Amministrativo, in quanto atto ex se inficiato dal vizio di eccesso di potere per violazione di un provvedimento vincolante. Solo dopo la sentenza di annullamento di detto atto sarà possibile ricorrere al rimedio dell'ottemperanza.

La motivazione del provvedimento che definisce il ricorso gerarchico.

La decisione del ricorso gerarchico deve essere adeguatamente motivata: l'obbligo di motivazione, specificamente statuito per le decisioni su ricorso gerarchico dall'art. 5 d.P.R. n. 1199/1971, è da ritenersi soddisfatto tutte le volte in cui l'atto dia sufficienti indicazioni dell'iter logico seguito dall'autorità nell'adottare il provvedimento (T.A.R. Lombardia, Milano II, 13 maggio 2020, n. 806; T.A.R. Catania 903/1987, sul divieto si esulare dai motivi di ricorso, a meno che non eserciti contestualmente un autonomo potere ufficioso di vigilanza o controllo). Ne deriva che l'autorità, che decide sul ricorso gerarchico, non ha l'obbligo di confutare in modo analitico le censure sottoposte, potendo limitarsi a rappresentare sinteticamente le ragioni in base alle quali le stesse sono da ritenersi infondate (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Trieste I, 6 febbraio 2017, n. 37).

La motivazione del provvedimento impugnato, inoltre, può essere integrata anche dall'organo decidente che, quindi, può «confermare il contenuto anche sulla base di un percorso argomentativo in parte differente rispetto a quello posto alla base del provvedimento originario; l'organo che decide il ricorso gerarchico è titolare, infatti, della stessa competenza dell'organo gerarchicamente subordinato che ha adottato l'atto impugnato e può, pertanto, nell'esercizio di quella competenza, anche rivalutare interamente la fattispecie concreta» (T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 31 gennaio 2022, n.135;  T.A.R. Calabria, Catanzaro I, 26 aprile 2021, n. 883; T.A.R. Sicilia, Catania I, 10 settembre 2019, n. 2124).

Il sindacato dell'autorità sovraordinata.

Il sindacato dell'autorità superiore investita del ricorso gerarchico è il medesimo esercitato dall'organo in prima istanza: ne deriva che l'autorità investita del ricorso medesimo ha il potere-dovere di riesaminare nella sua interezza la fattispecie sottopostale, senza limitarsi ai profili di legittimità ma entrando anche nel merito, tanto che la sua decisione si correla al provvedimento di base impugnato come un accertamento della sua validità sia sul piano della legittimità sia del merito (T.A.R. Campania, Napoli VIII, 21 aprile 2021, n. 2542; C.G.A. Sicilia 31 luglio 2017, n. 369). Per le medesime ragioni, l'autorità sovraordinata può conoscere della decisione dell'organo sottordinato anche in materia di discrezionalità tecnica «e, ove dissenta dalla commissione che ha emanato l'atto impugnato, può rinviare a quest'ultima l'affare» (Cons. St. II, parere n. 2383/2014, con riferimento al ricorso gerarchico avverso il giudizio sanitario espresso dalle Commissioni Mediche Ospedaliere spiccato innanzi al Ministero della Salute in materia di indennizzi a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati).

L'obbligo di comunicazione della decisione del ricorso.

L'art. 5 pone in capo all'Amministrazione procedente uno specifico obbligo di comunicazione all'organo o all'ente che ha emanato l'atto impugnato, al ricorrente e agli altri interessati ai quali sia stato comunicato il ricorso, in via amministrativa, ovvero mediante notificazione o lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che «È illegittima la decisione gerarchica che non sia stata comunicata al controinteressato nelle forme stabilite dall'art. 5 d.P.R. n. 1199/1971» (Cons. St. II, n. 1331/1990). I termini di comunicazione, in ogni caso, non sono perentori: ne deriva che la decisione di accoglimento di un ricorso gerarchico è valida anche se comunicata dopo la scadenza del termine di 90 giorni (T.A.R. Toscana, Firenze, 3 aprile1982, n. 126).

L'impugnazione della decisione sul ricorso gerarchico.

La decisione del ricorso gerarchico può essere impugnata da parte del ricorrente gerarchico o da parte di altri soggetti interessati davanti al Giudice Amministrativo o contestata innanzi a quello Ordinario, a seconda della posizione soggettiva di cui si lamenta la lesione (rispettivamente d'interesse legittimo o di diritto soggettivo).

Si esclude pacificamente la legittimazione a impugnare la decisione di accoglimento del ricorso da parte dell'autorità che ha adottato il provvedimento base, in virtù del carattere vincolante della decisione nei suoi confronti.

Nel giudizio davanti al Giudice ordinario la decisione del ricorso, costituente un mero provvedimento amministrativo pur se con funzione giustiziale, sarà conosciuta solo incidenter tantum ai fini della eventuale disapplicazione nell'ambito di un giudizio avente ad oggetto la pretesa sostanziale fatta valere dal privato. Va ricordato che la decisione su ricorso gerarchico, in quanto espressione di funzione giustiziale, non produce mai l'affievolimento del diritto soggettivo fatto valere con il ricorso. Pertanto, nel caso di ricorso gerarchico proposto a tutela di diritti soggettivi, l'azione giurisdizionale conseguente va proposta davanti al giudice competente alla cognizione di quel diritto.

Per converso, in caso di giurisdizione del Giudice Amministrativo, il giudizio ha carattere tradizionalmente impugnatorio, a meno che non venga in rilievo la giurisdizione esclusiva estesa ai diritti soggettivi.

Nel caso di giurisdizione del Giudice Amministrativo si discute però se, a fronte di rigetto del ricorso gerarchico, il provvedimento da impugnare sia la decisione giustiziale sul ricorso amministrativo o il provvedimento dell'autorità di primo grado impugnato in sede gerarchica.

Sul punto si sono sviluppate varie tesi e rilevanti sono le conseguenze sul versante procedurale dell'adesione all'una o all'altra, soprattutto in ordine all'individuazione dell'Amministrazione a cui notificare il ricorso.

In base alla tesi dell'assorbimento (T.A.R. Molise, Campobasso, sez. I, 27 novembre 2020, n. 334; T.A.R. Lazio, Roma I-ter, 22 agosto 2017, n. 9385; Cass.S.U., n. 16039/2010), la decisione definitiva sostituisce, assorbendolo, il provvedimento impugnato; ne deriva che il ricorso giurisdizionale può essere proposto solo nei confronti di questa decisione, conclusiva manifestazione della volontà amministrativa. Passivamente legittimato è pertanto solo l'organo che ha emesso la decisione e non quello che ha adottato il provvedimento impugnato, al più legittimato ad intervenire ad opponendum. Tuttavia, affermatosi il principio di facoltatività del ricorso gerarchico, è ora più difficile sostenere che, dopo la definizione del ricorso gerarchico, il provvedimento originariamente gravato sia tamquam non esset (T.A.R. Lazio I-ter, 22 agosto 2017, n. 9385: «Trovando applicazione nella materia i principi generali dei ricorsi amministrativi risultanti dalla disciplina dettata dal d.P.R. n. 1199/1971, e dalla l. n. 1034/1971 (vedi Corte cost. n. 42/1991), il ricorso giurisdizionale si propone contro l'atto di decisione del ricorso amministrativo e non contro il provvedimento impugnato con il detto ricorso, assumendo la veste di parte resistente l'organo che ha pronunziato la decisione sul ricorso. Vale però la regola cd. dell'assorbimento, in forza della quale la decisione di rigetto (anche non di merito) assume il valore di provvedimento implicito di contenuto uguale a quello impugnato con il ricorso gerarchico, salva la diversa imputazione soggettiva, con la conseguenza che il sindacato in sede giurisdizionale, può estendersi a tutti i motivi fatti valere col ricorso gerarchico, in modo da consentire una pronunzia risolutiva della controversia e non limitata alla correttezza del procedimento di decisione del ricorso»).

È stata così elaborata la tesi dell'accessione (Cons. St. V, n. 1868/2015; T.A.R. Lazio II-quater, 7 aprile 2017, n. 4395; T.A.R. Emilia Romagna, Parma I, 28 novembre 2017 n. 389), in base alla quale, nel caso di rigetto del ricorso, la decisione «accede» al provvedimento impugnato, rendendolo definitivo: la decisione, dunque, non ha una capacità lesiva nuova rispetto al provvedimento sottostante, che rimane il vero oggetto del ricorso davanti al giudice amministrativo. Ciò che cambia secondo la presente posizione è soprattutto il concetto di atto definitivo: tale, infatti, non è la decisione sul ricorso, ma il provvedimento di base a seguito della conferma data dalla reiezione del ricorso gerarchico. Questa prospettiva, evidentemente, impone che vada evocato in giudizio solo (e comunque necessariamente anche) l'organo che ha adottato il provvedimento base impugnato. Diverso è, pertanto, anche il modo di intendere la funzione dell'autorità decidente: essa assume un ruolo più simile all'autorità giurisdizionale, atteso che non si fa portatrice dell'interesse particolare, la cui gestione rimane di pertinenza dell'autorità che emanato il provvedimento di base. Tale soluzione, convincente sotto molteplici punti di vista, presenta nondimeno l'inconveniente di rendere insindacabile (sia in sede giurisdizionale che di ricorso straordinario) la decisione del ricorso gerarchico, con conseguenze rilevanti soprattutto nell'ipotesi di vizi che attengono esclusivamente alla decisione, come nei casi di motivazione carente o di violazione del principio del contraddittorio e, più in generale, di regole procedurali. A fronte di queste considerazioni, la dottrina ritiene che al privato debba essere lasciata salva la facoltà di scegliere se impugnare la decisione o il provvedimento sottostante, a seconda che l'interesse sotteso sia quello di ottenere una nuova decisione gerarchica in ordine al provvedimento sottostante (per essere, ad esempio, quella precedente inficiata da vizi di natura procedurale), o sia quello di impugnare il provvedimento di base. Ne deriva che sarà da evocare in giudizio, a seconda dei casi, l'autorità che emanato il provvedimento o quella decidente. Un'efficace sintesi a tale ricostruzione è data da Cons. St. V, n. 1868/2015: «Ai sensi del d.P.R. n. 1199/1971 il ricorrente in sede gerarchica, anziché l'onere, ha la facoltà di agire immediatamente in sede giurisdizionale, restando integra la sua possibilità di impugnare il provvedimento originario unita-mente all'eventuale decisione (tardiva o meno) sul proposto ricorso gerarchico; peraltro il provvedimento tardivo, che respinge il ricorso amministrativo, ha effetto confermativo di quello già impugnato davanti al giudice, con la conseguenza che la sua impugnazione giurisdizionale sarebbe ultronea» (v. anche T.A.R. Calabria, Catanzaro I, 2 marzo 2020, n. 364; T.A.R. Calabria, Napoli VIII, 21 aprile 2021, n. 2542).

Altra teoria è quella dell'autonomia, che si distingue dalle precedenti in ragione del diverso modo di intendere il rapporto tra provvedimento base e decisione del ricorso. Il provvedimento base e la decisione del ricorso amministrativo sono due provvedimenti distinti, esplicazione di poteri diversi: uno di amministrazione attiva e l'altro di carattere giustiziale; essi hanno pertanto dignità ed esistenza autonoma. In sede giurisdizionale (o straordinaria), dunque, ciò che bisogna impugnare è la decisione del ricorso gerarchico per profili sia formal-procedurali sia sostanziali afferenti alla fondatezza del ricorso gerarchico. L'eventuale accoglimento del gravame non travolge anche il provvedimento base: ne discende che, in caso di accoglimento del ricorso giurisdizionale, permane la necessità di una nuova pronuncia dell'autorità decidente in ordine al ricorso gerarchico. Questa teoria, quindi, si distingue da quella dell'assorbimento per la sopravvivenza del provvedimento di base, mentre si differenzia dalla teoria dell'accessione per l'esclusione della possibilità di un sindacato diretto da parte del giudice sul provvedimento di base (Cass. S.U., n. 16039/2010; Cons. St. V, n.960/1984). Tanto si verifica anche in caso di rigetto per silentium del ricorso gerarchico: «ai sensi degli art. 6, d.P.R. n. 1199/1971 e 20, l. n. 1034/1971, decorso inutilmente il termine di novanta giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico senza che sia stata notificata all'interessato la decisione gerarchica, il ricorso giurisdizionale va proposto nei confronti del provvedimento impugnato e non del silenzio-rigetto; inoltre, la tardiva esplicita decisione di rigetto non determina l'onere di un'ulteriore impugnativa» (Cons. St.IV, n. 598/1988; T.A.R. Campania, Salerno I, 4 dicembre2012, n. 2231): oggetto del ricorso giurisdizionale non è il silenzio, ma il provvedimento di base impugnato con ricorso gerarchico, in quanto, nel caso di specie, il silenzio ha il valore legale tipico non di decisione di rigetto, ma di rifiuto di annullamento, il cui concretarsi costituisce presupposto processuale per la proposizione del ricorso giurisdizionale contro l'unico atto effettivamente emanato dall'amministrazione (Cons. St. IV, n.1010/1996) (v., infra, sub art. 6).

Infine, i base alla c.d. tesi mista (affermatasi dapprima in dottrina; poi v. T.A.R. Umbria, Perugia I, 19 novembre 2015, n. 528), il ricorso giurisdizionale deve investire sia la decisione che il provvedimento di primo grado, con la conseguenza che il ricorso dovrebbe essere notificato ad entrambe le autorità. Così nel ricorso giurisdizionale proposto avverso il provvedimento di decisione di un ricorso gerarchico, non è possibile dedurre motivi non prospettati nella sede contenziosa amministrativa, in quanto, altrimenti, si eluderebbe il termine decadenziale di cui all'art. 21, comma 1, l. n. 1034/1971 (T.A.R. Sardegna, Cagliari I, 23 aprile2010, n. 925; Cons. St.VI, n. 230/1998; contra, Cons. St.IV, n. 4231/2008: «Con il ricorso giurisdizionale volto all'impugnativa di una decisione gerarchica non possono dedursi censure diverse da quelle originariamente versate in sede contenziosa amministrativa»), mentre possono dedursi censure sul cattivo esercizio della funzione giustiziale, come, ad esempio, il difetto di motivazione, onde far emergere, in tale modo, l'illegittimità del provvedimento originariamente impugnato in sede amministrativa (T.A.R. Sardegna, Cagliari I, 23 aprile2010, n. 925).

Quanto alla competenza, in tema di impugnazione giurisdizionale di un provvedimento amministrativo adottato a seguito di ricorso gerarchico improprio, la soluzione del problema relativo alla competenza territoriale, non può prescindere dall'individuazione del contraddittore necessario. Ciò premesso, giacché deve ritenersi che, in tali ipotesi, il contraddittore si identifichi nell'autorità sopraordinata che, pronunciando in ultima istanza, attribuisce carattere di definitività al provvedimento, la competenza, a conoscere va radicata in favore del giudice del luogo ove ha sede detta Autorità (Cass. I, n.2798/1997; Cons. St.VI, n. 346/1983).

Il ricorso, infine, si estingue per cessazione della materia del contendere, la quale presuppone che vi sia stata la soddisfazione dell'interesse fatto valere dal ricorrente in conseguenza dell'annullamento o della riforma dell'atto impugnato in modo conforme alla sua istanza (T.A.R. Piemonte, Torino II, 31 luglio2008, n. 1813).

Motivi del ricorso giurisdizionale dopo la decisione gerarchica.

In ordine ai motivi deducibili in sede di ricorso giurisdizionale proposto successivamente alla definizione del ricorso gerarchico si riscontrano sia in dottrina che in giurisprudenza due diversi orientamenti.

Una giurisprudenza assai diffusa sostiene l'inammissibilità della deduzione in sede giurisdizionale di motivi diversi rispetto a quelli proposti con il ricorso amministrativo: diversamente opinando, si sostiene, si fornirebbe al privato un comodo espediente per eludere il termine di decadenza di sessanta giorni per impugnare il provvedimento base. Infatti, dopo l'introduzione della facoltatività del ricorso amministrativo, l'ammissione di motivi nuovi permetterebbe al ricorrente che ha scelto di intraprendere la strada del ricorso amministrativo di proporre in sede giurisdizionale, dopo anche diversi anni, motivi che avrebbe dovuto e potuto proporre entro gli ordinari termini di decadenza. È evidente, peraltro, che anche secondo tale tesi è possibile proporre in sede giurisdizionale motivi nuovi, che attengano a profili propri della decisione ed estranei al provvedimento di base (come vizi procedurali o relativi alla motivazione, alla forma e alla competenza). Sul punto si rinvia a Cons. St. III, n. 2286/2018, che richiama la consolidata giurisprudenza secondo cui «in sede di ricorso giurisdizionale proposto contro una decisione adottata a seguito di ricorso gerarchico sono inammissibili i motivi nuovi di ricorso che non siano stati proposti nella predetta sede contenziosa amministrativa, a meno che il termine a ricorrere contro l'originario provvedi-mento impugnato non sia ancora decorso, e ciò al fine di evitare che la mancata impugnativa di un atto asseritamente illegittimo attraverso il rimedio giustiziale e la sua successiva impugnativa (per saltum) con il rimedio giurisdizionale possa costituire la via attraverso la quale eludere l'onere di impugnare tempestivamente l'atto nell'ordinario termine decadenziale». Nello stesso senso, T.A.R. Calabria, Catanzaro I, 11 marzo 2021, n. 528.

La tesi contraria reputa possibile la deduzione, in sede giurisdizionale, di motivi diversi da quelli proposti con il ricorso amministrativo. Si sottolinea, a sostegno dell'assunto, come proprio la reciproca autonomia dei due ricorsi – a seguito dell'avvento del principio della facoltatività di quello amministrativo – debba necessariamente condurre alla possibilità di dedurre motivi nuovi in sede di ricorso giurisdizionale. Ciò soprattutto se in sede di ricorso amministrativo si sono spiegati solo motivi di merito non prospettabili di norma in sede giurisdizionale.

Effetti dell'accoglimento del ricorso giurisdizionale.

Con riferimento agli effetti dell'accoglimento del ricorso giurisdizionale proposto contro la decisione del ricorso gerarchico, la soluzione varia a seconda delle tesi dell'assorbimento, dell'autonomia o quella mista, nella misura in cui ammettono solo, o anche, la proposizione del ricorso avverso il provvedimento giustiziale.

Secondo dette teorie, il Giudice Amministrativo deve annullare con rinvio all'autorità che ha adottato la decisione nell'ipotesi di ritenuta fondatezza di vizi di natura esclusivamente formale. In tal caso, pertanto, al giudice sarebbe precluso passare all'esame dei successivi vizi sostanziali, e tanto sull'assunto che l'errore in cui è incorsa l'autorità decidente abbia, in sostanza, precluso la possibilità di un sindacato completo sulla situazione sostanziale.

Diversamente, in caso di accoglimento per motivi sostanziali, se i motivi del ricorso riguardano la legittimità del provvedimento base, il sindacato giurisdizionale potrebbe estendersi alla fondatezza del ricorso gerarchico e comportare l'annullamento del provvedimento impugnato in sede gerarchica. Ne deriva che, in tale seconda ipotesi, gli ulteriori provvedimenti spetteranno non all'autorità che ha deciso il ricorso gerarchico ma a quella che ha adottato il provvedimento di base.

In ossequio alla teoria dell'accessione, altra giurisprudenza reputa invece sempre possibile il sindacato diretto da parte del G.A. del provvedimento di base, a prescindere dal tipo di vizio dedotto in ricorso. In tale ottica, l'unica possibilità di una nuova decisione da parte dell'autorità che si è occupata della questione in sede gerarchica si configura in relazione all'area dei vizi di merito: precludere la possibilità di un riesame del provvedimento dal punto di vista dei vizi di merito si risolverebbe, infatti, in un inaccettabile vulnus del diritto ad un'adeguata tutela giurisdizionale.

Questioni applicative

1) Quando sono ammissibili decisioni di riforma?

Secondo alcuni Autori le decisioni di riforma sarebbero ipotizzabili solo nel caso di ricorsi gerarchici per motivi di merito. In realtà la legge non definisce i limiti del potere di riforma dell'atto nel caso di ricorsi gerarchici. Il sopra menzionato art. 5 fissa un criterio solo nell'ipotesi di annullamento per incompetenza, stabilendo che in tal caso l'autorità che ha emesso la decisione di annullamento è tenuta a restituire gli atti all'autorità ritenuta competente.

In genere si ritiene che una decisione di riforma, espressione di un carattere rinnovatorio del ricorso gerarchico, sia ammessa in presenza di due condizioni: che ci sia una precisa richiesta da parte del ricorrente (altrimenti l'autorità adita incorrerebbe nel vizio di ultrapetizione ed eserciterebbe impropriamente poteri di amministrazione attiva) e che l'autorità adita abbia il potere di provvedere sulla pratica (questa condizione è fisiologica nel ricorso gerarchico proprio; è invece eccezionale nel ricorso gerarchico improprio).

2) La decisione di rigetto può integrare la motivazione del provvedimento impugnato?

Per quanto riguarda la decisione di rigetto, l'organo gerarchicamente sovraordinato può, nel rigettare il ricorso, anche integrare la motivazione del provvedimento impugnato e, quindi, confermarne il contenuto sulla base di un percorso argomentativo in parte differente rispetto a quello posto alla base dell'atto originario. Ciò, in quanto l'organo che decide il ricorso gerarchico è titolare della medesima competenza dell'organo gerarchicamente subordinato e, nell'esercizio della stessa, ha anche titolo a rivalutare interamente la fattispecie concreta (T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 31 gennaio 2022, n. 135).

3) Quali sono gli effetti della decisione di accoglimento?

La decisione di accoglimento del ricorso amministrativo, al pari di quella giurisdizionale, ha portata erga omnes ove produca la caducazione di atti inscindibili e, nel caso di annullamento con rinvio, presenta carattere preclusivo e conformativo. Ciò comporta che l'autorità di primo grado, nell'adottare il nuovo provvedimento, non solo deve evitare di incorrere negli stessi vizi per cui l'atto è stato annullato ma deve anche attenersi alle indicazioni contenute nella decisione.

Nonostante l'indiscusso carattere vincolante della decisione nei confronti dell'Amministrazione di primo grado, il rimedio dell'ottemperanza è comunque precluso: la decisione, infatti, è pur sempre un atto amministrativo e non una pronuncia giurisdizionale, pertanto insuscettibile di passare in giudicato (presupposto necessario per l'ottemperanza). L'unico rimedio azionabile, allora, è costituito dalla sola impugnazione dell'atto irrispettoso della decisione (o del silenzio) davanti al Giudice Amministrativo, in quanto atto ex se inficiato dal vizio di eccesso di potere per violazione di un provvedimento vincolante. Solo dopo la sentenza di annullamento di detto atto sarà possibile ricorrere al rimedio dell'ottemperanza.

4) Qual è il regime dell'impugnazione del ricorso gerarchico?

La decisione del ricorso gerarchico può essere impugnata da parte del ricorrente gerarchico o da parte di altri soggetti interessati davanti al Giudice Amministrativo o contestata innanzi a quello Ordinario, a seconda della posizione soggettiva di cui si lamenta la lesione (rispettivamente d'interesse legittimo o di diritto soggettivo).

Si esclude pacificamente la legittimazione a impugnare la decisione di accoglimento del ricorso da parte dell'autorità che ha adottato il provvedimento base, in virtù del carattere vincolante della decisione nei suoi confronti.

Nel giudizio davanti al Giudice ordinario la decisione del ricorso, costituente un mero provvedimento amministrativo pur se con funzione giustiziale, sarà conosciuta solo incidenter tantum ai fini della eventuale disapplicazione nell'ambito di un giudizio avente ad oggetto la pretesa sostanziale fatta valere dal privato. Va ricordato che la decisione su ricorso gerarchico, in quanto espressione di funzione giustiziale, non produce mai l'affievolimento del diritto soggettivo fatto valere con il ricorso. Pertanto, nel caso di ricorso gerarchico proposto a tutela di diritti soggettivi, l'azione giurisdizionale conseguente va proposta davanti al giudice competente alla cognizione di quel diritto.

Per converso, in caso di giurisdizione del Giudice Amministrativo, il giudizio ha carattere tradizionalmente impugnatorio, a meno che non venga in rilievo la giurisdizione esclusiva estesa ai diritti soggettivi.

Nel caso di giurisdizione del Giudice Amministrativo si discute però se, a fronte di rigetto del ricorso gerarchico, il provvedimento da impugnare sia la decisione giustiziale sul ricorso amministrativo o il provvedimento dell'autorità di primo grado impugnato in sede gerarchica. Sul punto si sono sviluppate varie tesi e rilevanti sono le conseguenze sul versante procedurale dell'adesione all'una o all'altra, soprattutto in ordine all'individuazione dell'Amministrazione a cui notificare il ricorso.

a) In base alla tesi dell'assorbimento (T.A.R. Lazio I-ter, 22 agosto 2017, n. 9385; Cass.S.U., n. 16039/2010), la decisione definitiva sostituisce, assorbendolo, il provvedimento impugnato; ne deriva che il ricorso giurisdizionale può essere proposto solo nei confronti di questa decisione, conclusiva manifestazione della volontà amministrativa.

Passivamente legittimato è pertanto solo l'organo che ha emesso la decisione e non quello che ha adottato il provvedimento impugnato, al più legittimato ad intervenire ad opponendum.

Tuttavia, affermatosi il principio di facoltatività del ricorso gerarchico, è ora più difficile sostenere che, dopo la definizione del ricorso gerarchico, il provvedimento originariamente gravato sia tamquam non esset.

b) È stata così elaborata la tesi dell'accessione (v. Cons. St. V, n. 1868/2015; T.A.R. Lazio II-quater, n. 4395/2017; T.A.R. Emilia Romagna, Parma I, 28 novembre 2017, n. 389), in base alla quale, nel caso di rigetto del ricorso, la decisione «accede» al provvedimento impugnato, rendendolo definitivo: la decisione, dunque, non ha una capacità lesiva nuova rispetto al provvedimento sottostante, che rimane il vero oggetto del ricorso davanti al giudice amministrativo.

Ciò che cambia secondo la presente posizione è soprattutto il concetto di atto definitivo: tale, infatti, non è la decisione sul ricorso, ma il provvedimento di base a seguito della conferma data dalla reiezione del ricorso gerarchico.

Questa prospettiva, evidentemente, impone che vada evocato in giudizio solo (e comunque necessariamente anche) l'organo che ha adottato il provvedimento base impugnato.

Diverso è, pertanto, anche il modo di intendere la funzione dell'autorità decidente: essa assume un ruolo più simile all'autorità giurisdizionale, atteso che non si fa portatrice dell'interesse particolare, la cui gestione rimane di pertinenza dell'autorità che emanato il provvedimento di base.

Tale soluzione, convincente sotto molteplici punti di vista, presenta nondimeno l'inconveniente di rendere insindacabile (sia in sede giurisdizionale che di ricorso straordinario) la decisione del ricorso gerarchico, con conseguenze rilevanti soprattutto nell'ipotesi di vizi che attengono esclusivamente alla decisione, come nei casi di motivazione carente o di violazione del principio del contraddittorio e, più in generale, di regole procedurali.

A fronte di queste considerazioni, la dottrina ritiene che al privato debba essere lasciata salva la facoltà di scegliere se impugnare la decisione o il provvedimento sottostante, a seconda che l'interesse sotteso sia quello di ottenere una nuova decisione gerarchica in ordine al provvedimento sottostante (per essere, ad esempio, quella precedente inficiata da vizi di natura procedurale), o sia quello di impugnare il provvedimento di base. Ne deriva che sarà da evocare in giudizio, a seconda dei casi, l'autorità che emanato il provvedimento o quella decidente.

c) Altra teoria è quella dell'autonomia, che si distingue dalle precedenti in ragione del diverso modo di intendere il rapporto tra provvedimento base e decisione del ricorso.

Il provvedimento base e la decisione del ricorso amministrativo sono due provvedimenti distinti, esplicazione di poteri diversi: uno di amministrazione attiva e l'altro di carattere giustiziale; essi hanno pertanto dignità ed esistenza autonoma.

In sede giurisdizionale (o straordinaria), dunque, ciò che bisogna impugnare è la decisione del ricorso gerarchico per profili sia formal-procedurali sia sostanziali afferenti alla fondatezza del ricorso gerarchico. L'eventuale accoglimento del gravame non travolge anche il provvedimento base: ne discende che, in caso di accoglimento del ricorso giurisdizionale, permane la necessità di una nuova pronuncia dell'autorità decidente in ordine al ricorso gerarchico.

Questa teoria, quindi, si distingue da quella dell'assorbimento per la sopravvivenza del provvedimento di base, mentre si differenzia dalla teoria dell'accessione per l'esclusione della possibilità di un sindacato diretto da parte del giudice sul provvedimento di base.

d) In base alla c.d. tesi mista (affermatasi dapprima in dottrina; poi v. T.A.R. Umbria, Perugia I, 19 novembre 2015, n. 528), il ricorso giurisdizionale deve investire sia la decisione che il provvedimento di primo grado, con la conseguenza che il ricorso dovrebbe essere notificato ad entrambe le autorità.

5) Quali sono i motivi deducibili in sede di ricorso giurisdizionale?

In ordine ai motivi deducibili in sede di ricorso giurisdizionale proposto successivamente alla definizione del ricorso gerarchico si riscontrano sia in dottrina che in giurisprudenza due diversi orientamenti.

a) Una giurisprudenza assai diffusa (cfr., ex plurimis, Cons. St. III, n. 2286/2018) sostiene l'inammissibilità della deduzione in sede giurisdizionale di motivi diversi rispetto a quelli proposti con il ricorso amministrativo: diversamente opinando, si sostiene, si fornirebbe al privato un comodo espediente per eludere il termine di decadenza di sessanta giorni per impugnare il provvedimento base.

Infatti, dopo l'introduzione della facoltatività del ricorso amministrativo, l'ammissione di motivi nuovi permetterebbe al ricorrente che ha scelto di intraprendere la strada del ricorso amministrativo di proporre in sede giurisdizionale, dopo anche diversi anni, motivi che avrebbe dovuto e potuto proporre entro gli ordinari termini di decadenza.

È evidente, peraltro, che anche secondo tale tesi è possibile proporre in sede giurisdizionale motivi nuovi, che attengano a profili propri della decisione ed estranei al provvedimento di base (come vizi procedurali o relativi alla motivazione, alla forma e alla competenza).

b) La tesi contraria (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 21 aprile 2021, n. 2542) reputa possibile la deduzione, in sede giurisdizionale, di motivi diversi da quelli proposti con il ricorso amministrativo.

Si sottolinea, a sostegno dell'assunto, come proprio la reciproca autonomia dei due ricorsi – a seguito dell'avvento del principio della facoltatività di quello amministrativo – debba necessariamente condurre alla possibilità di dedurre motivi nuovi in sede di ricorso giurisdizionale. Ciò soprattutto se in sede di ricorso amministrativo si sono spiegati solo motivi di merito non prospettabili di norma in sede giurisdizionale.

6) Quali sono gli effetti dell'accoglimento del ricorso giurisdizionale?

Si può ora procedere all'esame degli effetti dell'accoglimento del ricorso giurisdizionale proposto contro la decisione del ricorso gerarchico, secondo le tesi dell'assorbimento, dell'autonomia o quella mista, nella misura in cui ammettono solo, o anche, la proposizione del ricorso avverso il provvedimento giustiziale.

Secondo dette teorie, il Giudice Amministrativo deve annullare con rinvio all'autorità che ha adottato la decisione nell'ipotesi di ritenuta fondatezza di vizi di natura esclusivamente formale. In tal caso, pertanto, al giudice sarebbe precluso passare all'esame dei successivi vizi sostanziali, e tanto sull'assunto che l'errore in cui è incorsa l'autorità decidente abbia, in sostanza, precluso la possibilità di un sindacato completo sulla situazione sostanziale.

Diversamente, in caso di accoglimento per motivi sostanziali, se i motivi del ricorso riguardano la legittimità del provvedimento base, il sindacato giurisdizionale potrebbe estendersi alla fondatezza del ricorso gerarchico e comportare l'annullamento del provvedimento impugnato in sede gerarchica. Ne deriva che, in tale seconda ipotesi, gli ulteriori provvedimenti spetteranno non all'autorità che ha deciso il ricorso gerarchico ma a quella che ha adottato il provvedimento di base.

In ossequio alla teoria dell'accessione, altra giurisprudenza reputa invece sempre possibile il sindacato diretto da parte del G.A. del provvedimento di base, a prescindere dal tipo di vizio dedotto in ricorso. In tale ottica, l'unica possibilità di una nuova decisione da parte dell'autorità che si è occupata della questione in sede gerarchica si configura in relazione all'area dei vizi di merito: precludere la possibilità di un riesame del provvedimento dal punto di vista dei vizi di merito si risolverebbe, infatti, in un inaccettabile vulnus del diritto ad un'adeguata tutela giurisdizionale.

Bibliografia

Benvenuti, Appunti di diritto amministrativo, 115, e Autotutela, in Enc. dir., 541; Caringella, Manuale di diritto amministrativo ragionato, Roma, 2021, parte 12, capitoli 1 e 5; Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2020; De Roberto, Tonini, I ricorsi amministrativi, Milano, 1984, 78; Sandulli, Manuale di Diritto Amministrativo, Napoli, 1989.

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