Codice Penale art. 322 ter - Confisca (1) (2).

Angelo Salerno

Confisca (1) (2).

[I]. Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 320, anche se commessi dai soggetti indicati nell'articolo 322-bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto (3).

[II]. Nel caso di condanna, o di applicazione della pena a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per il delitto previsto dall'articolo 321, anche se commesso ai sensi dell'articolo 322-bis, secondo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a quello di detto profitto e, comunque, non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità date o promesse al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio o agli altri soggetti indicati nell'articolo 322-bis, secondo comma.

[III]. Nei casi di cui ai commi primo e secondo, il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di denaro o individua i beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il profitto o il prezzo del reato ovvero in quanto di valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato.

(1) Articolo inserito dall'art. 31 l. 29 settembre 2000, n. 300. V. art. 15 l. n. 300, cit.

(2) In tema di responsabilità amministrativa degli enti v. art. 25 d.lg. 8 giugno 2001, n. 231. Per l'applicabilità del presente articolo ai delitti in materia di dichiarazione relativa alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, v. art. 1 143 l. 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008). V. inoltre art. 6 4 l. 27 marzo 2001, n. 97, in tema di acquisizione dei beni al patrimonio disponibile del Comune.

(3) L'art. 1, comma 75, l. 6 novembre 2012, n. 190, ha inserito dopo le parole: «a tale prezzo» le parole: «o profitto».

Inquadramento

Gli artt. 322-ter c.p. e seguenti (ad eccezione del già esaminato art. 323 c.p.) dettano una serie di norme comuni ad alcuni dei delitti contro la Pubblica Amministrazione, per lo più disciplinati nel Capo I (delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A.), introducendo sanzioni, circostanze o esimenti speciali.

La confisca

Procedendo nell'ordine del Codice penale, occorre dare atto in primo luogo della disciplina di cui all'art. 322-ter c.p., che prevede, in caso di condanna (così come in caso di patteggiamento) per i delitti di cui agli articoli da 314 a 320 c.p., anche quando commessi dai soggetti sovranazionali di cui all'art. 322-bis c.p., in via obbligatoria (si legge infatti che «è sempre ordinata»), la confisca «dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non è possibile, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto».

La norma in commento è stata introdotta dalla l. n. 300/2000, in adempimento agli impegni assunti dall'Italia a livello europeo ed è stata modificata dalla l. n. 190/2012, che ha esteso la confisca per equivalente al profitto dei reati predetti, oltre al prezzo dei medesimi. Sul punto sono intervenute nel 2009 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione penale, con sentenza n. 38691/2009, chiarendo la distinzione tra le nozioni di prezzo e profitto ed escludendo per i fatti antecedenti alla novella la possibilità di procedere a confisca per equivalente del profitto del reato.

La norma in esame prevede infatti una forma di confisca diretta, che presenta natura di misura di sicurezza reale, cui si affianca la confisca per equivalente del prezzo e del profitto del reato, quando la confisca diretta non sia possibile. Quest'ultima consente di confiscare il valore corrispondente a quello del prezzo o del profitto immediati, non rinvenuti, e presenta natura di pena.

Al riguardo è di recente intervenuta la giurisprudenza di legittimità, evidenziando che la confisca per equivalente prevista dall'art. 322-ter, comma secondo, c.p., avendo natura di pena, non può coinvolgere indifferentemente ciascuno dei concorrenti del reato per l'intera entità del profitto accertato, ma deve essere commisurata al grado di partecipazione di ciascun concorrente al profitto, che può essere desunta, in assenza di elementi diversi, anche da criteri sintomatici idonei a corroborare il giudizio di responsabilità, fermo restando che, ove non risulti possibile utilizzare un criterio attendibile di riparto, è legittima la suddivisione dell'importo pro quota. (Cass. pen. VI, n. 4727/2021).

Alla disposizione in esame fa da pendant il disposto dell'art. 335- bisc.p., introdotto nel 2001, con legge n. 97, che prevede per tutti i delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione (artt. 314-335-bis c.p.), facendo salva la disposizione di cui all'art. 322-ter c.p. (e quindi in via residuale rispetto ad essa), la confisca obbligatoriaè comunque ordinata») delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto, che diversamente sarebbero soggette a confisca facoltativa ex art. 240, comma 1, c.p.

In relazione ai beni sequestrati in vista della confisca di cui all'art. 322-ter c.p., diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, l'art. 322-ter 1 c.p., introdotto dalla l. n. 3/2019, ha infine previsto la possibilità di affidamento in custodia giudiziale agli organi della polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative.

L'art. 322-quater c.p.

Proseguendo nell'esame delle disposizioni speciali dettate per i delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, viene in rilievo l'art. 322-quater c.p., introdotto nel 2015, con l. n. 69/2015, ai sensi del quale «con la sentenza di condanna per i reati previsti dagli artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321 e 322-bis, è sempre ordinato il pagamento di una somma equivalente al prezzo o al profitto del reato a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno».

La disposizione, di recente modificata dalla l. n. 3/2019, presenta profili sanzionatori, dal momento che la condanna al risarcimento prescinde dall'esercizio dell'azione civile in sede penale da parte della Pubblica Amministrazione danneggiata e dalla prova che la condotta tenuta dall'imputato ha provocato un danno risarcibile, il quale si presume dunque per legge nell' an e nel quantum , individuato in una somma pari al prezzo o al profitto del reato.

È in ogni caso previsto espressamente che resta impregiudicato il diritto dell'amministrazione di richiedere nelle forme ordinarie il risarcimento del danno patito, fermo restando che non potrebbe ammettersi un duplice risarcimento, in quanto sfocerebbe in una forma di c.d. overcompensation.

La l. n. 3/2019 ha esteso l'ambito di applicazione della misura riparatoria in esame anche al privato corruttore, inserendo il riferimento all'art. 321 c.p., e ne ha rimodulato i criteri di determinazione, in chiave afflittivo-sanzionatoria, stabilendo che la somma da pagare a titolo di riparazione pecuniaria debba essere determinata non più con riferimento a quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di un pubblico servizio, ma al valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato.

L'attenuante ex art. 323-bis c.p.

Proseguendo nell'ordine codicistico, può dunque darsi atto della circostanza attenuante speciale prevista dall'art. 323-bisc.p., introdotto con l. n. 86/1990 e integrato con le successive riforme del 2000 e del 2012, ai sensi del cui primo comma «se i fatti previsti dagli artt. 314, 316, 316- bis , 316- ter , 317, 318, 319, 319- quater , 320, 322, 322- bis e 323 sono di particolare tenuità, le pene sono diminuite».

La disposizione in commento si riferisce al fatto di reato nella sua globalità (condotta, elemento psicologico, evento) ed è pertanto ritenuta compatibile con l'attenuante comune di cui all'art. 62, n. 4, c.p., che invece prende in considerazione il solo aspetto del danno o del lucro, che deve essere connotato da speciale tenuità (Cass. pen. VI, n. 7919/2012).

Il secondo comma dell'art. 323-bis c.p. è stato invece introdotto con legge n. 69 del 2015 e prevede che «Per i delitti previsti dagli articoli 318, 319, 319- ter , 319- quater, 320, 321, 322 e 322- bis, per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, la pena è diminuita da un terzo a due terzi».

La norma attribuisce dunque rilievo, attraverso l'attenuante ad effetto speciale (riduzione da un terzo a due terzi), alle condotte di collaborazione processuale tenute dall'autore del reato, sulla falsariga di istituti premiali già da tempo sperimentati dal nostro ordinamento (si pensi, ad esempio, all'art. 630, comma 5, c.p.

Poiché la norma richiede che l'autore del reato si adoperi « efficacemente», occorre che l'ausilio fornito sia sostanziale, determinante e decisivo per conseguire i risultati indicati dalla norma, prima che gli stessi siano autonomamente conseguiti dalle autorità inquirenti, senza che sia tuttavia previsto un espresso limite temporale per la condotta collaborativa.

La causa di non punibilità ex art. 323-ter c.p.

Con l. n. 3/2019 (c.d. Spazza-corrotti), il legislatore ha introdotto, all'art. 323- terc.p., una nuova causa di non punibilità, il cui ambito di applicazione riguarda taluni delitti contro la Pubblica Amministrazione.

L'art. 323-ter c.p. prevede infatti, al comma primo, che non è punibile l'autore dei reati tassativamente indicati dalla disposizione stessa «se, prima di avere notizia che nei suoi confronti sono svolte indagini in relazione a tali fatti e, comunque, entro quattro mesi dalla commissione del fatto, lo denuncia volontariamente e fornisce indicazioni utili e concrete per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri responsabili».

Il secondo comma precisa inoltre che «La non punibilità del denunciante è subordinata alla messa a disposizione dell'utilità dallo stesso percepita o, in caso di impossibilità, di una somma di denaro di valore equivalente, ovvero all'indicazione di elementi utili e concreti per individuarne il beneficiario effettivo, entro il medesimo termine di cui al primo comma».

Infine, l'ultimo comma prevede una duplice esclusione, «quando la denuncia di cui al primo comma è preordinata rispetto alla commissione del reato denunciato» e «in favore dell'agente sotto copertura che ha agito in violazione delle disposizioni dell'art. 9 della l. n. 146/2006».

La nuova disciplina opera dunque in favore di chi denunci tempestivamente il reato commesso, rientrante nell'elenco di cui al comma primo (articoli 318, 319, 319- ter , 319- quater , 320, 321, 322- bis, limitatamente ai delitti di corruzione e di induzione indebita ivi indicati, 353, 353-bis e 354 c.p.) e fornisca un contributo utile allo svolgimento dell'attività investigativa.

Si tratta dunque di un istituto di carattere premiale, che opera attraverso una causa di esclusione della punibilità, così definita dallo stesso legislatore al comma terzo dell'art. 323-ter c.p.: «La causa di non punibilità...».

Il fondamento della non punibilità prevista dalla disposizione in esame risponde ad una duplice ratio , legata alla prevenzione generale e speciale.

Difatti la norma è stata introdotta con l'intento di eliminare la situazione di omertà effetto dell'accordo criminoso che il pubblico ufficiale stringe col privato nelle fattispecie di natura corruttiva, attraverso un fattore di insicurezza legato al timore della futura denuncia ad opera della controparte del pactum sceleris.

Sul piano invece della prevenzione speciale, la norma stimola, mediante la promessa dell'impunità, la resipiscenza del soggetto agente, ottenendo nel contempo l'emersione di fatti corruttivi destinati a rimanere sommersi.

La causa di non punibilità di cui all'art. 323- ter c.p. si pone dunque in linea con il precedente intervento normativo, risalente alla l. n. 69/2015, con cui è stato introdotto l'art. 323- bis c.p. , che al comma secondo prevede invece una circostanza attenuante speciale, applicabile a colui il quale fornisca una collaborazione c.d. processuale, svincolata, a differenza della recente causa di non punibilità, da limiti temporali o dall'apprezzamento circa la spontaneità e l'utilità del contributo.

Scendendo nel merito della disciplina introdotta all'art. 323-ter c.p., va evidenziato che la causa di non punibilità richiede una auto-denuncia da parte dell'autore dei reati sopra indicati, attraverso cui lo stesso fornisca «indicazioni utili e concrete per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri responsabili».

La disposizione è stata interpretata nel senso di estendere il significato dell'espressione «denuncia», utilizzata dal legislatore, a tutte le forme di delazione, ivi compresa l'informazione fornita ad un pubblico ufficiale che abbia l'obbligo di fare denuncia del reato.

Occorre inoltre, come evidenziato, un requisito qualitativo delle informazioni offerte, che devono essere «utili e concrete» a provare il fatto tipico e individuarne i corresponsabili. Si è al riguardo ritenuto che operino le medesime regole elaborate dalla giurisprudenza in relazione all'attenuante della collaborazione nell'ambito della criminalità organizzata, che richiedono un'efficacia causale apprezzabile delle informazioni fornite rispetto al proseguimento e allo sviluppo delle indagini.

Viene inoltre previsto un orizzonte cronologico entro il quale è possibile avvalersi dell'istituto, attraverso la fissazione di un duplice termine, in quanto il soggetto deve denunciare il misfatto prima di avere notizia delle indagini in atto nei propri confronti e in ogni caso, come anticipato, non oltre «quattro mesi dalla commissione del fatto».

In mancanza di precisazioni al riguardo, è stato ritenuto che la conoscenza delle indagini in corso non richieda un atto formale, come una informazione di garanzia di cui all'art. 369 c.p.p., ritenendosi sufficiente la divulgazione di informazioni a mezzo stampa o per mezzo analogo.

Sono sorti inoltre dubbi in merito al dies a quo del termine di quattro mesi, individuato nella «commissione» del reato.

Un primo orientamento ha infatti interpretato l'espressione quale sinonimo di perfezionamento della fattispecie penale, a fronte dell'opposto orientamento che invece fa riferimento al momento della consumazione.

In mancanza di dati testuali utili, si è tuttavia osservato che optando per la seconda soluzione, sebbene più favorevole per il reo, si rimetterebbe in capo a questo la fissazione del momento di commissione del reato.

Si pensi infatti ai già esaminati reati a schema alternativo o consumazione prolungata, tra cui rientrano le fattispecie rispetto alle quali opera l'art. 323-ter c.p.: in questo caso, ipotizzando che il reato commesso sia quello di corruzione, il corruttore potrebbe proseguire nella dazione del danaro promesso per spostare in avanti il momento della consumazione del reato e quindi la scadenza del termine di quattro mesi per la denuncia.

Appare dunque dotato di maggiore certezza il significato individuato dalla prima tesi, che fa riferimento al perfezionamento del reato.

Ulteriore problema sollevato in dottrina in merito alla formulazione della norma riguarda le fattispecie verificatesi precedentemente rispetto all'introduzione della norma. Sebbene la stessa sia destinata a retroagire, stante il suo carattere favorevole per il reo, non è stata disciplinata l'ipotesi in cui fossero già decorsi quattro mesi dal momento della «commissione del fatto» prima che la norma entrasse in vigore (Caringella, Salerno, 1369).

In mancanza di una espressa disciplina intertemporale, deve però ritenersi precluso, in via di fatto, il ricorso alla causa di non punibilità, rendendo così la norma «quasi irretroattiva», con conseguenti dubbi di legittimità costituzionale che, ad oggi, non risultano tuttavia sollevati innanzi alla Consulta.

Ulteriore condizione di operatività dell'istituto è rappresentata dalla «messa a disposizione dell'utilità dallo stesso percepita o, in caso di impossibilità, di una somma di denaro di valore equivalente, ovvero all'indicazione di elementi utili e concreti per individuarne il beneficiario effettivo, entro il medesimo termine di cui al primo comma». Il legislatore mira dunque ad azzerare i vantaggi derivati dal reato in capo al soggetto che intenda avvalersi della causa di non punibilità o dei suoi complici, prevedendo altresì una forma di consegna «per equivalente» del profitto illecito.

Vi sono infine, come anticipato, due preclusioni all'applicazione della norma, sancite dal comma terzo dell'art. 323 c.p., ossia l'ipotesi di denuncia preordinata alla commissione del reato, per ottenere l'impunità ai danni delle controparti dell'accordo criminoso, nonché nei casi in cui risultino superati i limiti legislativi previsti per la figura dell'agente sotto copertura. In tal modo si intende prevenire un uso distorto della norma.

Ad oggi non risultano applicazioni della norma nella giurisprudenza di legittimità, pur essendo trascorso oltre due anni dall'entrata in vigore della riforma, nonostante le incertezze interpretative che l'istituto pone e i problemi di coordinamento con la circostanza attenuante di cui all'art. 323-bis c.p., che presenta un comune ambito di applicazione.

Infatti, per l'esenzione dalla pena non viene richiesto che il soggetto si sia «efficacemente adoperato per assicurare le prove e per l'individuazione degli altri responsabili del reato», essendo sufficiente che il soggetto fornisca «indicazioni utili per assicurare le prove del reato e per individuare gli altri responsabili».

Dunque, gli oneri richiesti per andare esenti da pena sono meno stringenti di quelli necessari ad ottenere uno sconto di pena. Il coordinamento fra le due norme e l'equilibrio del sistema vanno quindi ricercati nelle differenze strutturali, in quanto il soggetto agente, per beneficiare dell'esenzione da pena ha un limitato arco temporale e deve mettere a disposizione dell'Autorità giudiziaria l'utilità percepita o, in mancanza, una somma equivalente o, in ogni caso, indicare il beneficiario effettivo di tali somme.

Questioni applicative

Così ricostruito lo statuto normativo comune ai delitti contro la Pubblica Amministrazione, può dunque darsi atto delle più recenti questioni applicative affrontate dalla giurisprudenza di legittimità.

1) La confisca ex art. 322-ter c.p. può trovare applicazione in caso di estinzione del reato per prescrizione?

La Corte di Cassazione ha precisato che nei casi di cui all'art. 322-ter c.p. è possibile procedere alla confisca in assenza di condanna, per intervenuta estinzione del reato a seguito di prescrizione, anche quando si tratti della forma “per equivalente”, giacché il richiamo contenuto nell'art. 578-bis c.p.p. alla confisca di cui all'art. 322-ter c.p. non è limitato ai soli casi di confisca diretta di cui al primo comma dell'articolo medesimo; è stato inoltre evidenziato dalla Corte che la natura solo “parzialmente sanzionatoria” della confisca di valore, in quanto connotata piuttosto da una funzione ripristinatoria diretta al riallineamento degli squilibri patrimoniali generati dall'illecito, non implica la sua attrazione nell'area della sanzione penale in senso stretto (Cass. pen. II, n. 19645/2021).

2) La disposizione di cui all'art. 322- quater c.p. ha natura retroattiva?

La giurisprudenza ha escluso che la riparazione pecuniaria prevista dall'art. 322-quater c.p., introdotta dall'art. 4 della l. n.69/2015, sia applicabile in relazione a fatti di reato commessi prima dell'entrata in vigore della norma, trattandosi di una sanzione civile accessoria avente connotazione punitiva, che in quanto tale soggiace al principio di irretroattività di cui all'art. 2, comma quarto, c.p. (Cass. pen. VI, n. 16098/2020).

3) La disposizione di cui all'art. 322- quater c.p. trova applicazione in caso di c.d. patteggiamento?

La Corte di Cassazione ha affermato che il c.d. patteggiamento, anche nella forma allargata, preclude l'applicazione della riparazione pecuniaria di cui all'art. 322-quater c.p., poiché quest'ultima presuppone la pronunzia di una sentenza di condanna e non anche quella di applicazione di pena che, nel prescindere dall'accertamento positivo della penale responsabilità dell'imputato, è solo equiparata ad una pronuncia di condanna; si tratta infatti di una sanzione civile accessoria, la cui applicazione in assenza dei presupposti di legge è riconducibile nell'ambito delle ipotesi di irrogazione di “pena illegale”, con conseguente ammissibilità del ricorso per Cassazione ai sensi del novellato art. 448, comma 2-bis, c.p.p. (Cass. pen. VI, n. 33260/2021).

4) Quali sono i parametri di valutazione dell'attenuante speciale ex art. 323-bis c.p.?

La giurisprudenza di legittimità, pronunciandosi in materia di peculato d'uso, ha precisato che la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni altra caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato.

In particolare, la Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito di non riconoscere l'attenuante in relazione a due condotte di uso dell'autovettura di servizio, con cui l'imputato era stato visto nei pressi di un night club a notte fonda, e di uso abusivo del telefono di servizio, da cui egli aveva effettuato oltre tremila telefonate per fini privati, tenuto conto della ripetitività delle condotte e del loro disvalore anche dal punto di vista soggettivo (Cass. pen. VI, n. 30178/2019).

Bibliografia

Caringella, Salerno, Manuale Ragionato di Diritto Penale, Roma, 2021.

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