Codice Penale art. 346 bis - Traffico di influenze illecite1.Traffico di influenze illecite1. [I]. Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319 e 319-ter e nei reati di corruzione di cui all'articolo 322-bis, utilizzando intenzionalmente allo scopo relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro o altra utilità economica, per remunerare un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, in relazione all'esercizio delle sue funzioni, ovvero per realizzare un'altra mediazione illecita, e' punito con la pena della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni e sei mesi. [II]. Ai fini di cui al primo comma, per altra mediazione illecita si intende la mediazione per indurre il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis a compiere un atto contrario ai doveri d'ufficio costituente reato dal quale possa derivare un vantaggio indebito. [III]. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità economica. [IV]. La pena e' aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro o altra utilità economica riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio o una delle qualifiche di cui all'articolo 322-bis. [V].La pena è altresì aumentata se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.
competenza: Trib. monocratico (Udienza preliminare) arresto: facoltativo fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio [1] Articolo così sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. e), l. 9 agosto 2024, n. 114. Il testo dell'articolo, come inserito dall'art. 1, comma 75, l. 6 novembre 2012, n. 190 e modificato dall'art. 1, comma 1, lett. t), l. 9 gennaio 2019, n. 3, era il seguente: «Traffico di influenze illecite. Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all'articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità. La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio. Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio. Se i fatti sono di particolare tenuità, la pena è diminuita.» InquadramentoIl delitto di traffico di influenze illecite, punito ai sensi dell'art. 346-bis c.p., è stato introdotto con l. n. 190/2012, al fine di colmare un vuoto di tutela relativo all'attività di intermediazione svolta da soggetti terzi tra pubblico funzionario e privato, in una fase prodromica rispetto a futuri accordi corruttivi. A tale esigenza la giurisprudenza faceva fronte attraverso un'estensione, ai limiti dell'analogia, della fattispecie di millantato credito, applicandola anche ai casi di esistenza di un effettivo rapporto tra millantatore e soggetto pubblico. La l. n. 3/2019 ha tuttavia abrogato il delitto di millantato credito, riformulando il delitto di traffico di influenze illecite e facendovi confluire le condotte prima punite dall'art. 346 c.p. Il bene giuridico tutelato dalla norma in esame è il prestigio della Pubblica Amministrazione, offeso ogniqualvolta venga prospettata la possibilità di corrompere un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio. Nel contempo, l'art. 346-bis c.p. offre una tutela anticipata rispetto ai beni dell'imparzialità e del buon andamento della Pubblica Amministrazione, allorché il reo vanti relazioni effettive con il soggetto pubblico. Il soggetto attivo e passivoIl soggetto attivo del reato può essere chiunque, trattandosi di un reato comune, che risulta tuttavia aggravato quando il soggetto agente «riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio». Il soggetto passivo del reato può essere invece individuato nella Pubblica Amministrazione di appartenenza del soggetto pubblico bersaglio dell'attività di mediazione illecita, nonché nella persona stessa del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio cui il reo faccia riferimento nel rivolgersi al terzo privato. Quest'ultimo invece non potrà includersi nel novero dei soggetti passivi del reato, dal momento che la riforma del 2019, per quanto riguarda le condotte di millantato credito, (e già l'originaria fattispecie di cui all'art. 346-bis c.p., come introdotta nel 2012) ne prevede la responsabilità penale al comma secondo («La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità»), configurando così un reato necessariamente plurisoggettivo. La condotta criminosaLa condotta criminosa è duplice, consistendo, da un lato, nel farsi dare o promettere indebitamente, per sé o per altri, denaro o altra utilità per svolgere una mediazione nei confronti di un funzionario pubblico in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri. Si tratta delle ipotesi di mediazione a titolo oneroso, cui si contrappone la condotta di mediazione a titolo gratuito o mista, consistente invece nel farsi dare o promettere, per sé o per altri, denaro o altra utilità per remunerare un pubblico funzionario in relazione alla medesima attività; in tal caso il mediatore versa al pubblico ufficiale quanto incassato dal privato, trattenendo eventualmente per sé una parte. Qualora invece il fatto sia stato commesso per remunerare il pubblico funzionario in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, risulta integrata l'ipotesi aggravata di cui al quarto comma della norma in esame, su cui si tornerà nel prosieguo. La norma in esame pone dubbi in merito alla rilevanza penale delle attività di mediazione del tutto lecite, come quelle, allo stato non ancora regolamentate, di lobbying, consistenti nella rappresentanza di interessi particolari, esercitate in forma professionale, presso istituzioni o amministrazioni pubbliche, il cui obiettivo è quello di influenzare le decisioni della pubblica autorità a favore di singoli o dei gruppi di clienti rappresentati. Deve tuttavia rilevarsi che l'art. 346-bis c.p. richiede il carattere indebito della dazione o promessa del prezzo ricevuto dal reo, nonché la natura illecita della mediazione, sì da poter escludere tale fenomeno dal proprio ambito operativo. La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato, al riguardo, che la disciplina di cui all'art. 346-bis c.p. «consente di individuare il nucleo dell'antigiuridicità della condotta penalmente sanzionata non nel mero sfruttamento (vero o vantato) di relazioni con il pubblico agente (che costituisce piuttosto il mezzo attraverso il quale il soggetto agente riesce ad ottenere dal privato la dazione indebita, anche solo come promessa), bensì in tutte quelle forme di intermediazione che abbiano come finalità «l'influenza illecita» sulla attività della pubblica amministrazione. Le parti devono avere di mira un'interferenza illecita, resa possibile grazie allo sfruttamento di relazioni con il pubblico agente» (Cass. pen. VI, n. 40518/2021). Più nello specifico, assume rilievo la «particolare finalità perseguita attraverso la mediazione: la mediazione è illecita quando è finalizzata alla commissione di un «fatto di reato» idoneo a produrre vantaggi per il privato committente» (Cass. pen. VI, n. 40518/21). Tanto la condotta di mediazione onerosa, quanto quella gratuita o mista, presuppongono una relazione fra il mediatore e il soggetto pubblico, sia essa di carattere familiare, amicale, professionale, politica, ecc. Tale relazione tuttavia può anche essere soltanto prospettata dal soggetto agente, secondo lo schema della c.d. vendita di fumo, in passato punita a titolo di millantato credito, ex art. 346 c.p. Elemento costitutivo del delitto è inoltre la pattuizione del prezzo della mediazione presso il pubblico funzionario, che il privato deve impegnarsi a versare come controprestazione a fronte della promessa del mediatore, in forma di denaro o altra utilità (per la cui nozione si rinvia alla trattazione dei delitti di concussione e corruzione). La fattispecie di traffico di influenze illecite ha sollevato questioni di diritto intertemporale all'indomani della riforma del 2019. Come anticipato, infatti, la l. n. 3/2019 ha abrogato il delitto di millantato creditoexart. 346 c.p., riformulando la fattispecie di traffico di influenze illecite, di cui all'art. 346-bisc.p., in cui è confluito il primo reato. Per comprendere meglio le recenti modifiche occorre svolgere una breve disanima delle suddette disposizioni ante riforma: in passato il reato di millantato credito ex art. 346 c.p. puniva il soggetto millantatore, ossia colui che, vantando legami inesistenti con un soggetto pubblico, riceveva denaro o altra utilità per la sua presunta attività di mediazione. Il reato di traffico di influenze illecite ex art. 346-bis c.p. puniva, nella sua originaria formulazione, colui che, sfruttando legami esistenti presso pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, ricevesse denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione. La secca abrogazione dell'art. 346 c.p. ha fatto sorgere dubbi in merito alla disciplina dei fatti di millantato credito commessi in epoca antecedente. Seguendo la tesi prevalente del rapporto strutturale tra le fattispecie penali, dovrebbe propendersi per un caso di abrogatio sine abolitione. Difatti, il reato di millantato credito è stato abrogato solo formalmente ma non è venuta meno la sua rilevanza penale, da ricondursi oggi sotto l'avevo del riformulato reato di traffico di influenze illecite ex art. 346-bis c.p. A sostegno è possibile richiamare diversi elementi: in primo luogo, il rapporto di specie a genere intercorrente tra l'art. 346 c.p. e l'art. 346-bis così come riscritto dalla riforma del 2019. Invero, dal tenore letterale del nuovo art. 346-bis c.p. si punisce in sotto un'unica fattispecie il soggetto che sfrutta o vanta relazioni, sia esistenti che meramente asserite, incorporando quindi anche i casi di mera millanteria ex 346 c.p. Pertanto, la condotta del millantatore non ha perso il proprio disvalore penale per effetto dell'abrogazione, essendo stata incorporata nell'alveo dell'art. 346-bis c.p. In secondo luogo, si richiama la relazione al disegno di legge nella parte in cui prevede espressamente che le condotte di millantato credito vengano assorbite nel reato di traffico di influenze illecite. Anche secondo la Relazione al disegno di legge, infatti, si sarebbe in presenza di un caso di abrogatio sine abolitione: l'abrogazione del millantato credito non ha determinato alcuna abolizione della rilevanza penale della classe di fatti in esso tipizzati, continuando a essere puniti in forza del riformulato reato di traffico di influenze illecite. Infine, depongono a favore della abrogatio sine abolitione le prime interpretazioni giurisprudenziali (Cass. pen. n. 17980/2019) in cui, oltre che tenere in considerazione la ratio legis e il rapporto strutturale, si è anche fatto leva sulla sovrapponibilità delle condotte, riscontrando una continuità normativa tra la condotta di chi ha ricevuto denaro o altra utilità «millantando credito», e l'attuale condotta illecita del traffico di influenze ex art. 346-bis c.p. In definitiva, secondo tale impostazione, rilevato che l'abrogazione del reato di millantato credito ad opera della legge n. 3 del 2019 costituisce un'ipotesi di abrogatio sine abolitione occorre regolare le condotte medio tempore compiute secondo i parametri dell'art. 2, comma quarto, c.p.: la norma più favorevole deve dunque individuarsi nella nuova disciplina ex art. 346 -bisc.p. che prevede la sola pena della reclusione e una cornice edittale più mite. Questa soluzione non ha tuttavia convinto parte della giurisprudenza di legittimità, generando un contrasto che ha richiesto la rimessione alle Sezioni Unite, con ordinanza 19 luglio 2023, n. 31478, della Seconda Sezione penale, della seguente questione: “Se sussista continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all'art. 346, comma secondo, cod. pen., abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. s), legge 9 gennaio 2019, n. 3, e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346-bis cod.pen.”. L'ordinanza del 2023 ha infatti rilevato che, nella giurisprudenza della Corte, si è registrato un contrapposto orientamento, che esclude la continuità normativa tra le fattispecie, sostenendo che l'art. 346 bis c.p. punisce condotte prodromiche rispetto al più grave delitto di corruzione, laddove il millantato credito, nelle ipotesi di cui al comma 2, era equiparabile al delitto di truffa perché rivolto a tutelare il patrimonio della persona offesa e non già il corretto esercizio della funzione pubblica (Cass. 7 febbraio 2020, n. 5221). Secondo tale interpretazione, la condotta criminosa ex art. 346-bis c.p. risulterebbe differente rispetto a quella ex art. 346, comma 2, c.p., essendo venuto meno il riferimento al “pretesto” di comprare il favore di un pubblico ufficiale o di doverlo remunerare, senza che i medesimi comportamenti possano sussumersi nelle relazioni “asserite” tra il soggetto agente e il pubblico ufficiale, di cui all'art 346-bis c.p. Siffatta locuzione non potrebbe interpretarsi come condotta truffaldina del soggetto agente, dovendosi intendere quale prospettazione da parte del reo della concreta possibilità di influire sull'agente pubblico, influenzandolo (Cass. 7 febbraio 2020, n. 5221). Al contrario, risulta pacifico che la riforma del 2019 abbia dato luogo ad una nuova incriminazione in relazione alla posizione del privato, con riferimento alle condotte prima punite a titolo di millantato credito, che non ne prevedevano la responsabilità. Ne consegue l'irretroattività in parte qua della nuova disposizione, ex art. 2, comma 1, c.p. A conferma di tali conclusioni possono menzionarsi i più recenti arresti della Corte di Cassazione, intervenuta in relazione al rapporto tra la previgente disciplina e il nuovo art. 346-bis c.p., ravvisando un'ipotesi di continuità normativa. In particolare, secondo i giudici di legittimità, sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito, formalmente abrogato, e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346-bis c.p., in caso di vanto di “relazioni asserite”, da intendersi quali relazioni non esistenti, che costituisce una condotta che assorbe il richiamo, contenuto nella norma abrogata, al “pretesto” di dover comprare il favore del pubblico ufficiale (Cass. pen. I, n. 23877/2021). Nel contempo, la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente la continuità normativa tra la previgente fattispecie e il nuovo delitto ex art. 346-bis c.p., come riformato nel 2019, a fronte della condotta di chi, vantando un'influenza, effettiva o meramente asserita, presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, si faccia dare denaro ovvero altra utilità per remunerare il pubblico agente: la Corte ha ritenuto irrilevante la mancata riproposizione della dizione contenuta all'art. 346, comma secondo, cod. pen., lì dove si richiedeva che l'agente avesse ottenuto il vantaggio con il “pretesto” di dover remunerare il pubblico funzionario, atteso che, a seguito della novella, il delitto di cui all'art. 346-bis c. p. prescinde dalla reale esistenza delle relazioni vantate (Cass. pen. VI, n. 1869/2021). L'elemento soggettivoL'elemento soggettivo del delitto di millantato credito è il dolo generico, che presuppone la rappresentazione e la volontà di concludere una mediazione illecita. Consumazione e tentativoLa consumazione del reato corrisponde con il momento della dazione dell'intera soma pattuita a titolo di prezzo, sebbene la fattispecie si perfezioni con la sola promessa. Non è invece necessario che il pubblico ufficiale abbia dato seguito alle richieste ricevute né tantomeno il buon esito dell'attività di intermediazione. In merito alla configurabilità del tentativo si è dubitato che l'anticipazione della tutela penale operata dal legislatore rispetto alle fattispecie corruttive, attraverso un reato di pericolo, concreto, sia compatibile con la punizione del delitto nella forma tentata, che potrebbe, opinando diversamente, configurarsi ogni qual volta il mediatore proponga al terzo privato il pagamento di un prezzo per una mediazione illecita e questi rifiuti ovvero quando sia il privato ad avanzare la proposta al mediatore, che la rifiuti. Circostanze specialiI commi dal terzo al quinto dell'art. 346-bis c.p. prevedono una serie di circostanze speciali, la prima delle quali è legata alla qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio del soggetto agente e, come già evidenziato, determina ai sensi del comma terzo un aumento di pena fino a un terzo. Il comma quarto prevede, oltre alla già menzionata aggravante dell'intermediazione per un atto contrario ai doveri dell'ufficio, quando la condotta di illecita intermediazione sia posta in essere in relazione all'esercizio di attività giudiziarie. Ha invece un effetto attenuante la circostanza di cui al comma quinto dell'art. 346-bis c.p., che opera per i fatti di particolare tenuità, analogamente a quanto previsto dal già esaminato art. 323-bis c.p. per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. La tenuità del fatto andrà valutata alla luce di un giudizio complessivo che tenga conto dell'entità del vantaggio dato o promesso, ma anche della rilevanza dell'atto pubblico. Questioni applicative1) Ai fini della configurazione del reato, assume rilievo l'entità della prestazione promessa o corrisposta? La giurisprudenza di legittimità, sotto la vigenza dell'abrogato art. 346 c.p., ma con conclusioni pienamente estensibili al nuovo delitto di traffico di influenze illecite, ha precisato che l'entità della prestazione, promessa o corrisposta, è irrilevante ai fini della configurabilità del reato, ad eccezione dei casi in cui si tratti di richieste di denaro effettuate dal soggetto agente, finalizzate a doni di trascurabile valore economico, in circostanze particolari, in favore del pubblico ufficiale; nel contempo deve ritenersi sufficiente la promessa mentre è irrilevante che il corrispettivo non sia stato più richiesto o versato (Cass. pen. VI, n. 34440/2006). 2) La mediazione onerosa è illecita? La c.d. mediazione onerosa, in cui la prestazione del committente costituisce solo il corrispettivo per la mediazione illecita promessa dall'intermediario nei confronti del pubblico agente, comporta che l'utilità corrisposta dall'acquirente dell'influenza non è diretta, neppure in parte, a retribuire il pubblico agente, bensì costituisce il prezzo per l'intercessione promessa dal “faccendiere”. Si pone dunque il problema di stabilire le condizioni in presenza delle quali può dirsi “illecita” una mediazione onerosa rivolta ad ottenere un provvedimento ovvero un qualsiasi atto favorevole, anche discrezionale. Nel caso di mediazione onerosa, con la riforma del 2019, la punibilità viene fatta discendere dal mero accordo tra committente e intermediario, originato, sul piano dei motivi, dalla possibilità di sfruttare una relazione reale con il pubblico agente ovvero semplicemente indotta dalla ostentazione di relazioni in tutto o in parte ineffettive: un accordo che nella prospettiva dualistica del committente e del mediatore deve tuttavia essere diretto ad “influenzare” l'operato del “pubblico agente-bersaglio”, al di là dell'effettivo esercizio di una ingerenza inquinante e del conseguimento del risultato desiderato. La giurisprudenza ha affermato che “è possibile innanzitutto definire ciò che non può considerarsi mediazione onerosa illecita, almeno finché perduri l'assenza di una regolamentazione legale dell'attività dei gruppi di pressione in grado di riempire di contenuto l'elemento di illiceità speciale in oggetto”, precisando che “Non può essere oggetto di incriminazione il contratto di per sé, sia esso di mediazione in senso stretto o di altro tipo, atteso che, se così fosse, la tensione della fattispecie rispetto ai principi fondanti di materialità del fatto, di tipicità, di frammentarietà, di offensività sarebbe evidente. Non può assumere rilievo il mero “uso” di una relazione personale – preesistente o potenziale- il fatto cioè che un privato contatti una persona in ragione del conseguimento di un dato obiettivo lecito perché consapevole della relazione, della possibilità di “contatto”, tra il “mediatore” ed il pubblico agente, da cui dipende il conseguimento dell'obiettivo perseguito. Né, ancora, può assumere decisivo rilievo, ai fini della connotazione di illiceità, la mera circostanza che il contratto tra committente e venditore presenti difformità dal tipo legale, presenti cioè profili di illegittimità negoziale, tenuto conto peraltro che il riferimento alla mediazione, contenuto nell'art. 346 bis c.p., non deve essere inteso come esclusivamente riferito al contratto tipico di mediazione disciplinato dagli artt. 1754 e ss. c.c., ma, più in generale, a quel sistema di rapporti, che, pur non essendo riconducibili tecnicamente al contratto in questione, si caratterizzano nondimeno per la presenza di “procacciatori d'affari” ovvero per mere “relazioni informali” fondate su opacità diffuse, da scarsa trasparenza, da aderenze difficilmente classificabili” (Cass. pen. VI, n. 1182/2022). Rapporti con altri reatiL'art. 346- bisc.p. prevede una clausola di sussidiarietà in forza della quale la fattispecie in esame opera «fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli artt. 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all'art. 322-bis». Se dunque la mediazione va a buon fine si realizza un concorso trilaterale nei più gravi delitti di corruzione, rispetto alle quali il delitto di traffico di influenze illecite è prodromico, come ribadito di recente dalla Corte di Cassazione, evidenziando che «il legislatore abbia inteso punire, in via preventiva e anticipata, il fenomeno della corruzione, sottoponendo a sanzione penale tutte quelle condotte, in precedenza irrilevanti, prodromiche rispetto ai reati di corruzione, consistenti in accordi aventi ad oggetto le illecite influenze su un pubblico agente che uno dei contraenti (il trafficante) promette di esercitare in favore dell'altro (il privato interessato all'atto) dietro compenso (per sé o altri o per remunerare il pubblico agente)» (Cass. pen. VI, n. 40518/2021). Poiché lo scopo dell'accordo stretto fra il privato e il soggetto agente del delitto in esame è l'interazione di quest'ultimo con il soggetto pubblico per conseguire finalità corruttive, qualora il privato dovesse stringere autonomamente un patto corruttivo con il soggetto pubblico, dopo aver pattuito una intermediazione con il faccendiere, la clausola di riserva non dovrebbe operare, dato che la corruzione non costituisce più l'esito dell'esecuzione del pactum sceleris tra i «trafficanti». Ne consegue che il faccendiere dovrebbe rispondere del solo traffico di influenze illecite, mentre il privato dovrebbe rispondere del reato di cui all'art. 346-bis c.p. e del reato di corruzione, eventualmente in continuazione (Prete, 3). La giurisprudenza ha invece affermato che risponde di concorso di persone in corruzione propria, ai sensi degli artt. 110 e 319 c.p., e non di traffico di influenze illecite, il collaboratore di un pubblico ufficiale che, dietro indebita promessa o corresponsione di una retribuzione da parte di un terzo, realizzi un'attività di collegamento tra questi ed il pubblico ufficiale funzionale all'accordo corruttivo, essendo in tal caso la retribuzione dell'agente causalmente orientata alla realizzazione dell'accordo stesso e non limitata soltanto a remunerare l'opera di mediazione compiuta da chi si attiva per promuovere un accordo corruttivo al quale resta estraneo (Cass. pen. VI, 18125/2020). Traffico di influenze illecite e istigazione alla corruzione Occorre infine rilevare che la mancata inclusione dell'art. 322 c.p. nella clausola di riserva sembra aprire la strada ad una conseguenza irragionevole: se la promessa o la dazione di denaro o altra utilità formulata dal mediatore non viene accettata dal funzionario pubblico, mediatore e privato rispondono dei delitti di cui agli artt. 322 e 346-bis c.p., in concorso, mentre se la promessa o la dazione vengono accettate, rispondono del solo delitto di cui all'art. 319 c.p. Il buon esito della mediazione va a vantaggio dei trafficanti di influenze illecite (Brunelli, 17; Pisa, 36). BibliografiaBrunelli, Le disposizioni penali nella legge contro la corruzione: un primo commento, in federalismi.it, 5 dicembre 2012; Pisa, Il «nuovo» delitto di traffico di influenze, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 2013; Prete, Prime riflessioni sul reato di traffico di influenze illecite (art. 346 -bis c.p.), in Dir. pen. cont, 20 dicembre 2012. |