Codice Civile art. 827 - Beni immobili vacanti.

Francesco Caringella

Beni immobili vacanti.

[I]. I beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato.

Inquadramento

L'art. 827 c.c. è posto a chiusura della disciplina che regola i beni pubblici immobiliari, disponendo il principio per cui non è configurabile una res nullius immobiliare, dovendosi necessariamente ricondurre in tal caso la titolarità del bene immobile vacante allo Stato.

A tale regola generale derogano alcune leggi costituzionali (l. cost. n. 2/1948 per la Sicilia; l. cost. n. 3/1948 per la Sardegna; d.P.R. n. 670/1972 per il Trentino-Alto Adige), per le quali i beni immobili vacanti nelle regioni Sicilia, Sardegna e del Trentino-Adige non rientrano nel patrimonio dello Stato, ma di queste Regioni a statuto speciale.

La giurisprudenza ritiene tradizionalmente che non si possa configurare una presunzione di appartenenza allo Stato di tutti gli immobili di cui non vi è la prova dell'appartenenza ad altri. Infatti, la Suprema Corte di Cassazione ha enunciato che la disposizione in esame «si limita a prevedere un effetto giuridico conseguente ad una determinata situazione di fatto (vacanza del bene) la quale deve essere, perciò, dimostrata dal soggetto che la invochi a fondamento del suo diritto» (Cass. n. 4975/2007).

Da tale pronuncia, inoltre, si evince che l'onere probatorio circa la vacanza del bene permane in capo a chi invochi l'applicazione della norma in commento.

Dunque, l'effetto giuridico conseguente alla situazione di fatto comporta l'acquisto della proprietà a titolo originario (Cass. n. 2862/1995), rientrando i beni nel patrimonio disponibile dello Stato (Cass. n. 942/1966), salvo che non siano riconducibili all'elenco, non esaustivo, dell'art. 822, comma 2, c.c., il quale comporterebbe l'acquisizione del bene nel demanio eventuale.

L'applicazione dell'art. 827 c.c. è stato spesso ricondotto all'ipotesi di acquisto dello Stato dell'eredità di cui all'art. 586 c.c., cioè nel caso in cui non vi siano chiamati all'eredità. La giurisprudenza ha specificato che si tratta di istituti di carattere e natura diversa. Infatti, la Corte di Cassazione ha chiarito che nel caso dell'art. 586 c.c. l'acquisto avviene iure sucessionis e, quindi, a titolo derivativo, ricomprendendo l'asse ereditario, cioè anche beni mobili e crediti, oltreché immobili; distinguendosi dall'acquisto a titolo originario di cui all'art. 827 c.c. (Cass. n. 2862/1995). Infatti, quest'ultimo, a differenza dell'acquisto mortis causa dello Stato, opera soltanto per beni che sono all'interno del territorio nazionale e prescinde del valore del bene, talché lo Stato non si potrebbe sottrarre all'acquisto anche ove quest'ultimo comporti un onere economico gravoso. Viceversa, nel caso di acquisto ex art. 586 c.c. lo Stato, ai sensi del comma 2, risponde dei debiti nei limiti del valore dell'asse ereditari.

Operatività dell'usucapione

La norma in esame non osta che i privati possano acquistare exartt. 1158 e seguenti c.c. beni immobili rimasti vacanti. Il legislatore, al contempo, si è preoccupato di tutelare le prerogative pubbliche su tali beni ponendo dei limiti all'usucapione privato. Infatti, la l. n. 296/2006, all'art. 1, comma 260, ha esteso l'ambito applicativo dell'art. 1663 c.c. nel caso di beni vacanti; in particolare, la quale, la disposizione sui vizi del possesso prevede che l'acquisto in modo violento o clandestino esclude la configurabilità del possesso utile ai fini dell'usucapione.

L'art. 1, comma 260, prevede che: «sino a quando il terzo esercente attività corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale non notifichi all'Agenzia del demanio di essere in possesso del bene vacante o derivante da eredità giacente». Il possesso utile ai fini dell'usucapione, quindi, potrà essere considerato tale dalla notifica all'Agenzia del demanio.

La Suprema Corte ha ritenuto che la disposizione di cui all'art. 1, comma 260, non incide sugli acquisti già perfezionati alla data dell'entrata in vigore della medesima, non richiedendo che sia intervenuta una sentenza dichiarativa dell'acquisto (Cass. n. 7278/2010).

Ipotesi applicative: la rinuncia abdicativa e l'acquisto ex art. 827 c.c.

L'acquisto al patrimonio dello Stato ex art. 827 c.c. trova applicazione nel caso di rinuncia abdicativa del diritto di proprietà ad opera del singolo. Infatti, una delle conseguenze della rinuncia, avente carattere non traslativo, ma dismissivo, è quello della vacanza del bene immobile; dunque, se legittimamente abbandonati (forma scritta ad substantiam) entreranno per l'effetto della disposizione in esame nel patrimonio dello Stato.

La rinuncia abdicativa immobiliare ad oggi è accolta con favore dalla dottrina e giurisprudenza prevalente, in virtù del fatto che trattandosi di un diritto patrimoniale deve ritenersi pienamente disponibile, al pari degli altri diritti reali minori, espressamente previsti dalla legge come rinunciabili, si veda l'enfiteusi. Dunque, il proprietario che manifesti la volontà di disfarsi del bene, cioè che sia dotato del c.d. animus dereliquendi, deve rinunziarvi con atto scritto ad substantiam ex art. 1350, n. 5, c.c., trascrivendolo ai fini dell'opponibilità ai sensi dell'art. 2643, n. 5., c.c.

La suddetta impostazione, inoltre, trova conforto proprio nella previsione di cui all'art. 827 c.c., ribadendo che la dismissione della titolarità comporta l'acquisizione al patrimonio dello Stato.

A tale ultima circostanza, però, è opportuno richiamare il parare dell'Avvocatura Generale dello Stato (nota prot. n. 137950/2018), attraverso il quale è stato ribadito la necessaria recettizietà della rinuncia, in quanto la mancata comunicazione all'Agenzia del demanio comporterebbe oneri eccessivamente gravosi, anche ai fini della responsabilità dello Stato per cose in custodia.

La tesi prevalente, invece, al contrario dell'Avvocatura Generale dello Stato, non ritiene che la dichiarazione abbia natura recettizia, trattandosi di una dichiarazione di volontà di carattere dismissivo e non traslativo, e, inoltre, immediatamente produttiva di effetti; oltreché, gli effetti pubblicitari, e anche ai fini dell'opponibilità, sono attuati mediante la trascrizione imposta ex art. 2643, n. 5, c.c.. Talché alla dismissione del diritto di proprietà segue automaticamente, secondo tale tesi, l'operatività dell'acquisto ex art. 827 c.c.

Tale ricostruzione, però, non è stata esente da critiche; in particolare, è stato sostenuto da una parte della giurisprudenza di merito che l'art. 827 c.c. non può e non deve essere interpretato nel senso di ritenere automaticamente acquisiti al patrimonio dello Stato anche i beni immobili vacanti in conseguenza di rinuncia abdicativa. Infatti, se così non fosse lo Stato sarebbe esposto «al rischio di divenire proprietario di beni in stato di degrado e perciò forieri di responsabilità da custodia» (T.A.R. Puglia, Bari, n. 2176/2008).

Il Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen., n. 2/2020) ha affrontato il tema della rinuncia abdicativa, quale strumento a difesa del privato per far fronte all'inerzia amministrativa che aveva occupato e trasformato una proprietà altrui. Dunque, nel caso di mancato provvedimentoex art. 42- bis d.P.R. n. 327/2001 (Testo unico delle disposizioni in materia di espropriazione per pubblica utilità) e, quindi, di occupazione usurpativa, l'Adunanza Plenaria ha ribadito in riferimento all'art. 827 che «tuttavia, tale acquisto, peraltro a titolo originario e non derivativo, si realizzerebbe in capo allo Stato e non in capo all'Autorità espropriante, attuale occupante e in possesso del bene, che sarebbe del tutto esclusa dalla vicenda giuridica pur avendone costituito la causa efficiente tramite l'illecita apprensione del bene del privato. La spiegazione dell'effetto traslativo, pertanto, sarebbe del tutto eccentrica rispetto al rapporto amministrativo che viene innescato dall'Amministrazione espropriante, rendendo evidente l'artificiosità della soluzione teorica proposta. Né l'effetto traslativo può essere recuperato attraverso l'ordine di trascrizione della sentenza di condanna al risarcimento del danno (e, quindi, della sua rinuncia abdicativa implicita a favore dell'Amministrazione espropriante), atteso che, come è noto, le vicende della trascrizione si pongono solo sul piano dell'opponibilità verso terzi degli atti giuridici dispositivi di diritti reali, ma non disciplinano la validità e l'efficacia giuridica degli stessi. Se l'atto non è in sé idoneo a determinare il passaggio del bene in capo all'Amministrazione espropriante non potrà già di per sé essere trascrivibile e all'eventuale ordine del giudice contenuto nella sentenza non potrebbe riconoscersi base legale».

Per una completa trattazione sul tema si rinvia all'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001.

Per quanto rileva in questa sede, l'Adunanza Plenaria ha escluso l'operatività dell'acquisto ex art. 827 c.c. a favore dell'autorità espropriante.

Una parte della dottrina, invece, critica la soluzione dell'Adunanza Plenaria, in quanto (Barilà, 160) l'acquisto, a seguito di rinuncia, è effettuato al patrimonio disponibile dello Stato e, pertanto, nulla impedisce all'amministrazione espropriante di esercitare il potere di acquisizione sanante.

Bibliografia

Barilà, Nuovi interventi del Consiglio di Stato sulla tutela della proprietà rispetto ad occupazioni illegali dell'amministrazione, in Foro it., 2020, 3, III, 159 e ss.

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