Codice Civile art. 828 - Condizione giuridica dei beni patrimoniali.

Francesco Caringella

Condizione giuridica dei beni patrimoniali.

[I]. I beni che costituiscono il patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni [826] sono soggetti alle regole particolari che li concernono e, in quanto non è diversamente disposto, alle regole del presente codice (1).

[II]. I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile [826] non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.

(1) V. r.d. 23 maggio 1924, n. 827.

Inquadramento

L'art. 828 c.c. disciplina il regime giuridico applicabile al patrimonio dello Stato, distinguendo, a sua volta, il patrimonio disponibile (comma 1) dal patrimonio indisponibile (comma 2).

Dunque, il primo comma per il patrimonio disponibile rinvia a norme speciali e, in via residuale, al codice civile; il secondo comma, invece, dispone che i beni che costituiscono il patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione «se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano».

In virtù del richiamo di cui all'art. 830, comma 2, c.c. alla disposizione in esame, tale regime giuridico si estende anche al patrimonio indisponibile degli enti pubblici non territoriali.

Il regime giuridico, dunque, applicabile al patrimonio dello Stato, in particolare ai beni indisponibili, deve essere contrapposto al regime previsto all'art. 823 c.c. per il demanio dello Stato. Infatti, la differenziazione del regime applicabile è giustificata dal diverso interesse soddisfatto dal bene. Pertanto, nel caso di demanio la maggiore rilevanza degli interessi soddisfatti giustifica la sottrazione dal commercio, cioè la loro incommerciabilità. Viceversa, la minore importanza del patrimonio indisponibile, alla luce della diversa portata degli interessi, fa sì che siano inalienabili, ma non incommerciabili.

Orbene, ai sensi dell'art. 828 c.c. i beni patrimoniali indisponibili sono, invece, commerciabili, salvo il caso in cui la loro circolazione o la costituzione di diritti a favore dei terzi li sottragga al vincolo di destinazione.

Dal combinato disposto di tali norme risulta la volontà legislativa di garantire la destinazione pubblica di tali beni, attraverso un divieto esplicitato nei suoi contenuti nel caso di beni demaniali e formulato, invece, in modo più ampio e generale per il patrimonio indisponibile. In sintesi, non si è di fronte a due divieti; la portata concreta del vincolo è modulata in base alle caratteristiche obiettive del bene e sulla capacità di eventuali atti di «commercializzazione» di pregiudicarne la funzionalizzazione (Bianca).

Pertanto, la previsione codicistica in esame non vieta la stipulazione di negozi privatistici aventi a oggetto beni patrimoniali indisponibili, ma impone che l'attività negoziale faccia salva la destinazione pubblica impressa al bene (Chiara, 344).

Il regime giuridico dei beni del patrimonio indisponibile di cui al comma 2 dell'art. 826 c.c.

Originariamente l'art. 9 del r.d. n. 827/1924 prevedeva per tutti i beni del patrimonio indisponibile l'inalienabilità; pertanto, potevano essere oggetto di atti di disposizione, ma la titolarità doveva permanere in capo all'ente pubblico. Sebbene tale previsione sia stata superata dall'introduzione dell'art. 828 c.c., rimangono dei beni, c.d. riservati naturali, sottoposti al vincolo della inalienabilità.

Tali beni, infatti, per le loro caratteristiche naturali, laddove siano ascritti al patrimonio indisponibile, assumono caratteristiche analoghe a quelle demaniali.

L'atto dispositivo di alienazione compiuto in violazione del divieto, secondo la dottrina maggioritaria è nullo, sebbene sulla scorta di argomentazioni diverse.

Secondo un primo orientamento si tratterebbe di una nullità per impossibilità o inidoneità dell'oggetto, exartt. 1418, comma 2, c.c. e 1346 c.c.; una seconda tesi, maggioritaria e preferibile, ritiene che il divieto assoluto da parte di leggi speciali si tradurrebbe in un atto nullo in quanto contrario a norme imperative (Bianca).

La riserva del bene alla proprietà esclusiva dell'ente ne porta ad escludere l'usucapione (Cass. n. 3667/1998), così come anche l'espropriazione forzata.

Viceversa, l'art. 4, comma 2, d.P.R. n. 327/2001 ha recepito l'orientamento giurisprudenziale e dottrinale, il quale riteneva tali beni espropriabili per pubblica utilità. La disposizione del testo unico, però, ha previsto un requisito ulteriore: il perseguimento di un interesse pubblico superiore rispetto a quello soddisfatto precedentemente dal bene.

Il regime giuridico dei beni a destinazione pubblica (art. 826, comma 3, c.c.)

La categoria dei beni a destinazione pubblica ricomprende i mobili e gli immobili destinati dall'amministrazione ad un pubblico servizio, cioè alla soddisfazione di un interesse della collettività o della stessa amministrazione e, per tale ragione, sottratti al patrimonio disponibile dello Stato, delle province e dei comuni (art. 826, comma 3, c.c.), come pure degli enti pubblici non territoriali (art. 830, comma 2, c.c.).

La dottrina e la giurisprudenza oggi maggioritarie, ritengono all'uopo necessaria la ricorrenza di due elementi, soggettivo e oggettivo (per un approfondimento sul tema si veda art. 826 c.c.).

Non è ufficiente la mera manifestazione di volontà formale dell'amministrazione, ma è necessario l'effettivo e concreto utilizzo alla soddisfazione dell'interesse a cui è destinato.

L'elemento della destinazione comporta il venir meno della necessaria soggettività pubblica, il cui fondamento risiedeva il divieto di intrasferibilità. La inalienabilità dei beni pubblici, in particolare dei beni del patrimonio indisponibile dello Stato, è stata contraddetta dai processi di cartolarizzazione (si veda l'art. 822 c.c.) dei beni pubblici, così come l'affidamento a società private del servizio pubblico a reti. La destinazione e utilizzazione deve essere coerente con le finalità del bene, sebbene questo sia dismesso.

Il divieto di inalienabilità e intrasferibilità e il conseguente requisito della necessaria soggettività pubblica è venuto meno, in considerazione, non soltanto di una lettura costituzionalmente orientata dei beni pubblici (art. 2 e 42 Cost.), ma anche di una ri-lettura dinamica e oggettiva, la quale ha prediletto l'interesse pubblico soddisfatto dal bene.

In ogni caso, gli atti di disposizione che non comportino il trasferimento della titolarità sono ammessi. In tal senso, quindi, è configurabile la costituzione di diritti reali parziali, quali quelli di servitù, come pure gli stessi potrebbero essere acquisiti per usucapione. Al contempo, il bene può essere temporaneamente dato in comodato o in locazione (Cass. n. 1575/1963), anche di una parte ultronea rispetto a quella necessaria per l'uso pubblico.

Problematiche attuali: la tutela amministrativa dei beni del patrimonio indisponibile.

L'art. 828 c.c. non prevede le medesime facoltà per l'autorità amministrativa, in specie l'autotutela esecutiva, di cui all'art. 823 c.c. Nel silenzio del legislatore, la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate sulla possibilità di estendere quest'ultima disposizione anche al regime dei beni patrimoniali dello Stato.

La risposta è stata affermativa. Infatti, in virtù della teorica dei poteri impliciti, alla P.A. sono attribuiti tutti quei poteri idonei al fine di raggiungere l'obiettivo prestabilito dalla norma. La giurisprudenza, però, ha limitato la suddetta estensione ai soli beni del patrimonio indisponibile. Viceversa, nel caso di patrimonio disponibile la Pubblica amministrazione, agendo iure privatorum, potrà porre in essere tutti i rimedi codicistici, negoziali e non, al fine di tutelare il proprio patrimonio.

Tale interpretazione estensiva è quella ad oggi dominante (Cons. St. n. 5934/2019).

Le critiche dottrinali partono dall'assunto che l'autotutela esecutiva ex art. 823 c.c. non soddisfa il principio di legalità in senso sostanziale (per un approfondimento sul tema e sulle critiche si rinvia all'art. 823 c.c.).

Servizi a rete.

Come ribadito in precedenza, è venuto meno il regime che tradizionalmente caratterizzava i beni pubblici. Infatti, non costituisce più elemento qualificante né la titolarità pubblica del bene né il divieto assoluto di intrasferibilità. L'indisponibilità assoluta permane soltanto per alcune categorie di beni pubblici, tra questi il demanio naturale e le foreste, miniere e cave del patrimonio indisponibile.

Dunque, il fenomeno delle privatizzazioni (si rimanda all'art. 830 c.c., in cui si tratta delle privatizzazioni degli enti pubblici non territoriali, titolari di beni pubblici), ha comportato, tra le varie conseguenza, che enti non territoriali, titolari di beni pubblici, fossero trasformati in persone giuridiche di diritto privato, permanendo in capo ad esse la titolarità del bene.

Orbene, il momento in cui è concettualmente superato il dogma della intrasferibilità è stato a seguito dell'affidamento di taluni beni di fondamentale importanza per l'erogazione di servizi pubblici essenziali, cioè le reti, a soggetti formalmente privati.

Quindi, è prevalsa una nozione oggettiva di bene pubblico, connessa alla qualitas del bene, la quale tenesse in considerazione, secondo un criterio di tipo sostanziale, l'effettiva destinazione.

I c.d. servizi pubblici a reti sono infrastrutture necessarie per il servizio stesso, la cui caratteristica principale è l'impossibilità di essere economicamente duplicate. Si pensi alle reti di trasmissione dell'energia elettrica, di trasporto del gas, alle reti di telecomunicazioni, ferroviaria e autostradale.

Il problema di tali servizi e dell'affidamento a società formalmente private è il frutto della disciplina imposta dall'Unione europea, la quale tra i vari scopi vi è quello dell'apertura dei mercati, del principio di concorrenza e libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali.

Al fine di adempiere a tali obiettivi, l'ordinamento nazionale, per le reti di maggior importanza (a titolo esemplificativo si indica: l. n. 210/1985, d.l. n. 333/1992, l. n. 16/1993 per l'ente ferrovie, trasformato in Rete Ferroviaria Italiana S.p.A.; per Enel trasformata in società per azioni con il d.l. n. 333/1992 e il d.lgs. n. 79/1999; per la rete autostradale affidata a A.N.A.S. S.p.A. con il d.l. n. 138/2002), ha previsto che la società per azioni titolare e detentrice della rete è tenuta a dare accesso alle imprese terze a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie.

Tali norme, quindi, impongono un divieto assoluto al titolare privato della rete di esercizio del ius excludendi alios, vietando l'esercizio di quello che sarebbe, economicamente parlando, un monopolio naturale.

Dunque, si possono identificare tre principali categorie di interessi: un primo interesse concerne quello del proprietario e gestore della rete; un secondo, invece, coincide con l'interesse della collettività ad avere una rete funzionante ed efficiente; un terzo, infine, è l'interesse dei competitors all'utilizzo dell'infrastruttura. Tale ultimo interesse trova tutela grazie alla garanzia di accesso al mercato, il cui ostacolo da parte del gestore si può tradurre in un abuso di posizione dominante, pertanto, un'infrazione antitrust sanzionabile ex art. 102 TFUE.

Discusso in dottrina circa la natura reale od obbligatoria derivante dalla titolarità del servizio a rete. L'impostazione che pare più convincente sostiene la configurabilità di obbligazioni propter rem oppure di oneri reali, in quanto si traducono in un facere in capo al titolare, un obbligo, ma caratterizzato dall'ambulatorietà, così eventuali vicende traslative non mutano gli obblighi in capo ai nuovi titolari (Cintioli, 161).

In definitiva, si può sancire il passaggio da una nozione soggettiva, formale e tassativa di beni pubblici a una nozione oggettiva, funzionale e atipica, secondo cui sono da intendersi beni pubblici destinati funzionalmente al soddisfacimento di interessi pubblici, in cui lo Stato è garante del perseguimento di tali interessi (in tal senso Caringella, 701; Police, 436)

Bibliografia

Bianca (diretto da), Commentario del codice civile, Gatti, Troiano (a cura di), Della proprietà, III, Roma, 2014; Caringella, Manuale ragionato di diritto amministrativo, Roma, 2021; Police, I beni di proprietà pubblica, in Scoca (a cura di), Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2019; Chiara, Condizione giuridica dei beni patrimoniali, in beni pubblici, Castorina – Chiara (a cura di), Milano, 2008; Cintioli, Le reti come beni pubblici e la gestione dei servizi, in i beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Police (a cura di), Milano, 2008.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario