Codice Civile art. 822 - Demanio pubblico.Demanio pubblico. [I]. Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia [28, 692 c. nav.]; le opere destinate alla difesa nazionale (1). [II]. Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi [28, 692 c. nav.]; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico [823]. (1) Per le acque pubbliche v. r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775; l. 27 dicembre 1953, n. 959; d.lg. 12 luglio 1993, n. 275; art. 144 d.lg. 3 aprile 2006, n. 152. InquadramentoL'art. 822 c.c. qualifica e individua i beni che sono sottoposti al regime del demanio pubblico, distinguendo da una parte i beni che debbono necessariamente far parte del demanio dello stato, c.d. demanio necessario, di cui al comma 1; dall'altra i beni che, se nella titolarità dello stato, sono soggetti alla disciplina speciale dei beni demaniali, c.d. demanio eventuale. La qualificazione del bene pubblico come demaniale comporta l'applicazione di un peculiare regime giuridico, delineata in parte dalle norme successive del presente codice. Nella previsione dell'art. 822 c.c. il legislatore ha fatto una chiara scelta di tipo oggettivo, cioè ha assoggettato alla peculiare disciplina, qui in commento, determinati beni il cui utilizzo è strumentale all'esercizio di una pubblica funzione. Dunque, secondo una lettura moderna, il bene è demaniale non più e soltanto in quanto di proprietà dello stato, bensì perché reca i caratteri e gli elementi intrinseci e concreti che lo rendono atto all'utilizzo collettivo. L'art. 42 cost., tra i diritti economici, prevede la proprietà, disponendo che essa sia pubblica e privata. Storicamente la nascita della proprietà dello Stato coincide con il venir meno della proprietà del monarca, cosicché la titolarità in capo al primo consentisse il perseguimento di fini pubblici e non scopi personali. In un primo tempo, dunque, i beni dello Stato erano soggetti a un regime autonomo e distinto rispetto a quello della proprietà privata. Infatti, si riteneva, come affermato da Santi Romano che «la proprietà pubblica appare parallela alla proprietà privata, non come modificazione di quest'ultima». Ad oggi la tesi del tutto prevalente (tra i tanti Scoca) ritiene che si tratti di una nozione unitaria di proprietà, la cui distinzione è soltanto ai fini del regime giuridico applicabile; pertanto, i soggetti privati possono godere e disporne liberamente, nei limiti consentiti dall'ordinamento; invece, le organizzazioni pubbliche, titolari di beni, sono tenute a utilizzarli secondo la loro funzione, perseguendo i propri fini istituzionali fissati dalla legge. Dunque, la titolarità pubblica, il quale tradizionalmente rappresenta la fondamentale garanzia del buon utilizzo del bene, non costituisce di per sé la necessità che venga applicata una disciplina speciale. In definitiva, il costituente ha abbracciato una visione di proprietà pubblica non intesa come proprietà privata peculiare, in virtù della titolarità statale del bene, ma in un'ottica di proprietà-funzione (Bianca). In oltre, la disciplina della proprietà pubblica non può non risentire dell'esigenze economiche contingenti e del continuo evolversi dei fattori economici, oltreché dell'evoluzione della normativa organizzativa. In questa prospettiva non stupisce la flessibilità delle norme costituzionali in materia economica e, in particolare, in materia di proprietà pubblica (Marini). Infatti, tale ricostruzione trova conforto nell'elencazione dei beni assoggettati al regime demaniale o del patrimonio indisponibile dello Stato. I primi sono individuati più che altro per la loro identità fisica, cioè per la loro capacità di soddisfare un interesse collettivo, più che per la soggettività pubblica. A tal riguardo, l'art. 822, comma 2, c.c. prevede che i beni che eventualmente sono di titolarità dello Stato sono ricompresi nel demanio pubblico, ma perciò non esclude che, nel caso in cui fossero nella titolarità di privati siano gravati da limiti alla loro utilizzazione, si veda il regime dei beni culturali (d.lgs. n. 42/2004). La ricostruzione sin qui esposta trova conforto nell'orientamento giurisprudenziale prevalente, il quale ha superato il criterio della necessaria titolarità pubblica del bene (per un approfondimento sulla concezione oggettiva, dinamica e atipica dei beni pubblici si rinvia agli artt. 823 e 828 c.c.), preferendo un criterio per cui la valutazione in ordine al bene come demaniale vada oltre ai criteri di cui all'art. 822 e ss. c.c., ma tenga conto anche della intrinseca natura di cui i beni sono caratterizzati, indipendentemente dal titolo di proprietà pubblico o privato, purché risultino funzionali ad interessi della collettività. Infatti, a tal riguardo le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che «dalla applicazione diretta degli artt. 2,9 e 42 cost. si ricava il principio della tutela della personalità umana e del suo corretto svolgimento, nell'ambito dello Stato sociale, anche in relazione al «paesaggio», con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativa – codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della «proprietà» dello Stato, ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione, risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell'intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività e che – per tale loro destinazione alla realizzazione dello Stato sociale – devono ritenersi «comuni», prescindendo dal titolo di proprietà, risultando così recessivo l'aspetto demaniale a fronte di quello della funzionalità del bene rispetto ad interessi della collettività » (Cass. S.U., n. 3813/2011). Per un approfondimento sul tema dei beni comuni si rinvia all'art. 825 c.c. La ricostruzione giurisprudenziale su estesa ha permesso di superare le perplessità maturate in dottrina in ordine alla compatibilità del demanio eventuale rispetto al regime giuridico dell'inalienabilità di cui all'art. 823 c.c. In quanto, la distinzione tra demanio necessario, di cui al comma 1 dell'art. 822 c.c., e il demanio eventuale di cui al comma 2, verte sulla titolarità del bene. Infatti, i primi sono tali i beni che soddisfano i requisiti descrittivi della disposizione in ordine alla loro identità fisica; i secondi, invece, oltre all'identità fisica è richiesto un ulteriore requisito: la titolarità del medesimo in capo a un ente territoriale. La disciplina del demanio eventuale, quindi, è applicabile ove vi sia l'effettiva titolarità pubblica. Ciò però non esclude che il bene, ove nella titolarità del privato, sia soggetto a vincoli e limiti che garantiscano l'utilizzo dello stesso per il soddisfacimento degli interessi pubblici sottesi al medesimo. Infatti, vi è una categoria di beni (strade vicinali, cave e torbiere private; beni privati di interesse storico e artistico, archeologico e simili) che, sebbene di privati, hanno inn comune con quelli degli enti pubblici la caratteristica di soddisare direttamente un interesse pubblico (Sandulli, 758.). La disposizione di cui all'art. 823 (a cui si rinvia per una più completa trattazione sul regime giuridico), costituisce la garanzia dello Stato in ordine all'effettiva destinazione del bene, così prevedendo strumenti, sia amministrativi sia privatistici, che permettano l'effettivo e concreto perseguimento di tale fine. Pertanto, la prevalenza della funzionalità del bene rispetto alla qualifica dello stesso come demaniale ha consentito il passaggio da una concezione soggettiva e tassativa a una concezione dinamica oggettiva dei beni pubblici, peraltro, e per l'effetto ha determinato una opacizzazione dei tre elementi caratterizzanti la proprietà pubblica: necessaria soggettività pubblica, intrasferibilità dei beni e lo ius excludendi alios. La clausola di apertura di cui al comma 2Il comma 2, della norma in commento, prevede una clausola di apertura («...e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico») con la quale è consentito al legislatore di estendere l'ambito di applicazione del regime demaniale ampliandone l'elenco, non tassativo. La l. n. 281/1970, in applicazione della suddetta clausola di apertura, ha previsto all'art. 11, comma 1: «I beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell'articolo 822 del codice civile, se appartengono alle Regioni per acquisizione a qualsiasi titolo, costituiscono il demanio regionale e sono soggetti al regime previsto dallo stesso codice per i beni del demanio pubblico». La suddetta clausola, quindi, acconsentirebbe secondo una lettura estensiva l'applicazione del regime demaniale in virtù della sola attribuzione legislativa, piuttosto che applicare i criteri dell'identità fisica del bene e della titolarità pubblicistica dello stesso. Alla luce di tale disposizione, dopo la riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, il legislatore nel dare attuazione all'art. 119 cost., ha approvato la l. 5 maggio 2009, n. 41, in materia di «federalismo fiscale», con la quale il Governo è stato delegato ad attribuire ai Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, risorse autonome, secondo il principio di solidarietà e sussidiarietà (art. 1, comma 1, l. n. 41/2009). Il Governo, in attuazione della l. n. 41/2009, ha adottato il d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85, stabilendo che i beni trasferibili ex art. 5, comma 1, in attuazione della dizione «proprio patrimonio» di cui all'ultimo comma dell'art. 119 cost., sono: beni demaniali marittimi ex art. 822 c.c. e art. 28 cod. nav.; i beni del demanio idrico (esclusi fiumi e laghi sovraregionali); gli aeroporti regionali o locali appartenenti al demanio aeronautico; le miniere e gli altri beni immobili dello Stato classificati come trasferibili agli enti territoriali. L'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 85/2010, invece, prevede l'elenco dei beni, i quali non possono far parte del patrimonio degli enti territoriali, tra i quali anche i beni culturali, le strade statali, i parchi nazionali. Il requisito della necessaria soggettività del bene pubblico è venuto meno anche a seguito della trasformazione in società per azioni di enti economici, i quali erano titolari di una serie di beni pubblici. In particolare, si osservano due fenomeni: da una parte la trasformazione di enti pubblici economici in società per azioni; dall'altra la disciplina europea che, a prescindere della qualità pubblica o privata del soggetto titolare, impone determinati vincoli sui beni strumentali alla prestazione di servizi pubblici, il tutto in virtù del rispetto dei principi della concorrenza. In alcuni casi, quindi, il legislatore si è occupato di disciplinare il regime dei beni trasferiti alle società residuanti dalla privatizzazione, come nel caso dell'Ente nazionale per le strade ANAS, in cui ha previsto all'art. 76, comma 1, lett. a della l. n. 289/2002 che il trasferimento della proprietà della rete autostradale e stradale nazionale alla società ANAS S.p.A. non modifica il regime giuridico previsto dagli artt. 823 e 829, comma 1, c.c. La questione si è posta, in particolare, per il caso dei «servizi pubblici a rete», come le strade ferrate, la cui utilizzo necessità di infrastrutture di gestione. Per reti si intende una particolare categoria di beni, strumentali all'esercizio di servizi pubblici, tra i quali sono annoverabili beni del demanio pubblico, come le strade ferrate, ma anche, e soprattutto, beni del patrimonio indisponibile dello Stato, in quanto «destinati a un pubblico servizio» ex art. 826, comma 3, e art. 830, comma 2, c.c. (per una più compiuta trattazione dei servizi pubblici a rete si rinvia all'art. 828). Questioni applicative: il demanio marittimo, idrico, militare e culturaleL'art. 822 prevede, dunque, due categorie di demanio pubblico, necessario ed eventuale, le cui gestione, potere di esercizio e utilizzo è riservato all'autorità amministrativa (si rinvia all'art. 823 c.c.). In particolare, la norma in commento prevede in primo luogo il c.d. demanio marittimo, all'interno del quale è compendiabile: il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti. L'art. 28 del codice nella navigazione (r.d. 30 marzo 1942, n. 327) specifica ulteriormente il demanio marittimo, aggiungendo ulteriormente «le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare», ma anche «i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo». La giurisprudenza si è occupato di definire in modo preciso le varie componenti del demanio marittimo, in particolare ha ritenuto che lido e spiaggia ai sensi degli artt. 822 c.c. e 28 cod. nav. sono costituiti anche dalla striscia di terreno a contatto con il mare, e comunque coinvolta dallo spostamento delle sue acque, tenuto conto anche delle maree. Inoltre, è considerata lido e spiaggia anche la striscia entroterra che venga concretamente interessata da esigenze di pubblico uso del mare (ex multis Cass. n. 10304/2004). Dunque, si può affermare che sono rientranti nel demanio marittimo quelle aree che sono coperte da mareggiate ordinarie; che ove non lo siano, sia ancora utilizzabile a uso marittimo; e che il bene sia adibito ad usi attinenti alla navigazione (cfr. Cass. n. 2417/1981). In definitiva, «nel demanio marittimo necessario è incluso, oltre il lido del mare e la spiaggia, anche l'arenile, ovvero quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi delle acque, e la sua natura demaniale [...] permane anche qualora una parte di esso sia stata utilizzata per realizzare una strada pubblica, non implicando tale evento la sua sdemanializzazione» (Cass. n. 22567/2020). Per quanto concerne il mare, invece, la giurisprudenza ritiene che si tratti di una res communis omnium, nel senso che tutti vi possono servirsene, non rientrando tra i beni demaniali, ma comunque soggetto alla sovranità dello Stato. Infatti, secondo la convenzione di Ginevra del 1958 e la successiva convenzione di Montego Bay, ratificata con l. n. 689/1994, il mare territoriale si estende sino a 12 miglia dalla costa e tale porzione costituisce territorio dello Stato, su cui quest'ultimo esercita la piena sovranità. Sul tema delle concessioni marittime si rinvia al commento dell'art. 823 c.c. I fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite come pubbliche rientrano ai sensi dell'art. 822 c.c. nel c.d. demanio idrico. A queste, la giurisprudenza ha specificato che «le sponde o le rive interne dei fiumi e dei terrenti, costituite da quei tratti di terreno sui quali l'acqua scorre fino al limite delle piene normali, rientrano nell'ambito del demanio idrico, a differenza delle sponde e rive esterne che, essendo soggette alle sole piene straordinarie, appartengono ai proprietari dei fondi rivieraschi» (Cass. S.U., n. 19366/2019). In particolare, un caso peculiare riguarda il c.d. demanio idrico lacuale, nel caso in cui il titolare di un diritto di proprietà di un suolo, il quale proceda a realizzare delle scavature e che, per un errore, allaghi lo scavo di acqua lacustre. In tal caso non è più possibile scindere tra proprietà privata del suolo e proprietà demaniale. Le Sezioni Unite hanno ritenuto che in virtù dei principi di inalienabilità dei beni del demanio pubblico «per accessione alla cosa principale, il terreno, originariamente privato ma trasformato in darsena, sia divenuto anch'esso demaniale, senza che rilevi, in contrario, la mancanza di un'espressa volontà di acquisizione da parte della P.A., venendo in considerazione un rapporto pertinenziale che sorge in via di fatto in conseguenza dell'espansione dell'alveo» (Cass. S.U., n. 253/2021). Il demanio necessario militare è costituito da tutte le opere destinate alla difesa nazionale, la cui funzionalità difensiva è rinvenibile non solo in tempo di guerra, ma altresì anche in tempo di pace. Inoltre, l'art. 692, comma 2, cod. nav., prevede che «gli aeroporti militari fanno parte del demanio militare aeronautico». L'art. 826 c.c., comma 2, esclude espressamente dal demanio dello stato le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra. Il demanio culturale rientra ai sensi dell'art. 822, comma 2, c.c. tra il demanio eventuale dello Stato. In particolare, l'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 42/2004 (c.d. codice dei beni culturali e del paesaggio) definisce i beni culturali come «le cose immobili e mobili che, ai sensi degli artt. 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimoniante aventi valore di civiltà». Il peculiare regime distintivo dei beni culturali è relativo al regime soggettivo di appartenenza, in quanto, in virtù dello stesso codice dei beni culturali, il bene è definibile come pubblico ove titolare sia un ente pubblico; viceversa, il bene il cui proprietario è un privato rimane tale, ma con i limiti imposti a seguito di un provvedimento amministrativo, il quale accerti l'interesse culturale. L'art. 10 del codice, quindi, prevede tre forme di individuazione dei beni culturali: a) quelle ope legis, di cui al comma 2 dell'art. 10; b) i beni di cui al comma 3 dell'art. 3 per i quali è intervenuta la dichiarazione dell'interesse culturale ex art. 13; c) in via residuale il procedimento di verifica dell'esistenza dell'interesse storico di cui all'art. 12 del d.lgs. n. 42/2004 (Paolantonio-police, p. 592). Tale provvedimento di verifica ex art. 12, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (si veda Cons. Stato VI, n. 678/2000) consiste in un provvedimento di accertamento costitutivo, attraverso il quale si sottopone il bene al vincolo storico-artistico. Per quanto concerne, invece, la dichiarazione dell'interesse culturale di cui all'art. 13 del codice dei beni culturali, consiste in un procedimento autorizzativo, il quale, secondo un primo orientamento, si tratterebbe di un giudizio tecnico discrezionale, a cui segue un sindacato forte del G.A. di carattere intrinseco non sostitutivo. Un secondo preferibile orientamento, al contrario, ritiene che si tratti di una valutazione ampiamente discrezionale, in cui l'oggetto della scelta amministrativa riguarda beni che debbono essere valutati meritevoli di tutela culturale. In tal caso il sindacato del giudice amministrativo è estrinseco, cioè limitato alla verifica esterna, in ordine alla completezza dell'istruttoria, della ragionevolezza delle scelte effettuate nella fattispecie concreta (in tal senso T.A.R. Campania, Napoli, n. 549/2008). In ordine alle disponibilità dei beni qualificati come culturali, è necessario dover distinguere in ordine alla titolarità del bene. Infatti, nel caso in cui il titolare sia lo Stato, il bene è soggetto al regime giuridico tipico del demanio pubblico (art. 822, comma 2, c.c.), cioè quello della incommerciabilità. Al contrario, invece, nel caso di titolarità del bene in capo al privato, questo, oltre i limiti imposti dalla pubblica autorità, quali l'immodificabilità, distruzione e adibizione del bene a usi non conformi, il privato che ne disponga dovrà garantire il rispetto della c.d. prelazione culturale. Il codice all'art. 61 prevede un limite temporale all'esercizio della prelazione di sessanta giorni, scaduti i quali il proprietario può disporre liberamente del bene. Il diritto di prelazione riservato all'amministrazione è stato sottoposto al vaglio di legittimità della Corte costituzione (Corte cost. n. 269/2005), la quale lo ha ritenuto conforme alla Costituzione, in quanto è ravvisabile il suo fondamento nell'art. 9 cost., secondo cui sussiste un interesse Nazionale alla tutela di beni che esprimano la vita culturale del paese, che tale interesse giustifica una compressione, limitata temporalmente, della libertà di disposizione del bene. BibliografiaBianca (diretto da), Commentario del codice civile, Gatti, Troiano (a cura di), Della proprietà, III, Roma, 2014; Caringella, Manuale ragionato di diritto amministrativo, Roma, 2021; Giannini, I beni pubblici, Napoli, 1984; Marini, Proprietà pubblica: profili costituzionali, in Police (a cura di), i beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Milano, 2008; Paolantonio – Police, beni cultulari, beni paesaggistici e tutela dell'ambiente, in diritto amministrativo, Scoca (a cura di), Torino, 2019; Police, I beni pubblici, tutele, valorizzazioni e gestione, Milano, 2008; Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984; |