Codice Civile art. 823 - Condizione giuridica del demanio pubblico.Condizione giuridica del demanio pubblico. [I]. I beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano [30 ss., 694 ss. c. nav.]. [II]. Spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà [948-951] e del possesso [1168-1170] regolati dal presente codice. InquadramentoL'art. 823 c.c. prevede il regime giuridico dei beni demaniali. Tale regime speciale è reso in attuazione dell'art. 42 cost., il quale prevede la figura della proprietà pubblica come diritto reale caratterizzato da uno statuto speciale a garanzia della sua destinazione alla realizzazione di interessi pubblici. La disposizione in commento, quindi, ha come obiettivo principale quello di garantire la destinazione pubblicistica dei beni demaniali, intesa come apertura dei beni alla utilizzazione dei cittadini attraverso un rigido regime che escludesse al contempo la compressione dei diritti proprietari statali. Tale normativa, dunque, nasce come regola essenzialmente derogatoria rispetto alla disciplina generale del diritto privato, il quale, invece, consente la valorizzazione economica dei beni attraverso la loro circolazione. In questo senso l'art. 823 c.c. è diretto a porre un argine alle regole privatistiche, in quanto esclude l'applicazione di istituti classici quali l'alienazione, la costituzione in garanzia, l'esecuzione forzata, prevedendo a tutela dei beni demaniali medesimi la loro incommerciabilità. Le disposizioni codicistiche sul tema, però, non forniscono alcuna risposta con riguardo alle modalità ed alle regole della utilizzazione dei beni demaniali ad opera della amministrazione o dei privati. In un primo momento, infatti, la stretta applicazione del regime della incommerciabilità ha impedito che le P.A. potessero disporre dei beni demaniali al fine di permettere un rientro economico. Ciò era escluso non soltanto in virtù del divieto ex art. 823 c.c., ma anche dall'impossibilità assoluta di costituire tali beni in garanzia. Infatti, tale tendenza ha determinato le amministrazioni a dover scaricare i relativi costi sull'utenza pubblica. In definitiva, l'art. 823 c.c. ha imposto per lungo tempo una delle caratteristiche più pregnanti dei beni pubblici: l'intrasferibilità. Infatti, ha impedito quei processi di esternalizzazione, economicamente utili, se non assolutamente necessari, per le finanze pubbliche, di funzioni o servizi realizzati attraverso i beni da soggetti formalmente privati ma sostanzialmente pubblici. Tale rigidità, però, è venuta meno, non soltanto per l'operato interpretativo della giurisprudenza e dottrina, ma anche, e soprattutto, per gli interventi legislativi a livello sia nazionale sia europeo. Infatti, si pensi, a titolo meramente esemplificativo, ai processi di privatizzazioni oppure al trasferimento di reti per la erogazione di servizi pubblici a società partecipate da enti pubblici. In conclusione, l'art. 823 c.c. esprime il principio secondo cui è possibile alterare, attraverso la legge speciale, le condizioni proprietarie del bene, ma non è possibile fare venire meno la destinazione ad interessi collettivi, se non attraverso la perdita integrale della stessa identità di bene demaniale (Bianca). la giurisprudenza, infatti, da ultimo ha ribadito che il regime della incommerciabilità dei beni demaniali sancito dall'art. 823 c.c. costituisce regola generale, che trova applicazione in mancanza di deroghe (Cass. S.U., n. 3813/2011). I beni demaniali, quindi, non possono, finché rimangono tali nel caso di demanio eventuale, essere oggetto di trasferimenti di qualsiasi natura. Si tratta di beni incommerciabili, i quali possono formare oggetto di diritti in favore di terzi solo tramite provvedimenti amministrativi di carattere concessorio, nei casi previsti dalla legge, pur facendo salva la titolarità pubblica. Pertanto, deve considerarsi radicalmente nulloex art. 1418, comma 2, c.c. per impossibilità dell'oggetto qualsiasi atto di disposizione dei beni demaniali. La caratteristica della incommerciabilità ricomprende anche il divieto di costituire diritti di garanzia patrimoniale e, di conseguenza, divenire oggetto di esecuzione forzata. Inoltre, l'art. 4, d.P.R. n. 327/2001 (Testo unico delle disposizioni in materia di espropriazione) prevede al comma 1, tra i beni che non possono essere oggetto espropriazione, i beni demaniali, sintantoché non sia intervenuta la c.d. sdemanializzazione ex art. 829 c.c. Del pari sono anche inusucapibili da parte dei privati (T.A.R. Campania, Napoli II, n. 4482/2017), in virtù del fatto che la qualifica di demanio, in particolare demanio necessario, è riservata al presupposto dell'identità fisica del bene. Tale evenienza non contrasta con la possibilità che, al contrario, la P.A. acquisti per usucapione un bene privato, purché il possesso sia stato esercitato nella convinzione che si tratti di un bene demaniale. La giurisprudenza della Corte di Cassazione, a tal riguardo, ha ribadito che «la concessione in uso a terzi costituisce uno dei modi di disposizione del bene e, quindi, di possesso da parte dell'ente pubblico» utile ai fini dell'usucapione; viceversa, «l'errata supposizione di demanialità del bene non incide sulla volontà della P.A. di gestirlo «uti dominus», risolvendosi in un errore sul regime giuridico del bene, irrilevante ai fini dell'usucapione» (Cass. n. 9682/2014; Cass. n. 14917/2001). La dottrina, in definitiva, ha sottolineato che sebbene non vi sia un regime unitario dei beni pubblici, in particolare di quelli demaniali, si deve rilevare che la extracommerciabilità rappresenta la caratteristica comune di tali beni (Cassese, 264). L'art. 823 c.c. attribuisce all'autorità amministrativa la tutela dei beni demaniali, con la doppia facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia in via giurisdizionale, avvalendosi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso. L'autotutela esercitabile dalla P.A., invece, titolare del bene può essere di tipo decisorio, laddove si sostanzi in provvedimenti e determinazioni amministrative (annullamento, revoca o modifica di concessioni, atti di diffida, decisioni su ricorsi amministrativi proposti da privati, irrogazione di sanzioni amministrative, ordini di riduzione in pristino del bene), ovvero di tipo esecutivo, qualora siano posti in essere mezzi e comportamenti diretti ad eseguire le decisioni amministrative relative a beni pubblici (sgomberi d'ufficio, ordini di rimborso delle spese sostenute dalla P.A., ecc.). Per un approfondimento sul tema v. infra. Utilizzo dei beni.La pubblica amministrazione, titolare dei suddetti beni, pur garantendone la destinazione pubblica può farne un ampio e vario uso. Infatti, tradizionalmente la dottrina, distingue le tipologie di utilizzo: a) uso diritto, cioè sono quei beni che vengono utilizzati direttamente dalle organizzazioni pubbliche per la realizzazioni dei compiti istituzionali; b) uso generale, cioè quei beni il cui utilizzo è in favore dell'universitas dei consociati-titolari, e soddisfano bisogni di tutta la collettività e non quelli dell'organizzazione pubblicistica (si pensi al demanio marittimo e idrico); c) uso collettivo di quei beni destinati a una ristretta collettività; d) uso particolare, cioè quei beni che, in considerazione della loro scarsità, la legge consente l'utilizzo in virtù di un provvedimento amministrativo concessorio a singoli soggetti privati (si pensi alla concessione di coltivazione di miniere); e) uso promiscuo, cioè quei beni demaniali che assolvano contemporaneamente un uso diretto, principale, da parte dell'amministrazione e un uso secondario da parte della collettività, o comunque di soggetti privati (si pensi alle strade militari aperte al traffico pubblico); f) uso eccezionale, quando l'uso è esorbitante rispetto al normale utilizzo del bene, il cui godimento è concesso con concessione costitutiva, attributiva di una posizione sostanziale nuova. A seconda dell'uso del bene, mutua anche il ruolo dell'organizzazione pubblica. Infatti, nel caso di uso diretto e promiscuo, sono prevalenti i profili di gestione e utilizzo doveroso dei beni da parte delle organizzazioni pubbliche proprietarie; invece, nel caso di uso generale e particolare sono prevalenti i soli profili di organizzazione e regolazione dell'uso da parte della collettività o dei singoli beneficiari (Police, 434). Dunque, nel caso di usi generali, particolari o anche eccezionali e speciali, tali poteri amministrativi di organizzazione e regolazione dell'uso da parte della collettività includono il conseguente potere di preclusione, seppur temporanea e per un interesse pubblico prevalente, dall'utilizzo dei suddetti beni (ius excludendi alios). In tal caso, come ad esempio nell'ipotesi di uso di strada pubblica o esercizio di una servitù pubblica di passaggio «il privato non è titolare di un diritto soggettivo, ma soltanto di un interesse legittimo o di fatto, a seconda che il suo uso sia di carattere comune o generale (spettante a ogni cittadino) speciale (come quello dei proprietari frontisti) o eccezionale (in quanto derivante da un provvedimento di concessione)» (Cass. n. 17382/2005). Viene meno l'incommerciabilità – il fenomeno delle cartolarizzazioni.La conseguenza del superamento dell'indissolubile legame tra bene pubblico e titolarità di un ente territoriali, cioè della c.d. necessaria soggettività pubblica del bene, ha comportato il venir meno, altresì, del regime della inalienabilità (per un approfondimento si veda anche art. 828 c.c.). Infatti, a tal riguardo hanno inciso nel processo di tendenziale «patrimonializzazione» dei beni pubblici, istituti quali cartolarizzazione e dismissione dei beni, oltreché quello di privatizzazione degli enti pubblici economici. Tale procedimento, però, non ha modificato il regime giuridico del demanio naturale, ancora assoggettato al requisito di necessaria titolarità e incommerciabilità, ma ha inciso particolarmente nei confronti del c.d. demanio artificiale. Il fenomeno delle cartolarizzazioni (d.l. n. 352/2001, convertito dalla l. n. 410/2001) è stato utilizzato dal legislatore allo scopo di far fronte alla crisi della finanza pubblica, attuando operazioni finalizzate alla valorizzazione e vendita dei beni degli enti previdenziali. Dunque, l'Agenzia del demanio, in primo luogo, individuati i beni immobiliari dello Stato e degli enti pubblici non territoriali; a loro volta dinstini in beni demaniali, del patrimonio indisponibile e del patrimonio disponibile. Tale elencazione assume, peraltro, soltanto valore ricognitivo. Successivamente il Ministero dell'economia e delle finanze costituisce o promuove la costituzione di società a responsabilità limitata, dette S.C.I.P. (società per la cartolarizzazione degli immobili pubblici), le quali si occuperanno delle operazioni di cartolarizzazione. Tale operazione consta di due fasi. Una prima fase in cui il bene pubblico viene trasferito alla S.C.I.P. mediante decreti del Ministero; si tratta di una alienazione, in quanto la società di cartolarizzazione corrisponde un prezzo, detto prezzo minimo, stabilito nel decreto ministeriale. La S.C.I.P., al fine di far fronte al pagamento di tale prezzo, può optare per un finanziamento ovvero emettere titoli obbligazionari, i quali saranno saldati al momento della seconda alienazione del bene ai privati. Una seconda fase, invece, prevede la rivendita del bene, ormai non più pubblico, sul mercato. Il prezzo corrisposto alla Società dall'alienazione permette da una parte di coprire il finanziamento; dall'altra ove vi sia una eventuale differenza tra il ricavo delle vendite e il rimborso viene devoluto allo Stato, fatto salvo, però, il corrispettivo per l'attività della società di cartolarizzazione. Tramite tali operazioni si permette allo Stato di poter incassare velocemente il prezzo per gli immobili alienati alla Società di cartolarizzazione, per poi poter, in un secondo momento, ricevere la eventuale differenza nel prezzo finale. Si tratta sostanzialmente di procedura di vendita indirette (Police, Scoca, 440). Tale vendita, seppur indiretta, ha comportato una significativa deroga al dogma dell'incommerciabilità dei beni pubblici, così valorizzando il patrimonio pubblico, destinato al mercato, ma facendo salvo il regime della demanialità. La giurisprudenza ritiene che le operazioni di vendita, quando organizzate secondo il modello dell'asta pubblica, si configurino come procedure sostanzialmente amministrativa, in particolare di procedure ad evidenza pubblica, talché la giurisdizione è quella del giudice amministrativo (Cass. S.U., n. 5593/2007). Al contempo, le Società di cartolarizzazione (S.C.I.P.), in virtù delle finalità pubblicistiche e del potere direttivo del Ministro, sono state ritenute sostanzialmente pubblicistiche, sebbene siano formalmente persone giuridiche di diritto privato. Problemi attuali: l'autotutela esecutiva ex art. 823, comma 2, c.c.L'art. 823, comma 2, c.c. dispone che, per quanto concerne la tutela dei beni demaniali, l'autorità amministrativa competente ha la facoltà di procedervi non soltanto avvalendosi dei mezzi ordinari di difesa della proprietà e del possesso, ma anche, alternativamente, in via amministrativa. Tale disposizione ha dato adito a un ampio dibattito in ordine al fatto se la norma fosse attributiva di poteri amministrativi di autotutela esecutiva, di carattere generale, oppure fosse meramente ricognitiva dell'esistenza di tali poteri, i quali, però, dovessero essere tipizzati e attribuiti da norme di settore di carattere speciale. L'autotutela, dunque, può essere di carattere decisorio, ossia nel caso di annullamento, revoca o modifica di concessioni; oppure può essere di tipo esecutivo, cioè diretto ad eseguire la decisione dell'amministrazione relativa al bene pubblico (si pensi allo sgombero d'ufficio). Una parte della dottrina, sebbene riconosca che si tratti di un caso di autotutela esecutiva, al contempo rileva che la sua applicazione comporterebbe una violazione del principio di legalità in senso sostanziale, in quanto la disposizione è formulata in termini generici, senza tipizzare i poteri esercitabili dalla pubblica amministrazione. Pertanto, alla disposizione si dovrebbe riconoscere la valenza meramente ricognitiva. Infatti, secondo tale impostazione la Costituzione impone che ogni potere amministrativo sia conferito con un adeguato fondamento legislativo, ciò comporta che non è soddisfatto tale prerequisito dalla mera previsione dell'esistenza del potere, dovendosi, invece, soddisfatti i canoni di tipicità, nominatività e legalità in senso sostanziale (Benvenuti, 537). Tale impostazione trova conforto nell'art. 21-ter, l. n. 241/1990, il cui primo comma prescrive che «nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti». La norma, dunque, non solo esige l'attribuzione del potere di autotutela, ma anche la fissazione delle forme e delle modalità del suo esercizio, secondo una logica rafforzata di legalità e nominatività. Di diverso avviso è la giurisprudenza prevalente, la quale ritiene ammissibile che in virtù della disposizione in esame, l'autorità amministrativa, eserciti i poteri di autotutela anche in assenza di una specifica disposizione legislativa. Infatti, la norma in questione è qualificata come immediatamente precettiva, attribuendo alla P.A. un potere generale di autotutela possesso (Cons. St. n. 3531/2015). In particolare, la giurisprudenza considera l'art. 823 c.c. quale norma generale e non assolutamente eccezionale; infatti, nonostante l'espresso riferimento ai soli beni demaniali, si ritiene in virtù della teoria dei poteri impliciti, applicabile anche a difesa dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto anche loro soggetti a una disciplina di carattere speciale (Cons. St. n. 5934/2019). Tale potere, quindi, si deve ritenere esercitabile solo nei casi di demanio pubblico (art. 822 c.c.) e, in virtù della teoria dei poteri impliciti, anche nel caso di beni del patrimonio indisponibile dello Stato. Non può, invece, trovare applicazione nei confronti di beni pubblici disponibili la cui protezione deve avvenire necessariamente in sede giurisdizionale, operando, in tali casi, la P.A. iure privatorum. La concessione di beni demaniali – il caso delle concessioni marittime L'art. 823 c.c., come visto, ammette che l'autorità amministrativa possa, preservando la titolarità del bene, disporre di tali beni tramite l'adozione di provvedimenti amministrativi concessori. L'amministrazione concede, transitoriamente, a singoli privati l'uso esclusivo di porzioni del bene pubblico, sottraendo in tal modo il libero accesso della collettività. In tal modo si costituisce un rapporto tra amministrazione concedente e privato concessionario, con il quale si attribuisce a quest'ultimo un diritto reale, nell'ambito del quale la P.A. è titolare di poteri di disciplina, vigilanza, controllo e sanzione in ordine agli usi consentiti per la tutela del bene e per garantire, al contempo, la sua destinazione (art. 36 e 37 codice della navigazione). La giurisprudenza ha ribadito che il rilascio della concessione è espressione del potere discrezionale amministrativo, il quale muove dal presupposto dell'apertura istituzionale del bene alla libera fruizione della collettività. Dunque, il rilascio di una concessione soggiace a particolari interessi pubblici e privati che debbono trovare una giustificazione valida. Per questi motivi il diniego di rilascio di una concessione può essere succintamente motivato facendo riferimento anche a semplici ragioni di opportunità, quando, al contrario, il provvedimento di rilascio della concessione deve essere adeguatamente giustificato e motivato (ex multis Cons. St. n. 892/2016). Il beneficiario della concessione di beni pubblici è titolare nei confronti dei terzi di un diritto di esclusione dall'utilizzazione del bene (ius excludendi alios), che può tutelare tanto con i mezzi e le azioni proprie del diritto comune, quanto con i poteri di autotutela esecutiva: ciò in quanto la concessione si caratterizza per il trasferimento da un ente pubblico ad un soggetto privato di poteri pubblici, ivi compresa la possibilità di adottare atti unilaterali a carattere autoritativo. Nei confronti dell'Amministrazione concedente, invece, il concessionario è titolare di un interesse legittimo al rispetto delle norme di legge, qualora la P.A. intenda incidere sul rapporto concessorio mediante l'esercizio di poteri autoritativi (ad esempio annullando o revocando la concessione). I principi europei impongono alla P.A., ai fini della scelta del concessionario, l'espletamento di una procedura ad evidenza pubblica. La violazione di siffatta procedura, infatti, ha determinato la Corte di giustizia, con sentenza 14 luglio 2016, resa nella causa C-458/14 a sancire l'illegittimità dell'articolo 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009, conv. con l. n. 25/2010, che prevedeva la proroga automatica della data di scadenza delle concessioni di beni demaniali con finalità turistico-ricreative. Sebbene la direttiva 2006/123/CE (c.d. Bolkestein) preveda la locuzione «autorizzazioni», la Corte UE ha ritenuto che le concessioni dell'ordinamento nazionali italiano debbano essere qualificate come «autorizzazioni» in senso sostanziale, in quanto atti formali (qualunque sia la loro qualificazione nel diritto nazionale) che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di poter esercitare la propria attività economica. Inoltre, la Corte UE ha escluso che si possa trattare di una concessione di servizi, per le quali la direttiva 2006/123/CE non si applica, in quanto vertono non su una prestazione di servizi determinata, bensì sull'autorizzazione ad esercitare un'attività economica in un'area demaniale, ed essendo oggetto di affidamento un bene demaniale, di cui l'art. 823 c.c. ne sancisce la limitata disponibilità, in conformità alle disposizioni di legge. In tema di concessioni di aree demaniali marittime, la giurisprudenza ha ribadito che «il mancato ricorso a procedure di selezione aperta, pubblica e trasparente tra gli operatori economici interessati, tale da determinare un ostacolo all'ingresso di nuovi soggetti nel mercato, ove previsto dalla legislazione regionale, comporta non solo l'invasione della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), cost., ma anche il contrasto con l'art. 117, comma 1, cost., per lesione dei principi di derivazione europea nella medesima materia; tali principi si estendono anche alle concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative le quali hanno come oggetto un bene/servizio limitato nel numero e nell'estensione a causa della scarsità delle risorse naturali; la spiaggia è infatti un bene pubblico demaniale (art. 822 c.c.) e perciò inalienabile e impossibilitato a formare oggetto di diritti a favore di terzi (art. 823 c.c.), sicché proprio la limitatezza nel numero e nell'estensione, oltre che la natura prettamente economica della gestione (fonte di indiscussi guadagni), giustifica il ricorso a procedure comparative per l'assegnazione» (Cons. St. n. 1416/2021). Inoltre, i principi unionali in materia di libera circolazione dei servizi derivanti dalla direttiva 123/2006, sono applicabili «anche alle concessioni di beni pubblici, fungendo da parametro di interpretazione e limitazione del diritto di insistenza di cui all'art. 37 del codice della navigazione» [...] «la sottoposizione ai principi di evidenza trova il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di area demaniale marittima si fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai ricordati principi di trasparenza e non discriminazione » (da ultimo Cons. St. n. 7874/2019, Cons. St. n. 168/2005, Cons. St. n. 394/2017). L'operatività delle proroghe disposte dal legislatore nazionale non può che essere esclusa in ossequio alla pronuncia del 2016 della Corte di Giustizia, comportante la disapplicazione dell'art. 1, comma 18, d.l. n. 194/2009 e dell'art. 34-duodecies, d.l. 179/2012, di talché la proroga legale delle concessioni demaniali in assenza di gara non può avere cittadinanza nel nostro ordinamento (Caringella, 675). La Corte di Giustizia UE ha ritenuto che nel caso delle concessioni marittime che abbiano ad oggetto risorse scarse (per un approfondimento sui c.d. common goods si veda commento all'art. 825 c.c.), la verifica in ordine alla scarsità è riservata al giudice nazionale .L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in definitiva, con le sentenze n. 17 e 18 del 2021 ha ritenuto che la proroga legislativa automatica delle concessioni demaniali in essere fino al 2033, prevista dall'articolo unico, comma 683, l. 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019) è in contrasto con il diritto eurounitario; in particolare, con gli art. 49 TFUE e art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Quindi, ha ritenuto in contrasto con gli articoli 49 e 56 TFUE, in quanto la proroga automatica e generalizzata è suscettibile di limitare, ingiustificatamente, sia la libertà di stabilimento, sia la libera circolazione dei servizi nel mercato interno. Ritenendo sussistente un interesse frontaliero certoex art. 49 TFUE, in considerazione della posizione nevralgica per l'economia del Paese di un settore come quello marittimo, con finalità turistico-rieducative, in quanto la costa italiana rappresenta una delle attrazioni più note nelle mete turistiche mondiali. Invece, la direttiva 2006/123/CE ha lo scopo di eliminare gli ostacoli nazionali alla libera circolazione, così come ribadito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE: «la piena realizzazione del mercato interno dei servizi richiede anzitutto che vengano soppressi gli ostacoli incontrati dai prestatori per stabilirsi negli Stati membri» (CGUE Grande Sezioni C360/15 e C31/16). Il Consiglio di Stato ha superato le perplessità rilevate in dottrina circa l'applicazione della direttiva 2006/123/CE, in quanto ha ritenuto che quest'ultima fosse self- executing, cioè direttamente applicabile, senza la necessità di un atto di recepimento nazionale, in quanto sufficientemente dettagliata per lo scopo prefissato: cioè la piena realizzazione del mercato, con eliminazione degli ostacoli. Tradotto nell'ordinamento nazionale, comporta il venir meno delle proroghe automatiche che impediscono nuove gare ad evidenza pubblica. Per le prime applicazioni dei principi della Plenaria si veda CGA 116/22, che ha accolto la domanda proposta dal concessionario per l'accertamento della permanenza della titolarità della concessione fino alla scadenza del periodo di proroga stabilito dalla plenaria (fine 2023); T.A.R. Lazio n. 530/2022, che ha esteso i principi della Plenaria sull'estensione dell'obbligo di evidenza pubblica di matrice europea anche alle concessioni di posteggi nei mercati pubblici, con disapplicazione della normativa d'urgenza di cui all'art. 181 d.l. n. 34/2020; che prevedeva la procrastinazione automatica delle concessioni di aree pubbliche in atto fino al 2020, senza alcuna «ragionevole connessione tra la proroga delle concessioni e le conseguenze economiche derivanti dalla pandemia, presentandosi semmai essa come disfunzionale rispetto all'obiettivo dichiarato e di fatto diretta a garantire posizioni acquisite nel tempo». Vedi, da ultimo, Cons. St. VI, 229/2022, che pronunciandosi sul denunciato contrasto della decisione appellata con il diritto eurounitario sul rilievo che l'automatismo della proroga/rinnovo sarebbe contrario all'art. 12 Direttiva 2006/123/CE e alla sentenza Corte di Giustizia, Sez. V, 14 luglio 2016, Promoimpresa S.r.l. e Melis, C-458/14 e C-67/15) ha ritenuto la censura inammissibile per difetto d'interesse, in quanto i canoni per cui è causa sono stati liquidati anteriormente al 28 dicembre 2009 e nel vigore dell'ultimo rinnovo disposto anteriormente alla medesima data. Oltretutto il rapporto concessorio s'è costituito in data anteriore alla scadenza del termine di trasposizione (28 dicembre 2009) della Direttiva Servizi 2006/123/CE, ed anche il rinnovo di cui alla concessione n. 1/2007 è stato disposto anteriormente a detto termine. Da cui l'inapplicabilità della Direttiva Servizi ai rapporti concessori sorti anteriormente al termine di trasposizione della stessa. A riguardo va richiamato quanto affermato dalla Corte di Giustizia: «..il diritto comunitario non impone ad un'amministrazione aggiudicatrice di uno Stato membro di intervenire, su domanda di un singolo, in rapporti giuridici in essere, instaurati a tempo indeterminato o con durata pluriennale, qualora tali rapporti siano stati posti in essere prima della scadenza del termine di trasposizione della direttiva 92/50» (Corte di Giustizia, Sez. VI, 24.9.1998, Tögel, C-76/97; nello stesso senso v. Corte di Giustizia, 5 ottobre 2000, Commissione / Francia, C-337/98). E comunque, «a seguito delle statuizioni di cui alle sentenze dell'adunanza plenaria di questo Consiglio, 9 novembre 2021, nn. 17 e 18, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano a essere efficaci sino al 31 dicembre 2023. »,La sentenza n. 229/2022 affronta anche la connessa questione se l'esatta commisurazione dei canoni per l'occupazione dell'area demaniale in concessione presuppone la risoluzione della questione sull'appartenenza dei manufatti, ivi insistenti, strumentali all'esercizio dell'attività d'impresa del ricorrente. Sul punto, dopo un primo orientamento giurisprudenziale a mente del quale alla scadenza della concessione i beni sono ipso facto acquisiti al demanio (cfr. Cons. St. IV, n. 5123/2012; Cons. St. IV, n. 7505/2010), ha fatto seguito l'indirizzo opposto oramai consolidato, e condiviso da tale ultimo arresto pretorio, secondo cui il principio dell'accessione gratuita, fortemente penalizzante per il diritto dei superficiari e per gli investimenti, dovrebbe ritenersi riferito all'effettiva cessazione e non alla mera scadenza del rapporto concessorio, in relazione all'esigenza di assicurare che le opere «non amovibili», destinate a restare sul territorio o ad essere rimosse con inevitabile distruzione, siano nella piena disponibilità dell'ente proprietario dell'area, ai fini di una sua corretta gestione per prevalenti finalità di interesse pubblico. Esigenza che non risulta ancora attuale quando il titolo concessorio, anziché andare in scadenza o essere anzitempo revocato per l'utilizzo improprio dell'area, sia al contrario rinnovato in modo automatico e senza soluzione di continuità rispetto alla data naturale di scadenza della concessione (cfr., Cons. St. VI, n. 6043/2019). In definitiva, il principio dell'accessione gratuita di cui al ricordato art. 49 r.d. 30 marzo 1942 n. 327 non trova applicazione quando il titolo concessorio è stato oggetto di rinnovo automatico prima della data di naturale scadenza della concessione, tanto da configurare il rinnovo stesso, al di là del “nomen iuris”, come una piena proroga dell'originario rapporto e senza soluzione di continuità (cfr., Cons. St. VI, n. 729/2017; Cons. St. IV, n. 1146/2020). Sicché le opere realizzate dai concessionari sulla superficie demaniale sono, ai sensi dell'art. 952 c.c., d'esclusiva proprietà privata c.d. superficiaria fino al momento dell'effettiva scadenza o revoca anticipata della concessione: per essi non è dovuto un canone ulteriore, essendo tenuto il concessionario a corrispondere un canone commisurato alla occupazione del suolo demaniale con impianti di facile/difficile rimozione, così come previsto dall'art. 1, comma 251, punto 1, lett. b), l. n. 296/2006. Inoltre, contrariamente a quanto supposto dall'Agenzia del Demanio, la continuità della vicenda concessoria sarebbe stata interrotta a seguito del subentro del ricorrente nella titolarità di essa. Il subentro, per atto inter vivos o mortis causa, comporta, ai sensi dell'art. 46 cod. nav., la novazione soggettiva del rapporto che prosegue senza soluzione di continuità con l'amministrazione concedente ed il soggetto subentrante. Investita della questione relativa all'ambito applicativo dell'art. 1, comma 251, l. n. 296/2006, recante la modifica dell'art. 3 d.l. n. 400/1993, conv. con l. n. 494/1993, fondandosi sull'orientamento giurisprudenziale qui condiviso, e fatto proprio dalla sentenza appellata, la Corte costituzionale (cfr. sentenza Corte cost. n. 29/ 2017) ha premesso che «al fine di stabilire la proprietà statale dei beni di difficile rimozione edificati su suolo demaniale marittimo in concessione, è determinante la scadenza della concessione, essendo questo il momento in cui il bene realizzato dal concessionario acquista la qualità demaniale». BibliografiaBenvenuti, voce Autotutela (diritto amministrativo), in Enc. Dir., IV, 1959, 537; Bianca (diretto da), Commentario del codice civile, Gatti, Troiano (a cura di), Della proprietà, III, Roma, 2014; Caringella, Manuale ragionato di diritto amministrativo, Roma, 2021; Cassese, I beni pubblici. Circolazione e tutela, Milano, 1969; Police, I beni di proprietà pubblica, in Scoca (a cura di), Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2019. |